Le foglie cadute
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Edizione integrale
Wilkie Collins mette in scena, attraverso un intreccio sapiente e personaggi indimenticabili, le questioni sociali che affliggono l’epoca vittoriana, e lo fa superando i limiti dei generi romanzeschi che lui stesso ha contribuito a creare, ibridando il sensation novel con il romanzo di denuncia sociale, il feuilleton con il poliziesco, e dando vita a un romanzo d’intrattenimento ricco di colpi di scena, drammi sociali e amorosi, contrasti politici ed economici, che tengono il lettore incollato alle intricate vicende fino al loro scioglimento. Il giovane Claude Amelius Goldenheart, a causa di una relazione con una donna più grande di lui, disapprovata dalla comunità, viene allontanato e spedito dall’Illinois alla sua terra d’origine, l’Inghilterra, a fare esperienza del Vecchio Mondo. L’incontro con Mr. Farnaby, un ricco e ambiguo uomo d’affari, lo avvierà alla conoscenza di regole e pratiche sociali agli antipodi dalla sua onestà, dalla sua profonda empatia nei confronti dei deboli e degli ultimi, dal suo atteggiamento sincero e fiducioso verso l’umanità intera.
Wilkie Collins
(1824-1889), figlio di un pittore paesaggista, studiò Legge senza mai praticare la professione, attingendo alle conoscenze del crimine così maturate per le sue opere. La fortuna arrivò dopo l’incontro con Dickens, che pubblicò gli scritti di Collins sulle sue riviste, inaugurando un rapporto di lavoro e di amicizia che durò dieci anni. Fu un autore molto prolifico, scrisse venticinque romanzi, più di cinquanta racconti e numerose opere teatrali. La Newton Compton ha pubblicato La donna in bianco, Senza nome, L’albergo stregato, La Pietra di Luna, Armadale, La legge e la signora, Le foglie cadute e la raccolta I grandi romanzi.
Wilkie Collins
Wilkie Collins (January 8, 1824-September 23, 1889) was the author of thirty novels, more than sixty short stories, fourteen plays (including an adaptation of The Moonstone), and more than one hundred nonfiction pieces. His best-known works are The Woman in White, The Moonstone, Armadale, and No Name.
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Anteprima del libro
Le foglie cadute - Wilkie Collins
scritti.
Libro primo
Amelius tra i Socialisti
i
Sedici anni dopo il giorno della tragica scoperta di Mr Ronald a Ramsgate – vale a dire nel 1872 – il piroscafo Aquila lasciava il porto di New York diretto a Liverpool.
Era settembre. La lista dei passeggeri dell’Aquila contava un numero relativamente esiguo di nomi. Nella stagione autunnale la traversata dall’America all’Inghilterra, non fosse stato per il valore del carico, nell’insieme si sarebbe dimostrata svantaggiosa per gli armatori. Il flusso dei passeggeri, in quel periodo dell’anno, intraprende sistematicamente il viaggio nella direzione opposta. Dall’Europa, gli americani fanno ritorno al loro paese. I turisti hanno rimandato il viaggio finché la torrida calura d’agosto degli Stati Uniti non si sia attenuata e la deliziosa estate indiana sia pronta ad accoglierli. Forniti di vitto e alloggio, i passeggeri dell’Aquila nel loro viaggio verso casa hanno a disposizione parecchio spazio, e pietanze della miglior qualità sulla tavola imbandita a dovere.
Il vento era a favore, il tempo magnifico. Allegria e buon umore dimoravano nella nave da poppa a prua. Nella sua cabina, l’amabile capitano faceva gli onori di casa con l’aria di un aristocratico che riceve amici nella propria dimora. L’affascinante dottore passeggiava sul ponte sottobraccio alle signore in rapida ripresa dopo le nausee iniziali provocate dal mal di mare. L’illustre ingegnere capo, che nel tempo libero si dedicava anima e corpo alla musica, suonava il violino in cabina accompagnato al flauto dal secondo ufficiale, giovane Apollo del commercio atlantico. Soltanto durante il terzo giorno di navigazione, l’armonia che regnava a bordo dell’Aquila fu turbata da un momento di disaccordo, dovuto all’inatteso arrivo tra i ranghi dei passeggeri di un infiltrato, sotto forma di un uccello smarrito!
Non era che un uccellino di terra sfinito (portato fuori rotta dal vento, come supposero gli esperti del campo), e si era appollaiato su un pennone per riposare e riprendersi dopo un lungo volo.
Nel momento in cui la creatura fu avvistata, l’insaziabile piacere che gli anglosassoni provano nell’uccidere uccelli – dalla regale aquila all’indegno passero – si manifestò in modo frenetico. L’equipaggio si precipitò sui ponti, i passeggeri si affrettarono a rientrare nelle cabine, smaniosi di afferrare il fucile per aggiudicarsi il primo colpo. Un vecchio timoniere dell’Aquila fu l’uomo invidiabile che per primo si ritrovò fra le mani il mezzo di distruzione carico. Imbracciò il fucile, appoggiò il dito sul grilletto… quando all’improvviso fu assalito da uno dei passeggeri – un giovanotto magro, dinamico e scottato dal sole – che gli strappò di mano l’arma, se ne liberò scagliandola al di là del parapetto dell’imbarcazione, e si rivolse su tutte le furie al timoniere. «Disgraziato! Uccidereste il povero uccellino sfinito che conta sulla nostra ospitalità, e non ci chiede altro che concedergli un po’ di riposo? Quell’animaletto indifeso è una creatura di Dio tanto quanto voi. Mi vergogno di voi – mi fate inorridire – portate stampato in faccia il marchio di assassino di uccelli. Detesto anche solo guardarvi!».
Il timoniere – un uomo rozzo, grande e grosso, lento tanto nel corpo che nella mente – ascoltò questa bizzarra protesta con lo sguardo sbigottito e la bocca spalancata da cui scorrevano piccoli rivoli marroni di succo di tabacco. Quando il giovane e impetuoso gentiluomo s’interruppe (non per mancanza di parole ma per mancanza di fiato), il timoniere si girò e lo indicò alla platea che si era radunata. «Signori», disse con latina brevità, «questo giovanottello è pazzo».
La voce del capitano arginò la contagiosa esplosione di risate: «Può bastare, timoniere. Diamo per scontato che nessuno debba sparare al volatile. Ma permettetemi un suggerimento, signore: avreste potuto esternare con la stessa efficacia i vostri sentimenti usando un linguaggio meno violento».
Affrontato in questi termini, l’impetuoso giovane reagì di nuovo con fervore. «Avete pienamente ragione, signore! Merito ogni parola che mi avete detto: so di aver fatto una pessima figura». Corse dietro al timoniere e lo afferrò con tutte e due le mani. «Vi chiedo scusa; vi chiedo scusa dal profondo del cuore. Mi avreste dato ciò che merito se mi aveste gettato in mare, considerato il linguaggio che ho usato con voi. Vi prego di scusare la mia tempra irruente. Vi prego, perdonatemi. Come dite? Mettiamoci una pietra sopra
. È un punto di vista eccellente. Siete davvero un tipo come si deve. Se potrò mai esservi utile per qualsiasi cosa (ecco qui il mio biglietto e l’indirizzo di Londra), fatemelo sapere; vi scongiuro, fatemelo sapere». Poi si precipitò di nuovo dal capitano. «Pace fatta col timoniere, signore. Mi perdona, non serba alcun rancore. Lasciate che mi rallegri con voi per il fatto che avete un così buon cristiano sulla vostra nave. Vorrei essere come lui! Scusatemi tutti, signore e signori, per il disturbo che vi ho procurato. Non accadrà mai più, vi do la mia parola».
I viaggiatori di sesso maschile si guardavano l’un l’altro e sembravano per lo più d’accordo con l’opinione del timoniere a sul loro compagno di viaggio. Le donne, toccate dall’innegabile sincerità del giovanotto e incantate da quel viso affascinante che avvampava di passione, riconobbero tutte che aveva ragione da vendere nel salvare il povero uccellino, e che tutto sarebbe andato decisamente meglio per la metà più debole del mondo se ci fossero stati altri uomini simili a lui. Mentre era ancora in corso lo scambio delle diverse opinioni, il trillo della campanella del pranzo svuotò il ponte dei passeggeri, con due eccezioni: il giovane irruente, e un viaggiatore di mezz’età, con la barba brizzolata e gli occhi penetranti, che aveva osservato gli eventi senza dire una parola, e che adesso coglieva l’occasione per presentarsi all’eroe del momento.
«Non andate a pranzo?», gli domandò.
«No, signore. Tra le persone con cui ho vissuto non si consumano pasti ogni tre o quattro ore, durante la giornata».
«Mi scuserete», continuò l’altro, «se confesso che mi piacerebbe sapere con quali persone avete vissuto. Il mio nome è Hethcote. Ho fatto parte, per un certo tempo, di un istituto che si occupava della formazione dei giovani. Da quel che ho visto e sentito stamattina, immagino che non siate stato educato secondo nessuno dei sistemi attualmente riconosciuti e diffusi. Dico bene?».
Il giovane irruente si trasformò di colpo nel ritratto della rassegnazione, e rispose con una tiritera, come se stesse ripetendo una lezione.
«Sono Claude Amelius Goldenheart. Età, ventun anni. Figlio, e unico figlio, dell’ultimo Claude Goldenheart, di Shedfield Heath, nel Buckinghamshire, Inghilterra. Sono stato tirato su dai Socialisti cristiani delle origini, nella Comunità di Tadmor, Illinois. Ho ereditato una rendita di cinquecento sterline l’anno. E adesso, con il consenso della Comunità, mi sto recando a Londra per conoscere la vita».
Mr Hethcote accolse q