Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Il prossimo delitto
Il prossimo delitto
Il prossimo delitto
Ebook465 pages5 hours

Il prossimo delitto

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

«Un thriller cupo e sorprendente.»
The Guardian

Ha visto l'assassino in faccia, ma anche lui ha visto lei

Nella campagna vicino al confine con la Scozia un uomo aggredisce una donna, uccidendola. Proprio durante quei tragici attimi una mongolfiera sorvola la scena del crimine, così l’assassino spara all’uomo che la guida, uccidendolo e facendo sì che essa precipiti al suolo. Jessie è l’unica sopravvissuta, e l’unica ad averlo visto in faccia. Ma anche l’assassino ha visto lei, e dal momento in cui i loro sguardi si sono incrociati, Jessie è diventata un bersaglio. Perché il killer non si fermerà fino a che non avrà messo a tacere per sempre l’unica testimone dell’efferato omicidio. Sola, spaventata, senza nessuno di cui fidarsi, Jessie dovrà fuggire alla ricerca di un posto sicuro dove nascondersi. Quello che non sa è che potrebbe arrivare direttamente nella tana del lupo...

Un’autrice pluripremiata
Tradotta in 20 lingue
Oltre 1 milione di copie vendute
Bestseller del Sunday Times

«Per una volta la descrizione “impossibile da mettere giù” è ampiamente meritata: questo è davvero un libro che non si riesce a smettere di leggere.»
Daily Mail

«Un thriller sorprendente.»
The Guardian

«Sharon Bolton ha davvero superato se stessa. Il prossimo delitto ti prende fin dalla prima riga e ti tiene con il fiato sospeso fino alla fine. La trama è costruita con estrema abilità, con dei colpi di scena davvero sorprendenti.»
The Times
Sharon Bolton
È un’autrice vincitrice di numerosi premi, tra cui il Mary Higgins Clark Award e l’ITW Thriller Award. Vive vicino Londra e i suoi thriller sono amati da oltre un milione di lettori. Ama il jazz, la danza e prima di dedicarsi completamente alla scrittura si occupava di marketing. Il prossimo delitto è il primo romanzo pubblicato con la Newton Compton.
LanguageItaliano
Release dateMar 28, 2018
ISBN9788822719263
Il prossimo delitto

Related to Il prossimo delitto

Titles in the series (100)

View More

Related ebooks

Thrillers For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for Il prossimo delitto

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Il prossimo delitto - Sharon Bolton

    1

    «Questa donna, Jessica Lane, sarebbe dovuta morire. Undici persone sono rimaste uccise nello schianto. Lei, invece, non solo è sopravvissuta, ma se n’è pure andata sulle sue gambe ed è ancora in giro. Voglio sapere dove sta andando. Voglio sapere perché non si è fatta più viva. Perché non ha chiesto aiuto? Come mai sta deliberatamente evitando la polizia? Voglio sapere da chi sta scappando. E, più di ogni altra cosa, voglio che venga trovata».

    PARTE PRIMA

    2

    Mercoledì, 20 settembre

    La mongolfiera fluttuava in aria come una pallina di Natale all’incontrario, con il suo voluttuoso involucro a strisce che si rifletteva perfettamente sul lago. Alla luce del primo mattino l’acqua riluceva con i toni di una pesca matura, leggermente dorata ai lati e di un ricco colore rosa intenso al centro. Non c’era vento. Nessun suono. Gli alberi lungo la riva avevano cessato di frusciare prima dell’alba e nessuno dei tredici passeggeri della mongolfiera si muoveva o parlava. Sembrava che il mondo stesse trattenendo il respiro.

    Al di sotto, stando a quanto i passeggeri riuscivano a vedere, c’era la landa ricoperta di erica del Northumberland National Park. Ettari d’erba s’increspavano come la pelle di un enorme animale appena sveglio, i ruscelli brillavano come serpenti d’argento, mentre l’alba ardente accendeva le colline. Il paesaggio si estendeva a perdita d’occhio, selvaggio, inalterato da centinaia di anni. Sembrava quasi che la mongolfiera si fosse trasformata in una macchina del tempo e li avesse trasportati indietro, quando l’estremo nord dell’Inghilterra ospitava ancora meno abitanti rispetto al giorno d’oggi. Non riuscivano a scorgere strade, binari della ferrovia, città o paesi.

    A quelle tredici persone il mondo pareva disabitato.

    Come capita sempre nei voli di svago, la cesta era ampia e rettangolare, suddivisa in quattro sezioni per ridurre al minimo lo spostamento dei passeggeri. Il pilota aveva il proprio spazio di manovra al centro del rettangolo. In uno degli scompartimenti c’erano due donne sulla quarantina. Una era vestita di nero, mentre l’altra di verde: non così tanto somiglianti da essere gemelle, ma era ovvio che fossero sorelle. Quella vestita di nero emise un suono leggero, troppo alto per essere un sospiro, dal tono troppo felice per essere un lamento.

    «Prego», disse sorridendo la sorella vestita in verde.

    Le sorelle condividevano il loro scompartimento con un contabile di Dunstable. La moglie e i due figli adolescenti si trovavano in quello adiacente. Dall’altra parte del pilota c’erano tre uomini, che si stavano godendo la loro vacanza escursionistica, vestiti come un semaforo, in rosso, giallo e verde, una coppia di mezza età scozzese e un giornalista in pensione.

    La cesta continuò la sua lenta e pigra spirale, sorvolando il lago. Il movimento costante era la più grande sorpresa di quell’esperienza, così come la sensazione dell’aria in quota. Era in un certo senso più tagliente, più fresca di quella che si respira a terra. Fredda, ma non così piacevole come l’aria nelle mattine d’inverno. Solleticava la pelle, facendosi strada giù per i polmoni.

    La donna in verde, Jessica, si avvicinò alla sorella, il cui volto era impallidito e le cui mani erano aggrappate con forza alla cesta. Gli occhi, fissi sulla superficie dell’acqua, erano spalancati per lo stupore. Jessica era in preda a un pensiero allarmante. Aveva l’impressione che la sorella stesse per buttarsi nel lago.

    Più tardi avrebbe pensato che sarebbe stato meglio per entrambe saltare dalla cesta, che uno o due secondi di terrore e doloroso impatto con l’acqua non sarebbero poi stati così tremendi. La gelida, soffocante oscurità le avrebbe uccise oppure respinte e trascinate a riva. Probabilmente però, se si fossero buttate in quel punto, sarebbero sopravvissute.

    «Non è meraviglioso?», domandò, perché molto tempo prima aveva imparato che una distrazione poteva, alle volte, bloccare un’azione sconsiderata della sorella. «Ti piace? Non so come mai non abbiamo pensato di farlo prima».

    Isabel sorrise senza parlare, era inutile rispondere. Era chiaramente rapita da quell’esperienza.

    «È stupendo. Guarda che colori».

    Ancora nessuna risposta, ma almeno Jessica ebbe la soddisfazione di vedere sua sorella alzare la testa per sorridere agli alberi sulla riva destra del lago. Si sentivano come delle signore a un ballo, sgomitavano per farsi spazio, le gonne seguivano ogni loro movimento, si attorcigliavano, finché non fu possibile distinguere l’una dall’altra. Oltre agli alberi, le colline luccicanti come metalli preziosi parevano infinite.

    «Stiamo sorvolando la proprietà Harcourt». Da quando erano decollati, soltanto il pilota aveva parlato con un tono più alto del bisbiglio. «La casa sorgeva proprio sulla collina davanti a noi, ma è stata distrutta da un incendio alla fine del xix secolo».

    «Non dovremmo volare un po’ più in alto?». Il giornalista in pensione dai capelli radi e il girovita appesantito si stava accigliando nel vedere la punta degli alberi avvicinarsi rapidamente.

    «Non preoccupatevi. L’ho già fatto altre volte». Il pilota dai capelli rossi, originario del Tyneside, alto un metro e ottanta, stuzzicò l’aria sopra al bruciatore rilasciando una breve scarica di fiamme e i passeggeri più vicini sentirono un’ondata di calore sul capo. «Mi piace volare a bassa quota in questo tratto, perché i boschi del Northumberland sono il posto migliore per vedere gli scoiattoli rossi e, negli ultimi mesi dell’anno, i falchi pescatori».

    Ci fu un improvviso rumore di macchine fotografiche e uno spostamento di peso della cesta sul lato più vicino al bosco. Nessuna delle sorelle aveva con sé una macchina fotografica, perciò furono le prime a scorgere le rovine dei piani alti della casa che emergevano dalle fronde degli alberi come denti macchiati. La sorella in nero rabbrividì.

    «In origine la casa del xvi secolo era stata costruita a scopo difensivo», disse il pilota mentre la mongolfiera si alzava leggermente sopra la linea degli alberi. «Prima qui c’era soltanto una distesa verde di quasi ottanta chilometri. Atterriamo tra quindici minuti, gente».

    «È un falco quello? Sulla cima di quel grande albero con le foglie gialle? Ha delle piume grigio-marroni». Uno degli escursionisti stava indicando verso le cime degli alberi e tutti si dimenticarono della casa.

    «Può darsi». Il pilota tirò fuori un binocolo, dando le spalle al senso di marcia della mongolfiera.

    «C’è qualcuno laggiù».

    «Dove? Nel bosco?». Jessica seguì lo sguardo della sorella, ma la sua vista non era mai stata acuta. Isabel aveva anche un udito migliore del suo, era sempre la prima a sentire i profumi e a individuare i cattivi odori nel cibo. Come se tra le due fosse quella più intelligente e con un pensiero più logico.

    «Dietro alla casa».

    Jessica si mise in punta di piedi. Sulla spalla della sorella riuscì soltanto a vedere le voragini sul tetto e i muri semi collassati.

    «È una ragazza. Sta correndo».

    La mongolfiera sorvolò la casa a quota così bassa che era possibile distinguere le macchie di muschio e le tegole rotte. Il pilota, distratto dal possibile avvistamento di un falco pescatore, non si era accorto che stavano andando giù.

    «Là».

    Una figura in movimento, una giovane donna magra, dai capelli scuri, con indosso abiti blu che parevano avere un aspetto orientale, aveva appena raggiunto la recinzione in muratura in fondo al giardino.

    «Che sta facendo?».

    Alle loro spalle gli altri passeggeri stavano provando a immortalare un falco pescatore, mentre il giornalista dispensava consigli su come fotografare al meglio gli animali allo stato brado. Soltanto le due sorelle stavano osservando la ragazza. Jessica si guardò intorno, non sapendo bene se allertare gli altri oppure no. Frugò nella tasca della sua giacca e tirò fuori il cellulare.

    Giù nel giardino, un uomo uscì fuori dagli arbusti, camminando lentamente, ma con una meta ben precisa. Dall’alto le due sorelle riuscirono soltanto a distinguere la sua corporatura: era basso e robusto. Indossava una giacca di pelle di una misura troppo grande, una camicia bianca e un trilby, un cappello di feltro scuro. I capelli, scuri e ricci, sbucavano da sotto la tesa del cappello.

    Un imponente pastore tedesco trotterellava al suo fianco.

    «Oh!». Jessica si appoggiò ancora di più sulla sorella. «Bella, stai ferma, lasciami…».

    Al vedere l’uomo, la donna si rannicchiò con le mani strette sopra la testa.

    «Che c’è?», chiese Isabel.

    «Non è possibile! È lui».

    «Chi? Jess, conosci quell’uomo?»

    «Sean!». Jessica indietreggiò per toccare il braccio del pilota. «Guarda laggiù».

    «Cosa?». Si girò nella direzione indicata e lo stesso fece il contabile.

    «Ha un’arma». Il figlio adolescente del contabile, che aveva individuato la coppia nel giardino, ora stava indicando la mano sinistra dell’uomo che pareva stringere un fucile o una pistola. In quella destra, invece, aveva un grande masso.

    «Oh mio Dio! È vero», esclamò la madre dell’adolescente. «Che possiamo fare?».

    Parlavano sussurrando in modo stridulo.

    Gli altri passeggeri persero interesse per il falco pescatore e si voltarono a osservare la scena che si stava svolgendo a terra. La ragazza alzò lo sguardo, vide la mongolfiera e si mise a gridare. L’uomo, che non li aveva ancora scorti o sentiti, sollevò il masso al cielo. La ragazza parve appiattirsi contro il terreno. L’uomo abbassò la pietra.

    La ragazza non urlò una seconda volta. Il grido strangolato, perfettamente udibile all’aria del mattino, provenne da un passeggero della mongolfiera. Fu l’unico suono emesso. Lo choc li aveva pietrificati. L’uomo a terra si girò per guardare verso l’alto. Il cane lo imitò, iniziando ad abbaiare. I passeggeri della mongolfiera videro l’uomo lasciar cadere il masso e portare la mano sulla testa per tenere il cappello al suo posto, mentre allungava il collo all’indietro.

    «Cristo!», esclamò Jessica.

    L’aria attorno a loro rumoreggiò quando Sean aprì la valvola per aumentare la fiamma. Tuttavia, prima di salire a bordo, erano stati informati che ci volevano dieci secondi per vedere l’effetto di ogni cambiamento apportato dal pilota. In altre parole, la mongolfiera avrebbe impiegato dieci secondi a salire di quota. Isabel, ricordando quell’informazione, si mise a contare a bassa voce. «Dieci, nove…».

    Jessica alzò il cellulare, selezionò la macchina fotografica e scattò nella direzione dell’uomo. Lui se ne accorse. Per qualche secondo rimase a fissarla dritto negli occhi.

    «Otto, sette…».

    L’uomo afferrò l’arma con la mano destra.

    «Tutti giù! Abbassatevi!». Jessica obbligò la sorella a nascondersi oltre il bordo della cesta e si accovacciò a sua volta, strattonando il braccio del contabile. Tuttavia non riuscì a rannicchiarsi completamente, perché nello scompartimento non c’era abbastanza spazio per tutti e tre. Continuò a mantenere lo sguardo fisso sull’uomo a terra, con la sommità del capo pericolosamente esposta.

    Il cane si era messo a correre in cerchio in modo concitato, abbaiando a quello strano oggetto in cielo.

    «Sei, cinque…», contò Isabel.

    Jessica ebbe la sensazione che si stessero alzando, anche se lentamente. Alcuni passeggeri erano ancora in piedi. «Abbassatevi!», urlò di nuovo.

    Un’altra fiamma si levò verso l’alto, proprio nel momento in cui l’uomo a terra alzò la pistola. Suoni di terrore spezzarono l’aria quieta del mattino. I passeggeri si misero a gridare, a strillare a vicenda e in direzione del pilota. Mentre il contabile allungava la mano per far nascondere moglie e figli dentro la cesta, la mongolfiera si girò, allontanando le due sorelle dalla tragedia, che si stava svolgendo al suolo.

    «Quattro, tre…». Si stavano decisamente alzando di quota, adesso più velocemente.

    «Tenetevi stretti!». Sean rilasciò la fiamma per la terza volta.

    «Due, uno». Jessica contò mentalmente un secondo, poi un altro ancora. Sì, la mongolfiera si stava alzando in fretta. Sorpassò le mura perimetrali del giardino, salendo di quota a ogni secondo.

    Oh, grazie Dio! Portaci in fretta più in alto. Oh, santo cielo! Tenete tutti la testa bassa.

    La cesta roteò e lei poté di nuovo vedere il giardino. L’uomo aveva attraversato un arco, dove una volta vi era una robusta porta di legno, e ora si trovava in uno spazio aperto sul retro della casa. Jessica alzò il telefono e scattò una seconda fotografia. Uno scatto nitido. Sfortunatamente lui se ne accorse.

    «State giù! Abbassate la testa!».

    Non aveva idea di chi stesse gridando, pensò che probabilmente si trattava del pilota, non era in grado di muoversi, non poteva voltarsi completamente rannicchiata com’era nello scompartimento. Continuò a fissare l’uomo con il fucile sulla spalla e la schiena appoggiata contro il muro.

    Stava mirando a lei. Ne era certa.

    Lo sparo – forte, preciso e molto, molto vicino – fu seguito da diversi secondi di silenzio inquietante. Poi da borbottii sommessi e gemiti soffocati. La ragazza adolescente si mise a piangere.

    La mongolfiera ora si stava alzando molto velocemente, il suolo era sempre più distante. Le due figure a terra, una adagiata come un serpente morto, l’altra che si affannava a inseguire il pallone come se potesse raggiungerlo, non erano più nitide. Con la coda dell’occhio, Jessica scorse un’altra testa sbucare oltre il bordo della cesta. Ne percepì il movimento, l’udì sfregare contro l’intreccio in vimini. Gli altri passeggeri si stavano raddrizzando. Sua sorella le diede una spinta e lei indietreggiò per permetterle di alzarsi.

    È successo per davvero? Non riesco a crederci! Stanno tutti bene? Helen? Poppy? Nathan? Parlatemi.

    L’uomo al suolo alzò di nuovo il fucile e la cesta oscillò mentre le persone si affrettavano a nascondersi di nuovo. Questa volta, le due sorelle rimasero dov’erano. La mongolfiera era in quota, probabilmente era la prima volta, da quando avevano iniziato il volo, che si trovavano così in alto. Si sentivano al sicuro.

    «C’è segnale qui?». Il giornalista era ancora rannicchiato nel suo scompartimento. «Dobbiamo chiamare la polizia».

    Jessica aveva già controllato il suo cellulare. Niente. C’era poco o nessun segnale nel Northumberland National Park. Era tuttora la regione più remota, poco accessibile e meno densamente popolata del Paese.

    Le teste fecero di nuovo capolino. Il contabile, che si era presentato come Harry, cercò la moglie, che stava abbracciando entrambi i suoi figli. I passeggeri, visibilmente scossi, osservarono il suolo distante, le rovine della casa, il bosco autunnale che formava un mosaico di colori. Il lago luccicava ancora alla debole luce del mattino come un penny abbandonato. Sembrava così lontano.

    D’accordo, stiamo tutti calmi. Nat, stai bene? È finita. Siamo lontani. Non riesco nemmeno più a distinguerlo. Santo cielo! È davvero successo?

    Jessica percepì che la tensione provocata dal terrore lasciava spazio al sollievo. Controllò di nuovo il cellulare. A terra c’era una donna che non aveva via di scampo. Forse qualcuno con un operatore diverso aveva campo. Aprì la bocca per chiedere agli altri di controllare i loro telefoni…

    L’urlo la investì su un lato della testa come una martellata.

    Tutti insieme i passeggeri si voltarono verso il suono. Dall’altra parte della cesta c’era un’insegnante di mezza età di nome Natalie. Non la smetteva di gridare, teneva le mani premute contro il viso. Il marito le afferrò le spalle nel tentativo di girarla verso di lui.

    Gli altri passeggeri la guardarono per un istante, poi seguirono il suo sguardo e immediatamente capirono che mancava qualcuno. Quell’assenza significava un disastro imminente.

    Sean, l’alto pilota dai capelli rossi, non era più in piedi nel suo scompartimento al centro della cesta, con una mano sul bruciatore e l’altra stretta intorno al binocolo. Quelli più vicino a lui si sporsero in avanti, sperando che anche lui si fosse rannicchiato. Il ragazzo adolescente venne tirato indietro dal padre. Uno dei due escursionisti girò il capo con un’espressione di disgusto.

    Cosa c’è? Dov’è? Che fine ha fatto?

    Jessica si avvicinò in punta di piedi per vedere oltre la spalla del contabile, poi alzò il proprio telefono e si mise a scattare.

    Pareva che qualcuno avesse riversato un’intera lattina di vernice rossa nello scompartimento del pilota. Il sangue grondava dalle pareti di vimini misto a una melma grigia e gelatinosa. Sul fondo arti e busto giacevano accasciati in un groviglio.

    La testa del pilota era stata recisa dal corpo.

    3

    Ammazzare il pilota con un colpo solo era stato uno dei momenti più appaganti della sua vita. Patrick si abbandonò al formicolio da esaltazione che sentiva in tutto il corpo, l’elettricità scorreva nelle sue vene come se fosse stato colpito da un teaser. Ora poteva concentrarsi sulla donna dai capelli scuri con la giacca verde. Inspirò, trattenne il fiato e sentì calore nel dito appoggiato sul grilletto. Lei lo stava fissando, impaurita come un coniglio. Di lì a pochi secondi il suo cervello sarebbe schizzato in aria come un fuoco d’artificio. Sentì la familiare eccitazione all’inguine dovuta alla consapevolezza che la caccia stava per giungere al termine; al centro del petto la sagoma del crocifisso bruciò la camicia e la sua pelle.

    Quella dannata cesta si era di nuovo messa a roteare, nascondendo alla sua vista la testa della donna, oscurandola dietro uno dei cavi spessi della mongolfiera, e inoltre, a ogni secondo, stava riprendendo quota. Delle teste fecero capolino, ma sparirono immediatamente non appena lo videro. Riuscì a contarne sei, otto, forse qualcuna in più. Non gli restava molto tempo.

    «Sta’ zitto, Shinto». Cercò di dare un calcio al cane, ma lui lo schivò, dimostrando di essere abituato a quell’atteggiamento del padrone.

    Poteva sparare alla cesta. Il proiettile avrebbe trapassato facilmente l’intreccio vegetale. Poteva fare fuori quasi tutti con una semplice scarica di colpi. Ma ecco, infine, una visuale pulita, senza ostacoli. Lei lo stava fissando, si era persino tirata su per guardarlo dritto negli occhi come se lo conoscesse. Lui premette lievemente sul grilletto.

    E si bloccò. Non poteva sparare a qualcun altro. Anche una sola persona sarebbe stata di troppo. Doveva apparire come un incidente. I passeggeri dovevano morire nell’impatto.

    Nessun problema. Anzi, più divertimento.

    Patrick abbassò l’arma e rimase a osservare la mongolfiera volare lontano, quindi tirò fuori il suo cellulare. Niente campo. Non c’era mai segnale da quelle parti. I passeggeri non avrebbero potuto chiedere aiuto e, di lì a poco, neanche raccontare l’incidente.

    Un gemito soffocato, proveniente da vicino, gli ricordò che non era ancora finita. Ritornò in giardino con il cane alle calcagna.

    La ragazza stesa a terra aveva ancora battito, anche se debole. Stava sanguinando da un taglio sulla testa e probabilmente anche da un orecchio. Sollevò una ciocca di capelli neri, si abbassò e la premette contro il suo viso. Sapeva di olio e sudore e, quando la lasciò cadere con disgusto, lei spalancò gli occhi. Non riusciva a mettere a fuoco. I suoi occhi erano neri, ma non avevano più alcuna scintilla. Gemette, ma non cercò di muoversi.

    La guardò per tre minuti che non le volle risparmiare. Posizionò i suoi lunghi capelli in modo da coprirle il volto, ma evitò di annusarli di nuovo. Il colore era giusto, quello che a lui piaceva, ma l’odore era sbagliato. Si ritrasse per osservare la forma del corpo snello della ragazza sotto i vestiti sporchi; gli vennero dei pensieri che, secondo sua madre, lo avrebbero spedito dritto all’inferno.

    Il tempo scorreva. Infilandosi il fucile sulle spalle, attraversò di corsa il giardino e le rovine della casa per sbucare sulla facciata. Il quad lo stava aspettando. Infilò il cappello in una tasca, accese il motore e aggirò la casa. Shinto lo seguì. Era in grado di correre dietro al quad per un’intera giornata, se necessario.

    4

    Lo choc si era impadronito della mongolfiera come una morsa gelida. L’escursionista in fondo alla cesta stava gridando delle istruzioni che nessuno riusciva a comprendere con chiarezza. L’adolescente, che scattava col cellulare fotografie del pilota morto, saltellava in modo nevrotico. Suo padre, invece, pareva pietrificato sul posto. La madre e la figlia si tenevano strette e il più lontano possibile dal cadavere.

    Natalie, aggrappata al marito, urlava che voleva scendere, che non ce la faceva più a sopportare quello che stava accadendo, e pregava che qualcuno la riportasse subito a terra.

    Al di sotto, la terra aveva perso la maggior parte dei suoi colori e del suo luccichio. All’improvviso, pesanti nuvole incominciarono ad ammassarsi nel cielo, prosciugando la bellezza del parco. Ora pareva desolato e vuoto. Un luogo dal quale non sarebbe giunto nessun aiuto.

    La mongolfiera stava ancora salendo a tutta velocità, con l’ombra che la seguiva lungo il terreno. L’aria intorno a loro era più fredda. Il leggero pizzicore sulla pelle, provato nella prima parte del volo, adesso assomigliava alle sferzate gelide delle mattine d’inverno. Per la prima volta da quando avevano preso il volo, Jessica venne infastidita dalla nausea.

    Una mano fredda le strinse la sua. «Che cosa facciamo?», domandò Isabel.

    Dall’altra parte dello scompartimento del pilota, i tre escursionisti erano in piedi, pallidi ma composti, così come il giornalista.

    «C’è bisogno di un nuovo pilota». Jessica modulò la voce in modo da non lasciare trasparire il terrore che l’attanagliava. «Non è un jet da combattimento. Così come siamo saliti, possiamo scendere. Quanto può essere difficile?».

    Uno degli escursionisti, un uomo chiamato Nigel, si fece avanti. «Sono un ingegnere meccanico. C’è qualcuno più qualificato di me?»

    «Qualcuno deve fare qualcosa subito!», gridò Natalie. «Non voglio morire!».

    «Nessuno morirà». L’escursionista in rosso, Walter, era un uomo rumoroso, che parlava e rideva in maniera chiassosa. La paura gli faceva alzare ancora di più la voce.

    «Abbiamo molto tempo a disposizione», commentò Martyn, il giornalista. «Possiamo salire ancora di tremila metri prima di avere bisogno di ossigeno. L’importante è non andare nel panico».

    Parole sagge. Difficili da mettere in pratica. Il panico era piombato dall’alto come un gigantesco rapace. Jessica non voleva alzare lo sguardo, perché temeva di scorgerlo appollaiato sulla struttura di supporto sopra le loro teste, intento a guardare in basso, augurandosi una totale perdita del controllo. Volse lo sguardo velato. Il paesaggio sottostante non si stava più rimpicciolendo.

    «Dammi una mano, Walt». Nigel si allungò ad afferrare i cavi d’acciaio rivestiti di cuoio.

    Natalie si liberò dal marito e irruppe in un urlo di terrore, che spezzò l’aria sottile.

    «Zitta!». L’ultimo dei tre escursionisti, Bob, puntò il dito contro il marito di Natalie. «Chiudile la bocca. Fate tutti subito silenzio o mi butto di sotto».

    Un volto rosso per la rabbia si girò verso di lui. «Non è necessario».

    «Dobbiamo provare a restare calmi», Jessica udì dire alla sorella. «Lo so che siamo spaventati, ma ci sono molte cose che possiamo ancora fare».

    Ascoltarono le parole di Isabel. Le urla vennero smorzate, i pianti trattenuti. Tuttavia, la calma conquistata era fragile come una bolla di sapone. Poteva scoppiare in qualsiasi momento.

    Nigel si sporse pericolosamente e oscillò sopra lo scompartimento del pilota. Aveva il volto pallido quando si lasciò cadere dentro. «Merda». Si girò verso i due amici. «Non si riesce a vedere niente qui. Dobbiamo liberarci di Sean».

    Walter lo fissò. «Come sarebbe a dire che dobbiamo liberarci di lui?»

    «Guardalo».

    Mentre le persone più vicine avanzarono, Bob fece qualcosa di stupidamente audace. Afferrò i cavi d’acciaio che reggevano la mongolfiera e, con un balzo, si sedette sul bordo della cesta. Tutti guardarono in basso. Lo spazio al centro era minuscolo, pensato per una sola persona che doveva stare in piedi. Il pilota era grande e grosso. Il suo cadavere occupava l’intero fondo dello scompartimento.

    «Dobbiamo buttarlo fuori».

    «Non possiamo farlo. Sdraialo».

    «Non basta. Non saremmo comunque in grado di manovrare».

    «Trasferiscilo in questo scompartimento», propose Martyn.

    Natalie si mise a protestare sonoramente. «Non farlo. Non potrei sopportarlo».

    Il giornalista si rivolse a lei. «Non possiamo buttarlo fuori».

    «Per l’amor del cielo, è morto. Non può essere più morto di così».

    Jessica aveva qualcosa da dire. «Non stiamo più salendo», dichiarò. «Anzi, stiamo perdendo un po’ di quota. Qualsiasi cosa decidiamo di fare, facciamolo in fretta».

    Bob saltò giù dal bordo della cesta. «Natalie ha ragione. Non è il momento di farsi prendere dai sentimenti. Dobbiamo liberarci di lui».

    «Salto dall’altra parte, Nigel. Ti do una mano», si offrì Walter.

    Nigel annuì. «Martyn, puoi aiutarci? Signore, mi spiace chiedervelo, ma ho bisogno che voi spingiate le gambe e i piedi».

    «D’accordo», replicò Jessica.

    Quando Walter si arrampicò per raggiungere Nigel, Jessica non poté fare a meno di guardare di lato. La terra era pericolosamente più vicina. Era stata una scelta saggia o…?

    «Non guardare», le sussurrò la sorella all’orecchio con tono pacato. «C’è tempo».

    «È pesante». Nigel e Walter erano piegati in avanti nello scompartimento del pilota. «Martyn, afferra un braccio e tira quando te lo dico. Okay, ragazzi, sollevate».

    I tre uomini lo alzarono. Il cadavere del pilota era maledettamente pesante, ma riuscirono ad appoggiare il busto oltre il bordo e al resto ci pensò la gravità.

    «Aspettate!», gridò Jessica. Troppo tardi. Un’ultima spinta e le gambe del pilota sfregarono contro l’intreccio in vimini e poi sparirono dalla vista.

    La mongolfiera rispose immediatamente alla perdita di peso. Si alzò più in fretta di quanto aveva fatto precedentemente, scivolando verso le nuvole spesse.

    Le grida irruppero da ogni parte. Salirono verso l’alto.

    «Che è successo?», urlò qualcuno.

    «Non abbiamo più il peso del pilota», rispose Jessica. «Era grande e grosso. È naturale che la mongolfiera abbia agito di conseguenza. Si aggiusterà da sola. Tenete duro e non andate nel panico».

    Facile a dirsi, quando le strisce bianche e rosse della mongolfiera parvero ingrossarsi e diventare più chiare sopra di loro.

    Nello scompartimento del pilota, Nigel stava esaminando il variometro, l’unico strumento nella cesta che era attaccato a un cavo d’acciaio. Lo fissava, desiderando ardentemente che smettesse di mostrare numeri sempre più alti. «Cristo, avrei dovuto prevederlo». Si strofinò la faccia con una mano, sporcandosi con il sangue del pilota. «Siamo quasi a seicento metri», disse.

    «Non è un problema», gridò Jessica. «Prima eravamo troppo vicini alla casa. C’è tanto cielo sopra di noi. Si sistemerà tutto». Si voltò in direzione dei visi spaventati. «Abbiamo imparato un’importante lezione di fisica. Credo che stia già rallentando».

    Non era vero. Stavano ancora volando velocemente verso l’alto e il disgustoso uccello nero sopra le loro teste aveva allargato le ali. Riusciva a percepire la sua ombra avvolgente, il suo vile fetore.

    «Ha ragione», urlò il giornalista. «Non possiamo salire all’infinito. Mi sono informato prima di prenotare questo volo. La massima velocità che può raggiungere una mongolfiera come questa è di duecentoquaranta metri al minuto».

    «E questo dovrebbe tranquillizzarci?», intervenne Bob.

    «È la stessa di un paracadute vecchio stampo». Il giornalista guardò le sorelle. «Significa che non moriremo, signore. Magari ci romperemo qualche ossa, ma non moriremmo nemmeno se ora precipitassimo verso terra. Non c’è bisogno di agitarsi. E nessuno osi saltare fuori o la mongolfiera ricomincerà a salire».

    I passeggeri nella cesta corrugarono le fronti per la concentrazione, mentre cercavano di elaborare e comprendere quelle ultime parole.

    «Grazie, Martyn», disse Nigel. «Walt, tu sai usare la radio delle barche. Guarda se riesci a far funzionare quella della mongolfiera. Dobbiamo far sapere a qualcuno che cosa ci sta succedendo e chiedere aiuto. Possono guidarci a terra. Non dev’essere difficile».

    «Qualcuno ha campo?». Jessica stava tenendo il suo cellulare in aria per attirare l’attenzione degli altri. «Dobbiamo cercare di salvare quella donna. Dobbiamo mandare la polizia all’inseguimento di quel tizio. Un telefono risolverebbe la cosa più in fretta di quanto Walter possa fare con la radio. Potete controllare per favore?».

    Nigel frugò nella tasca e le consegnò un cellulare sottile. Jessica scosse la testa frustrata. «Come il mio. Qualcuno ha un operatore diverso da Orange?».

    I passeggeri tirarono fuori i rispettivi telefonini, li alzarono in aria, li agitarono, li scossero contro la cesta.

    «Continuate a provare, per favore. Ci serve il segnale».

    Nigel, ancora chino sul variometro, stava respirando a fatica, malgrado fosse un maratoneta. «Sentite», disse, «una delle ultime cose che ci ha detto Sean è che ci trovavamo a quindici minuti dall’area di atterraggio, quindi dovremmo esserci». Guardò su un lato. «Ho bisogno che voi, signori e signore, siate le mie sentinelle. Cercate d’individuare la squadra che ci attende a terra, una buona zona d’atterraggio che sia ampia e piatta. Ma, soprattutto, segnalatemi gli ostacoli. Non vogliamo di certo finire dentro a un albero o contro una montagna».

    «Non riesco a capire dove potrebbe essere la radio», mormorò Walter. «Qualcuno sa che aspetto dovrebbe avere?».

    Jessica sollevò lo sguardo dal suo telefono. «Il terreno intorno alla vecchia casa, la proprietà Harcourt, è un buon posto per atterrare. Non c’è niente lì intorno. Dobbiamo solo capire quanto ci siamo allontanati». Controllò l’orologio. «Sono trascorsi dodici minuti da quando abbiamo sorvolato la casa. Dovremmo trovarci a tre chilometri di distanza».

    Nigel teneva una mano su una valvola di metallo rossa. «Se non sbaglio, questa serve a rilasciare il gas e a far salire la mongolfiera». Nessuno obiettò, perciò si apprestò a girare la valvola. Ne scaturì una fiamma.

    «No! Non farci salire ancora. Dobbiamo scendere».

    «Ho bisogno di capire come funziona». Nigel aprì di nuovo il bruciatore.

    «Smettila! Portaci giù».

    «Sto diventando cieco?». Walter era inginocchiato e soltanto le due sorelle udirono le sue parole. Si guardarono.

    «Su, su, tesoro, lui sa il fatto suo», disse il marito di Natalie.

    «No, non è vero. Non ne ha la minima idea. Nessuno di noi sa che fare».

    Non c’è la radio sulla mongolfiera. Jessica formò le parole con le labbra, senza emettere un suono, eppure le sentì lo stesso riecheggiare dentro la sua testa. Sopra di lei, l’uccello con le sue piume nere in putrefazione spalancò il becco e gracchiò nella loro direzione.

    La mongolfiera rispose all’aria calda e incominciò a salire.

    «Non c’è la radio sulla mongolfiera». Walt ripeté ad alta voce il pensiero della donna, guardando verso le due sorelle.

    «Ci deve essere», replicò Jessica. «Abbiamo sentito Sean usarla».

    «Ho campo». Il ragazzino stava tenendo il suo telefono in aria, agitandolo da una parte e dall’altra, all’inseguimento del segnale sfuggente. «È debole. Solo una tacca».

    «Chiama il 999», gli ordinò Jessica. «Riferisci che cos’è successo. Sapranno cosa fare. Chiamo io se non te la senti. Walter, che cos’è quello? Dietro a quella tela?».

    Nigel si rivolse al giornalista. «Martyn, c’è un estintore dietro

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1