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Iniziò tutto a New York
Iniziò tutto a New York
Iniziò tutto a New York
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Iniziò tutto a New York

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About this ebook

Bestseller negli Stati Uniti

Natale è il periodo più magico dell’anno per innamorarsi

La temperatura è scesa, la neve si prepara a imbiancare i tetti e avvolgere ogni cosa, e Hayley Walker si sta dirigendo verso New York con un unico obiettivo: ricominciare da capo. Insieme a sua figlia Angel, una vispa bambina di nove anni, Hayley è pronta per iniziare un’avventura fatta di cioccolata calda, passeggiate in carrozza per Central Park, piroette sul ghiaccio del Rockefeller Center e visite ai musei più importanti. La città che non dorme mai è pronta a conquistarle! Ma oltre alle sue luci e ai grattaceli mozzafiato, New York ha molto altro da offrire. Specialmente per Angel, che nutre da sempre il sogno di conoscere finalmente il suo papà. Quando Hayley si deciderà a realizzare il desiderio della figlia, incrocerà sulla sua strada il miliardario Oliver Drummond. Abituato a una vita frenetica e sopra le righe, per lui l’incontro con Hayley potrebbe rivelarsi ben più fortunato di quanto non creda. Riuscire a realizzare il sogno di sua figlia potrebbe essere l’occasione per Hayley di trasformare la promessa di un Natale felice in una felicità “per sempre”.

La vita non è fatta per riempire i minuti
Ma per rendere speciale ogni momento

«La lettura perfetta per aspettare il Natale e per trascorrere le vacanze con il sorriso sulle labbra.»

«Questa storia non è solo dolce e divertente, ma arriva a toccare il cuore e sa emozionare. Un libro magico.»

«Un romanzo delizioso, con una bellissima storia che terrò nel cuore per molto tempo. Un vero regalo di Natale.»
Mandy Baggot
autrice bestseller, è vincitrice del premio Innovation in Romantic Fiction conferito dal Festival del Romance inglese. La sua commedia romantica Iniziò tutto a New York è stata anche tra i finalisti del premio Romantic Comedy Novel of the Year dell’associazione Romantic Novelist. Mandy ama l’isola di Corfù, il vino bianco, la buona musica e le borse. È anche una cantante e ha preso parte a due show televisivi. Vive vicino a Salisbury, nel Wiltshire, con il marito e le due figlie. Con la Newton Compton ha già pubblicato Natale a Parigi. 
LanguageItaliano
Release dateSep 24, 2018
ISBN9788822725011
Iniziò tutto a New York

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    Iniziò tutto a New York - Mandy Baggot

    Capitolo 1

    McDonald’s, Winchester Street, Salisbury, Wiltshire, Inghilterra

    Hayley Walker si era licenziata. Licenziata. Che le era saltato in mente? La soluzione era stata la fuga, sbarazzarsi una volta per tutte del viscido Greg e dei suoi disperati tentativi di dare una bella sprimacciata a lei al lavasecco. Era trascorsa un’ora da quando aveva compiuto il misfatto, e cominciava a capire che forse avrebbe dovuto pensare meno alla fuga e più ai soldi. O, quantomeno, alla loro mancanza. E a cosa avrebbe fatto dopo Natale, di preciso. Andarsene era stata una reazione istintiva, un impulso dettato dalla disperazione. Era destinata a pentirsene per l’eternità? L’attività part-time come organizzatrice di feste non le avrebbe permesso di portare a casa il bacon o i cereali costosi con i libri in regalo.

    «Hanno lo Yorkshire pudding?».

    Hayley alzò lo sguardo dallo schermo del cellulare e osservò la figlia di nove anni. Era lei che mangiava i cereali costosi con i libri in regalo. Angel aveva mezzo hamburger in bocca e stava cercando di infilarci anche la cannuccia della Diet Coke. Hayley non aveva sentito bene cos’aveva detto a proposito del pudding. Era troppo impegnata a chiedersi se avesse tempo per dare un’occhiata agli annunci di lavoro sul giornale locale mentre ripercorreva mentalmente l’intero itinerario di viaggio. La speranza di poter comprare vestiti nuovi per tutte e due in vista della vacanza era svanita nel nulla. Chissà cosa prevedeva la moda invernale di quell’anno. Non aveva mai scommesso più di tanto sulla fase tweed. Forse, se evitava di dormire la notte, avrebbe trovato il tempo di modificare quello che avevano già negli armadi.

    Chiuse la scatola dei suoi pensieri e si concentrò su Angel.

    «Angel, siamo in un ristorante, comportati bene». Hayley prese il bicchiere di plastica.

    Osservò gli occhi di Angel puntare verso l’alto e poi guardarsi intorno, scrutando ogni millimetro del McDonald’s. Qualunque cosa significasse lo sguardo di sua figlia, quello era un ristorante. I tovagliolini ne erano la prova. E poi era l’unico che lei potesse permettersi al momento, soprattutto dopo quanto era successo proprio quel giorno. Quel McDonald’s era il loro posto speciale, dove madre e figlia rinsaldavano il legame grazie agli hamburger. Era una costante, un luogo familiare, il posto giusto per rassicurarla ora che stava per portare entrambe dall’altra parte del mondo.

    «Allora? Non hai risposto alla domanda». Angel sottolineò le parole come meglio poté. «Avranno. Lo. Yorkshire. Pudding. A. New. York?».

    Hayley posò il cellulare sul tavolo. Non lo sapeva. Per Angel, però, era molto importante, anche più del fatto che non era mai salita su un aereo in vita sua, che sarebbe dovuta stare seduta ferma per otto ore e che stava per andare alla scoperta di un Paese sconosciuto. Chi avrebbe mai immaginato che lo Yorkshire pudding potesse rivelarsi un elemento critico?

    «Non lo so», rispose. «Ma posso scoprirlo». Sorrise a sua figlia.

    «Cercalo su Google», ribatté Angel.

    «Adesso, intendi?»

    «Da McDonald’s c’è il wi-fi gratis. Lo dici sempre».

    Angel aspirò dalla cannuccia, gli occhi sgranati come biglie.

    In quel momento non c’era niente di meglio di una cosa gratis.

    Hayley ebbe un moto d’orgoglio. Guardò Angel che mordicchiava la cannuccia con i denti perfetti, le guance appena arrossate, i capelli castani legati in due codini con gli elastici luccicanti. Angel era la cosa migliore che avesse mai fatto. L’unica conquista che le avesse mai dato soddisfazione, ed era stata quasi tutta opera sua. Mandò giù un nodo di commozione con un sorso della sua bibita.

    «Non vedo l’ora di conoscere il nuovo fidanzato dello zio Dean», riprese Angel.

    Hayley rischiò di strangolarsi con il liquido che aveva in bocca e si sfilò la cannuccia dalle labbra. Il cellulare le cadde di mano, finendo nel contenitore di cartone di patatine che non aveva ancora toccato.

    «Che cosa?»

    «La settimana scorsa ci siamo sentiti su Skype, quando sei stata a compilare quei moduli su internet per ore».

    Angel aveva ragione: Hayley aveva passato le ultime settimane a riempire moduli. Pensava che le servisse un visto turistico, ma da quel che aveva letto sembrava più semplice inviare del sangue di unicorno e degli spoiler della nuova stagione di Game of Thrones. Se solo qualcuno l’avesse avvertita dell’esistenza dell’ESTA prima che la sua testa rischiasse di esplodere…

    New York: una vacanza di Natale per Angel e una missione importantissima per Hayley. Negli ultimi due mesi non aveva fatto altro che bruciarsi gli occhi in ricerche su Internet fino a notte fonda. Era giunto il momento di chiudere la caccia.

    Hayley riportò l’attenzione su Angel.

    «Si chiama Vernon, detto Vern, si sono conosciuti a una festa fichissima a cui era stato invitato lo zio Dean». Angel si sistemò un codino. «Andremo anche noi a feste fichissime?».

    La mente di Hayley stava facendo gli straordinari. Suo fratello aveva un nuovo fidanzato di cui non le aveva nemmeno parlato. In America facevano lo Yorkshire pudding? Poteva catturare un unicorno? Una bilancia per i bagagli… doveva procurarsi a tutti i costi una bilancia per i bagagli. NON AVEVA PIÙ UN LAVORO a tempo pieno!

    «Non lo so, Angel. Avremo molto da fare quando arriveremo lì, e poi…».

    «Somiglia molto a un sì».

    «Pensi di finire l’hamburger?»

    «Pensi di mangiare le patatine?». Angel tirò indietro la lingua e poi la spinse in avanti.

    «Sai che quella smorfia è considerata un insulto, in America?», l’ammonì Hayley.

    Angel cambiò espressione e guardò sua madre con una punta di scetticismo.

    Hayley la indicò e sorrise. «Fregata!».

    «Non è giusto!», si lamentò lei, poi allungò una mano e le rubò una patatina dal vassoio, infilandosela subito in bocca.

    Hayley sorrise, ne prese una anche lei e la inzuppò nel ketchup. Le patatine erano la cosa meno complicata del mondo.

    Guardò fuori dalla vetrina, verso la strada. Era già buio, il cielo annerito da nuvole pesanti e minacciose che si accumulavano sui tetti della città. La gente passava avvolta in cappotti di lana, correndo a casa dal lavoro o a fare qualche acquisto tardivo, i respiri che formavano nubi nell’aria gelida. Mancava solo qualche giorno, poi lei e Angel si sarebbero lasciate tutto alle spalle, volando per migliaia di chilometri sull’oceano per trascorrere il Natale nella Grande Mela. Temperature a due cifre sotto lo zero, strade piene di Babbi Natale, musica di Michael Bublé e bastoncini di zucchero.

    Hayley guardò una donna che spingeva la porta del ristorante per entrare e allungò una mano a toccare il braccio di sua figlia.

    «Pronto intervento moda, emergenza a ore tre». La toccò con più insistenza. «Angel Walker, dimmi come aiuteresti quella donna se avessi a disposizione solo una sciarpa e una molletta per capelli».

    «Oh, mamma, sul serio?». Angel guardò la donna che si dirigeva al bancone. «Secondo me sta bene così».

    «Scherzi? Stivali beige e cappotto grigio?».

    Angel sospirò. «Di che colore sarebbe la sciarpa?».

    Hayley sorrise. «Secondo te di che colore dovrebbe essere?»

    «Rossa?»

    Scosse il capo, facendo una smorfia di disapprovazione.

    «Marrone?»

    «Ah-ha. Ultimo tentativo?». Scrutò la figlia mentre esaminava la donna con attenzione.

    «A pois!», esclamò Angel.

    Hayley batté le mani. «Sì! Pensavo a una stampa dalmata, drappeggiata sul cappotto. Passerebbe da orrore a icona della moda in un attimo».

    «Glielo diciamo?», chiese Angel.

    Hayley rise e scosse il capo. «No».

    Per il momento era solo un gioco, un modo per tenere occupata la stilista che era in lei. Non aveva mai desiderato altro. Poter creare qualcosa che abbellisse le passerelle, vedere gli abiti prendere vita, consegnare i prodotti finiti a negozi d’alta classe in tutto il mondo. Guardò di nuovo Angel. Le sembrava che fosse passata una vita, ed era proprio così. Era cambiato tutto, la sua esistenza era irriconoscibile. Un tempo passava le notti a tagliare tessuti e ridere con gli amici bevendo Lambrini, poi era passata alle poppate notturne e ai cambi di pannolino. L’unica moda che era riuscita a influenzare era quella secondo cui vestiva la sua bambina, tentando di far passare i rigurgiti per l’ultimo grido. Aveva deciso di diventare madre, e le madri facevano sacrifici. Che altro c’era da dire?

    «Vernon ha un cane, si chiama Randy»¹, dichiarò Angel, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.

    Una patatina le andò di traverso, facendola tossire. «Cosa?»

    «Credo che l’abbia chiamato come un giudice di American Idol».

    «Speriamo», disse Hayley.

    Balmoral Road, Salisbury, Wiltshire, Inghilterra

    Angel aveva messo la versione di Santa Claus Is Coming To Town di Michael Bolton a ripetizione da quando avevano lasciato la città. Ora che avevano parcheggiato, la canzone era arrivata al crescendo finale. In un altro momento Hayley si sarebbe messa a cantare – imitava quasi alla perfezione lo scatto della testa e il tono di voce roco – ma era troppo in ansia per la quantità di cose che doveva ancora fare prima della partenza. Per fortuna non doveva più andare al lavoro, anche se era un’affermazione davvero strana.

    Il suo più grande errore era stato decidere di andare a bere qualcosa una volta con il suo manager, Greg. Il secondo problema era stato il fatto che lui non accettava un no come risposta, e se aveva continuato a insistere non era certo colpa sua; quando però l’aveva messa all’angolo accanto alla macchina del vapore per la pulizia a secco, quella era stata l’ultima goccia. Sistemare completi eleganti e abiti da cocktail macchiati per sei mesi era stato davvero troppo. Adesso aveva piena libertà, cosa che l’avrebbe terrorizzata di più se non avesse avuto l’accortezza di mettere da parte dei soldi grazie al suo secondo lavoro di organizzatrice di feste. Aveva avuto molto da fare nel periodo prenatalizio ed era riuscita perfino a racimolare qualcosa in più dando qualche consiglio di moda a una delle sue clienti più agiate. Con l’agenda dell’anno seguente libera e fondi sufficienti per coprire il viaggio, poteva concentrarsi sulla cosa più importante. La ricerca.

    Hayley serrò gli occhi e strinse il volante con tutte le forze. Anche se con Angel si mostrava coraggiosa, il viaggio la emozionava e terrorizzava in egual misura. Nei recessi della sua mente, soprattutto per via del fatto che adesso era disoccupata, andare a New York aveva tutte le caratteristiche di un piano di fuga. Poteva essere un modo per tastare il terreno laggiù, vedere come sua figlia avrebbe reagito alla vita newyorkese. Il solo pensiero la lasciò senza fiato. Lei e Angel che ricominciavano da capo davanti a nuovi orizzonti, ciambelle delle dimensioni di piatti da portata, mentre vagavano tra i piani di Barneys.

    Hayley aprì gli occhi. Considerando le sue finanze, per il momento poteva solo guardare le vetrine. Osservò Angel, che aveva tirato giù il parasole e faceva la bocca a cuore davanti allo specchietto come se stesse per scattarsi un selfie.

    Purtroppo Hayley non era come il suo intelligentissimo fratello, Dean, che era stato assunto dalla prestigiosa Drummond Global. Non aveva doti straordinarie da offrire agli Stati Uniti. Aveva solo una forte etica del lavoro e… nient’altro, a dire il vero. Come milioni di altre persone, era in cerca di un cambiamento, e New York, lastricata d’oro, era la giungla di cemento in cui i sogni potevano realizzarsi.

    «La rimetto?».

    Angel si era voltata sul sedile e la stava guardando, il dito sospeso sul pulsante del lettore CD dell’auto.

    «No, ti prego! Basta così».

    Angel emise una risata che le fece venire la pelle d’oca. Sua figlia sembrava innocente e senza pensieri, ma Hayley sapeva bene che non era così. Sapeva cosa le passava per la testa e cosa sperava ogni sera prima di andare a dormire, ed era pronta a tutto pur di risolvere la situazione. Forse New York sarebbe stata una soluzione per entrambe.

    «Forza, andiamo a far vedere alla nonna il tuo cappotto nuovo», disse aprendo lo sportello.

    Scese dalla macchina e chiuse la portiera, poi si infilò le mani nelle tasche del cappotto. Gli alberi lungo la strada gettavano ombre scure contro il chiarore arancio dei lampioni. Il ghiaccio cominciava a formarsi sui parabrezza delle auto parcheggiate e qualche casa aveva già attaccato le luminarie lampeggianti tra i mattoni o alle grondaie. Dietro le tende si scorgevano le sagome degli alberi di Natale decorati e Hayley assorbì la tranquillità della periferia inglese, concentrandosi su un gatto che saltava su una palizzata confinante. Per un paio di settimane, avrebbe visto ben altro panorama. Era pronta ad affrontare ciò che poteva portarle?

    Guardò Angel correre sul vialetto stringendo in mano il sacchetto con dentro il suo nuovo montgomery rosso.

    Lei si concesse ancora un momento, si appoggiò alla macchina e osservò la casa in cui era cresciuta. Non era cambiata, in ventotto anni. Il piccolo cancello di ferro nero era ancora mezzo scardinato, l’erba ben tagliata ma i cespugli di rose incolti. Era un po’ un miscuglio: alcune cose funzionavano bene, altre venivano trascurate. Più o meno come accadeva alle persone che vivevano lì dentro. Dean era stato cresciuto con cura, e ancora si occupavano di lui, mentre lei era stata lasciata tra le erbacce. Per una persona abbastanza autosufficiente non era stato un problema, ma poi lei era rimasta incinta e suo padre era morto.

    Il freddo l’avvolse nelle sue spire, e dentro di sé Hayley ebbe un brivido. Non ce l’aveva con suo fratello, anzi, lo amava con tutta se stessa. Ma appena era arrivata Angel, la situazione era peggiorata. Sua madre non l’aveva più guardata con gli stessi occhi. Tra loro c’erano silenzi imbarazzati, aiuti guardinghi, distacco emotivo. Rita era stata presente da un punto di vista pratico, punto e basta: le aveva dato denaro e consigli piuttosto che amore e sostegno, e ancora adesso le trasmetteva un senso di vuoto.

    «Mamma!», la chiamò Angel. «La nonna dice che se non entri subito devo chiudere la porta. Sta uscendo tutto il caldo!».

    Hayley alzò gli occhi al cielo e si fece coraggio. Doveva cercare di essere positiva, di sorridere e, soprattutto, non fare alcun riferimento al fatto che era disoccupata.

    «Rosso? Credevo che gliene avresti preso uno rosa. Avevi detto che volevi prenderlo rosa». Rita Walker non era una che le mandava a dire. Hayley vide sua madre voltare il capo e puntarle addosso uno sguardo accusatore.

    Angel smise di fare piroette e rimase immobile, le braccia distese, rigide, come uno spaventapasseri. Tutta la felicità per il cappotto nuovo si era persa di colpo di fronte a quel commento di Rita.

    «Abbiamo provato nove cappotti in otto negozi diversi. Ad Angel piaceva questo, e a dirla tutta a quel punto stavo perdendo la voglia di vivere», rispose Hayley. Perché sentiva sempre di dover difendere ogni sua decisione? Si accasciò sul divano, mancando di poco una catasta di riviste Home & Country. Non avrebbe mai capito perché sua madre vi si fosse abbonata. La loro casa era, ed era sempre stata, più vicina allo stile Britain’s Worst che a quello di Downton Abbey.

    «Quindi ti sei arresa». Rita tirò su col naso. «Ti sei accontentata». Si chinò in avanti e prese la sua raffinata tazzina da tè con il bordo scheggiato.

    Hayley annuì. «Ed è stato un vero affare». Alzò il tono di voce. «Non c’è niente di meglio di un affare fatto in un negozio di seconda mano».

    Non aveva mai visto sua madre muoversi così in fretta. Rita si alzò dalla poltrona reclinabile più veloce di un jet al decollo.

    «Angel, toglitelo». Si mise a tirare una manica, scuotendo la ragazza. «Presto».

    «Nonna, mi fai male!».

    «Smettila, mamma. Stavo scherzando».

    Angel sottrasse il braccio alla presa e se lo strinse intorno al corpo.

    Rita si voltò verso Hayley, in preda alla collera. «Perché hai detto una cosa del genere?»

    «E tu perché hai deciso che doveva essere rosa?».

    Hayley si accorse che Angel si stava tappando le orecchie con le mani. Era stata messa all’angolo ancora una volta. Rita era molto brava in quel gioco, ma non era giusto che sua figlia ne facesse le spese. Dovevano stare per un paio di giorni da sua madre perché il padrone di casa aveva deciso di ristrutturare la loro casa e l’impresa aveva bisogno di cominciare il prima possibile. Doveva cercare di preservare pace e tranquillità, ignorando gli strali diretti nella sua direzione. Tanto ormai era abituata a farlo.

    «Preparo del tè?», propose Hayley alzandosi in piedi.

    «Ho preparato un pasticcio. Angel, avrai una fame da lupi», disse Rita.

    «Veramente noi abbiamo già cenato», rispose la ragazzina riprendendo a fare piroette.

    «Ah, sì?», fece Rita.

    Hayley quasi corse in cucina per evitare di essere presente alle parole successive di Angel.

    «Siamo state da McDonald’s».

    Le parve quasi di avvertire un brusco calo di temperatura. Due notti. Solo due notti, e poi sarebbero partite per l’America.

    ¹ Randy in inglese significa «arrapato», «libidinoso». (n.d.t.)

    Capitolo 2

    Uffici della Drummond Global, Downtown Manhattan, Stati Uniti

    Oliver Drummond lasciò vagare lo sguardo. Mackenzie, capo della divisione legale, l’aveva annoiato fin dall’attimo in cui aveva dischiuso le labbra scarlatte. Accordo, management, negoziazione, collaborazione. E poi c’era la parola che lui preferiva: strategia. Le strategie non erano il suo forte. Lui era una persona pratica. Agiva d’istinto, anzi, quasi sempre d’impulso. Non rimuginava sulle cose, pagava gli altri per farlo. Quando i suoi impiegati avevano finito di creare strategie, a lui restava solo il compito di dare il via. Preferiva il traguardo, il touchdown vincente, non aveva alcun interesse per tutto ciò che veniva prima. Creazione e realizzazione erano il suo forte, e se a qualcuno non andava giù quel mantra, be’, sapeva cosa doveva fare.

    Oliver voltò il capo verso la decina di persone sedute al tavolo della sala conferenze al diciottesimo piano della Drummond Global e annuì rivolto a Mackenzie. Non aveva idea di cosa avesse detto, ma aveva piena fiducia nelle sue capacità di tirar fuori la società da qualsiasi disastro fosse stata chiamata a sbrogliare. Doveva fare uno sforzo per scoprirlo: doveva essere al corrente almeno dell’essenziale. Si infilò l’estremità della penna a sfera di metallo in bocca, premendosela tra le labbra. Negli ultimi mesi era stato così concentrato sul Globe che aveva perso di vista tutto il resto. Il Globe avrebbe segnato un grande cambiamento: il tablet non avrebbe solo modificato la vita dei consumatori, ma avrebbe rinnovato la sua passione per la compagnia. E lui si sarebbe gettato subito a capofitto negli impegni lavorativi degli altri progetti… non appena avesse superato la sbornia della sera prima. Il colpevole per ogni shot che aveva bevuto era il suo migliore amico, Tony.

    Si mosse sulla sua poltrona dirigenziale in pelle a capotavola quando sentì una fitta di dolore stringergli il petto come un elastico. Serrò i denti, cercando di ignorarla. Non aveva tempo per cose del genere. Non intendeva riconoscerne l’esistenza. Voltò la testa verso la vetrata che occupava l’intera parete e dava su Downtown Manhattan. Cadeva la neve, ammantando del suo biancore i tetti degli edifici tutto intorno e posandosi a terra. Puntò gli occhi nocciola sui fiocchi e osservò il loro percorso fin quando non sparivano alla vista. In quel momento avrebbe tanto voluto essere uno di loro e scivolare leggerissimo sospinto dal vento, inconsapevole di tutto il resto. Uno strato di bianco pendeva dal tetto neo-Gotico del Woolworth Building, mentre frammenti di ghiaccio gocciolavano da quel che riusciva a vedere della facciata di Broadway. Fuori, la città si stava trasformando in un paese invernale incantato; dentro, stava per arrivare una valanga.

    La distrazione fornita dalle condizioni climatiche non bastò. Il dolore non voleva saperne di andarsene. Anzi, sembrava aumentare di intensità ogni secondo. Si sforzò di non fare una smorfia di dolore chiudendo la mascella mentre la voce monotona di Mackenzie continuava a parlare in sottofondo.

    Poteva essere un dolore muscolare, senza dubbio. Forse si era strappato qualcosa allenandosi. E quelle assurde mosse che Tony l’aveva costretto a fare la sera prima? Si portò una mano alla cravatta grigia che gli stringeva la gola, allentandola un po’.

    «Oliver».

    Il tono diretto e l’intensità con cui venne pronunciato il suo nome lo indusse a riportare l’attenzione sul tavolo. Clara, la sua assistente personale, gli stava rivolgendo uno dei suoi sguardi speciali. Aveva le sopracciglia sollevate fino all’attaccatura dei capelli color mogano, il capo inclinato all’indietro, gli occhiali a metà del naso, le spalle dritte. Oliver intuì che il senso del messaggio doveva essere Concentrati sulla riunione, e subito, o mi licenzio. In qualche modo sapeva che così sarebbe riuscita a spaventarlo a morte.

    Oliver si raddrizzò sulla poltrona e un’altra fitta lo colpì alla cassa toracica. Non era affatto un buon segno. Era così che cominciava? No, doveva scacciare quel pensiero dalla sua mente, proprio come aveva fatto tutte le altre volte che gli era successo. Lui non era suo padre. Non era suo fratello. Quella storia non lo riguardava.

    Non ci credeva. Sapeva di essere il prossimo.

    Puntò lo sguardo sulla collana d’ottone sospesa appena sopra il decolleté da signora sulla cinquantina di Clara. Era un tributo a tutti gli orrori degli anni Ottanta. Dove aveva trovato quella roba? Un sorriso gli incurvò le labbra. Ottimo. Concentrarsi sull’orribile gusto di Clara in fatto di accessori funzionava. Si protese un po’ di più verso di lei, ignorando il battito insistente del cuore e il velo di sudore dietro la nuca. Poi il riflesso dei diamanti falsi cominciò a offuscargli la vista. Scivolò appena, sfiorando il gomito di Clara con una mano. I documenti che lei stringeva in mano volarono a terra in un’esplosione pirotecnica.

    Mackenzie smise di parlare, Oliver si tirò su in tutta fretta, battendo le palpebre disperatamente, in volto un’espressione che sperava comunicasse solidarietà e cameratismo. Fece un cenno col capo mentre Clara si chinava a raccogliere i fogli dalla moquette.

    Oliver si schiarì la voce prima di parlare. «Continua pure, Mackenzie».

    «Che è successo là dentro, Oliver? Se non fossi abbastanza vecchia da poter essere tua madre, avrei pensato che ci stavi provando con me», disse Clara mentre uscivano dalla sala conferenze.

    «Ti chiedo scusa. Mi annoiavo e non potevo guardare Mackenzie. Vorrebbe che uscissimo di nuovo insieme, ma l’ultima volta che l’ho invitata fuori ho scoperto che regge l’alcol meglio di me».

    Clara si voltò e gli rivolse un’occhiataccia da preside scolastica.

    «Lo so, lo so, e poi non voglio più mescolare lavoro e vita privata», dichiarò lui.

    «Allora, pensi di sapere tutto quello che serve per la proposta di fusione con la Regis Software?».

    I passi lunghi di Oliver la costringevano a correre per tenergli dietro nel corridoio. Con una mossa rapida lui svoltò a sinistra, dirigendosi verso gli ascensori. Doveva tornare nel suo ufficio, riprendere fiato. Si muoveva quasi sempre di fretta, prima di ricordarsi che Clara in genere faticava a camminare. Rallentò. «Sono stato io ad avviare il progetto, Clara. Mio padre e Andrew Regis non erano solo vecchi amici, ma quasi fratelli. È venuto a tutte le mie feste di compleanno finché non sono diventato troppo grande per i clown e le pignatte». Si fermò e premette il pulsante d’acciaio per chiamare l’ascensore. Cercò di nascondere il movimento del suo pomo d’Adamo. Non aveva la minima idea di cosa ci fosse scritto sul contratto della Regis Software. Lui l’aveva ideato, aveva disposto le basi dell’accordo… e poi cos’era successo? Non potevano essere già allo stadio finale, no? Che cosa si era perso, di preciso?

    «Quindi, detto questo, dopo aver cenato e bevuto hai deciso di mollare?». Clara aveva assunto il suo tono più diretto. Se non l’avesse conosciuta, avrebbe sospettato che fosse un’agente penitenziaria.

    Oliver riempì i polmoni al massimo e si voltò a guardarla. «Non lo so, Clara, per caso è successo qualcosa di cui non sono al corrente? Sei la mia assistente personale, se sai qualcosa il tuo compito è comunicarmelo».

    Lei lo guardò con aria confusa. «Io non so nulla».

    «Allora ti faccio una domanda… Sono o non sono l’amministratore delegato della Drummond Global?».

    A chi stava cercando di assomigliare? A Donald Trump? A Re Mida? Si accorse che Clara cominciava a perdere determinazione. Era brava nel suo lavoro, anzi, era fantastica. Allora perché stava cercando di sminuirla? Mosse la lingua e mandò giù l’amaro che aveva in bocca. La stava attaccando, combatteva invece di fuggire, perché lei l’aveva messo all’angolo. Se non faceva attenzione, rischiava di perdere il controllo.

    «Non sono mio padre, Clara». Smise di parlare, sentendosi mancare il fiato. «E non ho bisogno di essere coinvolto in ogni minima decisione. Il mio è un approccio più moderno».

    «Ne sono ben consapevole, Oliver». Clara fece una pausa prima di proseguire. «Sono solo preoccupata per te».

    «Per favore, non esserlo». Si inumidì le labbra. Il dolore era tornato, ed era molto peggiore. Il cuore gli martellava nel petto come il tamburo di una banda militare. Non riusciva più a riempire i polmoni d’aria, i respiri erano diventati corti e veloci. Cercò di riprendersi. «Non… non ti pago perché ti preoccupi per me».

    Una morsa gli afferrò il petto e lo strinse, spietata. Dove diavolo era l’ascensore? L’acciaio della porta che aveva davanti parve cominciare a deformarsi. La vetrata interna alla sua sinistra, ad arco, rifrangeva il sole del mattino che colpiva l’edificio dalle loro spalle. All’improvviso gli parve di essere in una sauna.

    «Oliver, stai bene?».

    Aprì la bocca per rispondere, ma la mascella gli si bloccò.

    Tutto veniva schiacciato e compattato, come l’immondizia in un camion della nettezza urbana.

    «Oliver», ripeté Clara.

    Le parole che voleva dirle si rifiutarono di uscirgli di bocca. La collana di Clara cominciò a roteare e, senza che lui potesse far nulla, il corpo di Oliver piombò a terra.

    Capitolo 3

    Balmoral Road, Salisbury, Wiltshire, Inghilterra

    Ho conosciuto una persona, ieri sera, in un locale pazzesco, il Viper. Michel De Vos!!! Un artista!!! Somiglia un po’ a Johnny Depp ed è anche straniero. Che cosa esotica!!! Credo che a Dean potrebbe piacere. Abbiamo ballato e parlato, e lui mi ha raccontato tutto dei suoi dipinti e delle sue fotografie. Esporrà i suoi lavori in due bellissime gallerie, New York Life e Tilton. New York mi sta dando delle opportunità incredibili. Non si incontrano artisti sexy, nel Wiltshire.

    Non ricordo in che albergo siamo andati. Cominciava con la T, oppure si chiamava The qualcosa. Però era carino, somigliava a un Hilton, e poi c’erano dei cioccolatini sul cuscino. Li ho mangiati tutti e lui non ha detto niente. Poi mi ha baciata, io ho baciato lui e abbiamo fatto TUTTO… due volte. Ero lì, distesa, e pensavo: questo è uno di quei momenti perfetti che ricorderò per sempre. Io, a New York, con un artista di nome Michel.

    Nella vecchia camera da letto di Dean, Hayley chiuse di scatto il suo diario degli ultimi dieci anni. Aveva già letto abbastanza. I ricordi erano belli, ma le sensazioni che li accompagnavano non erano piacevoli, anzi, la facevano sentire… sporca. Infilò il diario nello scaffale tra un romanzo di Jill Mansell e uno di Jilly Cooper, e non contenta del risultato ci piazzò davanti un elefante giocattolo e qualche altro pupazzetto peloso.

    «Mamma!», la chiamò Angel dall’altra camera da letto. Hayley avvicinò due pupazzi in modo da nascondere del tutto il diario e controllò il risultato. I guardiani pelosi l’avevano reso più evidente? Oppure invisibile?

    «Mamma!», gridò di nuovo Angel.

    «Arrivo!»

    Hayley non poté trattenere un sorriso quando arrivò nell’altra camera. Angel stava riempiendo con gran cura la valigia, i codini che rimbalzavano seguendola mentre faceva avanti e indietro nella stanza più piccola della casa.

    Angel si voltò a guardarla con un grosso dizionario in mano. «Ho ventitré chili a disposizione, giusto?»

    «Sì, ma sei sicura di voler portare un dizionario?»

    Aveva la copertina rigida, e sua figlia faceva fatica a tenerlo con una mano sola.

    La risposta arrivò immediata. «È il mio preferito».

    Sua figlia aveva un vocabolario preferito. Perché lei non lo sapeva? Provò un moto d’orgoglio materno, anche se pesava troppo.

    Hayley si sedette sul bordo di quello che era stato il suo letto, da bambina. La trapunta con i vortici e gli scarabocchi era stata sostituita molto tempo fa da una a linee precise, neutra e formale: l’ideale, nel caso la regina o Mary Berry avessero bisogno di un letto per la notte.

    «I libri ci sono anche a New York, sai». Hayley diede un colpetto alla trapunta accanto a sé.

    Angel si mise le mani sui fianchi e assunse un’espressione minacciosa.

    «Significa che non posso portare il mio dizionario preferito?».

    Come bisognava reagire di fronte a una bambina di nove anni che assumeva pose alla Beyoncé?

    «E se volessi sapere cosa significa marciapiede

    «Sai già cosa significa marciapiede».

    «Non è questo il punto». Angel spinse la testa in avanti, come uno struzzo che ha puntato un boccone. «In America potrebbero esserci delle cose che non capisco».

    «Parlano inglese, Angel».

    «Ma l’inglese americano è molto diverso da quello britannico!».

    «Ah, sei già informatissima», ribatté Hayley.

    «Ho bisogno del mio vocabolario». Mise il broncio meglio di Naomi Campbell.

    «Il tuo vocabolario di inglese britannico».

    Angel emise un ringhio, come una belva inferocita in un documentario naturalistico, molto più orso che struzzo. «Scommetto che invece tu porterai quell’enorme diario».

    Quella risposta bruciava, ma lei fece di tutto per non darlo a vedere. Il diario che aveva appena nascosto era una specie di granata inesplosa. Non sapeva nemmeno perché l’avesse tenuto. Erano quasi tutte annotazioni di un paio di righe, a volte solo qualche parola.

    A Angel è caduto un dente mentre mangiava un dolcetto Quality Street giallo. Mia madre ha fatto un altro dei suoi apprezzamenti sulle madri single; chiederà a Denise Robertson di darmi qualche consiglio al più presto. Greg mi ha comprato un panino con la salsiccia da Greggs, sarebbe anche divertente se non si aspettasse di poter infilare la sua salsiccia da qualche parte tra me e lo stira-pantaloni.

    Hayley si costrinse a sorridere. «Non lo porterò». Ormai non poteva più farlo.

    Angel si lasciò cadere sulla trapunta, incrociando le gambe sotto il corpo con un’elasticità tale da poter dare del filo da torcere a qualsiasi esperta di pilates. «Dovresti prendere un diario nuovo».

    «E perché? Quello che ho non ha niente che non va». Sperava con tutto il cuore che sua figlia non lo avesse letto. Insieme alle frasi sparse sui fatti che le erano accaduti negli ultimi mesi, lì dentro erano racchiusi anche i nove anni precedenti, compresi i primissimi momenti di vita di Angel. Ed erano quelli gli appunti più controversi, nonostante fossero stati anche i più utili quando aveva deciso di partire per il viaggio ormai imminente.

    «Allora dovresti portare il tuo libro delle idee. Quello con tutti i disegni, i progetti e quei pezzetti di stoffa», suggerì Angel.

    Il suo libro delle idee. Ultimamente aveva avuto così poche idee che aveva usato il fondo del volumetto per prendere appunti per l’organizzazione di feste. Quasi tutti chiedevano i pacchetti descritti sul suo sito, ma sporadicamente qualcuno le chiedeva qualcosa di diverso, e lei ci si gettava a capofitto, come un leone affamato che non vedeva una preda da secoli.

    «E a cosa mi servirebbe?»

    «Per appuntare tutti i consigli che dài alla gente». Angel sorrise. «Come quella donna da McDonald’s. Sciarpe immaginarie». Agitò in aria una mano. «Berretti e fibbie. A New York avrai tante fonti d’ispirazione».

    Hayley sorrise, felice del suo entusiasmo. «Stai cambiando argomento, signorina, e dobbiamo prepararci per il viaggio». Allungò le dita e le sfiorò le costole, facendole il solletico.

    «Piantala!», strillò Angel.

    «Come, scusa? Non ho sentito».

    «Mamma!», gridò lei, cadendo all’indietro sul letto e cercando di sottrarsi all’assalto. «Se fai così la nonna verrà su, e sai che non le piace essere interrotta quando guarda Coronation Street».

    Hayley tirò indietro le dita con uno scatto più veloce di una trappola per topi. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era di avere sua madre sul piede di guerra.

    Lasciò scorrere lo sguardo da Angel al grosso volume sul letto. Lo prese e lo aprì.

    «Ah, ecco una parola che devo tenere a mente! Bodega: cantina o rivendita di vini e cibi, soprattutto nei Paesi di lingua spagnola».

    Angel glielo chiuse e se ne riappropriò. «Spero che non passeremo tutto il tempo a cercare vino bianco frizzante».

    «No, appena avremo trovato un negozio di fiducia andremo solo lì».

    Angel incrociò le gambe di nuovo, posando il vocabolario al centro e puntando lo sguardo su Hayley. «Credi che per la nonna non sarà un problema restare sola a Natale?».

    Era una domanda sincera. Angel adorava Rita. Era l’unica altra persona che fosse sempre stata presente nella sua vita, ed era stata davvero presente. Se non nello spirito, nel corpo.

    Rita non partiva con loro perché aveva un appuntamento all’ospedale, il giorno della Vigilia. Aspettava da sei mesi di poter essere visitata da un medico specialista per verificare lo stato della sua artrite, e non aveva il coraggio di provare a spostare la data. Hayley si sentiva in colpa per due motivi: il primo era che forse sarebbe dovuta restare per accompagnare sua madre all’appuntamento, e il secondo che quella visita era stata la scusa perfetta per non invitare Rita ad andare con loro. Quel pensiero la colpì al cuore.

    Cinse sua figlia con un braccio e l’attirò a sé, dandole un bacio sopra la testa. «Credo che la nonna se la caverà benissimo, da sola. Non hai visto la testa di salmone nel freezer? E poi ha nascosto dei Bendicks in fondo alla dispensa».

    «Sono quei cioccolatini fondenti alla menta?»

    «Esatto, quelli che tiene sempre accanto alla sua sedia, sotto stretto controllo, a Natale».

    «Se ne mangio più di tre poi mi brucia la bocca».

    «E questo è il motivo numero 49 per cui il Natale sarà più bello a New York: non dovremo mangiare i cioccolatini della nonna».

    «Ma li mangeremo con lo zio Dean, Vernon e Randy».

    «Sei proprio sicura che Randy sia un cane?»

    «Sì…». Angel tacque per un attimo. «Be’, su Skype ho sentito qualcosa abbaiare in sottofondo, e c’era un collare di pelle sull’appendiabiti dietro lo zio Dean».

    «I cani sono allergici alla cioccolata», si affrettò a risponderle. «Sai, come la nonna è allergica ai vestiti di seconda mano».

    Angel sospirò. «La nonna è buona. È solo diversa da te».

    Quella frase così semplice, sulle labbra di sua figlia, la colpì nel profondo. Perché era vero: sua madre non era certo un mostro. Non l’aveva mai picchiata né privata di beni materiali, solo non aveva mai lasciato grande spazio all’emotività. Questo però non la rendeva una cattiva madre. Erano solo una l’opposto dell’altra.

    «Scusa», disse Hayley in poco più di un sussurro.

    «Allora, posso portare il dizionario?». Angel batté le palpebre, spingendo in fuori il labbro inferiore e assumendo un’incredibile somiglianza con un personaggio del film Annie.

    Hayley sospirò. «Puoi portare il dizionario se prometti di lasciare qui quel vecchio libro di storie natalizie. Non potrei sopportare un altro anno con Alfie che cade nel negozio di giocattoli tutte le sere per una settimana».

    Guardò Angel, convinta che avrebbe abbandonato il vocabolario. Il viso di sua figlia era inespressivo.

    «Okay».

    «Okay?», ribatté lei. «Sicura? Deve essere proprio un dizionario speciale».

    «Ho deciso di portarlo, e dato che sei una mamma fantastica, credo che ti meriti del vino frizzante», dichiarò Angel, controllando l’orologio. «Sono le otto passate ed è quasi Natale».

    «Presto! Dov’è la bodega più vicina?». Hayley sorrise. «Forza, è tardi. Togliamo la valigia dal letto, devi metterti sotto le coperte».

    Fece fatica a sollevare la valigia, ma riuscì a farla scivolare a terra senza rovesciare nulla né farla sbattere troppo forte contro il pavimento. Quella sera c’era una doppia puntata di Coronation Street. Quando raddrizzò la schiena, Angel si stava già infilando nel letto, con gli occhi spalancati, ma mostrando già i primi segnali di sonno. Sbadigliò.

    «È ora di dormire», disse Hayley, accarezzandole i capelli.

    «Sai, non mi importa se a New York non hanno lo Yorkshire pudding».

    Hayley osservò la sua espressione. I suoi grandi occhi azzurri erano preoccupati. Non voleva che fosse così. Qualsiasi cosa la vita avesse in serbo per loro, non doveva gravare sulle spalle di Angel.

    «Ho una buona notizia». Hayley sorrise. «Google mi ha detto che ce l’hanno, ma lo chiamano popover».

    «Sul serio?». Angel non sembrava molto convinta.

    «Sul serio. E la notizia ancora migliore è che vendono i preparati già pronti da cucinare».

    Angel fece un sorrisone, poi chiuse le dita a pugno, emozionata.

    «Motivo numero 84 per cui il Natale a New York sarà più bello: hanno lo Yorkshire pudding». Hayley sorrise. «Allora, ricapitoliamo. Sappiamo cos’è una bodega e probabilmente potremo prendere la miscela per preparare lo Yorkshire pudding mentre andiamo a comprare il vino frizzante».

    «Mamma!», esclamò Angel, dandole una manata su un braccio e scoppiando a ridere.

    Lei continuò a sorridere, ma inspirò a fondo e osservò l’espressione allegra che era riapparsa sul volto della figlia. Quel viaggio era tutto per Angel, e lei non lo sapeva ancora.

    Si chinò e le diede un bacio sulla fronte. «Adesso dormi. Niente letture su George Washington o su quanti

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