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Il cadavere nel fiume
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Ebook368 pages5 hours

Il cadavere nel fiume

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About this ebook

«I suoi romanzi sono tra i migliori thriller che siano stati scritti.» Lee Child

Bestseller del New York Times

Derry, Irlanda. Il cadavere di un ragazzo viene rinvenuto in un parco lungo il fiume, con il cranio spaccato da una pietra. C’è solo un indizio per identificarlo: il timbro di un locale gay che si trova nelle vicinanze. La detective Lucy Black, incaricata di seguire il caso, comincia a fare ricerche all’interno della comunità in cui il ragazzo viveva. Le tensioni non tardano a manifestarsi perché, nei giorni precedenti l’omicidio, un predicatore locale aveva abbracciato l’ipotesi della lapidazione per gli omosessuali. Il gruppo in difesa dei diritti dei gay insorge. Le cose si complicano ulteriormente quando un’organizzazione di estrema destra prende di mira una famiglia rumena che vive in un quartiere popolare. Mentre gli attacchi si intensificano, Lucy e il suo capo, Tom Fleming, devono anche gestire i dissidi tra un vecchio paramilitare e il suo vice, che minacciano di infiammare ulteriormente una situazione già instabile. Tutto sembra opporsi alla risoluzione del caso…

Un’altra avvincente indagine della detective Lucy Black

«L’azione si svolge poco prima del voto sulla Brexit, facendo emergere importanti questioni di identità nazionale. McGilloway evita risposte facili regalandoci un romanzo poliziesco teso e splendidamente scritto, che getta una luce su alcune vite poco indagate.»
Ann Cleeves

«McGilloway costruisce un mondo realistico in cui ogni azione nasconde pericoli.»
Publishers Weekly

Brian McGilloway
è nato nel 1974 in Irlanda del Nord, dove oggi insegna Letteratura inglese. I suoi romanzi hanno ottenuto importanti riconoscimenti. Non parlare, il primo thriller della serie sulle indagini della detective Lucy Black, ha vinto il premio letterario University of Ulster’s McCrea nel 2011 ed è stato per settimane ai primi posti delle classifiche inglesi e americane. Prima di Il cadavere nel fiume, la Newton Compton ha pubblicato Urlare non basterà e Non entrare.
LanguageItaliano
Release dateFeb 12, 2019
ISBN9788822730121
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    Book preview

    Il cadavere nel fiume - Brian McGilloway

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    2228

    Copertina © Sebastiano Barcaroli

    Titolo originale: Bad Blood

    Copyright © Brian McGilloway, 2017

    First published in Great Britain by Corsair,

    an imprint of Little, Brown Book Group

    The moral right of the author has been asserted

    All rights reserved

    Traduzione dall’inglese di Francesca Noto

    Prima edizione ebook: aprile 2019

    © 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-3012-1

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Manuela Carrara per Corpotre, Roma

    Brian McGilloway

    Il cadavere nel fiume

    marchio%20front.tif

    Newton Compton editori

    Indice

    Prologo

    VENERDÌ

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    SABATO

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    DOMENICA

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Capitolo 29

    LUNEDÌ

    Capitolo 30

    Capitolo 31

    Capitolo 32

    Capitolo 33

    Capitolo 34

    Capitolo 35

    Capitolo 36

    Capitolo 37

    Capitolo 38

    Capitolo 39

    Capitolo 40

    Capitolo 41

    Capitolo 42

    Capitolo 43

    Capitolo 44

    Capitolo 45

    Capitolo 46

    Capitolo 47

    Capitolo 48

    MARTEDÌ

    Capitolo 49

    Capitolo 50

    Capitolo 51

    Capitolo 52

    Capitolo 53

    Capitolo 54

    Capitolo 55

    Capitolo 56

    Capitolo 57

    Capitolo 58

    Capitolo 59

    Capitolo 60

    Capitolo 61

    Capitolo 62

    Capitolo 63

    Capitolo 64

    Capitolo 65

    Capitolo 66

    Capitolo 67

    Capitolo 68

    VENERDÌ

    Capitolo 69

    Ringraziamenti

    Prologo

    La sala era già piena quando l’ispettore Tom Fleming arrivò. L’aria sapeva di profumo e talco e, sotto a quel sentore dolciastro, si poteva avvertire quello dei contadini che ancora indossavano i loro vestiti da lavoro, tra sudore e terra.

    Il gruppo era in piedi, guidato nell’inno d’apertura dal pastore James Nixon. Fleming accennò un sorriso di scuse a chi dovette farlo passare per permettergli di raggiungere una sedia vuota nella terzultima fila. L’inno finì, l’assemblea si sedette proprio mentre Fleming raggiungeva il suo posto e attese di ascoltare le parole del pastore Nixon.

    «Cari fratelli, care sorelle, è un grande onore essere qui con voi, stasera, e vedere che così tanti di voi abbiano trovato il tempo di venire a pregare con me». La sua voce era forte, nonostante l’età, un ricco baritono che ancora portava l’inflessione del suo accento nativo di Ballymena.

    «Ma questo, per noi tutti, è un periodo di grandi sfide. Ogni giorno, le brave persone si ritrovano ad affrontare un assalto alla propria moralità a causa del dilagante piano degli omosessuali che ci aggredisce e vorrebbe sminuire tutto ciò che ci è caro e in cui crediamo. Uomini di coscienza vengono processati per essersi rifiutati di preparare una torta che festeggi l’omosessualità, o volantini e poster a favore del piano. D’altro canto, la Repubblica d’Irlanda ha votato per permettere agli omosessuali di sposarsi, come se due donne che giocano alla famiglia possano essere considerate uguali all’unione sacra tra un uomo e una donna. Come se non fosse una perversione che ci umilia tutti».

    Qualcuno rispose a quelle parole con un «Amen».

    Nixon sollevò le mani, riconoscendo il supporto. «Ci sono persone che vorrebbero zittirmi, che vorrebbero zittirci. Ci dicono che dobbiamo accettare gli omosessuali nella nostra cittadina, nei nostri negozi, che dovremmo permettere l’apertura di locali e pub omosessuali nelle nostre strade. Che dovremmo permettere ai sodomiti di insegnare ai nostri figli e di corrompere i nostri giovani. Dovremmo restare in silenzio mentre una nuova Gomorra viene costruita accanto alle nostre case e alle nostre fattorie, ai nostri negozi e alle nostre scuole. Dicono che sono pericoloso. Che predico l’odio. Dicono che dovrei restare in silenzio. Ma questo è ciò che dico io: io dico che non c’è alcun pericolo nella verità. Dico che non c’è odio nella bontà. E dico che non resterò in silenzio».

    Un altro coro di «Amen» rispose a quelle affermazioni, insieme a un applauso che cominciò dalle prime file e si propagò per la sala.

    «Non resterò con le mani in mano mentre le nostre famiglie vengono esposte al peccato e alla depravazione. Non permetterò che le leggi del nostro paese siano usate per proteggere persone blasfeme, che permettano loro di indulgere alle pratiche lussuriose, costringendo chi di noi ha ancora una coscienza ad accettare il loro stile di vita. Questo è un abominio. Le persone che lo praticano sono degli abomini e, come quelli prima di loro, finiranno tra fuoco e zolfo».

    Fleming si guardò intorno, osservando la gente nella sala. Mentre uno o due sembravano agitarsi a disagio sulle sedie, per la maggior parte fissavano attenti Nixon, aspettando che continuasse a parlare.

    «Amici, giusto la scorsa settimana ho letto che in una nazione africana, una nazione pagana, senza Dio, hanno arrestato due uomini per aver compiuto atti omosessuali. Uno di questi due aveva sedici anni. Sedici! E sapete cosa hanno fatto a questi due uomini? Li hanno lapidati. Li hanno portati fuori dalla città e hanno lanciato sassi contro di loro fino a ucciderli. E sapete cosa ho pensato? Devo dirvelo?».

    Un’anziana signora in prima fila esclamò: «Sì!», con grande divertimento delle persone intorno a lei. Nixon le sorrise con gentilezza, come se la stesse assecondando.

    «Ho pensato che la lapidazione fosse una pena troppo leggera per quegli uomini. Ogni pietra che li ha colpiti è stata la giusta ricompensa per i loro peccati, per la loro immoralità, per il loro comportamento blasfemo. Ogni goccia del loro sangue che ha macchiato il terreno ha dichiarato che meritavano di morire. Era il prezzo del loro peccato!».

    Venerdì

    Capitolo 1

    via i romani!

    Quelle parole erano scritte a grandi lettere di vernice rossa alte trenta centimetri sul muro della casa, abbastanza grandi da permettere alla detective Lucy Black di leggerle alla luce dei fari della sua macchina già mentre svoltava l’angolo per raggiungere il Greenway Estate. Una piccola folla di vicini era in piedi sul marciapiede fuori dalla casa, mentre un agente in uniforme, col taccuino in mano, copiava le parole della scritta. E, essendo solo tre, ci stava mettendo un po’ troppo per farlo.

    «Detective Black», esordì lei, avvicinandosi. L’agente era poco più alto di lei, magro, con capelli scuri lunghi abbastanza da arricciarsi. Notò, alla luce del lampione, la pelle lucida sulla sua guancia, mezza nascosta dalla lunghezza di una basetta.

    «Lloyd», si presentò lui. «La mia collega, l’agente Huey, è dentro con la famiglia».

    «Cos’è successo?».

    Lloyd accennò alle lettere sul muro, come se Lucy, in qualche modo, non si fosse accorta della loro presenza. «A qualcuno non piacciono i rumeni che vivono in questa zona».

    «E neanche i romani, a quanto pare», scherzò Lucy.

    «Prego?»

    «Dice romani», spiegò lei. «E i romani vengono da Roma, non dalla Romania».

    Lloyd la fissò per un attimo. «Ah, sì, molto utile, detective», commentò infine.

    «Lieta di esserle stata d’aiuto, agente», ribatté Lucy. Poi bussò alla porta ed entrò nella casa. Il piccolo atrio dava su una cucina sul retro e, alla sinistra di Lucy, su un salotto. Era lì che la famiglia si era riunita.

    La madre era seduta a un’estremità del divano, lasciando uno spazio tra lei e la poliziotta in uniforme che Lucy immaginò fosse l’agente Huey. Sull’unico altro posto a sedere nella stanza, una grossa poltrona, si trovava il padre e, appoggiato al bracciolo accanto a lui, c’era il figlio adolescente.

    «Buonasera», esordì Lucy. «Sono il detective Black dell’Unità di Protezione Pubblica. Ci occupiamo di qualsiasi incidente che coinvolga persone vulnerabili. Mi dispiace per quello che è accaduto alla vostra casa».

    Huey si alzò, lieta che qualcuno fosse lì con lei, e Lucy cominciò a capire perché Lloyd ci stesse mettendo tanto a trascrivere quella scritta sul muro. «Sono l’agente Huey. Siamo stati i primi ad arrivare sulla scena. Il mio coll…».

    «Sì, l’ho conosciuto», la interruppe Lucy.

    «Loro sono Constanta, Andre e Adrian Lupei», spiegò la Huey, accennando ai tre componenti della famiglia mentre li nominava, anche se la vicinanza del padre al figlio non rese subito chiaro a Lucy chi fosse chi dei due. «Vuole sedersi? Posso preparare del tè?», soggiunse, prima che Lucy potesse rifiutare. Constanta Lupei fece per alzarsi e aiutare, ma l’agente Huey sollevò una mano. «No, la prego, signora Lupei, ci penso io. Sono certa che la detective Black vorrà sentire ciò che ha detto anche a me».

    Lucy le rivolse un sorriso incoraggiante, prendendo posto sul divano dove prima era seduta la Huey. «Può spiegarmi cos’è successo? A parole sue?».

    Constanta guardò il marito, che accennò un assenso, come a darle il permesso di parlare.

    «Andre era al lavoro», cominciò. «Adrian era nella sua stanza, quando l’ho sentito gridare. Io ero qui, con la televisione accesa», spiegò. «Avevo fatto le pulizie e volevo sedermi un po’», soggiunse. Lucy annuì, incoraggiandola a continuare, senza interromperla.

    «Ho sentito Adrian gridare e sono uscita dal salotto. C’è qualcuno in giardino, urlava. Penso che siano ancora loro. Ho guardato fuori e li ho visti. Erano in due…».

    «Tre», intervenne Adrian. «Ce ne stava uno vicino alla macchina. L’autista».

    «Tre», si corresse Constanta. «Stavano finendo la scritta, quando mi hanno visto. Uno si è avvicinato correndo e ha lanciato il resto della vernice… la latta, contro la finestra. Poi sono scappati. Adrian è sceso e li ha inseguiti, ma stavano già entrando in macchina».

    «È riuscita a vederli in faccia?», domandò Lucy. «Per esempio, quello che è corso verso la finestra?».

    Constanta scosse la testa. «Avevano il viso coperto», spiegò. «Con delle sciarpe. Sembravano sciarpe di squadre di calcio».

    «E tu, Adrian? Hai visto qualcosa? Magari il modello della macchina? O il suo colore».

    «Non… non ricordo bene. Era scura, mi pare», rispose lui.

    «Non hai notato nient’altro?»

    «Mi dispiace», rispose il ragazzo, chinando il capo in un gesto che Lucy immaginò fosse di scuse.

    «Immagino che non sia il primo incidente di questo tipo», continuò Lucy. «Hai detto a tua madre che erano ancora loro. Che altro è successo?»

    «Noi vogliamo solo essere lasciati in pace», interloquì per la prima volta Andre Lupei. «Non vogliamo guai».

    «Lo capisco, signore», replicò Lucy. «E meritate di vivere in pace».

    «Pensa che ci lasceranno in pace se ci vedranno parlare con lei? Quell’uomo là fuori vicino al muro è in uniforme e sta facendo capire a tutto il vicinato che abbiamo chiamato la polizia».

    «Dove lavora, signor Lupei?», chiese Lucy. «Sua moglie ha detto che era al lavoro, prima».

    «All’ospedale», rispose l’uomo, e quella secca replica fece capire a Lucy che era infastidito per il cambio di argomento. «Nelle cucine».

    «Deve essere un lavoro faticoso cucinare per tutti quei pazienti. E per lo staff. E devono essere dei turni lunghi se è riuscito a tornare a casa soltanto ora». Lucy lanciò uno sguardo all’orologio sopra al caminetto. Erano le dieci di sera passate.

    «Ho finito alle otto. Erano quasi le nove quando sono arrivato».

    «Posso capire quanto si senta arrabbiato e frustrato», continuò Lucy. «Al pensiero che qualcuno stia facendo questo alla sua casa, alla sua famiglia».

    Andre scosse la testa. «Non sono arrabbiato. Voglio solo essere lasciato in pace».

    «Ma è già successo qualcosa in precedenza?».

    Lui la fissò, per poi scuotere la testa. «A volte mi gridano degli insulti quando torno a casa dal lavoro», ammise infine. «Zingaro, di solito».

    «Dille del volantino», intervenne Constanta, guadagnandosi solo un’occhiataccia dal marito.

    «Che volantino?», volle sapere Lucy.

    «Non è niente», fece per dire Andre.

    «Se vuole che l’aiuti, ho bisogno di conoscere il quadro completo», disse Lucy. «Di che volantino stava parlando, signora Lupei?».

    La donna guardò di nuovo il marito, ma questa volta Lucy capì che non stava più cercando la sua approvazione. Si alzò e andò al caminetto. Da dietro l’orologio, prese una paginetta ripiegata, che tese alla detective. Era un foglio a5. Il titolo diceva soltanto «Attenzione», mentre sotto c’era l’immagine modificata con Photoshop di persone di diverse minoranze etniche. Lucy lesse il breve testo del volantino. Si riferiva al voto della Brexit e alla possibilità di mettere fine all’immigrazione, prima di affermare: Le case di qui sono solo per la gente di qui!. Nell’angolo in basso a destra c’era una mano alzata, come la mano rossa dell’Ulster, ma nei colori della bandiera britannica. Accanto a quel simbolo, in lettere più piccole, il nome McEwan’s Printers e un numero di telefono.

    «Posso tenerlo?», chiese Lucy.

    Constanta annuì.

    «Dove l’ha trovato?»

    «Questi volantini sono stati messi nelle cassette della posta di tutto il circondario», spiegò Andre. «Una settimana fa».

    «Deve essere stato piuttosto spiacevole», commentò Lucy.

    «Per lei», ribatté Andre, accennando alla moglie. «Sono solo stupidaggini, niente di più».

    La porta si aprì, e l’agente Huey tornò con un vassoio e delle tazze di tè spaiate. «Non ho trovato lo zucchero», spiegò in tono di scuse.

    «Non avete un altro posto dove stare, nel frattempo?», domandò intanto Lucy.

    Andre scosse la testa. «Questa è casa nostra. Abbiamo usato tutti i nostri risparmi per comprarla. E abbiamo il diritto di restarci».

    «Lo capisco», rispose Lucy, «ma deve pensare anche a sua moglie e a suo figlio».

    «Sto pensando a loro, infatti», disse l’uomo, con semplicità. «Che razza di padre scappa davanti ai bulli?»

    Capitolo 2

    L’odore della vernice l’afferrò alla gola non appena Lucy aprì la porta di casa. La moquette all’ingresso era stata sollevata e le assi di legno al di sotto lucidate. Adesso erano coperte di vecchi lenzuoli, su cui Grace, la sua coinquilina, era inginocchiata, intenta a ridipingere i battiscopa.

    «Ciao», la salutò, senza alzare gli occhi, attenta a non macchiare il parquet con il pennello, e con la punta della lingua che sporgeva da un angolo della bocca, mentre si concentrava sul lavoro.

    «Pensavo lavorassi stasera», commentò Lucy, fermandosi a osservare l’opera. «Sta venendo bene. Mi sento in colpa a lasciartelo fare quasi tutto da sola».

    «Il turno finiva alle sette», spiegò Grace. «E ne sono contenta: c’è una grande festa del Gay Pride stasera, quindi le strade saranno piene di gente. Ah, l’affitto è sul tavolo».

    Grace viveva per strada quando Lucy l’aveva conosciuta, durante un’indagine su una squadra di costruttori edili che sfruttavano i senzatetto per avere manodopera gratuita. Grace, al tempo, si prostituiva e lavorava in un vecchio edificio abbandonato del centro. Uno dei suoi clienti l’aveva picchiata al punto da farla finire in ospedale. Quando era stata dimessa, Lucy le aveva proposto di andare a vivere con lei. Nei mesi trascorsi da quel momento, la ragazza si era trovata un lavoro in un pub nelle vicinanze e aveva sempre pagato la sua quota d’affitto di dieci sterline a settimana. Per rimediare al minimo contributo finanziario che poteva offrire, Grace si era offerta di occuparsi della casa, compresa la ristrutturazione che Lucy aveva pianificato da tanto tempo, ma che non era mai riuscita a cominciare.

    Lucy si spostò nel soggiorno e prese la lettera sul tavolo. Sull’angolo in alto a sinistra c’erano delle piccole ali d’angelo, il logo di un locale, il Paradise, dove Grace lavorava. All’interno c’erano cinque banconote da dieci sterline.

    «Qui dentro ci sono troppi soldi», le fece notare.

    «È un mese da cinque settimane», borbottò Grace.

    Lucy evitò di protestare. «Hai già mangiato?»

    «Non c’è niente in casa».

    Lucy tirò fuori due banconote dalla busta.

    «Pizza?».

    Grace fece capolino da dietro l’angolo dell’architrave che stava pitturando.

    «Sempre».

    Mentre parcheggiavano fuori dalla pizzeria da asporto su Spencer Road, un gruppo di uomini uscì in strada dal bar di fronte. Uno di loro indossava un paio di finti seni sopra la maglietta e un boa di piume intorno al collo. Gli altri lo applaudivano mentre finiva i resti della pinta che il buttafuori aveva cercato di togliergli dalle mani per mettergli la birra in un bicchiere di plastica.

    Lucy e Grace ordinarono una grossa pizza con pollo e funghi e si sedettero al bancone, in attesa del loro ordine. Mentre aspettavano, gli uomini di prima entrarono nella pizzeria.

    «Avete i cessi?», domandò uno di loro.

    La cassiera indicò senza rispondere una porta in un angolo, con il simbolo di una sedia a rotelle. A quanto pareva, la richiesta era per l’uomo che aveva ingollato la birra, che ondeggiò verso la porta e, con l’aiuto dell’amico, avanzò zigzagando verso il bagno. Ora che era alla luce, Lucy poté notare che l’uomo aveva gli occhi truccati e il rossetto, mentre qualcuno gli aveva disegnato un enorme neo sulla guancia. La cassiera lo fissò in silenzio mentre la superava, per poi sbirciare verso Lucy e Grace, inarcando le sopracciglia.

    «Lucy!».

    Le ci volle qualche secondo per riconoscere l’uomo che l’aveva chiamata, nel vederlo così fuori dal suo contesto abituale. Il detective Mickey Sinclair, membro del cid cittadino, la guardava dall’alto, con gli occhi velati ma un sorriso da un orecchio all’altro. Indossava dei jeans e una camicia bianca, e Lucy notò che aveva un bacio stampato sulla guancia. Un bacio che, dalle dimensioni, doveva essergli stato offerto dall’uomo che stava cercando, al momento, di abbassare la maniglia della porta della toilette.

    «Mickey. Ma sei…?»

    «Addio al celibato. Ian, laggiù, si sposa il prossimo weekend».

    «Oh, bene», sorrise Lucy. «Congratulazioni. A lui, ovviamente».

    Mickey aveva rivolto l’attenzione a Grace. Si piegò in avanti, perdendo l’equilibrio mentre le tendeva la mano, con il risultato che dovette afferrarsi al ginocchio di Lucy con l’altra per evitare di finire sul pavimento.

    «Scusa», bofonchiò, sollevando entrambe le mani in una pantomima di contrizione. «Sono Mickey Sinclair».

    «Io sono Grace», si presentò lei, offrendogli un lieve sorriso e poi sbirciando verso Lucy.

    «Serata fuori?», domandò Mickey, raddrizzandosi, nel tentativo di sembrare più sobrio.

    «No, stavamo solo portando via la cena», spiegò Lucy.

    «Ecco la vostra pizza», disse la cassiera, e Grace si alzò, mentre Lucy prendeva il denaro dalla tasca e glielo dava.

    «Sei sua sorella?», domandò Mickey a Grace, guardandole come a cercare qualche somiglianza.

    «No. Sono la sua coinquilina», ribatté Grace. «Scusami».

    Mickey tornò a raddrizzarsi, come se avesse problemi a tenersi in equilibrio sulle caviglie. «Lei vive con te?».

    L’uscita del promesso sposo dal bagno li distrasse. Uscì massaggiandosi i seni di gomma mentre uno dei suoi amici lo avvicinava e cominciava a strofinarglisi contro una gamba, strizzando anche lui le tette di plastica.

    «È la mia coinquilina…», cominciò a spiegare Lucy.

    Ma Mickey doveva già essersi fatto un’idea tutta sua, perché portò l’indice alle labbra e ammiccò con aria da cospiratore.

    «Buona serata, Mickey».

    «Anche a te, Lucy». Guardò di nuovo Grace, cambiando espressione. «Divertitevi stasera, ragazze».

    Le guardò uscire e, mentre Lucy saliva in macchina, notò che ancora le stava fissando dalla vetrina, questa volta insieme a due dei suoi amici. Grace si allacciò la cintura di sicurezza, poi abbassò il finestrino e soffiò loro un bacio volante.

    «Ma chi è? Un tuo amico?»

    «Un collega», rispose Lucy. «È…».

    «Un po’ uno stronzo», concluse Grace, chiudendo il finestrino.

    Mickey le stava ancora guardando quando Lucy si immise sulla strada verso casa.

    Sabato

    Capitolo 3

    «Questa famiglia non ha ricevuto una minaccia diretta», disse l’ispettore Tom Fleming, il capo di Lucy, posando il volantino che lei gli aveva dato sul bancone. Stava facendo il tè nella piccola cucina del Blocco 10, che ospitava l’Unità di Protezione Pubblica, quando lei era arrivata in ufficio.

    «C’è una minaccia implicita», fece notare Lucy. «Tutta quella storia riguardo agli immigranti che devono restare fuori dal nostro paese? E che le persone che non sono di qui non sono neanche le benvenute?»

    «Ma lo inserisca nel contesto della Brexit», le fece notare Fleming. «Non è certo il primo volantino che fa un collegamento del genere». Il successivo giovedì, la nazione avrebbe votato per decidere se rimanere o meno all’interno dell’Unione Europea. Gran parte del dibattito si era concentrato sul problema dell’immigrazione e del controllo dei confini: non tutte le discussioni in merito erano state molto edificanti.

    «Ma ora c’è anche quella scritta sul muro…».

    Fleming sollevò una mano per calmarla. «Non sto dicendo che non li stiano minacciando, Lucy; sto solo dicendo che questo volantino…».

    «Li stanno prendendo di mira», soggiunse Lucy.

    «Ma non con questo», ribadì Fleming, sollevando il foglietto di carta. «Ascolti, sa cosa ci diranno se porteremo avanti il caso. Non c’è una minaccia diretta, non si nomina la famiglia Lupei. Se portasse questo volantino al vicecommissario capo, sa che lo direbbe. Non hanno un altro posto dove andare? Dei parenti?».

    Lucy scosse la testa. «Il padre non vuole spostarsi. Ha detto che non si farà costringere ad andarsene da casa sua».

    «Be’, ha ragione», commentò Fleming. «Ma non sarà di grande aiuto se gli attacchi dovessero farsi più gravi. Controlliamo la tipografia che ha stampato questo volantino e verifichiamo chi ha richiesto l’ordine. E magari possiamo anche vedere di trovare qualcosa intorno al Greenway Estate; possiamo scoprire chi gestisce le cose lì, al momento. Da quel che sapevo, Jackie Moss era…».

    Il telefono dell’ufficio suonò. Fleming sollevò il ricevitore. «Tom Fleming», disse. Lucy sentì qualche parola dell’interlocutore mentre prendeva il latte dal frigorifero e lo annusava per assicurarsi che fosse ancora buono.

    «Arriviamo subito», concluse Fleming, riattaccando.

    «Niente tè?», domandò Lucy, fermandosi prima di versare il latte.

    «Il sovrintendente capo vuole vederci a Bay Road Park. È stato trovato un cadavere, sembra che sia stato picchiato a morte. Pensano che sia un adolescente, e vogliono sapere se lo conosciamo».

    C’erano già diversi veicoli della polizia e un’ambulanza parcheggiati davanti al parco quando Lucy si accostò. Un cordone era stato sistemato all’entrata del parco e una piccola tenda della Scientifica faceva capire dove si trovava la vittima, sul prato accanto al parcheggio. Lucy riuscì a scorgere il sovrintendente capo Mark Burns proprio fuori dalla tenda, con diversi membri del cid, tra cui una sua amica, la detective Tara Gallagher, e, intento proprio in quel momento a uscire dalla tenda e a togliersi la mascherina dal viso, il detective Mickey Sinclair, che sembrava sul punto di vomitare.

    Burns si girò, vedendoli arrivare, e rivolse un cenno di saluto a Fleming. «Tom, Lucy. Grazie per essere venuti».

    «Cos’abbiamo?», domandò Fleming, mentre un agente offriva a entrambi delle tute della Scientifica.

    «Un adolescente, a quanto pare. Non ha portafogli, né documenti d’identità, niente. Speravamo che potesse essere passato nei radar dell’Unità di Protezione Pubblica».

    Le competenze della ppu facevano sì che spesso Lucy e Fleming si trovassero ad avere a che fare con ragazzi che poi ricomparivano, più avanti, nel sistema della giustizia criminale, come colpevoli o, in questo caso, come vittime.

    «Cosa gli è successo?»

    «Ferite estese alla testa. Stiamo aspettando l’anatomopatologo. Gli agenti della scena del crimine stanno lavorando sulla vittima, al momento».

    Una volta indossata la tuta, Lucy superò il cordone e puntò verso la tenda. Si guardò intorno mentre lo faceva. Alla sua sinistra, in cima a un ripido terrapieno erboso alto sopra il parco, si trovava il retro delle case di Gleneagles. Vide vari curiosi alle finestre, intenti a cercare di capire cosa stesse succedendo. Più avanti, a sinistra, in fondo al parco, c’era il punto in cui l’arco del Foyle Bridge si sollevava oltre il terrapieno e sul fiume che scorreva accanto al parco. Il pilastro di cemento era coperto di graffiti, anche se era impossibile leggerli da quella distanza.

    «Siamo pronti?», domandò Fleming, fermandosi al suo fianco.

    Superarono i lembi della tenda protettiva e vi entrarono.

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