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Left. Il bacio che aspettavo
Di Tania Paxia
Azioni libro
Inizia a leggere- Editore:
- Newton Compton Editori
- Pubblicato:
- Aug 10, 2018
- ISBN:
- 9788822724441
- Formato:
- Libro
Descrizione
Dopo la sconvolgente rivelazione su suo padre, Frankie scappa via alla fine del concerto del gruppo di Jayden. Lui non riesce a fermarla, né a rintracciarla. Frankie è come sparita nel nulla. Con il passare dei giorni la sua assenza per Jayden diventa quasi un'ossessione che lo insegue anche di notte, nei sogni. Immergersi nel lavoro sembra l'unica soluzione per non pensare a lei, ma Frankie continua a essere al centro dei suoi pensieri e in una sola notte Jayden riesce a scrivere il testo e a comporre la melodia di una canzone, un notturno blues, dedicato a Frankie. Per sentirla vicina continua a lasciarle messaggi in segreteria, fino a quando, un giorno, è costretto ad allontanarsi da New York per raggiungere Hartford, la sua città natale…
Tania Paxia
Vive in provincia di Livorno. Frequenta la facoltà di Giurisprudenza di Pisa, ma la sua grande passione è scrivere. La Newton Compton ha pubblicato Le strane logiche dell’amore, un grande successo sul web, Ti amo ma non lo sai, Ti amo già da un po' e Prima che arrivassi tu.
Informazioni sul libro
Left. Il bacio che aspettavo
Di Tania Paxia
Descrizione
Dopo la sconvolgente rivelazione su suo padre, Frankie scappa via alla fine del concerto del gruppo di Jayden. Lui non riesce a fermarla, né a rintracciarla. Frankie è come sparita nel nulla. Con il passare dei giorni la sua assenza per Jayden diventa quasi un'ossessione che lo insegue anche di notte, nei sogni. Immergersi nel lavoro sembra l'unica soluzione per non pensare a lei, ma Frankie continua a essere al centro dei suoi pensieri e in una sola notte Jayden riesce a scrivere il testo e a comporre la melodia di una canzone, un notturno blues, dedicato a Frankie. Per sentirla vicina continua a lasciarle messaggi in segreteria, fino a quando, un giorno, è costretto ad allontanarsi da New York per raggiungere Hartford, la sua città natale…
Tania Paxia
Vive in provincia di Livorno. Frequenta la facoltà di Giurisprudenza di Pisa, ma la sua grande passione è scrivere. La Newton Compton ha pubblicato Le strane logiche dell’amore, un grande successo sul web, Ti amo ma non lo sai, Ti amo già da un po' e Prima che arrivassi tu.
- Editore:
- Newton Compton Editori
- Pubblicato:
- Aug 10, 2018
- ISBN:
- 9788822724441
- Formato:
- Libro
Informazioni sull'autore
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Anteprima del libro
Left. Il bacio che aspettavo - Tania Paxia
unico
Capitolo uno
Che vuol dire Andata
?
Fermo sul marciapiede, osservai l’auto che si allontanava nella notte. Anziché reagire e passare all’azione, mi congelai. Ero impietrito, non sentivo più nulla, soltanto i pensieri che mi rimbombavano in testa. Non riuscivo a credere a quanto era appena successo.
Mi ero dichiarato. Per la prima volta dopo… boh, non lo sapevo più neanche io dopo quanto tempo. Avevo perso la testa, innamorandomi di una ragazza dai capelli arancioni che costruiva chitarre. E mi ero dichiarato, sì, ma lo avevo fatto anche nel momento più sbagliato. Non avevo mai fatto una dichiarazione simile a una donna, però mi ero rovinato sul finale, dicendole che sapevo chi era dalla prima volta che l’avevo vista. E poi, be’, era scoppiata la bomba. Al ci aveva interrotti proprio sul più bello e lei aveva capito tutto quanto da sola. Il bassista aveva sfoggiato il tatuaggio e addio Frankie. L’avevo vista sgranare gli occhi e scuotere la testa, incredula di fronte alla pura e semplice verità, confermata peraltro anche da sua madre che ci aveva raggiunti dietro le quinte del Walter Kerr Theatre. Era stata una notte destinata a rimanere nella storia. Non per il concerto, ma perché nella stessa sera, in una manciata di minuti, ero riuscito a passare dall’euforia e dalla felicità più assolute all’angoscia più totale. Dopo che Al le aveva rivelato che il padre che stava cercando da anni era proprio lui, avevo trattenuto Frankie per il busto, altrimenti gli si sarebbe scagliata addosso per fargli del male, come aveva fatto con Eric Benson, al quale aveva assestato un bel pugno sulla faccia da stronzo che si ritrovava. Eric se l’era meritato, eccome se se l’era meritato. Ma Al no, non meritava lo stesso trattamento. A differenza di Frankie, conoscevo la sua storia, e sapevo la marea di cazzate che avevano raccontato sua madre e suo nonno. Frankie ignorava ancora tante cose. Troppe cose, forse. Purtroppo se ne era andata via ancora prima di scoprirle. Era fuggita in preda alla confusione e io l’avevo inseguita nel vicolo sul retro del teatro, fregandomene di tutto il resto e del fatto che fossi Jayden Maynard, leggenda vivente che solitamente non si prendeva la briga di rincorrere proprio nessuno. In quel momento, però, mi ero sentito soltanto Jay. Non più il chitarrista. Né la voce più conturbante dell’ultimo decennio. Jay. Jay l’innamorato. Un nuovo Jay che avevo scoperto a trent’anni. Tardi, ma in tempo.
Avevo fatto di tutto per raggiungerla, ma non ce l’avevo fatta. L’avevo vista dirigersi verso un taxi e avevo provato a correre più veloce, riuscendo ad avvicinarmi all’auto giusto in tempo per vederla un’ultima volta attraverso il finestrino. Avevo battuto la mano contro il vetro urlando come un pazzo. Uno scambio di sguardi e poi più niente. Mi ero bloccato ed ero rimasto a guardare impotente il taxi che sfrecciava via con lei a bordo, con un unico pensiero che continuava a tormentarmi la mente: Ferma quel cazzo di taxi e torna indietro. Torna da me
.
Dopo aver visto Frankie scomparire del tutto, mi resi conto dell’enormità dei fatti di quella sera. Mi mancava il fiato per la corsa improvvisa e la stanchezza post concerto, che si era fatta sentire fino a una decina di minuti prima, sembrava essere scomparsa.
Deglutii a fatica e provai a ragionare. Dove poteva andare a quell’ora, se non a casa sua? Non aveva altro posto in cui andare.
Posso ancora raggiungerla
, riflettei.
Feci qualche passo indietro, al rallentatore, con lo sguardo ancora ben piantato sulla strada. Non riuscivo neanche a rendermi conto di dove mi trovassi, così avevo aperto e richiuso le palpebre più di una volta, come per risvegliarmi da un brutto sogno. Un incubo, in questo caso. Dal lato opposto della strada vidi le locandine gigantesche dell’Ambassador Theatre, mentre alla mia sinistra notai l’insegna gialla del ristorante italiano Da Marino: era surreale ciò che era successo e ancora più surreale era starmene lì con gli occhi sbarrati senza far niente. Dovevo tornare in me e connettere il cervello. Appena riuscii a riprendere il controllo, tornai indietro correndo più veloce che potevo fino a rientrare dalla porta sul retro del teatro.
Passai dal caos in strada al caos dietro le quinte, perché Al e Danielle – la madre di Frankie – si stavano accusando a vicenda.
«Non ne avevi il diritto», gli stava urlando lei.
«Oh, davvero?», le rispose Al, facendo la voce grossa. «E chi lo dice? Tu? La madre modello che le ha nascosto tutto? Tu sì che ne avevi il diritto». Gli si formò un sorriso nervoso sul volto smunto. «Davvero un gran bell’esempio le hai dato».
Sam e Bernie stavano assistendo alla scena sulla soglia del camerino, mentre provavano a fare finta di niente, a deviare altrove l’attenzione degli altri miei collaboratori e a lasciare ad Al e Danielle un po’ di privacy. Quei due avevano bisogno di un mediatore o un arbitro di pugilato, altro che privacy!
«Hai proprio una faccia tosta, sai?», replicò Danielle. I suoi occhi intensi, di una strana tonalità di verde, erano furenti. Era molto elegante con quel tailleur scuro, peccato che il suo bellissimo volto fosse stravolto da un’espressione inferocita. Al me l’aveva sempre descritta come una donna dolce, sensibile, eccentrica, con la testa per aria, ma non certo aggressiva. Quando l’avevo vista la prima volta a casa di Frankie mi era sembrata simpatica, anche se non mi vedeva di buon occhio: non le ero andato a genio, evidentemente. Ritrovarsi Jayden Maynard avvolto in un asciugamano nel soggiorno di casa di sua figlia doveva averla scioccata non poco.
«Dani», Al cercò di farla ragionare, ma ottenne soltanto l’effetto opposto.
«Non chiamarmi Dani», gli puntò l’indice contro, inclinando la testa all’indietro per poter riuscire a guardare Al negli occhi, come Frankie faceva con me. Un attimo. Frankie!
Attirai la loro attenzione con un «Ehi!», perché non si erano neanche accorti del mio ritorno.
«Oh, eccolo il grande e sopravvalutato Jayden Maynard», non solo l’avevo scioccata, ma mi ero anche attirato addosso il suo odio. Mi fulminò e si affrettò a guardare oltre le mie spalle, in direzione della porta, come se si aspettasse di veder rientrare Frankie da un momento all’altro. «Sei stato tu l’artefice di tutto, non è così? Sei tu che li hai fatti incontrare», sì ce l’aveva proprio con me, altroché. «Come ti sei permesso? Hai usato la scusa della chitarra per farli conoscere. Non ti vergogni neanche un po’?», si posò le mani sul volto rosso per la rabbia. «Ti senti un dio? Non solo hai manovrato la vita di mia figlia, te la sei anche portata a letto!».
«Che?», esplose Al. Si voltò anche lui nella mia direzione e mi lanciò uno sguardo di rimprovero. Lui aveva nascosto una cosa a Frankie. Io avevo nascosto una cosa a lui. Eravamo pari. «Ci sei andato a letto? Jay, per l’amor del cielo». Si passò una mano sul volto e si strofinò gli occhi, distrutto dalla stanchezza e dalla visione traumatica di me e sua figlia nello stesso letto. Ops. Adesso anche lui mi guardava con odio. Probabilmente sospettava che io e Frankie ci fossimo avvicinati, ma non così tanto.
Alzai le spalle e feci un cenno come per dire «Non è il momento di parlarne», ma era evidente che Al non fosse dello stesso avviso. «Avevi detto che ti piaceva ma era un’amica. Solo un’amica», ribadì con più convinzione.
«Non m’importa cosa ti ho detto», gridai fuori di me. «Lei se n’è andata via», indicai la porta che dava sul retro e dalla quale Frankie non era rientrata insieme a me. «Andata», gridai più forte.
«Che vuol dire andata
?», Al si spazientì ancora di più.
«Che se n’è andata a bordo di un taxi», avevo il fiatone e il cuore a mille. «Quindi, vi dispiace rimandare a dopo questa discussione? Vorrei raggiungerla». Caricai di rabbia ogni singola parola.
Danielle si portò una mano alla bocca. «Che aspettiamo? Forza! Prendo le chiavi della macchina», si affrettò ad aprire la sua borsetta per poi tirarne fuori un mazzo di chiavi con un portachiavi lungo, di quelli che puoi appendere al collo. Fece qualche passo avanti per raggiungere il più in fretta possibile la porta che dava sul vicolo sul retro del teatro; Al la seguì a ruota, ma lei si fermò e si voltò verso di lui con l’intento di bloccarlo.
«Tu no», gli disse sbarrandogli la strada. «Se sta scappando è per colpa tua».
«No, sono costretto a correggerti. Se sta scappando», fece una fatica mostruosa a trattenere la rabbia, «è per colpa di tuo padre, ma soprattutto tua, mia cara Dani. Ora lasciami passare oppure giuro che ti prendo in brac…».
«La volete finire voi due?», urlai. «State solo perdendo tempo». Sembravano due ragazzini che si stavano contendendo un giocattolo. «Cristo!», mi sfogai su Al, dandogli una spinta di lato per toglierlo di mezzo e andare all’inseguimento di Frankie.
«Jay!», mi chiamò la voce preoccupata di Bernie. «Dove stai andando? Il party…», ma io ormai ero già uscito, con alle calcagna Al e Danielle, che si era fermata solo un attimo per togliersi i tacchi.
Non me ne fregava un cazzo del party, delle interviste post concerto, dei giornalisti, degli ospiti e nemmeno degli alti vertici della casa discografica che volevano congratularsi con me. Non me ne fregava un cazzo neanche di Bernie e della sfuriata che mi avrebbe fatto per telefono o tramite messaggio in segreteria. Mi dispiaceva per lei, ma Frankie era più importante di tutto il resto.
«A destra», mi urlò Danielle in preda all’agitazione. «Nel parcheggio coperto». Che si trovava proprio nella stessa via in cui avevo visto Frankie salire sul taxi e scomparire nel traffico.
Raggiungemmo l’auto di Danielle e insistetti per guidare; ero così determinato che le strappai addirittura le chiavi di mano. Lei si limitò a salire sul sedile posteriore e a sporgersi in avanti facendo capolino tra me e Al, per continuare il discorso di poco prima. Non ebbi il tempo di mettere in moto che già lei aveva ricominciato a blaterale di quanto fossi irresponsabile, immaturo, meschino, insensibile, calcolatore… cose che mi dicevano in continuazione, quindi non mi sfioravano neanche più. Poi però mi definì anche in un altro modo: «Bugiardo».
E allora scoppiai a ridere, con la rabbia che mi ribolliva nel sangue. «Detto da te è un complimento». Uscii dal parcheggio e dopo qualche metro rallentai fino a fermarmi; eravamo praticamente imbottigliati nel traffico. In più mi ero dimenticato di spingere più indietro il sedile. Risultato: avevo quasi le ginocchia in gola. Andai alla ricerca della leva e allungai le gambe.
«Mia figlia deve essere impazzita per essersi invaghita di uno come te», proseguì.
Doveva avere almeno vent’anni quella macchina. E aveva un gran bisogno di essere revisionata perché andava a