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Sardegna misteriosa ed esoterica
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Sardegna misteriosa ed esoterica

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Il lato occulto, maledetto e oscuro dell’isola più magica del Mediterraneo

Grazie alla sua posizione nel Mediterraneo, la Sardegna ha rappresentato nel corso dei secoli un punto nevralgico per i traffici commerciali, il luogo nel quale la storia e le vicende dell' uomo si sono mosse su piani paralleli. Una storia manifesta e ben documentata nasconde eventi che il più delle volte sono passati inosservati. Il fatto storico, la cronaca raccontata dai documenti hanno tutti una loro faccia nascosta, un lato oscuro popolato da personaggi che vengono richiamati in questa terra da una forza ancestrale e indecifrabile. Sulla base di documenti e in virtù di una ricerca storica e archivistica, vengono messi in risalto avvenimenti tutt ora avvolti dal mistero: apparizioni di spiriti, materializzazioni di entità benefiche e luoghi nei quali l'uomo e soprattutto l iniziato ha vissuto secondo principi magici. Un itinerario di racconti nei siti strettamente legati a numerose città europee. Tutti uniti da un unico interesse e mossi dallo stesso legame: l 'esoterismo.

Tra gli argomenti trattati nel libro:
L’oriente del mistero, l’oriente degli esorcismi
Magia al femminile
La compagnia dei Vermiglia
La maledizione dei Savoia
Il mio nome è Violante
Uomo d’arme, d’amori e di grandi tesori
Femmine demoniache, femmine tentatrici
La via dell’iniziato
Il segreto dei Catari
Il turibolo di Lucifero
Il narratore del mistero
Il viatico di morte, lo strumento della vita
Pierluigi Serra
è nato a Cagliari nel 1960. Giornalista e autore, ha collaborato con diverse testate giornalistiche, scritto per antologie e riviste e ha realizzato documentari per la televisione. Si occupa da diversi anni di esoterismo e dei fenomeni legati alla magia e alla spiritualità. Attualmente scrive per il quotidiano «L'Unione Sarda» nella pagina della cultura. La Newton Compton ha pubblicato Sardegna misteriosa ed esoterica.
LanguageItaliano
Release dateNov 5, 2018
ISBN9788822726759
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    Book preview

    Sardegna misteriosa ed esoterica - Pierluigi Serra

    Per iniziare il Viaggio

    Il viaggio, prima d’essere moto del corpo, è movimento dell’animo che precede il reale spostarsi da un luogo all’altro: che sia spirituale o materiale esso incarna la curiosità di ricerca e di indagine insita nell’uomo. Voglia ed esigenza di scoprire cosa vi sia oltre il confine, al di là dei landmarks, delle pietre che delimitano il conosciuto dallo sconosciuto. Nel percorso, in ogni itinerario, vi sono tappe speciali, luoghi di richiamo, mete preferite o prestabilite. Ci sono luoghi totalmente differenti, come evidenziò Ernst Jünger nel descrivere quella che diventerà, in seguito, una sua meta particolare, un luogo fuori dal tempo e lontano dal tempo. La chiamerà Illador, con un richiamo al trascorso aureo delle genti che vissero in un lembo orientale dell’isola di Sardegna. Sovente si racconta di determinati ambienti, siano essi naturali o luoghi che hanno subito la trasformazione per opera dell’uomo, li si descrive come carichi di magia attribuendo a questo termine una connotazione positiva e benefica. Si trascorrono serate magiche a guardare tramonti e a osservare panorami.

    Magica è l’alba, altrettanto lo è un tramonto dorato. È sortilegio. Estasi sensuale del nostro vivere. Questa condizione ci mette in contatto con il Divino, qualunque aspetto, sembianza o nome possa avere. È incantesimo il contatto tra amanti, e così è lo stringersi tra le braccia di chi ci ha generato. Chi la considera come la Scienza delle Scienze trova – come oppositori – i detrattori che la reputano un contenitore di fandonie messe in piedi per agganciare ignoranti e superstizioni. Intorno a questo atto che aveva del sacro, come fecero i Re Magi iniziati e capaci di evocare ogni più fausto evento, si celebra il sospetto, messo in piedi da chi vive attaccato ai metalli pesanti della quotidianità. Non furono certo maghi i persecutori degli eretici, bassi nella loro crudeltà, infimi nel godere delle sofferenze altrui, deliziati dal sangue e dal fumo dei roghi. Godevano nel veder straziate le carni di chi aveva osato contrastare il potere. Giordano Bruno, grande iniziato ed egli stesso mago, condannato come eretico, parla con disprezzo di chi pratica la magia per divinare, comandare o anche per guarire a scopo di lucro. Non a caso verrà per secoli denigrato lui che riuscirà a scrivere pagine di intensa emozione. Lo combatteranno i legislatori, gli autori di bolle pontificie e di proclami canonici. Ne combatteranno idee e libertà, affibbiando al suo corpo ogni genere di nefandezza: era in buona compagnia il filosofo di Nola, gettato tra le fiamme della vendetta, così come vennero gettate tra le cataste di fuoco le donne di Montségur, le bambine di Poitiers, i Templari di Parigi, i martiri catari. Avevano fatto, cosa ben rara, della fede una volontà. L’autentica ricerca – come ben descrive Gabriele La Porta parlando della magia naturale – è quella del vedere la divinità. Riscoprendola anche nel lungo itinerario, nel viaggio da compiere. I falsi profeti e le adepte a tariffario. I divini che si autoproclamano tali, dèi e dee che curano ogni malanno a pagamento. La falsità serpeggia e ritroviamo viaggiatori in grado di combattere la falsa novella.

    Non era profeta il pontefice che per diletto e godimento personale inviava il suo amante a compiere sodomia tra i valletti di palazzo, così come non aveva fama di santità Onorio iv, preoccupato per le notizie che davano numerosi Catari fuggiti dalla penisola in viaggio verso Cagliari, che dava incarico agli inquisitori toscani di combattere con qualsiasi mezzo ogni eresia. Casto e puro non era neppure papa Borgia, fustigatore di costumi altrui e procreatore di una stirpe malsana e malevola. A essere condannata era la gioia di vivere. Il buio non proviene dal Medioevo ma dagli uomini che fecero dell’oscurità un loro paravento per ammantarsi di santità. Per descrivere la gioia interna, la purezza del percorso, possiamo anche parlare di processi chimici, di quella che in passato veniva chiamata Alchimia e come tale condannata e detestata. Il sorriso allontana l’inferno ma senza il timore della punizione eterna non vi è l’intermediario, il santo chierico che a pagamento elargisce assoluzioni e benedizioni. Odore di incenso o soave profumo di zolfo? Condannare la magia è compito di chi si vede esautorato da un potere consolidato, reso divino dagli uomini stessi. Incantesimo. Eresia. Dietro questa parola si scatenarono nel passato massacri di dimensioni enormi, i cui connotati sono tuttora poco definiti e forse troppo coperti dalla polvere di archivi ancora inaccessibili. La caccia alle streghe, alle maghe, ai maghi e agli iniziati aveva, agli occhi dei condannati a morte, un significato ben differente da quanto oggi attribuiamo a questo termine. Per loro quella parola era condanna a torture e sofferenze, violenza e morte: si accorsero in ritardo che Jeanne D’Arc, strega, blasfema, sodomita, violenta e maga, in realtà era una donna di valore. La riabilitarono, bontà loro, dopo averla bruciata. Ambivalenza di una parola. Sortilegio.Vi sono i viaggi iniziatici, quelli attuati nella magia, nel percorso che travalica le conoscenze terrene, gli itinerari che si compiono nella consapevolezza di un fine elevato. La storia recente, quella italiana ed europea, segue un lungo filo sotterraneo nel quale si muovono adepti, appassionati o semplici curiosi di magia: l’interesse per il sapere occulto, la dimensione sapienziale e misterica caratterizzano molte azioni e pensieri dei grandi numi tutelari del nostro continente. Da Giuseppe Mazzini, profeta della reincarnazione e sostenitore di percorsi iniziatici nei quali l’uomo può e deve elevarsi, a Giuseppe Garibaldi, che presiede e rende viva l’azione di logge massoniche di perfezionamento.

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    Antica carta della Sardegna tratta da Francesco Floris, (a cura di), La grande enciclopedia della Sardegna.

    Non è immune al fascino del mistero neppure Massimo D’Azeglio, uomo d’azione e concretezza, che non esita a presenziare alle sedute spiritiche per evocare il fantasma di Camillo Benso conte di Cavour e aver da lui risposte ai mille quesiti che lo assillano. Non sono i soli a dilettarsi di magia e di spiritismo: luminari della scienza, docenti universitari e ricercatori, tra l’800 e il ’900 assistono ai tavoli delle più celebri medium del periodo, per studiarne azioni e mosse. E ci sono i viaggiatori, quelli dotati di caratteristiche molteplici, coloro i quali per differenti motivi sono animati dalla Ricerca, dalla volontà di Conoscenza. Li ritroviamo in giro per l’Europa, dall’antichità fino ai tempi recenti e hanno un comune denominatore: donne e uomini hanno una missione da compiere, che sia questa assegnata dall’alto o provenga dal loro interno, da un moto del loro animo. Donne e uomini particolari, nei cui occhi brilla una fiamma intensa: siano morti sul rogo dell’ignoranza oppure scacciati e oppressi dal potere costituito, si rivelano messaggeri e interlocutori di mondi ancora sconosciuti. Questo viaggio, compiuto da altrettanti pellegrini dell’anima, si muove partendo da basi storiche ben precise e concrete, dall’esame di documenti e testimonianze. Sono personaggi all’apparenza distanti, lontani per estrazione culturale, per paese d’origine, religione e credo: eppure sono intimamente legati da una missione, da un obiettivo. Trovano e ritrovano nell’isola antica una comune radice, riscoprono la magia antica che ancora permea luoghi e città, siti nascosti e palazzi sconosciuti. Fatti ed eventi, situazioni e luoghi reali e verificati, intorno ai quali si muovono leggende e narrazioni che possono sembrare frutto di pura fantasia. Eppure molta di questa irrealtà ha contraddistinto l’operato e la vita di personaggi che hanno lasciato traccia del loro passaggio su questa terra. Personaggi da scoprire e da accompagnare in un viaggio nella magia, quella pura e naturale, che riscopre l’essenza più sentita del nostro vivere. Non a caso i viaggi si compiono da e verso l’isola del Mediterraneo. La quale, prima ancora di divenire attrattore turistico, richiamava emotivamente e spiritualmente il nostro cuore.

    Si scopriranno viaggiatori noti e meno conosciuti, le cui storie sono scritte nei documenti, nelle pagine di diari, conservate tra faldoni polverosi: molti di questi personaggi sono caduti nell’oblio e tornano a raccontare le loro vicende, le loro storie, gli stati d’animo che ne hanno permeato il cuore. Nei lunghi periodi di ricerca mi sono ritrovato ad avere tra le mani informazioni e notizie all’apparenza slegate, distanti le une dalle altre. Dati storici che hanno composto l’ossatura di questo lavoro: personaggi reali e vicende hanno avuto il collante della narrazione, del romanzo che ha riportato in luce episodi della storia europea. Il tutto vissuto attraverso gli occhi di donne e uomini dalla spiccata sensibilità, in grado di vedere e leggere tra le sfumature del mondo reale.

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    L’Oriente del Mistero,

    l’Oriente degli Esorcismi

    La sera di lunedì 5 aprile 1902 il pesante portone di palazzo Fulgher, nel quartiere antistante il porto cagliaritano, risuonava con un rumore sordo: tre colpi di batacchio stavano annunciando al Maestro di Casa l’ingresso nel tempio massonico di un profano che chiedeva di essere ammesso nell’ordine. In quella sera, in cui il vento leggero di maestrale s’insinuava tra le strade della Marina, prendeva avvio il percorso massonico europeo di Stefano Cardu, imprenditore, viaggiatore, collezionista e uomo d’affari dai molteplici interessi. Il vasto appartamento, che per ironia della sorte risultava tra i beni di proprietà della Congregazione del Santissimo Sacramento, era situato in posizione strategica, così vicino al centro dei commerci cittadini, in prossimità dei diversi consolati che operavano nella città di mare. Il tempio, dedicato al martire cagliaritano Sigismondo Arquer, intellettuale di classe finito sul rogo a Toledo nel 1650 con l’accusa di eresia, era ospitato al primo piano del palazzo edificato dalla famiglia mercantile dei Fulgher, il cui capostipite Jean Marie Fruchier¹ aveva fatto fortuna con la conduzione delle tonnare.

    Quando aveva lasciato questa terra, strappato dal mare in tempesta, Fruchier contava su un ricco patrimonio sul quale la vedova – l’agiata nobildonna genovese Anna Belgrano – aveva disposto un cospicuo lascito all’altrettanto ricca Congregazione del quartiere marinaro. Palazzi e terreni erano stati affittati in gran parte alla comunità francese che operava in città nell’ambito dei commerci e dei traffici navali. Quando il 28 marzo del 1896 la «Rivista Massonica Italiana» forniva notizia della costituzione della Loggia Sigismondo Arquer all’Oriente di Cagliari, il tempio latomistico era già in piena attività nel caseggiato dei religiosi cagliaritani. Quella sera d’inizio aprile era stato affidato al giovane Romolo Enrico Pernis, di lunga tradizione massonica familiare, il compito di accompagnare Stefano Cardu all’interno della Loggia. Così come prescritto dal regolamento, la sala che accoglieva i banchetti e le riunioni non rituali era priva di qualsiasi presenza umana, garantendo – fino al momento dell’effettivo ingresso nella compagine iniziatica del profano – un totale anonimato dei fratelli dell’Officina. Chi aveva bussato alle porte di quel tempio non era ignaro di quanto sarebbe accaduto di lì a poco: le frequentazioni massoniche di Stefano Cardu, tra amicizie strette e puri rapporti di lavoro, lo avevano già reso edotto sulle pratiche e sulle procedure che preannunciavano il rituale dell’Iniziazione. Così, tra i vasti ambienti che componevano l’appartamento, venne accompagnato verso una delle salette più interne, in un luogo dove si sarebbe consumata l’attesa, il momento che preannunciava la concretizzazione di un percorso di vita. Pernis aprì con delicatezza una delle porte che si affacciavano sul lungo corridoio nel quale, fissate alle pareti, pendevano decorazioni e stendardi, bandiere e cimeli che in molti casi riportavano i simboli della massoneria a lui conosciuti. Venne introdotto in un ambiente le cui pareti erano avvolte da pesanti drappi neri, mura di tessuto appena definite dalla luce di una candela posizionata al di sopra di un piccolo scrittoio. Restò colpito dai numerosi oggetti e dalle raffigurazioni che erano state riprodotte sulla stoffa. Sul ripiano del tavolo era poggiato un teschio insieme a una brocca colma d’acqua, delle ciotole, una penna d’oca e un calamaio. Gli fu spiegato, con brevità, il significato di quel luogo e quale valore avesse il testamento che avrebbe dovuto compilare per essere poi letto nell’assemblea dei fratelli che lo attendevano.

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    Calaris, ovvero l’antica Cagliari in cui visse Sigismondo Arquer prima di essere arso vivo.

    La porta venne chiusa con forza, distogliendolo per un attimo dalle immagini che trovavano spazio sulle pareti della stanza nera. In quella che lui avvertì come una caverna artificiale non si percepivano suoni estranei. Solo il leggero respiro che fuoriusciva così delicatamente dai suoi polmoni, in un flebile moto d’aria, quasi timoroso di rompere gli equilibri silenziosi che reggevano l’ambiente nel quale si trovava. Caverna, grotta, un antro buio. Era il ricordo di una immersione in uno dei templi buddisti nei quali, in tempi recenti, s’era attardato curioso di percepire la forza della natura sotterranea. Fu in quel momento, osservando i giochi di luce riflessi sul teschio – danzanti a tal punto da dar movimento a quelle ossa staticamente solenni – che avvertì una forte vibrazione che dalla base della nuca si irradiava lungo la colonna e, ramificandosi in mille rivoli gelidi, andava ad avvolgergli il corpo. Una sensazione di morte imminente prese il sopravvento sui suoi pensieri. Sentì la necessità di sedersi per terra: l’ultima immagine che osservò, prima di cadere in un sonno irreale, fu quella del grande scheletro che campeggiava sulla parete, eretto come un guardiano dinanzi a un luogo invalicabile dall’uomo. Il suo corpo non rispondeva più alle sollecitazioni che arrivavano dal cervello, lasciandolo sotto il dominio di un mare gelido, in tempesta, in cui appariva come un vascello senza più controllo, privato delle vele e del timone. Navigò, in preda alla forza degli elementi, in quell’oceano di ricordi. Era nuovamente naufrago, in preda alla sete, immerso nel buio di un elemento talmente liquido da penetrare nel suo corpo attraverso i pori della pelle. Il boato dei ricordi irruppe dentro di lui, trascinandolo indietro nel tempo.

    Era nato in una città dal volto mutevole: sonnecchiosa e all’apparenza indolente, plasmata su misura per i suoi appena trentacinquemila abitanti: come suo padre, artigiano del legno che aveva scelto come dimora il quartiere della Marina, s’era ben presto accorto di quanto strette potessero essere le regole e le imposizioni. Nonostante i suoi natali avessero avuto tempo nello stesso momento dell’emanazione dello statuto concesso dal re Carlo Alberto², sentiva il richiamo di ben altri ordinamenti, così attratto dalla storia della Repubblica francese, dai suoi uomini, dagli statisti. Gli sforzi e i risparmi di famiglia l’avevano portato fin sui banchi del Regio Istituto Nautico, scuola che ben s’adattava alla sua sete di viaggio e d’avventura. Così come era scampato all’epidemia di colera che aveva colpito duramente la città, quando – appena compiuti i sei anni –aveva assistito ai lunghi cortei funebri organizzati per trasportare nel camposanto i quasi mille e cinquecento morti finiti in tre giorni nelle braccia dell’Oscura, aveva compreso in pieno il significato e il valore della vita. Stefano guardava con sospetto quella fascia sociale di nobiltà decadente, rattrappita nell’antico quartiere della città, oramai soppiantata in potere e rappresentanza dai nuovi e ricchi commercianti, portatori di denaro e nuove idee. Il suo quartiere era un mondo totalmente differente dal resto della città, cosmo nel quale si mischiavano lingue e famiglie, discendenze e nuove ricchezze. I francesi, insieme ai genovesi, ai napoletani e ai tunisini, rendevano grande il quadrilatero affacciato sul porto, plasmato secondo la geometria costruttiva imperiale romana e riadattato dagli spagnoli in virtù dei commerci e degli scambi. Nascere nella via Barcellona gli aveva dato, con un fato scherzoso, l’impronta dell’avventuriero: lui incarnava perfettamente lo spirito e l’impeto zodiacale del suo segno di nascita. Bilancia. Ordinato e amante dell’arte e del bello, s’era ritrovato fin da piccolo a ricercare armonia ed equilibrio: osservava le mani del padre disegnare e riportare sul legno volute di fronde. Ammirava quelle mani tanto abili e delicate nel tratteggiare quanto rudi e forti nell’aspetto. Da lui aveva appreso tutta l’arte della raffigurazione, conoscendo prospettiva e proporzioni. Il quartiere era il suo mondo, dove tra scuola, casa e bottega paterna s’era fatto uomo. Perché in quell’epoca si diveniva uomini ben presto: reclutati tra i combattenti o inclusi tra le forze di difesa cittadine. Tra i banchi del Regio Nautico aveva lasciato l’infanzia per passare – appena sedicenne – nella categoria sociale di chi è in grado di decidere e agire. Così, attratto dal mare, dai luoghi lontani, s’era imbarcato ancor prima di concludere studi e formazione. Si sentiva pronto per affrontare la vita, quelle esperienze basate sui racconti della gente di mare con la quale condivideva l’amor di salsedine. Nel bagaglio, nel sacco di tela pesante, aveva avuto cura di riporre i costosi libri di studio acquistati – con fatica e lavoro – da un genitore desideroso di dare un futuro alla propria stirpe.

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    Francesco Ciusa, La sete, 1910.

    Temeva i saluti, non considerandoli di buon augurio: per questo aveva lasciato la casa paterna in tutto silenzio. Il biglietto con il quale annunciava il suo viaggio era stato scritto con cura e decisione, con poche parole bastanti a spiegare la sua voglia di viaggio. Finalmente il mare, il mare agognato e sognato nella sua vastità, quello che riusciva appena a percepire dall’alto della rocca cittadina. La goletta a bordo della quale aveva trovato impiego come semplice mozzo aveva come destinazione la Grecia: nel corso della traversata, facendo scalo nel porto di Napoli, erano giunte le notizie della grande eruzione che aveva risvegliato l’Etna. Tutta la vallata del Bove e i paesi di Piedimonte Etneo, Linguaglossa e Mascali erano stati interessati dalla grande colata di lava, mutando la conformazione geografica dei luoghi: le voci di quella tragedia ne avevano colpito l’animo, sensibile e ignaro – per la conformazione stessa della sua terra d’origine – a simili catastrofi naturali. Nel corso di lunghi anni di navigazione, durante le soste e i tempi morti aveva continuato a studiare in maniera assidua, riuscendo ben presto a conseguire la patente di capitano. Geografia, arte della navigazione, orientamento erano divenute per lui materie di pratica quotidiana e, contrariamente a molti suoi ex compagni di classe arenati tra le secche cittadine in un impiego sedentario e noioso, aveva avuto modo di sperimentare molte traversie e colpi bassi della vita. Pensò di morire più volte, e spesso aveva sognato di esser sommerso dai flutti o trascinato dalla corrente tra le fauci dei grandi cetacei che incontrava nel corso delle lunghe traversate. Ritenne di dover salutare la vita quando, dopo vent’anni trascorsi a percorrere le rotte commerciali più battute, ebbe la premonizione di una chiamata da parte del Grande Nostromo che regge l’Universo: così, materializzando le proprie paure notturne, fece naufragio nel golfo del Siam dopo aver affrontato una terribile tempesta nel Mar Cinese Meridionale.

    La notte in cui la goletta, comandata da un capitano di origine corsa, iniziò a imbarcare acqua e a perdere parte del carico, fece affidamento all’Altissimo perché gli desse ancora del tempo per gioire della vita. Fu ricompensato del proprio coraggio, accompagnato a riva da uno di quegli angeli custodi che infondono fiducia nelle capacità natatorie e danno forza alle membra per resistere al gelo che attanaglia i muscoli. Ebbe fortuna, tanta fortuna nell’evitare incontri con quegli squali che aveva visto in azione nel divorare foche e otarie. Stefano Cardu spiaggiò materialmente il proprio corpo, dopo che le energie mentali lo avevano oramai abbandonato, in una delle spiagge di bianca rena che si trovavano in prossimità della capitale del Siam, città che lo avrebbe accolto, cullato e rifocillato, esaltandone l’indole cosmopolita. Più volte, nel corso del suo lungo soggiorno in Oriente, ebbe modo di ringraziare Eugenio, suo padre e la maestria che ne contraddistingueva il tratto grafico. Ricordava quando, fin da piccolo, osservava ogni movimento della mano paterna, seguendo ogni contrazione delle dita sul foglio bianco nel quale, delicatamente, appariva una sagoma umana, un viso, un dettaglio architettonico.

    Tale era la bellezza del dono. Capire e comprendere il segno, riuscire a riportare su due dimensioni ciò che lo spazio avvolge e conserva. Così, in breve tempo e grazie alla conoscenza del francese e dell’inglese, aveva trovato occupazione presso una delle più importanti società di progettazione che s’occupava di soddisfare il gusto europeo del nuovo sovrano del Siam. Inglesi gli architetti come inglese era l’istitutrice del monarca Chulalongkorn, re Rama v, educato secondo principi europei e guidato da un rude tutor di origine scozzese che scandiva il proprio tempo tra gli impegni di palazzo e le tornate della Loggia massonica della quale era personaggio di spicco. Stefano Cardu, beneficiando della benevolenza che aveva saputo raccogliere tra i suoi nuovi datori di lavoro, aveva definitivamente abbandonato la carriera navale per dedicarsi interamente all’altra passione della sua vita. Estroverso, creativo, amante del bello e cultore dell’estetica, aveva saputo in breve tempo entrare nelle grazie del sovrano, del giovane monarca amante dell’arte. Solo quattro anni separavano i due personaggi tra i quali si era instaurato un rapporto di stima reciproca, cementato dalla passione per la storia e la cultura, l’amore per il bello e l’armonico. Così il cagliaritano aveva messo a frutto il suo naturale pregio grafico, sapendo attirare l’ammirazione del palazzo, entrando nella benevolenza dei numerosi consiglieri reali. Nasceva, dopo l’esperienza di disegnatore, la società che avrebbe portato il prestigioso nome di S.Cardu & C.

    Lui, primo italiano a giungere nel Siam in qualità di operatore economico, mise insieme un gruppo di progettazione di tutto rilievo: tra il 1879 e il 1892 nel suo staff operavano tre ingegneri, un architetto e cinque collaboratori locali. Era il momento delle grandi opere, come la realizzazione del palazzo del principe Chaturonsatsami, dei chioschi per la cremazione reale, del Royal Military College e del Saranorm Palace. L’idea di occidentalizzare il paese aveva già avuto nel genitore del sovrano, Rama iv, uno strenuo assertore, tanto da firmare degli accordi commerciali importanti con Vittorio Emanuele ii e il giovane Regno d’Italia. Erano i segnali per i numerosi commercianti, per i progettisti, i capitani d’impresa che avrebbero iniziato a operare nella regione, portando una ventata d’aria nuova in un regno che già mostrava numerose aperture verso l’Occidente. Quale fosse il fascino che l’Italia esercitava su Rama v lo si comprende bene dalla passione che il monarca mise nel programmare, organizzare e realizzare due viaggi nella penisola: sarà una prima volta in Italia nella primavera del 1897, in un soggiorno che lo vedrà prima a Sanremo e poi a Torino. È in quel primo tour nell’Occidente che Umberto i di Savoia gli mette a disposizione il Treno Reale con il quale raggiungerà la stazione di Porta Nuova In questo primo soggiorno torinese il sovrano verrà ospitato nel Castello d’Agliè di proprietà del duca di Genova, il nobile savoiardo che alloggerà anche l’imponente seguito: dieci anni dopo, in un nuovo e sontuoso viaggio Rama v sarà ancora nel possedimento sabaudo, a poca distanza dalla capitale. L’arrivo del monarca siamese

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