Le strade del mistero e dei delitti di Roma
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La lunga vita della città di Roma è costellata di avvenimenti tragici, molti dei quali sono passati alla storia, o ne hanno mutato il corso, ispirando la creatività di scrittori, pittori, poeti, drammaturghi. Si passeggia nei luoghi dove la vita di grandi personaggi ha avuto il suo culmine tragico e ci si accorge che quei posti ci sono ben noti. Fanno parte dei nostri itinerari consueti. Il libro è strutturato come una raccolta di passeggiate che attraversano la città sulle tracce dei più importanti e famosi eventi legati al delitto e al mistero: dalla Roma antica fino ai tempi recenti. Ogni punto del tragitto è corredato da informazioni pratiche, dal racconto dei fatti avvenuti e da un breve brano letterario che esprime il punto di vista di un grande scrittore su luoghi ed eventi. Per ogni tappa c è un “giorno consigliato”, attinente alla data degli eventi narrati. Una guida alternativa alla città, seguendo percorsi del tutto insoliti…
Alcuni tra gli itinerari proposti:
A largo di Torre Argentina, con Giulio Cesare
In via Garibaldi con Mameli e i valorosi che morirono per Roma...
In via Giulia, Santa Maria dell’Orazione e morte: morti avanzati, morti di campagna, morti affogati
Sul lungotevere Arnaldo da Brescia, Scalo de Pinedo e il delitto Matteotti
In via Rasella: un attentato esplosivo
In via Merulana e dintorni: delitti letterari e non
In via del Pellegrino l’omicidio De Pedis
In prati con Simonetta Cesaroni: il delitto di via Poma
All’idroscalo di Ostia con Pier Paolo Pasolini
Marita Bartolazzi
è nata a Roma dove vive e lavora occupandosi di editoria. Ha pubblicato diversi volumi tra cui I mercati di Roma e ha curato le guide dei quartieri Esquilino e Ostiense e l'aggiornamento della nuova edizione della Guida ai Giardini Vaticani. Collabora con la rivista «Tutto italiano» per cui cura una rubrica dedicata ai libri. Ha fatto una breve esperienza come editore e di recente ha pubblicato il romanzo La donna che pensava di essere triste. La Newton Compton ha pubblicato Le strade del mistero e dei delitti di Roma.
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Le strade del mistero e dei delitti di Roma - Marita Bartolazzi
Indice
Cover
Collana
Colophon
Frontespizio
ROMA ANTICA: PUGNALI, SPARIZIONI E SALTI DELLE MURA
1. 1. a largo di torre argentina, con giulio cesare
2. 2. sul campidoglio, accanto al tempio di giove…, con tiberio sempronio gracco
3. 3. dalle scale gemonie al carcere mamertino. i gemiti dei condannati e un «giovane di grandissima potenza»
4. in via della salaria vecchia, il foro romano
5. 5. sul palatino per assistere alla fine di caligola, commodo, domiziano
6. 6. al colosseo: il «monumento per eccellenza»36
7. 7. san giovanni a porta latina e san giovanni in oleo
INTERMEZZO ACQUATICO
LA ROMA DEI PAPI: SPADE, SBARRE E IDEE DA BRUCIARE
1. 1. a lungotevere castello per visitare castel sant’angelo
2. il palazzo del sant’uffizio…
3. 3. …e giordano bruno
4. 4. in via garibaldi con mameli Ei valorosi che morirono per roma…
5. 5. via del gonfalone e il museo criminologico
6. 6. fra vicolo dell’agnello e san giovanni dei fiorentini: francesco borromini
7. 7. a campo de’ fiori con un filosofo di bronzo: il monumento a giordano bruno
8. 8. il secondo ghetto della storia
9. 9. l’antico convento dei domenicani e la chiesa di santa maria sopra minerva: invito a roma con abiura
10. 10. un artista immenso si aggira in una topografia minuscola
11. 11. in piazza sant’agostino, la chiesa dove pregano le puttane
12. piazza del popolo: dalla tomba di nerone alla chiesa di santa maria del popolo
13. villa medici e il mesto soggiorno romano di galileo
14. in piazza san giovanni la basilica e il palazzo del laterano
15. fra piazza del velabro e via dei cerchi (con san giovanni decollato): chi si salva e chi ci muore…
16. in vicolo dell’atleta, un’antica sinagoga
17. un papa in un pozzo a piazza san callisto
CIMITERI, SEPOLTURE, NECROPOLI E ALTRE COSE MEDIAMENTE ETERNE
parte i. Da San Paolo fuori le Mura alle tombe della via Latina
parte ii. Dal piazzale del Verano a Santo Stefano Rotondo
parte iii. Dalla necropoli vaticana alla tomba di Torquato Tasso
LE DONNE: MARTIRII E SEDUZIONI, SPILLONI E TESTE MOZZATE
1. in via salaria le catacombe di priscilla
2. in via nomentana la basilica di sant’agnese…
3. …e santa costanza
4. da via della scrofa passando per via della croce fino a santo spirito in sassia per artemisia gentileschi
5. a castel sant’angelo (con una deviazione a san pietro in montorio) per beatrice cenci
6. a piazza san pietro, per non vedere quasi nulla, tuttavia nelle grotte vaticane… La reliquia più preziosa della città
7. in piazza navona sulle tracce di sant’agnese
8. in piazza della minerva (e in piazza santa chiara) con santa caterina da siena
9. palazzo mattei di giove in via caetani da rhea silvia
10. nella basilica di santa cecilia in trastevere: guardare con gli occhi della fede…
11. alla cloaca maxima e a ponte emilio con eliogabalo e le sue donne: un Senato scandaloso (e un imperatore non da meno)
12. in piazza della consolazione la rupe tarpea
13. al circo massimo: il ratto delle sabine
14. nel foro romano…
15. in via dei querceti e poi in laterano
con marozia
16. in piazza santa croce in gerusalemme con sant’elena
17. a torpignattara: sant’elena (e le catacombe di marcellino e piero)
TEMPI MODERNI
1. sul lungotevere arnaldo da brescia, scalo de pinedo e giacomo matteotti
2. in via rasella: un attentato esplosivo
3. in via veneto: grandi alberghi, viali alberati
4. a san lorenzo: il bombardamento di roma, città aperta immaginaria
5. in via merulana e dintorni: delitti letterari e non
6. in via tasso: un nome che fa tremare…
7. in via ardeatina 174, al mausoleo delle fosse ardeatine
8. in via del portico d’ottavia: il ghetto sotto l’occupazione
9. a via caetani con aldo moro
10. in via del pellegrino l’omicidio de pedis
11. una ragazza scomparsa in corso rinascimento
12. a piazza san pietro con giovanni paolo ii e tre pallottole
13. al palazzaccio con il delitto fenaroli
14. in prati con simonetta cesaroni: il delitto di via poma
15. un corpo nel pozzo delle nebbie: a primavalle con annarella bracci
16. all’idroscalo di ostia con pier paolo pasolini
BIBLIOGRAFIA
Ringraziamenti
Illustrazioni
em623
Published by arrangement with Walkabout Literary Agency
Prima edizione ebook: novembre 2018
© 2018 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-2835-7
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Corpotre, Roma
Marita Bartolazzi
Le strade del mistero e dei delitti di Roma
I casi e i delitti più efferati: la Città Eterna svela il suo lato più oscuro
ominoNewton Compton editori
A Roma si calpestano indifferentemente gli eroi, il marmo e i martiri.
D.-A.-F. de Sade, Viaggio in Italia
Le ricerche storico-scientifiche sono state curate da Elisabetta Gasparri.
ROMA ANTICA: PUGNALI, SPARIZIONI E SALTI DELLE MURA
1. 1. a largo di torre argentina, con giulio cesare
Il giorno prima di essere ucciso, durante una conversazione sorta in casa di Marco Lepido sul genere di morte più desiderabile, egli [Cesare] aveva espresso la sua preferenza per una repentina e improvvisa¹.
giorno consigliato: 15 marzo, le idi romane
Il luogo dell’uccisione di Cesare si trova nell’area archeologica al centro della piazza, di fronte al teatro Argentina. Attualmente tutta l’Area sacra di largo di Torre Argentina, il cui ingresso si trova sul lato di via San Nicola dei Cesarini, è in restauro e non può essere visitata.
Quello di Cesare fu un omicidio straordinario: l’eliminazione di un uomo potentissimo che nella sua vita aveva oltrepassato molti confini; il fiume Rubicone era stato uno dei tanti, il più fisico e tangibile ma certo non l’unico. Forse solo l’omicidio di John Fitzgerald Ken nedy può essergli paragonato. È in largo di Torre Argentina che, di recente, un gruppo di archeologi spagnoli ha individuato il luogo dove Cesare fu pugnalato. È nella grande aula della cosiddetta Curia di Pompeo che è caduto il corpo esanime del grande condottiero. Così lo storico Svetonio racconta il momento fatale: « E così fu ferito da ventitré ferite, emettendo un solo gemito al primo colpo, senza una parola. Alcuni però hanno raccontato che, a Bruto che gli si avventava contro, egli disse: Anche tu, figlio?
» ².
La versione che ci è stata tramandata pare quindi essere una leggenda, sia pure di grande effetto. Inoltre c’è chi ritiene che Cesare non si sia rivolto a Marco Giunio Bruto che, come sostenitore di Pompeo nella guerra civile, era stato un suo avversario e che non risulta neppure fosse stato adottato. Si pensa invece che possa essersi rivolto a Decimo Bruto Giunio Albino: suo comandante in Gallia, uomo di sua fiducia ricordato anche nel testamento.
Nessun assassinio si compie senza uno strascico di polemiche, di ragioni, di torti e, spesso, di vittime collaterali, oggi come in quei lontani tempi: la morte di Cesare è parte della trasformazione di Roma da Repubblica in Impero; Ottaviano Augusto, che di Cesare era figlio adottivo, fu il primo degli imperatori. Ma, a guardare quell’avvenimento con gli occhi di oggi, ci si può chiedere dove fosse il torto e dove la ragione.
bruto: Se c’è qualcuno in quest’assemblea, qualche amico intimo di Cesare, a lui dico che l’amore di Bruto per Cesare non era inferiore al suo. Se questo amico poi mi chiede perché Bruto insorse contro Cesare, ecco la mia risposta: non perché amassi Cesare di meno, ma perché amavo Roma di più. Preferireste che Cesare fosse vivo, e morire tutti da schiavi, piuttosto che egli fosse morto, per vivere tutti da liberi? Cesare mi amò, ed io lo piango; la fortuna gli fu propizia, ed io ne sono felice; fu prode, ed io gli rendo onore; ma, poiché fu ambizioso, gli ho tolto la vita. E perciò, lacrime per il suo amore; gioia per la sua fortuna; onore per il suo coraggio; e morte per la sua ambizione³.
Così arringa la folla il congiurato Bruto, e le sue sono ragioni che si possono ascoltare e, forse, condividere.
Cesare aveva accentrato nelle sue mani un potere immenso, mai visto a Roma. E lo aveva fatto grazie alle sue eccezionali qualità di generale e alle sue capacità politiche. Le legioni gli erano fedeli. Il popolo lo amava per la sua generosità.
Cesare dava scandalo con uomini e con donne, ma non se ne curava: era tornato vittorioso dall’Egitto portando con sé la regina Cleopatra, sua amante, e il figlio avuto da lei. E questo nonostante avesse a Roma una moglie legittima: Calpurnia.
Cleopatra, in quei giorni, si trovava nei pressi della città, sia pure fuori dal pomerio – la fascia sacra che delimitava Roma – in quanto regina straniera.
I congiurati, dal canto loro, volevano difendere la tradizione repubblicana ed evitare la concentrazione di potere nelle mani di un uomo ambizioso. Così quel giorno delle Idi di marzo ciascuno si preparava al suo compito: Cesare a presiedere la riunione del Senato e a morire e i congiurati a uccidere nel nome della Repubblica.
La casa di Cesare era, di solito, nella Suburra, vale a dire a Monti; quell’anno, però, essendo stato eletto pontefice massimo, abitava nel Foro, nella dimora assegnata a chi ricopriva quella carica. Il Senato, in quel periodo, si riuniva nella Curia di Pompeo in Campo Marzio. Arrivato a destinazione, Cesare, mentre era in attesa che iniziasse la seduta, fu circondato dai congiurati nelle vesti di postulanti. Questa è la vivida descrizione dei fatti che dà Plutarco:
Allora Tillio [Cimbro] con entrambe le mani gli afferrò la toga e gliela tirò giù dal collo: era il segnale. Il primo a colpirlo fu Casca, che gl’inferse una stilettata alla gola, non profonda, però, né mortale (era infatti agitato, essendo quello l’inizio dell’azione, tanto che Cesare afferrò il pugnale e tenendolo stratto gridò […]. Questo l’inizio. Quelli che nulla sapevano della congiura erano sbigottiti e terrorizzati di fronte a ciò che accadeva, non osavano né fuggire né difenderlo, anzi, rimasero addirittura senza fiato. I congiurati, invece, sguainate le spade, lo circondarono: dovunque volgesse lo sguardo non vedeva che colpi e pugnali, sul volto, sugli occhi, dovunque, talché fuggendo e inseguito come una bestia selvaggia restò impigliato nelle mani di tutti, poiché bisognava che tutti avessero parte in quel rito sacrificale e ne gustassero il sangue. Perciò anche Bruto gli vibrò un colpo, all’altezza dell’inguine, e dicono che quando Cesare – in quell’andare di qua e di là gridando e cercando di difendersi – lo vide estrarre il pugnale si tirò la toga sul capo e si accasciò, vuoi per caso, vuoi perché spinto intenzionalmente dagli assassini, presso la base su cui stava la statua di Pompeo, inondandola di sangue, sicché parve che Pompeo stesso presiedesse alla punizione del suo nemico, disteso ai suoi piedi e agonizzante per il gran numero delle ferite. Si dice che ne abbia ricevute ventitré, e molti anche si ferirono tra loro, tanti erano i colpi indirizzati verso un solo corpo⁴.
Vuole la tradizione che la statua sia quella conservata a palazzo Spada:
E tu, statua temuta, che sussisti ancora nelle forme austere in una maestosa nudità; / tu, che in mezzo alle grida degli omicidi, vedesti cadere a’ tuoi piedi Cesare sanguinoso, avvolgentesi nella sua toga per morire con dignità, / vittima offerta in olocausto su’ tuoi altari dalla regina degli uomini e degli Dei, la potente Nemesi! è egli morto in vero, e tu, pur, Pompeo, peristi?⁵
Delle ventitré coltellate, una per ogni congiurato, la sola mortale fu la seconda, come appurò l’autopsia. Così finì la vita terrena di Cesare e la giornata delle Idi di marzo del 44 a.C.
Da largo di Torre Argentina si percorre tutta via delle Botteghe Oscure e poi via d’Aracoeli fino a giungere ai piedi del Campidoglio. Salita la scalinata si attraversa la piazza e, alla destra del palazzo Senatorio, si imbocca via del Campidoglio. Dopo pochi metri si gira ancora a destra su via del Monte Tarpeo e, proseguendo nella stessa direzione, si arriva a via del tempio di Giove.
un destino annunciato da molti presagi
Ci tramandano gli antichi che la morte di Cesare fu annunciata da un numero impressionante di presagi e questi sono stati d’ispirazione a numerosi autori.
Nel più alto e grandioso momento di Roma, poco prima che l’onnipotente Giulio cadesse, le tombe restarono vuote, e i morti nei loro sudari vagarono gemendo per le vie dell’Urbe: comete di fuoco rigarono il cielo, disastri nel sole, rugiade di sangue⁶…
Oltre a quelli descritti da Shakespeare in Amleto, si racconta che le mandrie di cavalli che Cesare aveva fatto liberare al passaggio del Rubicone cominciassero a piangere a dirotto; che lo stesso Cesare, durante un sacrificio, non fosse riuscito a trovare il cuore della vittima; che uno scricciolo – uccellino regale – con un ramoscello di alloro nel becco fosse stato attaccato e ucciso da parecchi uccelli nella Curia di Pompeo. Inoltre qualche tempo prima era stata scoperta la sepoltura di Capi, il fondatore di Capua. Sulla lapide era scritto: «Quando verranno scoperte le ossa di Capi, un discendente di Iulo verrà assassinato per mano dei suoi consanguinei, e subito sarà vendicato con grandi stragi e lutti per l’Italia».
Cesare stesso aveva sognato di librarsi nell’etere, volando sopra le nubi e di stringere la mano a Giove e sua moglie era stata sconvolta da sogni terribili:
Ti dirò: Calpurnia, mia moglie, qui presente, mi trattiene a casa. Questa notte ha sognato la mia statua da cui, come da una fontana con cento getti, sgorgava sangue vero; e molti ardimentosi romani si avvicinavano sorridendo e vi immergevano le mani. E a questi segni ella dà il significato di moniti, prodigi e sciagure imminenti; e in ginocchio mi ha supplicato di restare a casa oggi⁷.
La mattina del 15 di marzo, perciò, Calpurnia implorò il marito di rimanere in casa ma lui decise di andare, convinto anche dal congiurato Decimo Bruto Albino.
Un mese prima del suo assassinio, Cesare aveva imprudentemente deciso di congedare la scorta che lo accompagnava così uscì in strada dove fu avvicinato da un indovino, Artemidoro di Cnido, che gli consegnò un libello in cui lo ammoniva del pericolo che correva. L’indovino cercò di fare in modo che Cesare lo leggesse, ma il dittatore, pur apprestandosi a farlo più volte, non vi riuscì per colpa della folla che lo circondava. Quando fu nella Curia di Pompeo, Cesare fu avvicinato dall’aruspice Spurinna che lo aveva messo in guardia dalle Idi di marzo. A Cesare che, in modo beffardo, gli disse che queste erano arrivate l’indovino rispose che non erano ancora passate.
1 Gaio Svetonio Tranquillo, Vita dei Cesari, in aa.vv., Storici latini, Newton Compton editori, Roma 2013, p. 1187.
2 Ivi, p. 1183.
3 William Shakespeare, Giulio Cesare, in Id., Tutto il teatro, Newton Compton editori, Roma 2017, vol. iv, p. 469.
4 Plutarco, Vite parallele. Alessandro e Cesare, Newton Compton editori, Roma 2018, pp. 291-293.
5 George Gordon Byron, Il pellegrinaggio di Childe Harold, canto iv, lxxxvii, in Id., Opere complete, coi tipi della Minerva, Padova 1842, p. 581.
6 William Shakespeare, Amleto, in Id., Tutto il teatro, Newton Compton editori, Roma 2017, vol. vi, p. 101.
7 Id., Giulio Cesare, cit., p. 460.
2. 2. sul campidoglio, accanto al tempio di giove…, con tiberio sempronio gracco
giorno consigliato: 31 gennaio, in ricordo della data del 133 a.c. in cui si sarebbe dovuta votare la riforma agraria
Su via del Tempio di Giove, protetto da vetri, si scorge un angolo del tempio di Giove Capitolino. Per vedere ciò che rimane dell’intero tempio, dedicato alla principale divinità onorata a Roma, è necessario entrare nei Musei Capitolini. Aperti tutti i giorni dalle 9:30 alle 19:30. Per ulteriori informazioni: www.museicapitolini.org.
Il passaggio di Annibale in Italia e le lunghe guerre avevano devastato le campagne e decimato i contadini che erano partiti come soldati senza ritornare.
La situazione era penosa ed esplosiva a Roma nel ii secolo a.C.: in teoria, terre demaniali da assegnare non sarebbero mancate, tuttavia queste erano state progressivamente occupate dai latifondisti mentre i piccoli proprietari, impoveriti, spesso avevano dovuto svendere i propri appezzamenti andando a ingrossare la moltitudine di miserabili che si aggirava nell’Urbe.
I fratelli Gracchi potevano considerare la questione da entrambi i punti di vista: per parte di madre appartenevano a una delle più illustri, e nobili, famiglie della città, gli Scipioni; il padre invece era stato un plebeo. Se così non fosse stato non sarebbero potuti diventare tribuni della plebe: la carica era rigorosamente riservata a esponenti di questa classe sociale…
Tra patrizi e plebei le lotte furono, nella Roma repubblicana, insanabili. E ragioni ve ne erano…
Gli animali selvaggi che vivono in Italia, hanno le loro tane; ognuno di essi conosce un giaciglio, un nascondiglio. Soltanto gli uomini che combattono e muoiono per l’Italia non possono contare su altro che sull’aria e la luce; con la moglie e coi figli vivono per le strade, anziché su un campo. I generali mentono quando, prima delle battaglie, scongiurano i soldati di difendere contro il nemico i focolari e le tombe, perché la maggior parte dei romani non ha un focolare, e nessuno ha una tomba dei suoi antenati. Soltanto per il lusso e la gloria di altri, devono spargere il loro sangue e morire. Si chiamano i padroni del mondo, e non possono dire di essere padroni di una sola zolla di terra.⁸
Tiberio Gracco – che qui sopra parla attraverso la penna di Bertolt Brecht – cercò di sanare la situazione con una riforma agraria: requisire le terre occupate e redistribuirle secondo precise proporzioni per contenere l’espansione del latifondo.
L’opposizione era forte, anzi terribile. Alla vigilia del voto la tensione era fortissima e il pontefice massimo, Publio Cornelio Scipione Nasica Serapione, cugino di Tiberio, esortò i suoi a far rispettare la legge mediante la formula del tumultus.
Lo scontro avvenne sul Campidoglio e nella carneficina furono uccise oltre trecento persone fra cui lo stesso Tiberio. Il suo corpo fu gettato nel Tevere e i suoi amici condannati a morte ed esiliati senza processo. Stessa sorte toccò al fratello dieci anni dopo, ucciso nel tentativo di promulgare una riforma agraria ancor più radicale. Sarà Cesare che, nel 59 a.C., riuscirà a varare la riforma sognata dai Gracchi: ci vorrà tutta la sua forza e la sua autorità per scavalcare il Senato.
Così quei due bambini che erano stati i gioielli della loro madre Cornelia – «poiché una matrona campana sua ospite le mostrava le sue gioie, ch’erano le più belle allora conosciute, la intrattenne chiacchierando finché tornassero dalla scuola i suoi figli e allora le disse: Questi sono i miei gioielli
»⁹ – rimasero come esempio di ideali generosi e calcoli politici sbagliati.
Lei, Cornelia, è stata a sua volta un modello. Madre esemplare, donna colta, moglie devota: la prima donna cui sia stata eretta una statua, una delle quattro di cui ci sia giunto uno scritto. Disponibile a sopportare con forza d’animo implacabile la morte dei figli: prima nove dei dodici nati e poi quella di Tiberio e di Caio. Un esempio vivente di quello che si aspettava da una matrona romana.
Ritornati sulla piazza del Campidoglio, costeggiando a sinistra il palazzo Senatorio e prendendo via di San Pietro in Carcere, ci si imbatte in una scala che scende verso il Foro Romano. Questa scala ricalca pressappoco il percorso delle antiche Scale Gemonie, oggi non più visibili, collocate dalle fonti antiche tra il Tempio della Concordia e il Carcere Mamertino.
8 Bertolt Brecht, Gli affari del signor Giulio Cesare, Einaudi, Torino 2015, p. 55.
9 Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili, libro iv, 4.4, utet, Torino 1971, p. 329.
3. 3. dalle scale gemonie al carcere mamertino. i gemiti dei condannati e un «giovane di grandissima potenza»
giorno consigliato: 26 settembre, in memoria della morte di vercingetorige
Il complesso del carcere non è al momento visitabile per restauri.
Su questi gradini, che erano uno dei collegamenti fra il Foro Romano e il Campidoglio, venivano gettati i cadaveri dei condannati a morte una volta giustiziati nel vicino carcere. L’attuale scala in pietra bianca ripercorre il tracciato di quella antica. « Scalae Gemoniae , così chiamate dai gemiti degli sventurati tradotti in prigione, come il Ponte dei Sospiri a Venezia. Vicino a quelle scale venivano gettati i cadaveri dei criminali per terrorizzare il popolo», scrive Stendhal ¹⁰.
Sull’attuale scala si apre l’ingresso al Carcere Mamertino. Il carcere è in una posizione strategica: vicinissimo al Foro e al comizio – dove si svolgevano i giudizi – e consentiva, in quei tempi spicci, di avere i condannati a portata di mano. Era riservato a chi commetteva delitti contro lo Stato, ai colpevoli di lesa maestà e ai nemici di Roma che talvolta venivano giustiziati all’interno del carcere e poi – ormai cadaveri – trascinati nel Foro per dare un terribile esempio.
L’edificio si articola in due ambienti: quello soprastante era, quasi certamente, più ampio di come lo si vede oggi, quello sottostante è ricavato da un’antica cisterna ed è piccolo, angusto: fungeva da carcere di massima sicurezza. I detenuti vi venivano calati dall’alto dove si trova un’apertura circolare chiusa da una grata di ferro:
Nel carcere c’è un un settore denominato «Tulliano», per raggiungere il quale bisogna salire un po’ a sinistra, per poi scendere circa dodici piedi sotto terra; lo chiudono da ogni lato delle pareti e, al di sopra, una volta formata da archi di pietra; ma per lo squallore, il buio, il fetore è un luogo dall’aspetto ripugnante e terribile¹¹.
Ricavato da un’antica cisterna che raccoglieva le acque di una sorgente (tullus in latino vuol dire polla d’acqua: per questo è anche chiamato Tullianum) mantiene, tuttora visibile, l’antica forma circolare. Molti furono i prigionieri illustri che vi soggiornarono, anche a lungo: si trattava di un carcere riservato a detenuti non comuni. Fra questi il più famoso fu Vercingetorige che, dopo avervi soggiornato per sei anni, venne condotto nel Foro al seguito di Cesare che saliva al tempio di Giove capitolino per celebrare il suo trionfo. Subito dopo fu ucciso.
Vercingetorige, figlio di Celtillo, Arverno, un giovane tra i più potenti del paese, il cui padre aveva dominato su tutta la Gallia e, volendo farsi re, era stato giustiziato dai suoi compatrioti, convoca i suoi clienti e riesce a sobillarli senza difficoltà. Conosciuto il suo progetto, si corre alle armi. Suo zio Gobannizione, ed altri notabili che non ritenevano si dovesse tentare la sorte, si oppongono […]. Vercingetorige non desiste e arruola nelle campagne poveri e delinquenti. Dopo aver raccolto questa banda, guadagna alla causa tutti i cittadini che riesce ad avvicinare, esortandoli a prendere le armi per la comune libertà; messe insieme ingenti forze, scaccia dalla città gli avversari, che prima lo avevano espulso. Viene proclamato re dai suoi seguaci¹².
Queste sono le parole che Cesare gli dedica nel De bello gallico.
La leggenda vuole che nel carcere siano stati rinchiusi anche san Pietro e san Paolo: nonostante le numerose prove che vengono offerte ai visitatori – l’impronta della testa di san Pietro, la fonte fatta sgorgare miracolosamente per battezzare i carcerieri Processo e Martiniano e la lapide che ricorda la conversione – si tratta quasi certamente di una leggenda. Si tratta dell’ennesimo luogo dove san Pietro non è stato…
Uscendo dal Carcere si possono risalire le Scala Gemonie e percorrere tutta via di San Pietro in Carcere in direzione di via dei Fori Imperiali. Si svolta quindi a destra e dopo trecento metri circa, sempre sulla destra si trova l’ingresso dell’area archeologica del Foro Romano in largo della Salara Vecchia, 5/6. Aperto tutti i giorni dalle 8:30 al tramonto. La biglietteria chiude un’ora prima. Biglietto cumulativo Foro Romano-Palatino-Colosseo: € 12, ridotto: € 7,50. Acquisto online più € 2 diritto prevendita. Sito web: www.coopculture.it. Entrati, si scende la rampa costeggiando il tempio di Antonino e Faustina e si piega a destra. Attraversata la piazza del Foro in direzione dell’arco di Settimio Severo, si giunge all’area recintata del Lapis Niger, proprio davanti alla Curia.
duemilasettecento anni di orribili prigioni
Visitando il Carcere Mamertino viene spontaneo chiedersi dove fossero custoditi gli altri detenuti. Perché ce ne devono essere stati ben di più di quelli che sarebbero mai potuti entrare in quell’angusto spazio… Non se ne sa molto. Di certo quello che vediamo oggi è solo una parte dell’antico carcere, infatti molti detenuti dovevano essere custoditi nelle cave di tufo del colle Capitolino: le latumiae.
Le grotte erano molto estese e la vicina chiesa di San Nicola in Carcere ricorda, con il suo nome, che la zona era destinata a prigione. I detenuti reclusi nelle latumiae, quelli che non erano stati condannati alla pena capitale, avevano accesso a uno spazio esterno e potevano ricevere visite.
Sono ipotesi, però, perché non è stata trovata alcuna traccia di una massa di persone contenute forzatamente in quegli spazi.
Esisteva anche una