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Il guerriero templare
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Il guerriero templare

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About this ebook

La più grande battaglia mai combattuta dai templari sta per cominciare

1238. Guerre e battaglie per il rafforzamento del Cristianesimo devastano l’Europa nel periodo più buio del XIII secolo. Il cavaliere templare Bastian Neville, dopo aver combattuto da crociato in Terra Santa, si è ritirato in un monastero nel cuore della Grecia, per vivere da eremita. Ma il suo destino non è ancora compiuto. Un’importante reliquia, infatti, deve essere consegnata nelle mani del re di Francia, Luigi IX. E Bastian dovrà affrontare tutti i suoi demoni, tornando a brandire la vecchia spada Viacrucis, per affrontare la missione più difficile che gli sia mai stata assegnata. Una corsa contro il tempo per raggiungere i suoi ex fratelli del tempio, appoggiati dalle più potenti corone del mondo, mentre una nuova minaccia prende forma all’orizzonte: il re pagano Mondragone intende ridurre in cenere le nazioni cristiane, grazie all’aiuto di un potente mago. Il monaco guerriero affronterà epiche battaglie e sfide sovrumane in un viaggio segreto che il mondo non è ancora pronto a conoscere.

«Un libro che riunisce battaglie, cavalieri e avventure fantastiche in un Medioevo affascinante.»

«La buona letteratura non ha confini, e questo romanzo ne è la prova. Non ci credete? Aprite la prima pagina e ne sarete travolti.»

«Un esordio di qualità, una delizia sia per chi ama i romanzi storici sia per gli appassionati di fantasy.»
Romulo Felippe
è un giornalista e uno scrittore brasiliano. Dopo il grande successo in Brasile, arriva finalmente in Italia il suo romanzo Il guerriero templare, acclamato dalla critica e dai lettori.
LanguageItaliano
Release dateDec 21, 2018
ISBN9788822727213
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    Book preview

    Il guerriero templare - Romulo Felippe

    2132

    Il guerriero templare è un’opera di finzione ispirata ad alcuni fatti realmente accaduti; vi compaiono personaggi fittizi che interagiscono con figure storiche, e regni esistiti si alternano ad altri luoghi frutto dell’immaginazione dell’autore.

    Titolo originale: Monge Guerreiro

    Copyright © 2017 Romulo Felippe

    Traduzione dall’inglese di Mara Gini

    Prima edizione ebook: gennaio 2019

    © 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-2721-3

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Romulo Felippe

    Il guerriero templare

    Indice

    Prologo

    Prima parte. Il Re Nero. La caduta di Orhan

    Capitolo 1. La Fortezza sull’Isola

    Capitolo 2. Slatan Mondragone

    Capitolo 3. Il tradimento del frate

    Capitolo 4. Si scatena l’inferno

    Capitolo 5. Tutto per tutto

    Capitolo 6. Cadaveri sulle catapulte

    Capitolo 7. Tre tombe

    Seconda parte. Il gran maestro. La corona di spine

    Capitolo 8. Partenza da Gerusalemme

    Capitolo 9. Il pozzo saraceno

    Capitolo 10. Piani demoniaci

    Capitolo 11. La tempesta si abbatte

    Capitolo 12. La caduta dei dodici

    Capitolo 13. La creatura del negromante

    Capitolo 14. La grotta della rivelazione

    Terza parte. Il monaco. Il Monastero Sospeso

    Capitolo 15. Condividere il grano

    Capitolo 16. Incubo al monastero

    Capitolo 17. Il monaco copista

    Capitolo 18. Skevophylakion

    Capitolo 19. Remissione dei peccati

    Capitolo 20. Viacrucis, la spada templare

    Capitolo 21. I sette figli di Rufus

    Capitolo 22. Punire un disertore

    Capitolo 23. Prigioniero del duca

    Capitolo 24. Riti funebri

    Capitolo 25. Il mondo ha bisogno di lupi

    Capitolo 26. Lunganotte

    Capitolo 27. Un templare è spietato

    Quarta parte. Il mongolo. La Lancia del Destino

    Capitolo 28. La Taverna del Diavolo

    Capitolo 29. Il malinconico canto del metallo

    Capitolo 30. Riconoscimento

    Capitolo 31. La discendenza di Gengis

    Capitolo 32. Il regno caucasico

    Capitolo 33. Il Collezionista di Spade

    Capitolo 34. Giustizia a fil di spada

    Capitolo 35. Un demone travestito da angelo

    Capitolo 36. Il vostro peso in oro

    Quinta parte. Lo stregone. Il grido di Penafiel

    Capitolo 37. Senza bordi, senza punta

    Capitolo 38. Il Leone di Ankara

    Capitolo 39. Il ragazzo trafitto dalle frecce

    Capitolo 40. Nato dalla morte

    Capitolo 41. Il sapore amaro della morte

    Capitolo 42. Il castigo del Lupo

    Capitolo 42. Lasciateli agli avvoltoi

    Capitolo 44. La Porta d’oro di Costantinopoli

    Capitolo 45. Il banchetto di Baldovino II

    Sesta parte. La regina. Il regno delle Sequoie

    Capitolo 46. Forgiato nell’inferno delle crociate

    Capitolo 47. Corvi spazzini

    Capitolo 48. La preda dà la caccia ai predatori

    Capitolo 49. Una foresta di giganti

    Capitolo 50. Una donna che brucia di desiderio

    Capitolo 51. Che i tuoi angeli possano proteggerci

    Capitolo 52. Il vichingo delle regioni nordiche

    Capitolo 53. La costante tentazione della carne

    Capitolo 54. Furia incontrollabile

    Capitolo 55. Possa Dio avere pietà

    Settima parte. L’unno. Nei panni del Lupo

    Capitolo 56. Il fragore delle campane un mattino d’inverno

    Capitolo 57. L’abate cieco

    Capitolo 58. Le catacombe di Orhan

    Capitolo 59. Il fetore dei venti meridionali

    Capitolo 60. La morte sale dal borgo

    Capitolo 61. Né lacrime né riti funebri

    Capitolo 62. Giustizia con la spada

    Capitolo 63. Il leone più vorace

    Capitolo 64. Le cave di sale di Modric

    Capitolo 65. La comparsa di re Morbidus

    Ottava perte. I mangudai. L’ira dei mongoli

    Capitolo 66. Il sangue di Fairuza

    Capitolo 67. Un’ombra argentata sulla pelle

    Capitolo 68. I corpi dei nemici giacciono ai suoi piedi

    Capitolo 69. Un peso troppo grande

    Capitolo 70. I mangudai, cavalieri armati di frecce

    Capitolo 71. Monaci che brandiscono spade

    Capitolo 72. Fragore di tuoni nel buio pomeriggio

    Capitolo 73. Intonando canti mortali

    Capitolo 74. Il fetore della battaglia

    Capitolo 75. Il ritorno del templare

    Capitolo 76. Un invito per Bastian

    Capitolo 77. Il diavolo ha cavalcato per queste terre

    Nona parte. Federico II. L’incoronazione sul Vesuvio

    Capitolo 78. La fitta oscurità della notte

    Capitolo 79. Le macabre trascrizioni di Nuray

    Capitolo 80. Stanotte il falco è tranquillo

    Capitolo 81. L’aquila contro la volpe

    Capitolo 82. La battaglia di Napoli

    Capitolo 83. Una cavalcata estenuante

    Capitolo 84. L’incoronazione maligna

    Capitolo 85. Scaglie nere come le notti più buie

    Capitolo 86. Ricostruire dalle ceneri

    Decima parte. Il re dragone. Le otto armate

    Capitolo 87. Il sonno profondo della bestia

    Capitolo 88. Alle porte di Roma

    Capitolo 89. L’occhio del drago

    Capitolo 90. Il fuoco trionfa sulla spada

    Capitolo 91. Il dolore che scolpisce l’anima

    Capitolo 92. Il consiglio di Venezia

    Capitolo 93. Del serpente e della vipera che cammineranno…

    Capitolo 94. Aspettando la bestia

    Capitolo 95. Il cozzare tonante delle spade

    Capitolo 96. Il raccolto della spada templare

    Capitolo 97. Il fuoco della bestia

    Personaggi in ordine di apparizione

    Nota dell’autore

    Dedico questo libro

    alla mia adorata moglie,

    Svetlana Bertolo Felippe;

    ai miei adorati figli,

    Romulo, Giuseppe e Gianluca;

    ai miei adorati figli adottivi,

    Ana Paula e Henrique;

    a mia madre, Lúcia Garcia,

    e a mio padre, Eunides Felippe;

    ai miei fratelli e sorelle,

    Antonio, Amarildo, Rogério, Natalina e Karina;

    ai miei suoceri, Ildeque e Vitória Bertolo;

    ai cari Ishmael, Alexandra, Glécio e Rossana;

    a Dedrinkson Adame per il suo amore per questo libro;

    a tutti gli altri amici e familiari

    che mi hanno sempre sostenuto;

    e a Dio, per avermi reso un uomo di fede!

    Leoni in guerra, agnelli pieni di dolcezza in pace; rudi nella battaglia, devoti nella preghiera; feroci coi nemici, benevoli ai fratelli.

    Jacques de Vitry (1170-1240)

    Un cavaliere del tempio è veramente un cavaliere intrepido e protetto da ogni lato, che come riveste il corpo di ferro, così riveste l’anima con l’armatura della fede. Munito di ambedue le armi, perciò, non ha da temere né il demonio né l’uomo.

    Bernardo di Chiaravalle (1090-1153)

    De laude novae militiae (1135)

    Prologo

    Villeneuve-l’Archevêque, Francia, primavera del 1238

    Migliaia di francesi e pellegrini provenienti dai regni limitrofi si aggirano per le strade in attesa del corteo della sacra reliquia. Re Luigi

    IX

    , circondato dal proprio entourage e da quello papale, si sfila dal capo la corona dorata tempestata di pietre preziose. Fa lo stesso con il manto reale che lo copre, con la cotta di maglia, la spada e lo scettro che sempre lo accompagnano.

    Il giovane monarca, occhi azzurri e capelli biondi, indossa solo un’umile tunica logora da penitente. Un elegante pezzo di stoffa gli copre le mani, cosicché non tocchino le sante reliquie. Il potente re cammina scalzo, come se fosse il più povero tra gli uomini, trasportando con devozione e riconoscenza la sacra corona e la lancia di Longino in trionfale processione lungo le strade della città francese.

    È l’atto conclusivo del lungo e avventuroso viaggio della corona di spine e della lancia romana, oggetti di devozione cristiana per i quali migliaia di uomini hanno sacrificato le proprie vite sui campi di battaglia, in una storica odissea guidata dai leggendari monaci guerrieri dell’Ordine templare. Monaci come Bastian Neville, una volta cavaliere del tempio, alla ricerca della remissione dei peccati da cui è tormentato.

    PRIMA PARTE

    Il Re Nero. La caduta di Orhan

    Capitolo 1

    La Fortezza sull’Isola

    Inverno del 1238, regno di Bulgaria

    Tutti i contadini e gli abitanti dei villaggi, persino nei regni al di là del confine, sanno che le mura di Orhan sono impenetrabili. Svariate armate nemiche hanno tentato di invadere il castello nell’arco di migliaia di anni, da quando esiste. Oltre alle imponenti mura di pietra – saldate con la malta prodotta dall’olio estratto dalle balene, che le rende inespugnabili – l’intero castello e il villaggio annesso sono fiancheggiati da un enorme e profondo lago di acqua nera. Orhan è conosciuta dai viandanti e nei paesi limitrofi come la Fortezza sull’Isola.

    La cittadella fortificata si trova nel cuore del lago Amur, a poco meno di un chilometro dalla terraferma e, di conseguenza, dalla strada che la collega alle altre regioni. L’unica via d’accesso all’isola è un sistema di traghetti interconnessi da funi. Ogni traghetto è in grado di trasportare almeno cinquanta uomini a cavallo. Per quanto lento, tale collegamento sull’acqua ha rafforzato l’impenetrabilità delle mura per più di nove secoli e mezzo.

    Tentare di accedere alla fortezza – costellata da torri di vedetta e circondata dalle mura ciclopiche – attraverso altre strade è una missione destinata al fallimento, lo stesso cui per secoli sono andate incontro le armate nemiche, sconfitte nel tentativo di espugnare la cittadella. Nel cuore dell’isola, nella zona più elevata, contro l’orizzonte si staglia il castello con i suoi giganteschi torrioni.

    In cima alla torre reale, la più alta del regno di Orhan, re Sophyr Jaroslav osserva attentamente l’immensa armata nemica accampata sulla sponda del lago Amur: ci saranno almeno settemila soldati bardati nelle loro armature, ansiosi di strappare ogni pietra dalla sua sede.

    Non riusciranno mai a penetrare nel mio castello, mai!, pensa il re. La sua mano stringe saldamente l’impugnatura della spada, come se fosse ansioso di snudarla dinanzi all’orda di invasori. Vicino a sé, accanto alle guardie reali, ha i suoi due consiglieri, di cui il primo è un abile matematico, cosa insolita in quegli anni.

    «Le catapulte del Re Nero riusciranno a malapena a raggiungere le nostre mura esterne, vostra maestà», esclama l’uomo dal lungo naso, di altezza media. «I miei calcoli si basano sul peso dei macigni infuocati e sulla capacità di lancio di questi marchingegni barbari».

    Le considerazioni di mastro Nosthemus, la cui vita, come tutto ciò che lo circonda, si basa sui numeri, si fondano invariabilmente sull’analisi matematica.

    «Vedremo se hai ragione, Nosthemus. Altrimenti getterò te e i tuoi calcoli in pasto al nemico!», grida il re, in tono inconfondibilmente minaccioso.

    Ai piedi del ponte levatoio, venti uomini trascinano attraverso la prua dei traghetti le spesse funi che collegano il castello alla strada, strategicamente ritirate prima che cominciasse ad albeggiare, su ordine reale, non appena il re è venuto a conoscenza dell’avanzata nemica.

    «Non riusciranno a mettere piede sull’isola, a meno che non abbiano le ali, cosa di cui dubito», borbotta.

    All’apice dei suoi cinquanta inverni, dalla considerevole statura, con una pomposa cotta di maglia coperta da un lungo mantello rosso e con il riflesso luminoso della corona (incorniciata da un pesce guizzante, in omaggio al lago che protegge la fortezza) sulla testa, re Sophyr Jaroslav sa che deve difendere le mura a tutti i costi. È suo dovere di sangue proteggere la regina, l’erede e i sudditi.

    È un pomeriggio terribilmente freddo, cosa insolita in quel periodo dell’anno. Il vento soffia implacabile, quasi volesse bisbigliargli all’orecchio il pericolo imminente di un attacco devastante. Gli stendardi reali si agitano in cima alla torre. Il secondo consigliere si trova accanto all’appariscente monarca, che non distoglie lo sguardo dai nemici in lontananza, né la mano impaziente dalla lunga elsa della propria spada.

    «Sire, la missione francese arriverà tra qualche settimana, secondo la lettera papale. È una sfortunata coincidenza, non credete?», domanda l’anziano frate, giunto a Orhan due mesi prima da Costantinopoli.

    «Fin troppo, fratello Valloni. Anche se non credo alle semplici coincidenze», risponde il monarca. «Slatan Mondragone non è soprannominato il Re Nero a caso. Le sue azioni barbare, come ben sapete, hanno ispirato inni a Satana in tutto il mondo civilizzato».

    Nel suo abito francescano, fra Valloni conosce la voracità del nemico.

    «Narra la leggenda, sire, che re e sultani si arrendano a Slatan Mondragone senza tentare nemmeno di mettere mano alla spada, cosicché le loro vite possano essere risparmiate dai suoi raggiri demoniaci».

    «Non temo le leggende», risponde re Jaroslav. «Nel regno di Orhan non esiste resa. Nessun nemico ha mai conquistato le nostre mura, da che i miei antenati le hanno erette. E troveranno moltissime spade pronte ad accoglierli, fratello Valloni. Oh, se ne troveranno!».

    Si avvicina al parapetto della torre e osserva i suoi uomini, ansiosi di udire il discorso del re e in attesa degli ordini riguardanti le strategie di difesa che adotterà il regno di Orhan. Uomini, donne, bambini e anziani lo guardano in un silenzio tombale. Alla testa del popolo, composto da artigiani, fabbri, contadini, tessitori, servi e tanti altri cittadini, si trova la guardia reale, una piccola armata di trecento soldati ben addestrati.

    Il re estrae la spada, come se stesse eseguendo un rito. La lama, sempre gelida, tintinna limpidamente contro il fodero. La solleva, fendendo l’aria con un sibilo metallico, poi grida con tutto il fiato che ha nei polmoni: «Guerrieri di Orhan, preparatevi a difendere il regno. Molti dei nostri antenati hanno dato le proprie vite per proteggerne le mura, versando il sangue dei nemici su queste pietre. Dio è con noi, la vittoria è certa e divina!», aggiunge con esuberanza.

    Dalla grande piazza ai piedi della torre e del castello reale, centinaia di voci si innalzano in un unico ruggito, inneggiando al capo supremo. Spade, scudi, archi, lance e asce sono pronte a spillare il sangue dell’agguerrito nemico.

    Tutti gli antenati di re Sophyr Jaroslav hanno affrontato temibili tentativi di invasione. D’altro canto, riflette il re, non ho mai visto né sentito parlare di un’armata tanto numerosa determinata a minare la pace del regno. Si tratta forse della più grande imboscata mai tesa alle mura secolari, freddamente imprigionate dalle buie ed enigmatiche acque del lago Amur.

    Capitolo 2

    Slatan Mondragone

    Osservata dalla terraferma, la Fortezza sull’Isola pone una sfida a qualunque stratagemma un qualsivoglia esercito invasore possa escogitare. Alla testa della sua consistente armata, con migliaia di tende già allestite nell’immenso spazio aperto sulle sponde del lago Amur, il Re Nero, nato Slatan Mondragone, studia una a una le sue dieci catapulte caricate e puntate contro il castello.

    «Generale, lancia qualche pietra!», ordina.

    Con i suoi due metri di altezza, il Re Nero è di un’imponenza minacciosa. La voce roca ricorda il brontolio di un tuono. L’armatura è coperta da uno spesso strato di pelle di cinghiale nero, e l’enorme ascia bipenne è sempre nella sua mano. La barba folta e lunga e i capelli sciolti rendono la sua espressione ancora più intimidatoria, enfatizzando gli occhi neri come la notte.

    «Lanciamo qualche pietra a re Jaroslav», ordina ancora.

    Il generale Draxler annuisce al suo signore. È il secondo in comando nella gerarchia dell’esercito di Mondragone, subito dopo il re. Ha combattuto così tante battaglie accanto al suo comandante – assistendo persino alla nascita del famigerato soprannome, Re Nero – da averne perso il conto. Obbedisce all’ordine pur con la certezza che le pietre infuocate non raggiungeranno l’obiettivo prefissato, anche se l’aspetto psicologico conta molto in un’invasione.

    «Guerrieri, catapulte a forza massima. Attaccate!», grida il generale.

    I soldati rispondono prontamente all’ordine. Il vento, che prima era gelido, lascia spazio a una sottile bruma che lentamente si innalza sopra il lago Amur. Il crepuscolo serpeggia sul paesaggio e il cielo è inondato da una piacevole tonalità rossastra. Ancora in cima alla torre, re Sophyr Jaroslav osserva le pietre roventi che vengono catapultate sulle nere acque del lago, in direzione delle mura. Somigliano a stelle comete che solcano i cieli delle fredde notti di Orhan, viaggiando a un’impressionante velocità e lasciandosi dietro lunghe code infuocate.

    Le palle incandescenti, con una certa soddisfazione del Re Nero e una discreta preoccupazione di re Sophyr, si abbattono nelle acque del lago Amur a meno di cinquanta metri dalle mura esterne. Da un lato non possiedono l’effetto distruttivo immaginato dall’armata di Slatan Mondragone, che comunque non rimane molto sorpreso; dall’altro, però, come desiderava il sovrano, instillano il terrore nell’animo degli assediati.

    «È il massimo che le catapulte riescono a raggiungere», dice il generale Draxler. «Volete che continui l’attacco, mio re?»

    «Basta così, generale. Era solo un avvertimento», risponde.

    Di solito il generale misura le proprie parole prima di rivolgersi al Re Nero, per non inimicarselo. Sa che, per quanto sia un grande stratega, il suo comandante è anche imprevedibile.

    «Quali sono i nuovi ordini, vostra maestà?», chiede dunque, non appena le catapulte vengono sistemate.

    Slatan Mondragone raddrizza la corona di oro scuro, con il simbolo del suo regno, un drago errante, che gli balza sulla fronte. Senza distogliere lo sguardo dalla Fortezza sull’Isola e appoggiando la grande mano destra sulla spalla del generale, gli domanda: «Come svuotiamo un boccale di birra, generale?»

    «Versandoci in gola il prezioso liquido, mio signore», risponde il generale.

    «Giusto, ma la vera domanda è: Come svuotiamo un lago di questo tipo allo stesso modo dei barili di birra?», chiede nuovamente il Re Nero.

    «Una buona strategia sarebbe costruire dei traghetti che ne permettano l’attraversamento e l’assedio, mio re», risponde il generale, incerto del successo della propria idea.

    «Se anche imbarcassimo le catapulte, sarebbero instabili sulle fredde acque del lago Amur, ed è improbabile che raggiungeremmo il bersaglio», commenta Slatan. «E se mettessimo i nostri uomini sui traghetti, diventerebbero facili bersagli per gli arcieri di Jaroslav. Decisamente una pessima idea, Draxler!».

    «Avete ragione, mio signore», risponde il generale, mentre la notte li avviluppa e i fuochi vengono alimentati con la legna da ardere per allontanare il freddo. I soldati intonano canti di guerra fuori dalle proprie tende, mentre il Re Nero e il suo generale danno sollievo alle gole riarse con la birra calda conquistata durante il precedente saccheggio.

    «D’altro canto», prosegue Slatan Mondragone, «potremmo marciare sopra il lago!».

    Il generale smette di colpo di bere l’amara bevanda. Che il Re Nero sia d’un tratto impazzito?

    «Non capisco, mio signore», sussurra. Draxler è un comandante straordinario nella furia della battaglia, ma sa anche essere pragmatico nel pianificare le strategie di invasione.

    «Ai primi raggi del sole, voglio che tutta l’armata si metta a scavare, tutti senza eccezione. Apriremo un canale di scolo che collegherà il lago al fiume Orhan, che scorre tra le colline. Partiremo dal basso, per risalire».

    «È una strategia fenomenale, mio re. Con il canale, potremmo reindirizzare le acque del lago e prosciugarlo e così avanzare», concorda il generale, stupefatto dal piano.

    Secondo i calcoli del Re Nero, il canale si estenderà per circa un chilometro e sarà profondo fra i tre e i quattro metri. C’è molto lavoro da fare, lo sa, ma la manodopera, che consiste di settemila uomini, sarà all’altezza.

    «Quanto ci vuole prima che i corpi di Ancor arrivino qui, generale?»

    «Dai tre ai quattro giorni, sire», risponde Draxler. «Sono circa quaranta, ormai putrefatti, come avete richiesto. I nostri uomini stanno scortando i carri».

    «Ci restano dunque tre giorni per scavare. Il fallimento non è contemplato», sentenzia il Re Nero.

    «Non falliremo, mio signore!».

    Capitolo 3

    Il tradimento del frate

    Il mattino seguente, la quiete del lago Amur, con stormi di uccelli seminascosti dalla bruma leggera, è spezzata dai primi raggi di sole. Persino da lontano si ode chiaramente il rumore insistente di attrezzi metallici che scavano nei dintorni della strada, proprio al di là dell’immenso accampamento del Re Nero. I rumori non fanno che accrescere la preoccupazione del regno di Sophyr Jaroslav.

    «Quale sarà il malvagio piano di quel bastardo, mastro Nosthemus?», domanda il re al suo consigliere, questa volta nel salone delle armi e in presenza dei membri del consiglio di guerra di Orhan.

    Il vecchio matematico, meditabondo, si accarezza la punta della lunga barba, lisciandola.

    «Mondragone sta mettendo in pratica ciò che temevo da anni», risponde. «È probabile che il suo cospicuo esercito stia scavando un passaggio per convogliare le acque del lago Amur».

    Il re batte un pugno pesante sul tavolo rettangolare di quercia, spaventando i consiglieri. Pretende dai suoi generali un piano di difesa all’altezza della tradizione della Fortezza sull’Isola, stabilendo le posizioni degli arcieri lungo tutta l’estensione frontale delle mura. Non sa di preciso cosa stia per accadere, ed essere colto di sorpresa è la sua paura più grande.

    «Non cederemo di un millimetro. Riferite all’esercito la strategia con cui risponderemo e ordinate a ogni uomo o donna in grado di combattere di imbracciare un’arma in difesa del regno», ordina Sophyr Jaroslav.

    Una volta dichiarato concluso il consiglio di guerra, il re si incammina per i corridoi del castello in direzione delle stanze reali. Lì, il suo unico figlio se ne sta rannicchiato tra le braccia della regina Normah, troppo giovane persino per apprendere l’arte della guerra e conoscere le paure del padre, anche se è già stato testimone di troppi tentativi infruttuosi di invadere il regno.

    «Non temere», sussurra il re al ragazzino, con gli occhi annebbiati da un velo di lacrime. «Quante storie hai sentito raccontare sui nostri antenati e le loro epiche vittorie?»

    «Molte, padre», risponde il piccolo Michel. Il bambino reagisce in modo positivo, ma rimane spaventato. Da madre apprensiva, Normah lo stringe tra le braccia. Vorrebbe proteggerlo da qualsiasi offensiva nemica. Dal camino proviene lo schiocco delle braci e un intenso odore di legna bruciata avvolge la stanza. Sotto le coperte di lana che li scaldano, la regina allunga una mano e accarezza il viso del marito.

    «Corriamo dunque un tale pericolo, amor mio?»

    «Sì, mia regina», risponde il re con voce strozzata.

    «Come in tutti gli altri attacchi?»

    «Mai come ora», risponde lui. «Ma ho ancora fiducia nelle nostre forze. Persino se il Re Nero dovesse superare le gelide acque del lago Amur, continuerò a credere fermamente nelle nostre capacità difensive. Non mi intimidisce il fatto che la nostra armata sia dieci volte più piccola dell’orda di Slatan Mondragone. So che possiamo vincere questa battaglia. Dietro le mura, le nostre forze sono in grado di sconfiggere qualunque nemico!».

    La regina Normah bacia un piccolo crocifisso di legno. Le lacrime continuano a scorrere sul suo viso giovanile, segnandole la pelle candida. Un raggio lunare le accarezza i capelli chiari. La regina è considerata brutta dalla corte e dai sudditi; dal viso rotondo si protende un lungo naso ricurvo, che spinge chi la vede a distogliere lo sguardo. I pettegoli del castello le hanno affibbiato il soprannome di Regina Corvo, cosa che manda su tutte le furie il re. Lui la ama incondizionatamente, ancor di più per lo splendido figlio che gli ha donato.

    «Sua santità il papa è dalla nostra parte. E Dio non ci abbandonerà», esclama il re.

    «Sta accadendo tutto a causa della scorta francese che deve giungere qui, lo so», afferma la regina.

    «Forse, chi può dirlo?», risponde il re. «Hanno con loro qualcosa di molto prezioso, un tesoro di Costantinopoli, ma persino fra Valloni ignora di cosa si tratti. Il papa ha richiesto che offriamo alloggio, rifornimenti e qualsiasi altra cosa vogliano durante il loro transito nel regno di Orhan. Tutto qui. Potrebbe trattarsi di una semplice coincidenza».

    Il re si alza dal talamo nuziale e, prima di scomparire nel corridoio avvolto dalle tenebre, si volta verso l’amata e pronuncia le parole che non vorrebbe mai dire: «Sai cosa devi fare in caso… nel caso in cui veniamo… sconfitti, mia regina», balbetta. Normah stringe ancora più forte il figlio, baciandolo sul viso.

    Il re ordina alla guardia più vicina di convocare fra Valloni presso il salone delle armi. I suoi passi pesanti sul pavimento di legno fanno tentennare la cotta di maglia: sono passi nervosi e inquieti. Incontra mastro Nosthemus appena fuori dal salone.

    «Seguimi», ordina.

    Nell’enorme salone, decorato con gli scudi che simboleggiano le vittorie del lungo lignaggio degli Jaroslav, re Sophyr toglie dalla parete una spada annerita dalla ruggine. Per quanto antica, è ancora abbastanza forte da resistere alle battaglie che l’attendono. Fra Valloni arriva con la mano destra stretta nella corona di un rosario e saluta il re.

    «Mi avete mandato a chiamare, maestà?»

    «Guarda questa spada, prete». Mostra l’arma al religioso, accarezzandone la lama con un dito e procurandosi un taglietto. «Ha più di trecento anni, ma anche se antica è ancora in grado di tagliare in modo invidiabile! È appartenuta a re Hurt Jaroslav. Tra il suo regno e il mio si sono avvicendati non meno di quattordici sovrani, tutti dello stesso lignaggio».

    «È una storia affascinante, vostra maestà», commenta fra Valloni. «Confesso di non aver mai conosciuto stirpe più longeva, quasi millenaria. Ho appreso molto sugli Jaroslav nei libri antichi del regno di Orhan».

    «Mi fa piacere che tu abbia appreso di noi dai libri», replica il re, con la spada ancora tra le mani. «Allora dovrai aver letto anche che non siamo inclini a perdonare alcun tradimento».

    Il frate spalanca gli occhi, confuso dalla frase del re. Stringe il rosario tra le mani e balbetta, con un filo di voce: «Non comprendo, sire. Qualcuno vi ha tradito?»

    «Questa vecchia spada ha già versato il sangue di centinaia di uomini. Quanti saranno stati?», si domanda Jaroslav. «Ma so dagli stessi libri che hai letto anche tu che persino i preti hanno conosciuto il sapore amaro di questa lama».

    «Vostra… maestà… che cosa state insinuando?», domanda il frate sotto lo sguardo di biasimo di mastro Nosthemus, che osserva tutto con attenzione e, saggiamente, non accenna a intervenire.

    In un gesto fulmineo, il re afferra la tonaca del frate e preme l’antica lama sul suo collo. Sente il cuore dell’anziano religioso battere forsennatamente nel petto, seguito da un tremito che lo scuote da capo a piedi. Affonda leggermente la lama, così da provocare un taglio, quasi indolore, da cui sgorga un timido rivolo di sangue.

    «Ti ucciderò, prete infernale. Hai tradito non solo il regno di Orhan, ma anche il santo padre. Hai tradito Gesù Cristo stesso», grida il re, mentre il prete crolla in ginocchio in lacrime. «Come hai potuto? Ci hai portato la lettera con il sigillo di sua santità, informandoci del passaggio di un prezioso carico diretto al re di Francia, e subito dopo veniamo assediati da un nemico implacabile!».

    «Non sono stato io, mio re», trema fra Valloni. «Non c’entro nulla, lo giuro».

    Nosthemus non resiste alla tentazione di intervenire: «Non giurare invano, povero diavolo. Confessa, Valloni, e avrai una morte rapida e indolore. Dritto dritto nelle fiamme di Lucifero», lo denigra il matematico.

    Il frate annuisce. Sophyr Jaroslav gli toglie di mano il vecchio rosario malandato. «Non lo meriti!», grida, e affonda la lama degli antenati nella giugulare dell’anziano frate. Il sangue sgorga e schizza in faccia al re, ricoprendogli la corona dorata, annerita dal passare dei secoli.

    «Mandalo dal suo vero re, Slatan Mondragone», ordina a mastro Nosthemus, che si mette subito all’opera. Il sangue del frate scorre sul pavimento di pietra del salone delle armi. Jaroslav, con il rosario in pugno, pulisce la spada su una tenda e la ripone al suo posto, tra gli scudi.

    «Quel verme non meritava di morire per mezzo di questa sacra lama», protesta.

    Capitolo 4

    Si scatena l’inferno

    Sulle sponde del lago, gli uomini di Slatan Mondragone continuano a sgobbare per scavare un lungo e profondo canale, sotto lo sguardo attento del re. Una delle guardie scorge una piccola imbarcazione, su cui sventola una bandiera nera, che scivola sopra le fredde acque dell’Amur.

    «Guardate, generale. Si sta avvicinando una barca», dice l’uomo puntando il dito. Il vento del Sud la sospinge placidamente in direzione dell’esercito di Mondragone.

    Pochi minuti più tardi, la barca, all’apparenza senza nessuno a bordo, arriva abbastanza vicino a riva da venire intercettata da tre soldati. Il Re Nero ha il sospetto che qualcosa non vada: fa qualche passo sulla sabbia bagnata, accompagnato da Draxler, e scorge con una certa sorpresa un corpo disteso sul fondo.

    «È il frate, mio signore», rivela il generale.

    «Guardate un po’, chi l’avrebbe mai detto: un cristiano che uccide un frate!», commenta il Re Nero con disprezzo. «Il disgraziato non potrà neppure godersi le monete d’oro che ha ricevuto. Ahahah!».

    Il generale Draxler nota che la bocca di fra Valloni è cucita. Con il coltello dalla lama ricurva taglia i punti e dischiude le labbra dell’anziano religioso. In fondo alla gola del morto scorge qualcosa di biancastro e con due dita estrae un pezzo di carta umido.

    «C’è scritto traditore», legge, per poi consegnare il foglio al Re Nero.

    «Jaroslav è più furbo di quanto immaginassi», conclude Mondragone. «Non si può negare che sia all’altezza dei suoi predecessori. Accendete una pira sulla barca. Dal momento che l’anima di questo vecchio è destinata a bruciare tra le sulfuree fiamme infernali, diamogliene un assaggio già qui sulla Terra!». Esplode in una terrificante risata selvaggia.

    Il rosso tramonto cala dolcemente sul regno di Orhan. Ormai già al centro del lago, le fiamme avvolgono il legno su cui giace il corpo di fra Valloni e lo consumano rapidamente. In lontananza, re Sophyr Jaroslav e il suo entourage di guerra osservano l’alta colonna di luce della pira, che presto viene inghiottita dalle acque placide del lago insieme alla barca che affonda.

    Siamo al terzo giorno di assedio e manca poco alla fine degli scavi. Ancora pochi metri, che dovranno servire da ingresso naturale, separano le acque dell’immenso lago dal canale scavato dall’esercito di Mondragone. Il Re Nero si posiziona in un punto strategico e, sollevando la pesante ascia bipenne, ordina la conclusione degli scavi.

    «Liberate immediatamente quelle dannate acque, uomini!», grida con impazienza.

    Schiavizzati nell’ultima cittadella invasa mesi prima, quattro uomini saltano dentro all’enorme fossato e iniziano ad affondare freneticamente le vanghe nella parete di terra. Iniziano subito a sgorgare dei rivoli d’acqua, che annunciano ciò che sta per accadere. Le migliaia di soldati di Mondragone si allineano lungo il canale in tutta la sua lunghezza, in attesa del successo dell’impresa.

    Senza alcun preavviso, le acque del lago Amur irrompono dallo strato di terra che le separava dal canale, inghiottendo senza pietà i quattro schiavi che avevano appena terminato gli scavi. Le loro grida vengono fagocitate dal torrente, che scorre a una velocità tale da colpire persino il Re Nero, incanalandosi fedelmente nel percorso appositamente aperto e riversandosi, a circa un chilometro e mezzo più a valle, nel fiume Orhan, che prosegue nella zona pianeggiante oltre l’accampamento, inondando un’immensa area coperta di pietre e cespugli: un’avanzata impetuosa.

    «Ora non ci resta che attendere, mio signore», sottolinea il generale Draxler, mentre l’esercito celebra la riuscita dell’impresa.

    «Sì, e mentre attendiamo ripassiamo la strategia di attacco alla Fortezza sull’Isola. Suppongo che ci vorranno pochi giorni per svuotare il lago, nel frattempo prepara gli uomini. Arriverà presto il giorno!», esclama il Re Nero, con l’ombra di un sorriso che gli aleggia agli angoli della bocca.

    Da una delle garitte sulle mura, re Jaroslav osserva costernato il livello del lago Amur abbassarsi di centimetro in centimetro. Ai piedi della fortezza il fango svela con chiarezza, con una lunghissima linea che percorre tutte le mura, la velocità a cui le acque stanno calando. Sta per scatenarsi l’inferno.

    Capitolo 5

    Tutto per tutto

    Il quarto e decisivo giorno di assedio del regno di Orhan ha inizio. I primi timidi raggi di sole dell’alba annunciano, agli occhi di entrambi i re, che la portata dell’Amur si è ormai ridotta della metà. Solo l’area che circonda la fortezza, in cui l’acqua era leggermente più profonda, rimane allagata. Per migliaia di chilometri quadrati, sopra l’immensa distesa di sabbia che costituisce ciò che resta del lago, i pesci morti spuntano tra le pietre di quello che per millenni ne è stato il fondale.

    Gli uomini di Mondragone trascinano le catapulte, sfruttando centinaia di metri di funi, fino al limitare delle acque che ancora li separano dalle mura di Orhan. Canti barbarici riecheggiano al suono dei tamburi. Re Slatan, con indosso la sua temibile armatura nera che esalta l’immagine del drago sul suo pettorale, cavalca da un lato all’altro in groppa al suo destriero, nero anche lui come una notte priva di luna. La lunga criniera dell’animale si agita nel vento e dalle froge sbuffa del fumo che si confonde con la nebbia evanescente che le ricopre.

    «Mio re», grida il generale Draxler dalla sua cavalcatura. «Sono arrivati i corpi degli appestati, ed emanano un fetore terribile!».

    «Portali alle catapulte, generale», ordina il re.

    Nel frattempo, nei meandri del castello, re Sophyr Jaroslav ripete le sue ultime parole alla regina Normah, baciando il viso del figlio Michel. Accarezza le mani della moglie e la conduce fino a una stanza segreta accanto agli appartamenti reali. Le mostra due contenitori, abbastanza piccoli da poter essere tenuti nel palmo di una mano.

    «Sai esattamente cosa fare, in caso di sconfitta», dice, fissandola negli occhi.

    «Non chiedermi questo, marito mio», risponde la regina, con le lacrime che le rigano il volto. «Nostro figlio non merita di morire in questo modo».

    «Il Re Nero è un selvaggio, un bastardo figlio di bastardo senza cuore. Annichilisce tutto ciò che ha di fronte, persino donne e bambini», enfatizza. «Nutro ancora la speranza di poter resistere e vincere la guerra, ma se necessario sarò l’ultimo uomo a morire alle nostre porte…».

    Re Jaroslav viene interrotto dal boato di pietre e mattoni che si schiantano nel cortile centrale della fortezza. Osservando da una feritoia della torre, è testimone del fuggifuggi della folla lungo i vicoli, terrorizzata dalle catapulte. L’allarme suonato dal campanile annuncia l’inizio degli attacchi.

    «Non voglio che mio figlio viva da schiavo», esclama, snudando la spada ed entrando in un corridoio buio dalle alte pareti di pietra.

    Lungo tutta l’estensione del muro frontale, almeno centoventi arcieri sono pronti ad attaccare l’armata di Slatan Mondragone.

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