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Voglio un bravo ragazzo
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Voglio un bravo ragazzo

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About this ebook

Attraction Series

Come ho conosciuto William? È entrato nella mia pasticceria, ha comprato una torta di ciliegie, rubato un vaso di fiori – non avevo idea di cosa diamine dovesse farci – e lasciato il suo biglietto da visita in bella mostra. Prima di ammettere cosa abbia fatto con il biglietto da visita vorrei chiarire una cosa: William non avrebbe potuto scegliere un momento peggiore per entrare nella mia vita. Il mio locale stava per fallire. Quello stupido del mio ex si rifiutava di lasciarmi in pace. E tutti mi tormentavano perché a venticinque anni non ero ancora mai andata a letto con un ragazzo. William non era certo il candidato ideale per la mia prima volta. Un donnaiolo convinto, sexy in modo insopportabile. Tutto il contrario di quello di cui avevo bisogno. E allora perché l’ho cercato? Ho capito di essere nei guai quando con la sua voce profonda mi ha detto: «La tua torta era deliziosa. Cucini anche a domicilio?».

Bestseller istantaneo da oltre 100.000 copie negli Stati Uniti!
Tradotto in 8 Paesi

Spassoso, sexy e romantico: il romanzo dell’estate

«Senza alcun dubbio è uno dei libri più spassosi che abbia mai letto.»

«Penelope Bloom è irresistibile, la sua ironia è contagiosa e non si smette mai di ridere.»

«Ho riso fino alle lacrime nelle parti divertenti e mi sono commossa come una scema in quelle romantiche. Non vedo l’ora che esca il prossimo!»

Penelope Bloom
è un’autrice bestseller di «USA Today». Adora immaginare e scrivere storie d’amore. Dopo aver lavorato come insegnante in un liceo, ha deciso di dedicarsi completamente alla scrittura di romanzi, spinta dall’entusiasmo delle sue due figlie. La Newton Compton ha pubblicato Sono una brava ragazza e Voglio un bravo ragazzo.
LanguageItaliano
Release dateMar 20, 2019
ISBN9788822732859
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    Book preview

    Voglio un bravo ragazzo - Penelope Bloom

    2311

    Titolo originale: Her Cherry

    Copyright © 2018 by Publishing Bloom LLC

    Traduzione dall’inglese di Federica Gianotti

    Prima edizione ebook: giugno 2019

    © 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-3285-9

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Penelope Bloom

    Voglio un bravo ragazzo

    Indice

    1. Hailey

    2. William

    3. Hailey

    4. William

    5. Hailey

    6. William

    7. Hailey

    8. William

    9. Hailey

    10. William

    11. Hailey

    12. William

    13. Hailey

    14. William

    15. Hailey

    Epilogo

    Per cortesia, ricordatevi di fare una recensione

    1

    Hailey

    Mia nonna ha sempre affermato che fare dolci è il miglior rimedio contro la tristezza. È una nonna adorabile, e faceva biscotti talmente buoni da leccarsi i baffi, ma si sbagliava di grosso. Da più di due anni ormai sfornavo nella mia bakery torte di ciliegie, paste, croissant, bagel, e qualunque altro dolciume si possa immaginare. E avevo capito che i dolci sono un rimedio solo contro il girovita e ogni proposito di seguire una dieta.

    E comunque non ero una persona triste. Avevo compiuto da poco venticinque anni e mi ero resa conto di non poter aspettare che la vita venisse a bussare alla mia porta. Chiamatemi pure ingenua e tarda di comprendonio, ma ero convinta che se fossi rimasta sempre umile, avessi lavorato sodo e mi fossi comportata da brava ragazza, tutto il resto sarebbe venuto da sé. Così la mia vita trascorreva serena, tranquilla, normale, un giorno dietro l’altro, mentre il tempo passava sempre più veloce. Se mi fossi distratta un attimo, mi sarei ritrovata ancora vergine a ottant’anni, a sfornare cupcake così buoni da provocare orgasmi spontanei. Pasticcera dalle doti strabilianti, ma dalla vita grama. Ecco, quello non era esattamente il mio sogno. Nel mio cuore sapevo che se avessi continuato a evitare le opportunità che mi si presentavano davanti con la stessa caparbietà con cui evitavo il filo interdentale – eccetto il giorno prima di andare dal dentista – sarei diventata una pasticcera vecchia, brontolona e illibata.

    Sfornare dolci era facile. Aveva una sua logica. Aggiungete questo, togliete quello, infornate a questa temperatura, lasciate riposare per un certo tempo. È una scienza, quindi, se si segue la ricetta e si presta attenzione a ciò che si fa, si sa quel che si ottiene. Per questo amavo l’arte della pasticceria. Fare dolci era il mio rifugio, mi faceva sentire al sicuro. Se mia sorella e Ryan, il mio unico dipendente, non mi avessero continuamente punzecchiata perché, a loro dire, mancavo del tutto di vita sociale, avrei vissuto solo per il mio lavoro. Nei fine settimana mi piaceva andare in avanscoperta nei mercatini di zona per scovare prodotti locali freschi, mi appassionava testare nuove ricette e provare a perfezionare quelle classiche. La pasticceria era la mia vita. Non mi sarei sorpresa di avere una farcitura di ciliegie al posto del sangue. Di sicuro sul viso avevo più spesso farina che trucco. C’era la pasticceria e c’era la mia vita. Forse un giorno le due cose avrebbero trovato piena realizzazione: si sarebbe avverato il mio sogno di allargare il locale e perfezionare le mie ricette, così da raggiungere finalmente quella felicità piena che ancora mancava alla mia vita. Altri giorni, invece, mi sembrava di vivere in una gabbia rivestita di torte e dolci: deliziosa, ma pur sempre una gabbia.

    Sì, amavo quel che facevo, ma no, nonna, la pasticceria non era un toccasana.

    Dovevo solo dare un’occhiata al vecchio e consunto testo universitario che avevo messo sotto il piedino del forno, comperato di seconda mano. Uno dei piedini era più corto degli altri, giusto quel tanto che bastava per infilarci sotto un libro, e ridare equilibrio al tutto. Biologia marina e dinamica di un ecosistema raro. Gli autori avevano preso una manciata di paroloni scientifici, li avevano mescolati tra loro come dentro un frullatore, e avevano pensato che gli studenti della facoltà si sarebbero sentiti dei geni portando a spasso quel tomo. Poi, avevano pensato bene di metterlo in vendita a trecento dollari. Così quando alla biblioteca della facoltà mi avevano offerto dieci dollari per acquistarlo, avevo mandato a farsi fottere loro e i dieci dollari.

    Be’, tecnicamente avevo pensato che potevano andare a farsi fottere. In realtà, avevo sorriso educatamente, li avevo ringraziati e poi, per calmarmi, avevo sentito Matt Costa tornando a casa. Da una vita lavoravo a contatto col pubblico e sapevo che non era corretto prendersela con la persona dietro al bancone per una cosa indipendente dalla sua volontà.

    Così negli ultimi sei o sette anni avevo usato quel libro in una maniera diversa. Se non avevano intenzione di ridarmi trecento dollari, lo avrei impiegato in trecento modi diversi. All’inizio, lo usai come fermaporta nel dormitorio del college durante il periodo in cui frequentai la facoltà di sociologia, che mi dotò di una laurea utile a raccogliere polvere in uno schedario dimenticato chissà dove. Ci andai a sbattere contro, ci inciampai e, senza pensarci troppo, lo umiliai – la volta in cui ci picchiai contro l’alluce lo chiamai ciccione, il che, devo ammetterlo, fu un po’ esagerato, ma non avevo certo intenzione di scusarmi con un libro. Poi, quando non fungeva da fermaporta, mi era servito per schiacciare i ragni. Lo avevo usato anche per dormirci sopra, tutte le volte in cui il gatto prendeva possesso del mio cuscino. Ci avevo anche scarabocchiato dentro. E adesso? Fungeva da supporto al mio forno. In poche parole, era la colonna portante della mia attività.

    Certo, forse l’immagine è un po’ esagerata. Ma la verità è più simile all’impasto di quanto si creda. Date loro una tiratina da una parte, un’aggiustatina dall’altra, lavorateli un po’ con le mani, e voilà. Con le dovute accortezze si manda giù anche la verità più amara. O il muffin più dolce.

    Tutto sommato, dopo tanti anni, potevo dire di aver recuperato almeno venti dollari. Me ne restavano ancora duecentottanta. Ovviamente, c’era un’altra ragione per cui avevo tenuto quello stupido libro mentre avevo venduto tutti gli altri costosi testi per pochi spiccioli. Era stato in quel tomo che, per la prima volta, avevo scarabocchiato il suo nome, dentro un cuoricino. E lo avevo tenuto stretto al petto, proprio sul cuore impazzito dalla gioia, la prima volta che avevamo parlato alla fine di una lezione. Nathan. Il ragazzo dei miei sogni, che poi si era trasformato in un viscido stalker. Dovevo ringraziare lui della mia verginità, almeno in parte. Non so se esista un disturbo post-traumatico da depravato, ma se c’è, Nathan mi aveva causato proprio quella sindrome. Avevo acquisito un’abilità straordinaria: tenere a debita distanza chiunque avesse un pene. Quindi, conservare quel libro era per me come avere sempre davanti agli occhi un avvertimento: Attenta al pene, porta guai e insidie.

    Posai l’ultima torta di ciliegie sul tavolo d’acciaio infarinato, vicino al forno. Le torte sembravano perfette. E lo erano. Ero brava a fare i dolci. Avevo un quaderno pieno di ricette con le relative modifiche apportate nel corso degli anni per trovare il perfetto equilibrio di sapori e consistenze. Pagine e pagine in cui avevo annotato la differenza tra aggiungere una tazza di zucchero, oppure una tazza di zucchero piena fino all’orlo, oppure parzialmente piena, o aggiungerne solo metà alla volta, e così via. Se la pasticceria era un’arte, io ero una scienziata folle. La maga dei cupcake. La gente entrava nel mio locale per concedersi un peccato di gola, e poteva scommetterci le chiappe che avrebbe gustato delle vere prelibatezze.

    I dolci non avevano curato il senso di vuoto che si annidava nel segreto del mio cuore, ma mi avevano dato uno scopo da perseguire. Sapevo di essere brava, e prima o poi avrei ampliato il locale. Il primo passo, comunque, era riuscire a pagare le bollette, impresa titanica, ahimè. Ma se fosse stato così facile conquistare il mondo, lo avrebbero fatto tutti.

    La mia sorellina Candace passò a salutarmi. Lavorava come redattrice al «Business Insights» e si fermava sempre a prendere un bagel mentre andava al lavoro. Con passo molleggiato, lasciando ondeggiare i suoi capelli biondi corti, si avvicinò al bancone. Spostò gli occhiali da sole sulla testa e ammiccò.

    Mi pulii le mani sporche di farina e, tanto per non sbagliare, diedi un piccolo calcio al libro. Avrei preferito dare un calcio a lui, ma mi dovetti accontentare del libro. Peccato che non funzionasse come una bambola vudù.

    «Come sta la mia vergine preferita stamattina?», mi chiese allegra.

    «Lo sai che posso sputarti nel bagel, vero?». Mi preparai a qualche nuova battutina. Candace tirava fuori il discorso sulla mia verginità più o meno una volta al mese, forse nei giorni in cui avevo il viso più sciupato.

    «Oooh, la saliva di una vergine. Ho sentito che ha poteri magici. Ti prego, ne voglio un po’ insieme al formaggio spalmabile».

    «Sei disgustosa. L’unico potere della mia saliva è di sicuro antiafrodisiaco, a giudicare dai miei trascorsi».

    «Mmm. Allora ne faccio volentieri a meno».

    «Sai, se la smettessi di sbandierare così spesso e a voce alta la mia verginità, forse tutti quelli che frequento non ne sarebbero al corrente».

    «Tutti quelli che frequenti. Okay. Cioè Ryan e la nonna?»

    «Cretina», borbottai. Mi voltai e cominciai a lavorare l’impasto con una certa energia, a pugni stretti. Non era quella la tecnica giusta per ottenere la consistenza perfetta, ma era un ottimo antistress.

    «Be’, penso ci sia anche…».

    «Di lui non parliamo, ricordi?», chiesi.

    «Hailey, non fa bene tenersi tutto dentro. Non hai mai visto Io, me e Irene? In quel film Jim Carrey pensa che sia una buona idea reprimere le emozioni, e cosa gli succede?».

    Scrollai le spalle. «Va a finir male?»

    «Assolutamente. Ha uno sdoppiamento della personalità, diventa schizofrenico. Se non stai attenta, finirai per ospitare nella tua testolina un’altra ragazza folle di nome Hanketta, che comincerà a litigare coi bambini di sei anni nelle tavole calde. È questo che vuoi?»

    «Domanda retorica?».

    Si appoggiò al bancone e mi guardò come fossi un animale ferito, triste. «Voglio solo che tu sia felice».

    «Be’, e io voglio che mia sorella si preoccupi di meno della mia inesistente vita sessuale e di più di ciò che conta davvero».

    «Oh, certo. Il sesso non conta. Vallo a dire agli uomini e alle donne di ogni epoca: ragazzi, ci siamo sbagliati. Fermi tutti. Uomini, tenete a bada i vostri uccelli. Distruggete gli stampi dei vibratori. Donne, chiudete le gambe, la festa è finita! Da sempre il sesso è sopravvalutato!».

    «Stampi per vibratori? Sul serio?».

    Scrollò le spalle. «Come pensi che li realizzino?».

    La guardai di traverso. «Preferisco non pensarci. Sto solo cercando di dirti che non ho la smania di farmi la prima cosa che si muove».

    «Forse invece dovresti. Pensaci. Hai venticinque anni, cazzo. Venticinque anni di attesa durante i quali ti sei costruita l’idea che fare sesso deve essere un avvenimento memorabile, sconvolgente. Hai delle aspettative troppo alte, ragazza mia. Togliti quel bastone che hai su per il culo, smettila di essere così rigida e bacchettona, e lasciati andare».

    «Togliermi il bastone che ho su per il culo e lasciarmi andare… Perle di saggezza di Candace. Potrei fartele incidere sulla lapide?»

    «Chi te lo dice che morirò io per prima? Io ti farò incidere: Qui giace la più vecchia e triste vergine al mondo. Se avesse permesso a un ragazzo di spingersi quindici centimetri dentro di lei, forse non sarebbe finita due metri sotto terra».

    Tirai fuori un bagel dalla vetrina e senza troppa grazia lo farcii con un’abbondante dose di formaggio spalmabile. Più di quanto piacesse a lei, ma non mi importava. Lo avvolsi nella carta oleata e glielo porsi. «Ecco il tuo bagel. Ryan dovrebbe arrivare tra qualche minuto e, grazie a te, mi stressa ancora di più e si inventa qualunque cosa pur di farmi uscire con qualcuno. Quindi perché non ti concedi un attimo di pausa e non lasci che continui lui a tormentarmi al tuo posto?».

    Prese il bagel. «Gliel’ho detto solo perché desideravo che fosse lui a toglierti le ragnatele dalla ciliegina. Come facevo a sapere che si sarebbe buttato a capofitto nel ruolo di amico, trasformandosi nel signor Cupido?».

    Feci una smorfia. «A volte il tuo talento nell’usare immagini strampalate è davvero eccessivo e anche un po’ inquietante».

    «Quanto sei dolce! Ehi, cos’è questa?», chiese prendendo la busta che avevo aperto e lasciato sul bancone.

    Gliela strappai di mano. «Niente. Pubblicità spazzatura».

    «Ah, certo, la cara vecchia pubblicità spazzatura con su scritto avviso di sfratto per attirare l’attenzione. Proprio il genere che ricevo sempre anch’io. Okay, ragazza, rimani illibata». Mi lanciò un bacio e uscì col bagel in mano.

    Quando se ne fu andata, guardai la lettera. Era l’avviso che mi comunicava che avevo una settimana di tempo per pagare l’affitto del mio appartamento se non volevo essere sfrattata. Non sapevo proprio come avrei potuto fare: tra due settimane sarebbe scaduto anche l’affitto del locale, e quella era già la terza rata che saltavo nell’arco dell’anno. Sospirai. Avevo sempre trovato un modo per restare a galla, e l’avrei dovuto fare anche questa volta. Ancora qualche settimana, qualche altro cliente, e poi grazie al mio lavoro ce l’avrei fatta a sistemare tutto.

    Diedi una bella scossa all’impastatrice che subito cominciò a borbottare e a lavorare come doveva. La maggior parte dei macchinari della mia bakery avevano conosciuto tempi migliori, ma almeno erano miei. Mi sentivo molto orgogliosa di essermi potuta permettere col mio lavoro di comprare ogni utensile della pasticceria. Il locale era il mio bambino e le torte di ciliegie… le figlie del mio bambino? Meglio non rifletterci troppo, il concetto risultava alquanto strampalato. Amavo la mia bakery: anche quando sembrava che tutto attorno stesse per crollare, sapevo di poter contare sul mio locale. Il mio piccolo santuario, che a volte, però, mi appariva come una gabbia.

    Ryan arrivò puntuale, come sempre. Era appena uscito dall’università, un ragazzo molto affascinante, forse addirittura anche troppo bello, ma per chissà quale ragione, fin da quando ci eravamo conosciuti, lo avevo considerato come un fratello minore. E lui doveva aver pensato la stessa cosa, perché appena aveva iniziato a lavorare per me il nostro rapporto era diventato simile a quello tra un fratello e una sorella che si ritrovano dopo tanto tempo. Lui voleva sistemarmi, mentre io mi preoccupavo di tenerlo lontano dai guai, che lui attirava come una calamita.

    Aveva la testa rasata, qualche tatuaggio, ma nulla di esagerato, e una corporatura muscolosa coi bicipiti ben sviluppati tipici di chi è abituato a stendere l’impasto con le mani. Aveva gli occhi di un marrone intenso. «Appuntamento galante stasera?», domandò.

    «Sai, Candace mi ha appena fatto un discorsetto per spronarmi un po’. Magari potremmo evitare di parlare della mia verginità oggi?», e cominciai a togliere delicatamente le torte dagli stampi.

    Mi si avvicinò, si piegò sul bancone, mi diede un colpetto sul braccio, e mi rivolse il suo solito sguardo comprensivo, carico di sincero affetto. Da una parte ero un po’ stanca dei ripetuti tentativi di Ryan di procacciarmi appuntamenti, ma dall’altra sapevo che si preoccupava solo perché mi voleva bene, quindi non potevo rimproverarlo né avercela con lui. «Senti cosa devi fare. Oggi scegli un ragazzo. Uno qualunque». Fece un sorriso raggiante, come se gli fosse appena venuta un’idea. «Il primo ragazzo che compra una torta di ciliegie. Scegli lui. Ma devi osare un po’. Sii te stessa. Fa’ un po’ la civetta, di’ qualcosa per provocarlo. Non devi chiedergli di uscire. Devi solo, ecco, fargli un complimento, e poi stiamo a vedere come va a finire».

    Sospirai. «Mettiamo il caso che faccia come hai detto tu: che succede se il primo ragazzo che entra a comprare una torta di ciliegie ha i baffi folti come i classici pedofili, o delle caccole appiccicate su una manica?»

    «Okay. Diciamo allora il primo ragazzo che compra una torta di ciliegie ma che non fa scattare l’allarme viscido pervertito. Che ne pensi? Ma poi, chi cavolo ha le caccole sulle maniche? Con quale genere di ragazzi sei abituata a uscire?»

    «Divertente», dissi, cercando di smorzare il suo entusiasmo perché non pensasse che ero davvero d’accordo con quell’idea. Sia lui che Candace forse credevano che il sesso avrebbe potuto risolvere tutti i miei problemi. Io non ne ero tanto sicura, pur cogliendo l’ironia della mia sorte: la ragazza che sforna ogni giorno torte

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