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Libri, amori e segreti
Libri, amori e segreti
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Ebook560 pages8 hours

Libri, amori e segreti

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About this ebook

«Amerete alla follia questa lettura che scalda il cuore!»
Trisha Ashley

Cinque amiche. Cinque donne diverse. Un’unica passione: i libri.

A Little Sanderton, un piccolo paese in riva al mare, c’è un bookclub molto speciale. I suoi membri si riuniscono per condividere una passione comune: la lettura. Grace, Anne Marie, Kate, Jojo e Serena sono donne molto diverse, ma nei loro incontri riescono a parlare apertamente di tutto – amore, amicizia, famiglia – come se si conoscessero da sempre. Ogni mese si danno appuntamento nel bellissimo cottage di Serena in compagnia di un bel libro. Ma immergendosi in quelle storie, non possono non notare certe analogie con le proprie vite: i libri diventano per le cinque donne fonte di insegnamenti e di preziosi consigli. La lettura di Charles Dickens, Jane Austen, David Herbert Lawrence, Charlotte Brontë e Francis Scott Fitzgerald sarà un faro che guiderà il gruppo attraverso gli alti e i bassi della vita. Una vita che, si sa, a volte supera il più incredibile dei romanzi…

A volte la vita riserva più sorprese di quante se ne possano trovare in un romanzo…

«Vale sempre la pena di leggere Della Parker.»
Woman’s Weekly

«Amerete alla follia questa lettura che scalda il cuore!» 
Trisha Ashley, autrice di Cosa indossare al primo appuntamento

«Delizioso: una garanzia di romanticismo, risate e lacrime.»
Lancashire Evening Post
Della Parker
Vive in un paesino del Dorset con i suoi due cani. I suoi hobby, quando non scrive, sono la palestra e le maratone. Ma la scrittura resta senza dubbio la sua attività preferita.
LanguageItaliano
Release dateJun 8, 2018
ISBN9788822723734
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    Book preview

    Libri, amori e segreti - Della Parker

    1981

    Illustrazione di copertina: © Sara Ciprandi

    Titolo originale: The Reading Group: December

    Copyright © 2016 by Della Parker

    Traduzione dall’inglese di Piera M. Martini

    Titolo originale: The Reading Group: January

    Copyright © 2016 by Della Parker

    Traduzione dall’inglese di Mariafelicia Maione

    Titolo originale: The Reading Group: February

    Copyright © 2016 by Della Parker

    Traduzione dall’inglese di Elena Papaleo

    Titolo originale: The Reading Group: March

    Copyright © 2016 by Della Parker

    Traduzione dall’inglese di Mariafelicia Maione

    Titolo originale: The Reading Group: April

    Copyright © 2017 by Della Parker

    Traduzione dall’inglese di Beatrice Nigrisoli

    Titolo originale: The Reading Group: Summer

    Copyright © 2017 by Della Parker

    Traduzione dall’inglese di Elena Papaleo

    Prima edizione ebook: giugno 2018

    © 2018 Newton Compton editori s.r.l, Roma

    ISBN 978-88-227-2063-4

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Della Parker

    Libri, amori e segreti

    Indice

    Dicembre

    Gennaio

    Febbraio

    Marzo

    Aprile

    Estate

    Dicembre

    Scrooge

    Era l’ultimo incontro del gruppo di lettura prima di Natale. Grace era tentata di non andare. Non era certa di riuscire a starsene seduta nell’accogliente stanzetta addobbata a festa ad ascoltare le amiche chiacchierare delle imminenti festività con la consapevolezza che a casa sua il Natale era abolito.

    «Va’», disse Ben. «Ti distrarrà».

    Nel guardarlo vide nei suoi occhi che era preoccupato per lei, così annuì. «Sei sicuro che non ti scocci? Cosa ti metterai a fare?»

    «Quello che faccio di solito il giovedì sera: guardo MasterChef e impedisco ai bambini di uccidersi a vicenda». Le diede un bacio sul naso. «Va’».

    Dunque eccola lì. La porta d’ingresso leggermente aperta proiettava uno spiraglio di luce nella notte. A quanto pareva tutte le luci della casa erano accese, di certo lo erano nelle stanze che davano sul vialetto, sia al primo sia al secondo piano. In salotto, un grande albero brillava di luci argentee, finti cristalli di ghiaccio splendevano negli angoli delle finestre, l’intera casa sembrava uscita dal set di un film

    di Natale, del tipo in cui c’è una famiglia intenta a riempire calze, del tipo in cui nulla di brutto è mai accaduto.

    Grace deglutì. Poteva farcela? Poteva stamparsi sul viso un sorriso e fingere che tutto andasse bene? Non ne era certa. Quello di cui era certa era di non poter accennare alle proprie preoccupazioni, perché se avesse cominciato non sarebbe riuscita a fermarsi. Tutto il dolore delle ultime settimane, tutto quel dolore che lei e Ben si erano sforzati di reprimere, be’, se avesse sollevato il coperchio, anche solo di poco, si sarebbe riversato fuori e avrebbe rovinato la serata a tutte. E l’ultima cosa che Grace voleva era quella.

    Forse non sarebbe dovuta andare. Ormai però era tardi. Lo scricchiolio delle ruote sulla ghiaia alle sue spalle annunciò l’arrivo di una del gruppo. Grace raddrizzò la schiena e si diresse verso la porta.

    «Grace, angelo mio, come stai?». Jojo era all’ingresso. La materna, adorabile Jojo non era la padrona di casa, bensì la matriarca del gruppo. Quando si abbracciarono, i braccialetti della donna tintinnarono e uno dei suoi foulard si impigliò alla collana di Grace, rendendole per un istante legate da un filo.

    Sotto le luci abbaglianti e vicina alle altre donne ciò che Grace provava era difficile da nascondere. «Sembri un po’ pallida… Esagerato col brandy natalizio?»

    «Moi?», disse Grace, sollevando le sopracciglia fintamente scandalizzata.

    «Be’, in tal caso questa è la serata giusta… non sei venuta in macchina, vero?». Jojo le strizzò l’occhio e districò il filo impigliato, ben sapendo che Grace viveva a due passi da lì.

    «Sai che sono astemia», scherzò Grace di rimando (felice che così non fosse). Dopo la profonda angoscia dell’ultimo periodo, era un inaspettato sollievo abbandonarsi al flusso delle chiacchiere e delle battute leggere. Ce l’avrebbe fatta. Ben aveva avuto ragione. Un paio d’ore di gossip e risate – e qualche intervento sui libri, certo – era proprio ciò di cui aveva bisogno. Annusò l’aria. «È vin brulé quello che sento?».

    Ma era chiaro che gli sforzi di Grace per mostrarsi allegra non fossero così convincenti come lei aveva sperato. Non fu solo Jojo a chiederle se andasse tutto bene. Ma tutte, una alla volta, ciascuna alla propria maniera.

    Serena, a capo del gruppo e padrona di casa, le chiese: «Bellezza, come stai?», con un evidente punto interrogativo di preoccupazione negli occhi azzurri.

    La perspicace Kate, che una volta creava siti web per l’

    IBM

    , domandò: «Stai bene? Sembri stanca, cara».

    Anne Marie, la tranquilla del gruppo (ma l’acqua cheta scorre in profondità), si limitò a sollevare leggermente le sopracciglia per chiedere: «Tutto bene, coniglietta?».

    Grace sorrise a tutte serenamente e annuì dispensando risposte di circostanza, risposte vaghe.

    «Non sono tutti stanchi a Natale? Se non ti viene un esaurimento nervoso c’è qualcosa che non va». Ah, e poi la risposta di circostanza per eccellenza: «Un po’ di trambusto con i ragazzi… sapete com’è».

    Lo sapevano tutte: Grace aveva tre gemelli di cinque anni; la vita era un trambusto perenne.

    Si sedette a un’estremità del divano Chesterfield, sorseggiando un bicchierino di vin brulé le cui spezie le solleticavano la lingua. Il caminetto emanava calore. Il chiacchiericcio intorno a lei era un flusso che la avvolgeva. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che si era sentita così protetta, che aveva avvertito quel tepore.

    «Bene». Serena fece tintinnare il cucchiaio sul bicchiere. «Immagino sia il caso di iniziare a parlare di libri. Jojo ha scelto il classico di questo mese per noi. Cosa leggiamo, cara?».

    Jojo sorrise e batté le mani, producendo un tintinnio musicale di braccialetti. «Allora, angeli. So che siamo tutte impegnate, perciò ho scelto una storia che potete, alle brutte, limitarvi a guardare in

    TV

    dal momento che è un classico natalizio. Rullo di tamburi, prego…».

    Tutte tamburellarono le dita sui bicchieri, sui braccioli del Chesterfield e sulle ginocchia per compiacerla. Kate, che aveva le gambe più lunghe, batté i tacchi sul bordo del caminetto in pietra.

    «Leggeremo il libro di uno dei più grandi romanzieri britannici», disse Jojo, mostrando il volume con un gesto plateale. «Ho scelto per voi Canto di Natale di Mr Charles Dickens».

    «Wow», fece Kate. «Mi piace leggere la storia di Scrooge».

    «Non lo reputo il cattivo che tutti pensano», disse Anne Marie. «Conosco persone molto peggiori di lui. Un amico di mia sorella è appena stato licenziato, e il tipo che l’ha buttato fuori ha silurato tutto il reparto – appena prima di Natale – e rideva mentre glielo comunicava. Riuscite a crederci?»

    «Mio cugino Charlie una volta si è ritrovato l’ufficiale giudiziario in casa la vigilia di Natale», disse Serena. «Ma è sempre stato uno scapestrato. Probabilmente se lo meritava».

    Scosse mestamente la testa facendo oscillare il caschetto scuro.

    «Penso che Scrooge non avesse tutti i torti», disse Kate. «Ho passato dei natali terribili nella mia vita. Alcuni li avrei cancellati volentieri, vi dico la verità».

    Grace fu l’unica che non si unì al coro di risate. Sedeva composta, con il bicchiere stretto in mano. Per qualche secondo non fu neanche consapevole delle lacrime che le rigavano il viso.

    La prima cosa di cui si rese conto fu Kate che all’improvviso si materializzava accanto a lei e con delicatezza le poggiava una mano sul braccio. Poi Anne Marie, al capo opposto del divano, che rovistava nella propria borsa e le tendeva un pacchetto di fazzoletti.

    Grace posò il bicchiere e prese il pacchetto, ma le dita le tremavano così tanto da non riuscire ad aprirlo, perciò fu Anne Marie a farlo per lei. La stanza, a parte lo scricchiolio del cellophane dei fazzoletti e il crepitio del fuoco, era immersa nel silenzio.

    Nessuno disse «Andrà tutto bene» o «Non preoccuparti» né nessuna delle altre banalità che avrebbero potuto sfruttare. Si conoscevano abbastanza bene da evitarlo. Rimasero semplicemente in attesa, con un’espressione di partecipazione sui volti tesi, finché Grace non si fu ricomposta abbastanza da riuscire a parlare.

    Ma tutto ciò che riuscì a fare fu schiarirsi la voce.

    «Non devi parlarne se non ti va», le disse Serena nel suo modo diretto.

    «Ma sai che ti vogliamo bene, angelo, e se possiamo aiutarti in qualche modo, siamo qui». Fu Jojo a dirlo.

    «Ben detto!», assentì piano Kate.

    «Non è per via del libro, vero?», chiese Jojo prima di coprirsi la bocca con la mano. «Oddio. È così? È stato il libro? Mi dispiace così tanto! Possiamo leggere qualcos’altro».

    S’interruppe appena Serena le diede un colpetto.

    Grace tirò su col naso e rivolse loro un debole sorriso. «Suppongo che per certi versi sia stato il libro», disse. «Sì, Scrooge ricorda un po’ la situazione a casa. Pensavo… be’, pensavo di poterla lasciare da parte per stasera. Ma non ci riesco».

    Restarono tutte in attesa.

    Grace fece un respiro profondo. «Quest’anno non sarà un gran Natale. Stiamo per essere sfrattati. Credevamo che non sarebbe successo prima dell’anno nuovo. Ma stiamo nascondendo la testa sotto la sabbia, suppongo». Fece una pausa. «Mi dispiace. Non avrei voluto. Non vi va di ascoltare i miei problemi».

    «Certo che sì, invece», risposero in coro le altre.

    «Non possono buttarvi in mezzo alla strada a Natale!».

    «Stronzi!».

    Grace avvertiva l’indignazione nelle loro voci.

    «C’è dell’altro», aggiunse piano. Le altre tornarono in silenzio. «Si tratta del piccolino. Harry».

    Il silenzio si fece assoluto. Anche il fuoco sembrò ritirarsi leggermente, i ceppi smettere di crepitare, la stanza smettere di respirare. Tutte sapevano di Harry.

    Grace si morse forte il labbro e abbassò gli occhi sulle ginocchia, avvolte nei pantaloni neri. Come aveva potuto andarsene? Non avrebbe dovuto essere lì. Sarebbe dovuta restare a casa con lui. Non avrebbe dovuto lasciare Ben. I sensi di colpa diventavano sempre più pesanti.

    «Non abbiamo ancora la conferma», disse. «Ma c’è un’anomalia nei risultati dell’ultimo esame».

    «Quando lo saprete con certezza?», chiese Serena.

    «Martedì», sospirò Grace. «Almeno, trattandosi di un bambino, non ti tengono col fiato sospeso».

    Trattandosi di cancro.

    La parte della frase omessa restò sospesa nell’aria.

    «Posso accompagnarti in ospedale in auto, se vuoi», si offrì Anne Marie. «Ti risparmieresti la seccatura del parcheggio. O potrei restare con Thomas ed Elliot, così Ben può venire con te».

    «Siamo tutte qui per te, per qualunque cosa», disse Jojo. «Per quanto riguarda la casa, vi servono soldi? Posso farvi un prestito?».

    Jojo era l’unica che poteva porla così senza giri di parole, pensò Grace sorridendo malgrado le circostanze.

    «O vi serve qualcuno che parli con quello Scrooge del vostro proprietario?», chiese Kate. «Posso prendere a pedate anche i più irremovibili».

    Grace le credeva.

    «Non che tu non sia in grado», si affrettò a precisare Kate. «Ma con la preoccupazione per Harry, hai cose molto più importanti a cui pensare».

    «Se riuscite ad aspettare fin dopo le feste», disse Serena, «potete trasferirvi qui per un po’. Ho quattro camere da letto inutilizzate». Si accigliò. «Con un po’ di sacrificio, potreste venire già da Natale, ma ci sarà la mia famiglia. Tutta la dannata orda sta per discendere su di noi».

    Grace sbatté diverse volte le palpebre, estremamente commossa dalla loro generosità. L’affetto in quella stanza era palpabile. «Grazie», disse. «Non so perché non ve l’ho detto prima».

    «Perché sei una fessa», rise Jojo.

    «Perché non c’è nulla di più difficile al mondo che chiedere aiuto», disse Kate, con tale trasporto che Grace pensò: Anche tu, eh? Voleva ribattere qualcosa, chiedere cosa non andasse nella vita di Kate. Ma l’espressione nello sguardo dell’amica la dissuase.

    * * *

    «Per quanto sia generosa l’offerta della tua amica, non ci faremo prestare altri soldi», disse più tardi Ben quando Grace gli raccontò com’erano andate le cose. «È stato proprio a causa dei prestiti che ci ritroviamo in questa situazione».

    «Lo so», disse piano Grace. Erano seduti in quella che l’agenzia immobiliare aveva chiamato «la veranda» quando avevano preso la casa. In realtà era più una struttura sul retro con un tetto di plastica e due grandi finestre affacciate sul minuscolo giardino.

    Ma per i bambini era un posto ideale in cui giocare. Quando si erano trasferiti, Grace aveva ottenuto il permesso di dipingerlo e adesso le pareti erano di un giallo radioso con due grandi murales della savana africana… con tanto di animali che giocavano. In un’altra vita Grace sarebbe stata un’artista.

    In un’altra vita avrebbero vissuto in una delle case lungo la costa con i giardini che si affacciavano sul mare. O magari sulla scogliera, come Serena, ma sapeva che erano fortunati a vivere in un villaggio dove poter respirare ozono anziché gas di scarico quando uscivi di casa e potersi svegliare col verso dei gabbiani.

    «Non siamo persone pessime», aggiunse Grace, guardando il volto orgoglioso di Ben. «Non è stato per irresponsabilità che abbiamo chiesto quei soldi. Non li abbiamo sperperati».

    «Non sto dicendo che l’abbiamo fatto». Ben alzò le mani. «Ma ti posso garantire che non chiederò più prestiti, Grace. Non è una soluzione».

    Lo sapeva molto bene. Avevano usato il prestito bancario per mandare avanti la società di Ben nel periodo in cui stavano cercando di individuare il problema di salute del figlio. Quando avevano scoperto che si trattava di una rara forma di cancro infantile, che grazie a Dio era stato arrestato, ormai il loro conto era decisamente in rosso.

    L’unica alternativa era stata richiedere altri soldi. Ma Ben aveva ragione. C’era un limite. Farsi fare un prestito da Jojo, che avevano poche probabilità di poter ripagare, non era la soluzione.

    Grace non disse a Ben che Kate avrebbe parlato con il padrone di casa. Né di averle già dato i suoi contatti. Lui non avrebbe acconsentito nemmeno a quello. Ma Grace sapeva che se c’era qualcuno in grado di sistemare le cose, quella era Kate. Magari non a suon di pedate come aveva minacciato, ma era una persona intelligente e coscienziosa. Aveva soltanto ventisette anni ma era una delle donne più sagge che Grace avesse mai conosciuto. Kate era quello che Jojo definiva un’anima matura.

    Kate arrivò il sabato mattina. Era accigliata.

    «L’ho incontrato ieri», le disse. «Hai ragione, al suo confronto Scrooge sembra un bonario zietto».

    «Perciò niente da fare. Be’, grazie comunque per aver tentato».

    Kate sollevò una mano. «Ho detto che non ce l’ho fatta?

    È disposto a lasciarvi la casa fin dopo Natale. Voleva i tre mesi pieni di affitto che gli dovete, ma l’ho convinto ad accontentarsi di una parte».

    «Ma non abbiamo…».

    «È tutto sistemato». Gli occhi di Kate brillavano. «Prendilo come un regalo di Natale anticipato, tesoro».

    «Kate, non posso lasciartelo fare».

    «Cara». Kate le toccò delicatamente il braccio. «Non l’avrei fatto se non avessi potuto. I soldi non sono un problema per noi al momento. Davvero. Sono in attesa di un pagamento consistente dalla

    IBM

    . Le cose mi vanno meglio di quanto abbia mai sperato.

    Stavamo valutando l’idea di comprare una cucina nuova».

    Grace deglutì. Era determinata a non piangere. «Sei proprio sicura? Davvero?»

    «Sono proprio sicura. Davvero». Kate le rivolse il suo bellissimo sorriso.

    «Come sta Harry?»

    «Come se non avesse nulla».

    A quel punto la porta si spalancò e Thomas, seguito a ruota da Harry, sfrecciò dentro come un razzo.

    «Mamma, ha preso il mio Nintendo».

    «Non l’ho preso».

    «Invece sì».

    «Ho preso il Nintendo di Elliot», disse Harry con una smorfia dispettosa.

    «Be’, non avresti dovuto prendere nessuno dei due», disse Grace, afferrandolo per il braccio e cercando di fingere di non aver visto il sorrisetto che il bambino rivolgeva al fratello.

    «Se la cava sempre!», esclamò Thomas indignato. «Solo perché è malato. Spero che muoia».

    «Questa è una cosa molto brutta da dire», disse Grace, scambiando un’occhiata con Kate che sembrava scioccata. «E so che non dicevi sul serio. Penso che dovresti scusarti».

    «È lui che si deve scusare», disse Thomas battagliero.

    Elliot arrivò di corsa. «Mamma, ha preso il mio…».

    «Lo so e sta giusto per ridartelo».

    Grace restituì i due Nintendo ai legittimi proprietari, attese le reciproche scuse molto forzate dei bambini e distribuì biscotti e bibite. Poi si voltò verso Kate.

    «Non so come fai», disse Kate. «Hai tutto il mio rispetto».

    «Stratagemmi e astuzia, perlopiù», ribatté Grace con un sorriso esasperato. «Non proprio il metodo Montessori della genitorialità. Aspetta di avere figli.

    Ne valgono la pena, te lo assicuro. Solo, prova a non fare una tripletta».

    «Uno basterebbe», disse Kate. Dal desiderio nella sua voce e dall’ombra fugace che le attraversò lo sguardo, Grace a un tratto ebbe un’illuminazione: Ecco cos’è… hai problemi ad avere bambini.

    «Neanche a noi arrivavano», disse. «Dopo sei anni di tentativi alla fine siamo ricorsi alla terapia per la fertilità. Lo sapevi?».

    Kate scosse la testa.

    «Sono la massima esperta mondiale di fertilità», disse piano Grace. «Giusto nel caso avessi bisogno di qualche dritta. Ma tu sei molto giovane. Hai ancora molto tempo».

    Kate annuì e Grace decise di chiudere lì il discorso, magari un domani avrebbe potuto aiutare la sua amica. Un domani.

    Era martedì pomeriggio. Fedele alla sua parola, Anne Marie si era presentata per occuparsi dei bambini, in modo che Ben e Grace potessero andare in ospedale.

    «Ho portato rinforzi», disse, entrando seguita da Jojo che sorrideva reggendo una scatola di plastica.

    «Pistole giocattolo», spiegò. «I miei ragazzi le adoravano. Pensavamo di andare in spiaggia a sparare un po’».

    «Forte», fece Thomas. «Ciao, zia Jojo».

    «Ciao, angelo».

    «Voglio andare in spiaggia», disse Harry facendo gli occhioni. «Non è giusto».

    «Stai andando in spiaggia», scattò Ben. «Ora smettila di fare la lagna».

    Harry lo ignorò. Grace trasalì. La temperatura nella stanza si abbassò di alcuni gradi. Ben non se la cavava mai bene sotto stress. Grace gli toccò il braccio.

    «Scusate», fece lui, mentre si guardava intorno accigliato come realizzando che non erano soli. «Grazie di badare ai ragazzi». Uscì con le mani affondate nelle tasche.

    Grace lo seguì con calma.

    «Buona fortuna», augurò Anne Marie.

    «Fate con calma», aggiunse Jojo.

    In ospedale non dovettero aspettare a lungo. Un’infermiera li fece accomodare nello studio di Mr Chan esattamente all’ora fissata.

    Grace provò a leggere l’espressione dell’uomo, anche se sapeva che era impossibile: era sempre piuttosto austero. Pensava si trattasse di una sua caratteristica peculiare: in quanto uno dei migliori oncologi infantili del Regno Unito si trovava ad affrontare decine di casi. E per la maggior parte dovevano essere cattive notizie. Forse aveva paura di ridere.

    «Accomodatevi». Il dottore sedeva alla scrivania di fronte a loro a mani giunte.

    Grace trattenne il respiro.

    «Sono felice di comunicarvi che si tratta di buone notizie. L’ultimo esame del sangue che abbiamo fatto è a posto. Vostro figlio sta bene».

    Per un secondo Grace non seppe cosa dire. Come reagire. O se avesse sentito bene.

    «Quindi qual è il problema?», chiese Ben. «Non capisco. Come mai i sui valori erano saliti di nuovo? Si è trattato di un errore?». C’era una nota accusatoria nella sua voce.

    «Nessun errore», disse Mr Chan in tono paziente. «A volte capita. E quando accade facciamo ulteriori esami di approfondimento per accertarci che non stiano a indicare qualcosa di più minaccioso, come una recidiva del cancro. Ma nel nostro caso non è così».

    «Quindi non avrà bisogno di altre terapie?». Grace si rese conto di avere la voce roca.

    «Non avrà bisogno di sottoporsi a ulteriori terapie, no. Faremo i controlli di routine ogni sei mesi, certo. Ma nessuna terapia per il momento. E, come sapete, più questa condizione si protrae più è positivo per Harry».

    Grace si sentiva come se le avessero appena tolto un terribile peso dalle spalle. E il mondo, fino a quel momento ammantato nell’ombra, all’improvviso tornò a illuminarsi. La stanza in cui si trovavano sembrò inondata di sole. Il pianeta, l’intero universo erano baciati dai raggi del sole.

    Grace non riusciva a parlare.

    Ben si era preso la testa tra le mani e lei vide che stava piangendo. Era il sollievo, pensò Grace, lo scivolare dalla preoccupazione alla libertà, dal buio alla luce. Si alzò e lo strinse a sé, e per un secondo lui si aggrappò forte a lei. Quell’orso di suo marito, un ragazzino lui stesso.

    «Buon Natale», disse Mr Chan, sempre con espressione impassibile.

    In macchina verso la spiaggia, Grace raccontò a Ben che il loro libro del mese era Canto di Natale. «Scrooge», spiegò davanti all’espressione vacua del marito. «Mi sembrava appropriato, sai, per via dello sfratto».

    «Non vedo il perché. Il nostro proprietario di casa non è per niente uno Scrooge. È un uomo d’affari».

    Fece un sorriso mesto. «Se avessi affittuari che non pagano, anch’io li butterei fuori».

    Strinse il volante. Era sollevato, ma non contento del gesto di Kate. «Non voglio essere in debito. Le restituiremo tutto appena potremo. Diglielo».

    Grace gli assicurò che era la prima cosa che aveva fatto.

    Lui ribatté: «Comunque, Scrooge non viene visitato da tre fantasmi o roba del genere?»

    «Quattro», precisò Grace, pensando alle sue quattro amiche. Forse era lei lo Scrooge in questa versione della storia trasposta nella vita reale. Come Scrooge, la sua personalità ne usciva di sicuro cambiata. Da principio l’orgoglio non le aveva permesso di ammettere di avere un problema. Troppo fiera per condividere il dolore con le sue amiche più care.

    Aveva finito per accettare il loro aiuto. L’aiuto di tutte. Quell’esperienza l’aveva resa più umile.

    Quaranta minuti dopo arrivarono in spiaggia. Grace individuò Harry che, ignaro delle importantissime notizie che avevano appena ricevuto, giocava con Thomas. Jojo, le sciarpe svolazzanti e il cappotto che si gonfiava dietro di lei come una vela, era con loro.

    Annie Marie ed Elliot stavano costruendo un castello di sabbia a riva. Dietro di loro, il mare cupo sfumava in un blu pallido all’orizzonte. C’era anche Serena, si accorse Grace. Quando era arrivata?

    Mano nella mano, Ben e Grace li raggiunsero.

    «Abbiamo delle amiche meravigliose», disse lei.

    «Lo so». Gli occhi di Ben luccicavano ancora, ma la voce era ferma, calma come il mare invernale.

    Quando si avvicinarono al castello di sabbia, Anne Marie e Serena alzarono il viso, ansiose. Anne Marie aveva le orecchie arrossare dal freddo. Serena aveva uno sbaffo di sporco sul naso.

    «Tutto bene», disse Grace. «Sta bene. Harry sta bene». Si stava sciogliendo in lacrime, ma non le importava. «Sono lacrime di felicità», disse. «Di grande, grande felicità».

    «Alleluia», disse Jojo, raggiungendoli ansimante. «Sono esausta. Ero sicura fossero buone notizie».

    Si strofinò la sabbia dalle mani sui jeans. «Come diamine ci riesci?». Indicò Thomas e Harry imbrattati di sabbia.

    «Con un po’ di aiuto… No, mi correggo», fece Grace. «Con un immenso e generoso aiuto… da parte delle mie amiche. Le mie meravigliose amiche».

    Gennaio

    Per Ian

    Capitolo uno

    Anne Marie stava spazzando il pavimento nell’appartamento 10, ai Moorings, e immaginava di essere Cenerentola, quando le arrivò un messaggio sul telefonino infilato nella tasca del grembiule da lavoro. Non si prese la briga di controllare, perché ultimamente gli unici

    SMS

    che riceveva erano quelli del suo gestore telefonico che la informava sulle ultime offerte o le comunicava che la sua fattura era disponibile online (ma che gentile a pensare a lei così spesso,

    O2

    . Grazie mille!).

    Per un attimo si abbandonò alla fantasia: il messaggio era di uno sconosciuto misterioso che la invitava fuori a cena. In realtà non invitava lei – ovviamente: in quel momento non la conosceva ancora. Aveva sbagliato numero. Ma lei l’avrebbe chiamato per avvisarlo, il che, date le circostanze, sembrava più che giusto, e dopo avere chiacchierato un po’ si sarebbero resi conto di essere anime gemelle e a quel punto sarebbero usciti a cena sul serio.

    Dove sarebbero andati? Probabilmente da Calypso. Era il ristorante più raffinato che Little Sanderton poteva offrire. Anche se, ripensandoci, c’era pure qualche gastropub chic. Forse sarebbe stato meglio cominciare con uno di quelli. Più casual di una cena in pompa magna, soprattutto come primo appuntamento.

    Ogni tanto andava da Ocean Views con una delle ragazze del gruppo di lettura. Forse era ancora meglio. Cosa c’era di più romantico (in stile casual, ovvio) che avere la vastità dell’oceano alle spalle mentre affondavi la forchetta in una ciotola di scampi?

    No, forse gli scampi no: avevano ancora la coda e rischiavi di fare pasticci. Nemmeno una zampetta incastrata tra i denti faceva una bella figura. Zuppa, allora? Preparavano una zuppa di frutti di mare deliziosa, servita con pane fatto in casa e minuscoli panetti di burro su piattini individuali guarniti con un ciuffo di prezzemolo. Molto chic.

    Sbatté un paio di volte le palpebre. Da dove usciva tutta quella storia? Nemmeno era interessata a vedersi con qualcuno. Aveva troppo da fare, un uomo avrebbe incasinato tutto. Un uomo le sarebbe servito come… si accigliò, a caccia di una similitudine adeguata… come un personale delle pulizie inaffidabile.

    Quell’appartamento avrebbe dovuto pulirlo Sophie Smith, la più giovane e carina del suo staff, ma il mattino stesso aveva telefonato per darsi malata, quindi era stata costretta a occuparsene Anne Marie. Non che avesse dovuto fare troppa strada: abitava nel medesimo edificio. Quattro piani più su, a essere precisi. Aveva l’attico, grazie al padre. I Moorings erano stati il suo ultimo progetto.

    A essere sincera, avrebbe potuto far pulire l’appartamento numero 10 a qualcun altro, ma era curiosa. Era interessante vedere cosa facevano gli altri con quello che di base era uno spazio abitativo identico. Ovviamente, quell’appartamento era molto più piccolo del suo: aveva due sole camere e caratteristiche molto più contenute – tanto per iniziare i pavimenti erano in laminato invece che in vero parquet, ma era comunque interessante.

    E non era male continuare a operare in prima persona. Anche se eri il capo. Che nessuno potesse mai dire che non era pronta a rimboccarsi le maniche e sporcarsi le mani: anche con il migliore di loro, l’umiltà non faceva mai male.

    Il telefonino trillò per un altro messaggio e Anne Marie si fermò un attimo. Stava pulendo il lavandino. Bisognava disincrostare i rubinetti. Trovò il prodotto giusto nel secchio e lo spruzzò, pensierosa. Allora non era la compagnia telefonica. Mandavano solo un messaggio alla volta, loro. Forse qualcuno voleva parlare sul serio con lei. Sperava non si trattasse di un’altra assenza per malattia.

    Altro trillo.

    Tirò fuori il cellulare dalla tasca e scoprì che tutti e tre gli

    SMS

    venivano dalla stessa persona: la sua amica e confidente di lunga data Manda Crippins.

    Il primo era lungo e cominciava così: Siete invitati al matrimonio di Jack Taylor e Manda Crippins il 28 gennaio 2017, nella chiesa di Sant’Agostino, Stamford Green, Ashmore alle 15:00.

    Poi c’era scritto: [testo mancante].

    Maledetto telefono.

    Il resto dell’invito arrivò separatamente, con un post scriptum in fondo: Scusate per l’invito via messaggio. Seguiranno partecipazioni formali. Hanno fatto casino in tipografia. Si prega di segnarsi la data.

    Anne Marie inarcò le sopracciglia. Non c’era da stupirsi che avessero scritto: mancavano solo tre settimane al 28 gennaio. Era il 5! Ed era la prima volta che sentiva parlare di matrimonio: era chiaro che fosse stata una decisione dell’ultimo minuto.

    L’ultimo messaggio era rivolto a lei personalmente e anche quello veniva da Manda: Tesoro, per favore, vieni, è colpa tua se ci sposiamo. Ti chiamo più tardi. Smack Smack.

    Anne Marie sorrise. Molto meglio delle sue fantasticherie. Quella era una Storia d’amore vera, con la

    S

    maiuscola, e Manda aveva ragione: era tutto merito suo. Li aveva presentati lei, no? Si erano incontrati alla festa per il suo ventunesimo compleanno, l’agosto precedente. Quindi si erano conosciuti, innamorati e si stavano per sposare, tutto nel giro di sei mesi. E la responsabile era lei. Si sentì un po’ gonfiare d’orgoglio.

    Era palese che avrebbe dovuto fare la combina matrimoni. Forse avrebbe dovuto organizzare un evento di appuntamenti lampo a Little Sanderton. Sarebbe stato divertente. Senz’altro più che organizzare una squadra di addetti alle pulizie (era la definizione corretta?). E non gliene mancavano certo le capacità: papà non faceva che ripetere che brava organizzatrice fosse.

    Persone meno indulgenti avrebbero potuto definirlo impicciarsi degli affari altrui. Come il suo primo (e, alla fine della fiera, unico) capo; ma, come le aveva fatto notare Manda quando quella donna l’aveva licenziata, probabilmente era solo gelosa perché Anne Marie era più bionda, più carina e più magra di lei.

    Avrebbe voluto essere più magra in quel preciso momento. Non era grassa, ma le feste le avevano appioppato tre chili in più di cui avrebbe potuto benissimo fare a meno. Guardò il proprio riflesso nello specchio che occupava una parete intera del bagno di lusso. Il grembiule da lavoro giallo sole non migliorava le cose. Avrebbe fatto sembrare enorme chiunque non fosse una quarantadue, soprattutto sopra un paio di jeans e un pullover spesso. E quindi? Faceva freddo!

    Per quanto riguardava l’enorme logo Clean Living rosa shocking che decorava il petto, probabilmente era stato un po’ eccessivo, persino per i suoi standard. Avrebbe dovuto scegliere un’uniforme più alla moda quando aveva creato la compagnia, ma il catalogo dei fornitori non offriva molte opzioni. E i colori le piacevano. Il giallo era allegro, amichevole ed estroverso, proprio come lei.

    Anne Marie smise di guardare il suo riflesso e pensò al proprietario di quell’appartamento. Si chiamava Dominic Peterson. L’aveva incontrato una volta sola, alla firma del contratto. Le aveva detto che negli orari di pulizia sarebbe stato al lavoro. Era un rappresentante, per la Jaguar, le sembrava di ricordare. Aveva notato una pila intera di brochure sulla scrivania in soggiorno quando lui era andato a prendere i dati bancari per pagarla. Era utile sapere come si guadagnassero da vivere i propri clienti; così era più facile rompere il ghiaccio e, ovviamente, controllare che potessero saldare il conto.

    Sì, un evento di appuntamenti lampo a Little Sanderton era l’idea giusta. Avrebbe potuto persino invitare Dominic! Era single. Meritava una persona gentile. La sua attuale fidanzata (presto ex) era una civetta fedifraga. Anne Marie lo sapeva perché appena arrivata aveva sentito un messaggio sulla segreteria telefonica. Era uno di quei modelli che ti fanno ascoltare la voce di chi chiama mentre registrano.

    Quando aveva sentito squillare il telefono era in cucina, ma era corsa in soggiorno, nel caso si trattasse di qualcosa di importante. Aveva avuto giusto il tempo di sentire una voce di donna che diceva: «Dominic, mi dispiace, è finita. Ho incontrato qualcun altro. Ciao».

    Tutto qui. Non una parola di più. Solo un brusco, breve messaggio seguito dal lungo suono piatto di disconnessione. E basta. Anne Marie si era sentita indignata a nome di Dominic: mollare qualcuno con un messaggio sulla segreteria faceva proprio schifo. Peggio che con un

    SMS

    .

    Pazienza. L’avrebbe invitato al suo evento, dove avrebbe potuto incontrare una ragazza adorabile.

    Probabilmente, prima era meglio finire di pulire casa sua.

    Un attimo dopo, afferrò il telefonino e rispose a Manda. Evviva. Certo che vengo. Ci sentiamo presto. Smack Smack.

    Tutti gli altri mettevano l’immaginetta del bacio per ovvie ragioni, ma lei e Manda avevano addestrato la correzione automatica a fare apparire Smack non appena digitavano la

    S

    maiuscola. Se ti dimenticavi di rileggere un

    SMS

    prima di inviarlo, si creavano situazioni divertenti e a volte imbarazzanti.

    Oh, sarebbe stato bellissimo rivedere Manda. Sperava che Jack non la trascinasse troppo lontano da Little Sanderton. Non tutti volevano vivere in un paesino costiero sonnolento. Jack aveva una casa in affitto a Dorchester. Anche quello non sarebbe stato poi così male. Non era a milioni di chilometri di distanza.

    Le mancava solo lavare il pavimento. Selezionò la musica dance sull’iPod e alzò il volume. Rimettersi in forma e perdere quei tre chili presi durante le feste erano due dei suoi propositi per l’anno nuovo.

    Ora aveva una spinta in più: un matrimonio di lì a tre settimane. Non era eccitante?

    Un altro dei suoi propositi era leggere i classici, che non si era mai presa la briga di affrontare prima perché erano troppo noiosi (a parte Via dalla pazza folla, che avevano dovuto leggere per l’esame finale alle superiori). Ma, grazie a una decisione presa nel gruppo di lettura un mese prima, anche quello era già stato messo in cantiere. Evviva!

    Era la serata del gruppo di lettura. Si incontravano ogni primo giovedì del mese. Anne Marie canticchiava a bocca chiusa mentre si preparava. Sperava che il romanzo scelto per gennaio fosse entusiasmante. Preferibilmente qualcosa di cui ci fosse anche la versione televisiva, nel caso fosse troppo occupata per leggerlo. L’evento di incontri lampo avrebbe richiesto un bel po’ di organizzazione, poco ma sicuro.

    Era stato comodo leggere Canto di Natale a dicembre, perché, come predetto da Serena che lo aveva scelto, l’avevano dato un paio di volte in

    TV

    . Era il turno di Kate di proporre il romanzo di gennaio. Lei era intelligente e sfrontata, forse avrebbe scelto un libro divertente.

    Afferrò le chiavi della sua Mazda e corse fuori. Il gruppo di lettura era meraviglioso. Non per i libri – non era una gran lettrice – ma per l’amicizia, la solidarietà femminile. Erano una cerchia solidissima di donne, come avere un mucchio di sorelle in più. Lei aveva solo una sorella maggiore, che non vedeva quasi mai, e nessun fratello. La mamma era morta quando Anne Marie era piccolissima e il papà non si era mai risposato.

    Benedetti i suoi calzini di cotone. Sarebbe dovuta andare a fargli visita presto. Aveva una casa sulla scogliera, un mostro gotico meraviglioso e buio con circa sedici camere da letto e quattro bagni. Be’, in realtà erano aule, non camere – una volta era stata una scuola elementare. L’aveva comprata come investimento qualche anno prima e ci abitava in attesa dell’approvazione urbanistica per abbatterla e costruirci un palazzo residenziale.

    Era uno dei pochissimi progetti che non procedeva bene. Suo padre era uno sviluppatore edile-barra-padrone di casa sagace, con diverse proprietà a Little Sanderton. Era grazie a lui che la figlia aveva fondato Clean Living. Lui comprava gli appartamenti e li affittava, la sua compagnia li puliva. In effetti, aveva avuto lui l’idea di crearla. L’aveva aiutata a fondarla attraverso il sito del ministero e a registrarla come società per azioni e tutte le altre robe noiose.

    Fu l’ultima ad arrivare al gruppo di lettura. Erano già tutte nel loro cantuccio comodo, a godersi il calore della stufa a legna e un bicchiere di rosso. Kate, la più vicina alla porta, le porse un bicchiere. «Ciao, bella. Ci diamo al vin brûlé, visto che in un certo senso è ancora periodo di feste. Come stai?».

    Anne Marie aspirò il profumo di spezie e cannella. Sentì il calore della stanza e il cameratismo delle amiche e sorrise raggiante. «Molto meglio adesso che vi vedo. E sono prontissima a prolungare le festività. Pensate che possiamo permettercelo fino a fine gennaio?»

    «Be’, almeno fino a fine serata sì, angelo». Questa era Jojo. Le offrì un vassoio di mince pie.

    Anne Marie ne prese due. In fondo erano microscopiche, con sopra alcune stelline di pasta frolla e quello che sembrava glitter commestibile. Gnam. E poi, se prolungavano le feste, l’anno nuovo tecnicamente non era ancora cominciato, quindi la dieta poteva aspettare il giorno dopo.

    C’erano molti aggiornamenti in sospeso.

    Grace raccontò che Harry, il suo bambino, stava molto bene. «Nessun nuovo allarme, è ancora in regressione. Abbiamo avuto il Natale più bello di sempre ed è soprattutto grazie a voi». Le si inumidirono un po’ gli occhi mentre parlava.

    «E, per passare ad argomenti un po’ più frivoli, Anton ha finalmente accettato di cambiare la cucina», disse Kate. «Andremo a guardare qualche mobile componibile durante i saldi di gennaio. Magari prenderemo persino una penisola per la colazione».

    «E io aprirò una nuova attività», annunciò Anne Marie. «Entro nel giro delle agenzie matrimoniali e comincerò con una serie di serate di appuntamenti lampo a Little Sanderton».

    La notizia non riscosse l’acclamazione che sperava. In realtà, le sembrò di vedere Serena e Grace scambiarsi una rapida occhiata inorridita. Probabilmente però si sbagliava. Perché mai avrebbero dovuto?

    «Ho le capacità organizzative che servono, no? E ci sono un sacco di single a Little Sanderton».

    «Sì, ma la maggior parte ha più di ottant’anni», disse Jojo, corrucciata.

    «Anche gli ultraottantenni meritano una vita sentimentale», replicò Anne Marie con un gesto della mano. «Potrei organizzare una serata di appuntamenti e lavoro a maglia per loro».

    Serena sembrò strozzarsi con il suo dolce. Era strano, ma, pensandoci, quelle tortine erano davvero piccolissime. Anne Marie aspettò che Grace finisse di dare delle pacche sulla schiena a Serena e riempì di nuovo il proprio bicchiere. Poi proseguì: «Lo so che con quella coppia in fondo alla strada ho preso un granchio, ma dovete ammettere che sembravano fatti l’una per l’altro… cioè, a parte la differenza d’età. Una differenza sostanziosa può funzionare. In certi casi. È un peccato che sia finita così male».

    «E poi c’è stata la cassiera da Waitrose», osservò Serena. Sembrava essersi ripresa dall’attacco di tosse. «Quella che hai cercato di mettere insieme a un cliente, ricordi?»

    «Be’, sì, ma come facevo a sapere che era un taccheggiatore? Non è stata colpa mia. E poi ho ottenuto un successo clamoroso», insistette con aria allegra e raccontò del matrimonio di Manda e Jack.

    «Be’, io penso che sia… mmh… un’idea molto carina», esclamò Grace in tono diplomatico. «E comunque, un’attività vera e propria è diversa dai tentativi di combinare matrimoni ad hoc, giusto?»

    «Immagino di sì». Serena bevve un altro sorso di vino. «Be’, buona fortuna, Anne Marie. Ora, per passare rapidamente al clou della serata, il nostro classico. A te il microfono, Kate. Che cosa leggeremo questo mese?».

    Kate era arrossita un po’, notò Anne Marie. Si chiese come mai. Forse avrebbero letto un racconto piccante. Oh, ci sperava. Batté le mani, piena di impazienza.

    Kate frugava nella borsa. «Che strano, non… mmh, non lo trovo più».

    Jojo si chinò e afferrò un libro che era stato accidentalmente spinto quasi del tutto sotto il divano imbottito. «Dev’esserti caduto, angelo. Ecco qui». Lo porse a Kate con un sorriso.

    «Ah, grazie». Non sembrava proprio contenta, ma mostrò il libro al gruppo. «Leggeremo Emma di Jane Austen. Spero che vi piacerà. Ora devo fare una capatina in bagno».

    «È uno degli ultimi che ha scritto, giusto?», domandò Jojo. «Di che parla?». Kate era già fuggita, quindi Jojo prese il libro e lesse ad alta voce la quarta di copertina. «Emma Woodhouse era il personaggio che Austen era sicura non sarebbe piaciuto a nessuno. Adora impicciarsi della vita sentimentale degli altri…». Si fermò.

    Anne Marie era perplessa. Perché sembravano tutte a disagio? Scosse la testa. A lei pareva un libro molto divertente.

    Capitolo due

    Il giorno dopo, quando Anne Marie suonò il campanello a casa di suo padre non ottenne risposta. Entrò da sola, visto che la porta era comunque socchiusa, e venne accolta dall’odore di cane – e poi da un cane in carne e ossa. Era chiaro che Digby, lo springer spaniel bagnato di suo padre, si era fatto una nuotata.

    Scodinzolò con entusiasmo e lei si chinò ad accarezzarlo, spargendo acqua ovunque.

    «Lui dov’è?», domandò a Digby, anche se era una domanda retorica. Sapeva esattamente dove trovarlo: nel suo studio sul retro della casa. Era piuttosto sicura che a volte dormisse lì, da quello stacanovista che era.

    «Papà!», chiamò, già avviandosi lungo il corridoio dal pavimento in parquet. Su entrambi i lati si aprivano le porte delle aule, ancora piene di vecchi banchi e sedie lasciati lì a coprirsi di polvere.

    Si era offerta di portare una squadra a ripulire, ma suo padre non aveva voluto nemmeno sentirne parlare. «A che serve, visto che la maggior parte delle stanze rimane chiusa a chiave?», aveva detto e lei non aveva trovato nulla da controbattere.

    Conoscendo il papà, permettere a quel posto di crollargli sulla testa probabilmente era una strategia precisa: lui dava per scontato che il dipartimento di pianificazione urbana avrebbe deciso che era meglio avere alla periferia della città un bel condominio nuovo che un pugno in un occhio decrepito.

    Batté con le nocche sul pannello superiore in vetro della porta dello studio. C’era ancora la vecchia targa:

    PRESIDE

    . Sorrise. Aveva la sensazione che a papà piacesse l’idea di fare il capo, anche se poteva prendersela solo con lei.

    «Ciao, principessa». Voltò le spalle al foglio di calcolo che stava compilando, curvo sullo schermo del computer. «Che succede? Stai bene? Non mi aspettavo di vederti oggi. Se avessi saputo che saresti venuta avrei asciugato Digby». Ridacchiò, gli occhi accesi dal divertimento.

    «No, non l’avresti fatto». Si chinò a baciarlo sulla guancia non rasata. «Che fai? Conti i tuoi soldi?»

    «Più o meno. È ora del caffè?». Si alzò rigido e si sfregò un braccio. «Ho il gomito del tennista».

    «Tu non giochi a tennis».

    «Per colpa del mouse».

    «Probabilmente è una lesione da sforzo ripetuto. Stai troppo tempo appiccicato a quel computer. Ti prendo appuntamento con Thomas?»

    «Ti ho preceduta. Dovrebbe arrivare da un momento all’altro». Sbirciò l’orologio appeso al muro, che si era fermato. «Be’, almeno credo. Che ore sono?»

    «Le dieci meno dieci». Sospirò. «Allora è meglio che vi lasci in pace».

    «Sciocchezze, puoi prepararci il caffè. Thomas sarà contento di vederti. Mi chiede sempre come stai».

    «Cerchi di accoppiarci, papà?». Gli sorrise.

    «Ma figurati!».

    «In realtà, guarda caso volevo parlarti proprio di combinare matrimoni. Hai cinque minuti?»

    «Tesoro, ho tutto il tempo del mondo per parlare con te. Soprattutto se si tratta della tua vita sentimentale».

    Anne Marie sussultò. Ops, probabilmente gli aveva dato l’impressione sbagliata.

    «Non ho una vita sentimentale e non la voglio nemmeno, come ben sai», disse, portando una caffettiera e un vassoio di amaretti allo zenzero (il suo dolce preferito) nell’aula magna, che in quel momento veniva fatta passare come salotto.

    «È quello che dici sempre. Non è normale, sai: sei giovane e bellissima. Alla tua età io correvo la cavallina».

    «Tu eri un maschio», osservò lei.

    «Anche tua sorella». Sorseggiò rumorosamente il caffè. «Correva la cavallina, intendo. Non era un maschio». Le fece l’occhiolino.

    «Sì e guarda com’è finita. Quattro figli e non ha ancora trent’anni».

    «È bello avere

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