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Passa la notte con me
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Passa la notte con me

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Una sola notte può cambiare tutta una vita

Dall'autrice del bestseller Chiedimi quello che vuoi

Dennis è un attraente docente brasiliano che durante il giorno insegna in una scuola tedesca e di notte si scatena con le sue lezioni di furrò, un ballo tipico del suo Paese. Finito l’anno scolastico, un rinomato istituto britannico gli fa un’offerta di lavoro e lui accetta senza esitazione. Quello che lo aspetta a Londra è estremamente allettante per lui: un ambiente diverso, nuove conoscenze e vecchi amici che non vedono l’ora di introdurlo alla vita notturna della città. Le sue avventure vanno a gonfie vele, ma a Londra c’è anche Lola, una spagnola con un carattere di fuoco che, a differenza delle altre donne, non ha alcuna intenzione di farsi usare... Anzi, è lei che conduce il gioco. Dennis non si è mai innamorato prima e fatica a capire perché ogni volta che la vede ha i brividi. Ma trascorrere una notte con lei è tutto ciò che desidera, anche a costo di perdere il suo cuore.

L’amore vero non è quello che scegliamo, ma quello che sceglie noi 

Le lettrici dicono dei suoi libri: 

«Il giusto mix di passione e romanticismo.»

«Spettacolare. Come tutto quello che Megan Maxwell ha scritto.»

«Una storia d’amore e passione, dalla quale non potrete che restare incantati.»

«Megan Maxwell non delude, mai.»

«Intrigante e travolgente ai massimi livelli!»
Megan Maxwell
è una scrittrice prolifica di successo. Di madre spagnola e padre americano, vive vicino Madrid con marito e figli. Ha vinto il Premio Seseña per il romanzo d’amore e ha ricevuto il Premio Dama. Prima di Passa la notte con me, la Newton Compton ha già pubblicato la trilogia composta da Chiedimi quello che vuoi, Ora e per sempre e Lasciami andare via – vero caso editoriale in Spagna –, Chiedimi chi sono, Solo per questa notte e Basta Chiedere, e il romanzo Sorprendimi.
LanguageItaliano
Release dateFeb 14, 2018
ISBN9788822718860
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    Passa la notte con me - Megan Maxwell

    Capitolo 1

    Come sempre, il viavai nell’aeroporto Galeão di Rio de Janeiro era frenetico.

    Dopo essere sceso dal taxi che lo aveva portato fino al terminal, Dennis, un alto e attraente brasiliano, salutò con gentilezza il tassista e si diresse a fare il check-in.

    Tra i banchi della compagnia aerea Iberia si mise alla ricerca di Tainara, l’amica di sua sorella Wanda. Quando lo vide, la ragazza gli indicò con un gesto di mettersi in fila al suo banco. Gli avrebbe potuto facilitare di molto le formalità del viaggio.

    Mentre aspettava pazientemente in fila, masticando una gomma americana alla ciliegia e ascoltando musica attraverso gli auricolari del suo iPhone, Dennis pensò alla sua famiglia e sorrise. Avere trascorso quei giorni con loro prima di iniziare il nuovo lavoro a Londra era stato meraviglioso.

    Si guardò intorno. Tutti sembravano felici. Di norma viaggiare rallegra la gente. Poi posò gli occhi su due donne con vistose parrucche di colore rosa e verde che aspettavano il loro turno nella sua stessa fila, e i cui movimenti avevano richiamato la sua attenzione.

    Non davano l’impressione di essere molto felici, sembrava che discutessero. Mentre quella con la parrucca rosa cercava di uscire dalla fila per raggiungere un uomo dai capelli scuri che la osservava, l’altra, con la parrucca verde, la teneva per un braccio e, borbottando in inglese, diceva: «Priscilla, per favore, sii giudiziosa, ti ricordo che quella giudiziosa sei sempre stata tu».

    «Ma, Lola…».

    «Le nostre vacanze finiscono oggi e dobbiamo prendere l’aereo. Fine della storia».

    La donna con la parrucca rosa sospirò e, indicando il bel moro che le osservava a pochi metri da loro, rispose: «Lola, guardalo… è così carino. Ci potrei addirittura grattugiare del formaggio su quegli addominali!».

    «Sì, hai ragione», disse lei, ridendo.

    «Dai, Lola, me lo merito dopo quello che mi ha fatto Conrad!».

    Sentire il nome dell’ex cognato la addolorò.

    «Conrad!», ripeté Priscilla infastidita. «Non so perché lo nomino».

    Lola guardò la sorella, dispiaciuta. Poverina, stava davvero male. Intanto lei continuava a insistere: «Prolungherò di un altro giorno la mia vacanza d’ozio e parrucche rosa, tu pensala come vuoi».

    Lola osservò João, il brasiliano che sua sorella aveva conosciuto nella breve permanenza lì, e a quel punto la sentì supplicare: «Solo un giorno in più».

    «No».

    «Lola!».

    «Priscilla Simmons, no!».

    «Lola Simmons, per favore!».

    «Priscilla, togliti la parrucca e andiamo a prendere quel maledetto aereo. Poggeremo i nostri bei sederini sulle morbide poltrone in business class, dove dormiremo e guarderemo film, e quando arriveremo a Monaco atterreremo, per poi decollare di nuovo alla volta di Londra, punto e basta», sbraitò la donna con la parrucca verde, senza rendersi conto che Dennis le stava osservando.

    Notando che sua sorella digrignava i denti, Priscilla sorrise e, senza dare importanza al suo tono minaccioso, rispose: «Odiami, digrigna pure i denti, ma non porterò il mio sedere su quell’aereo. Vado a cambiare di nuovo il mio biglietto».

    Lola spalancò la bocca e, guardandola, protestò: «Un’altra volta? Sei impazzita?»

    «Forse sì, ma…».

    Infastidita, la donna con la parrucca verde le si avvicinò.

    «Niente ma, prenderai quell’aereo con me, che ti piaccia o no. Dirai addio al tuo bel brasiliano piacente che ha fatto ballare la samba a tutto il tuo corpo e torneremo a casa».

    «Non posso, il mio corpo chiede… samba bollente!».

    Lola sorrise, non riuscì a evitarlo.

    «Priscilla, pensa a mamma».

    «Non mettere in mezzo mamma, non vale!».

    «Priscilla!».

    «Lola, Lola, Lola».

    «Dio mio, mi consumerai il nome!», si lamentò.

    «Per favore, non fare così», la interruppe la sorella. «Il prossimo aereo per Londra parte tra dieci ore, cosa saranno mai dieci ore se paragonate all’energia che sprizzo da ogni poro?»

    «Priscilla, abbiamo rimandato il ritorno già due volte e sai che devo rientrare perché ho un’infinità di cose da organizzare prima di rientrare al lavoro, non posso rimandare un giorno in più».

    «Lo so, lo so».

    «E allora?»

    «Tu vai, che io lo capisco!». Lola sorrise. «Ma non avercela con me per la mia impulsività quando si tratta di João. In fondo, a casa non mi aspetta nessuno».

    Non riuscendo a credere alla testardaggine di sua sorella, Lola si coprì il viso con le mani, lanciando un buffo gridolino di frustrazione.

    «Dai, per così poco…», si lamentò Priscilla.

    «Mamma si arrabbierà».

    «Lola, magari mamma capisse e si arrabbiasse, ma non è così, perciò non uscirtene con questa storia».

    Sempre più sconcertata, Lola la guardò e le chiese: «Ma come ci torno a casa senza di te?»

    «Se te lo chiede papà, digli che mi sono impuntata. O digli semplicemente che mi sono comprata una parrucca rosa, mi ha dato di volta il cervello e mi sono impegnata ad andare a letto con un brasiliano visto un paio di volte, prima di tornare alla mia fredda e noiosa vita londinese».

    «Priscilla».

    «Per favore, per favore», insistette.

    Alla fine, quando sua sorella le fece gli occhi dolci, Lola sorrise e, rassegnata, alzò le spalle e bisbigliò sovrappensiero: «D’accordo. Lo saprai tu».

    Quello era il loro viaggio. Il viaggio tra sorelle che facevano tutti gli anni e al quale aveva sempre partecipato anche il fratello Daryl, prima che cominciasse a lavorare come pilota per una compagnia aerea e i suoi doveri glielo impedissero.

    Priscilla, Daryl e Lola erano fratelli da parte di padre, un padre difficile di nome Colin Gabriel Simmons, che, dopo aver conosciuto Elora Seford, una studiosa di storia che insegnava nella scuola di suo padre, era stato costretto dai genitori a sposarla. Un anno dopo, dal frutto di questa unione nacque Priscilla, una bella bimba, bionda come la madre.

    Ma Elora amava il suo lavoro. Era un’eccellente e acclamata storica londinese e divenne la cocca del padre di Colin, uno storico come lei. Il figlio mal sopportava la loro complicità. Non solo aveva dovuto sposare la donna impostagli dal padre, ma doveva perfino accettare che quest’ultimo fosse più orgoglioso di lei che del proprio figlio. Questo comportò un allontanamento tra i due coniugi. Colin tornò alla sua vita da donnaiolo e, insieme ai suoi amici, passava la notte a divertirsi, con discrezione.

    Lui ed Elora vivevano sotto lo stesso tetto, ma non condividevano la stessa stanza. Era il modo in cui Colin puniva la moglie perché aveva un rapporto migliore di lui con suo padre. Elora provò a parlagli, cercando di fargli capire che l’erede diretto della scuola era lui, non lei, ma fu tutto inutile. Colin provava risentimento per suo padre e per il mondo intero, ed Elora decise di accettarlo e tacere per amore.

    Vissero così per nove anni. Nove anni nei quali nessuno ebbe mai sospetti sulla vera vita che si celava dietro le mura di casa.

    Durante quei lunghi anni di allontanamento, una sera Colin uscì a cena con alcuni amici e conobbe Maria, una ragazza hippie di madre spagnola e padre irlandese che lo mandò fuori di testa e lo fece innamorare perdutamente in soli quindici giorni, con la sua pazzia e impulsività.

    Da questa relazione clandestina nacque Lola, una bella bambina con i capelli rossi e gli occhi verdi come suo padre, al quale rubò il cuore, esattamente come la figlia Priscilla, che aveva già nove anni.

    Ma Maria era uno spirito libero e, quando decise di andarsene con Lola, Colin non poté fare nulla, perché non voleva che la gente sapesse della sua infedeltà. Nel mondo elitario in cui viveva non avrebbero visto di buon occhio il fatto che avesse avuto una figlia fuori dal matrimonio, così, disperato, la lasciò andare.

    Elora, che lo osservava in silenzio, rimase impietosita dal suo dolore e, nonostante fosse a conoscenza dell’esistenza della bambina e dell’amore che Colin provava per quella donna, lo accettò nel suo letto e lo consolò.

    Nove mesi più tardi, Elora dette alla luce un bambino a cui diedero nome Daryl Michael Simmons, e che ben presto divenne l’orgoglio del padre.

    Una sera di quattro anni dopo, una pittoresca donna di nome Diana bussò alla porta dei Simmons a Wimbledon Park. Quando Colin vide la bambina con i capelli rossi e gli occhi verdi che si nascondeva dietro di lei, capì immediatamente che si trattava di Lola.

    Elora, che valeva più per quello che taceva che non per quello che diceva, provò compassione per la bambina. Perché dovevano essere sempre i figli a pagare per gli errori dei genitori? Così, ancora una volta, mise da parte se stessa e permise che quella donna e la piccolina entrassero a casa sua in cerca di aiuto.

    Quel giorno Colin venne a conoscenza dell’amara realtà: Maria viveva in una casa comune alle Bahamas e, volendosi liberare della bambina, aveva chiamato sua madre, che viveva a Londra, per offrirle la bimba in cambio di una sostanziosa somma di denaro. Se non l’avesse voluta, avrebbe trovato a chi darla.

    Elora e Colin ne rimasero scandalizzati. Come era possibile che una madre facesse una cosa del genere?

    Diana, la mamma di Maria, era subito andata a prendere sua nipote, ma il viaggio e il denaro che aveva dato a sua figlia in cambio della piccola le avevano fatto esaurire le ridotte risorse economiche. Quando sua figlia le aveva confessato chi era il padre, la donna non aveva esitato un attimo e si era presentata a quella porta in cerca di aiuto. Che gli piacesse o meno, quella era sua figlia, e come tale Simmons doveva impegnarsi a crescerla.

    Colin la ascoltò attonito mentre osservava Elora che sorrideva alla piccola mentre quest’ultima, felice, ricambiava. Allora, desideroso di aiutare la bambina, arrivò a un accordo con Diana: la piccola sarebbe andata a vivere con la nonna e lui, ogni mese, avrebbe provveduto al suo sostentamento e al pagamento di una buona scuola. A Lola non sarebbe mancato nulla.

    Nei quattro mesi successivi, Elora andò a fare visita a Lola quasi ogni giorno. La bambina era un incanto e la donna si affezionò a lei. Se ne occupava persino le sere o le notti in cui Diana lavorava. La bambina cercava continuamente affetto tra le sue braccia e lei glielo offriva, senza esitare. Cinque mesi dopo che Lola era apparsa nelle loro vite, il padre di Colin morì e lui ereditò la scuola. Il giorno in cui fu nominato direttore, però, una chiamata dall’ospedale rovinò la festa, perché seppero che Diana, la nonna di Lola, era stata investita.

    Elora e Colin andarono in ospedale e, dopo essersi accertati che stesse bene, la donna chiese che la aiutassero con Lola. Nella saletta attigua c’era un’assistente sociale con la bambina. Era stata contattata dall’ospedale e pretendeva di portare la piccola in una casa di accoglienza per il tempo necessario alla guarigione della nonna.

    A quel punto, Elora prese una decisione che, ne era certa, avrebbe accettato anche Diana: Colin doveva riconoscere Lola affinché potesse vivere con loro e in tranquillità.

    All’inizio, lui si preoccupò. Se la gente avesse saputo del suo errore di gioventù, il suo status sociale ne sarebbe stato minacciato. Ma Elora si impuntò, tirò fuori il carattere che non aveva mai mostrato per difendere la bambina e lo minacciò, dicendo che, se Lola non fosse andata a vivere sotto lo stesso tetto dei suoi fratelli, lo scandalo lo avrebbe scatenato lei. Diana la assecondò.

    Capendo che sarebbe stato addirittura peggio se a lanciare le accuse fosse stata Elora, Colin accettò. Anche se rendere pubblica l’esistenza della bambina sollevò un grande polverone, dopo un po’, come sempre accade per queste cose, tornò tutto alla normalità.

    Lola venne cresciuta come una figlia da Elora e Colin. Daryl e Priscilla guadagnarono una sorella e, con Diana, anche una nonna.

    Quest’ultima mandava Colin su tutte le furie perché si dedicava alla lettura della sfera di cristallo, della mano e dei tarocchi ma, insieme a Elora, formavano una famiglia felice.

    Sfortunatamente, però, di tanto in tanto tornava a sbucare anche Maria, la figlia di Diana, in cerca di denaro, e riusciva sempre a ottenerlo. Quando non glielo dava Colin, lo faceva sua madre, e lei riusciva sempre ad avere ciò che voleva.

    Ogni volta che faceva la sua comparsa, Elora si abbatteva. Non tanto per la piccola quanto per suo marito. Colin aveva perso la testa per Maria; quella donna lo manipolava, lo irretiva, faceva di lui quello che voleva. Senza dubbio, l’amore che Colin provava per lei era ancora vivo e questo a Elora spezzava il cuore. Gli anni passarono e Lola era cosciente della sofferenza patita da Elora a causa di quella donna. Quando la madre biologica appariva nella sua vita portava solo disgrazie, ma, nonostante questo, né sua nonna né suo padre erano in grado di dire di no ai suoi capricci. Pertanto, Lola prese una decisione drastica. Avrebbe allontanato dalla sua vita qualsiasi cosa facesse soffrire Elora e la famiglia, e Maria era una di quelle.

    Diana cercava di fare da punto di unione tra Lola e la madre biologica, ma era sempre più difficile. La passività di sua figlia non aiutava e il comportamento di Lola neppure. Eppure non si arrese, in fondo erano la sua famiglia.

    Con gli anni, la salute di Elora peggiorò. All’improvviso, la grande professoressa di storia che lasciava tutti a bocca aperta cominciò a comportarsi in modo strano e iniziò a far preoccupare la famiglia. Dimenticava le cose, il suo umore cambiava di continuo, era disorientata…

    Alla fine, preoccupati per lo strano comportamento, i figli la portarono dal miglior medico di Londra e, dopo vari esami, le fu diagnosticato l’Alzheimer. Sapere della malattia fu un duro colpo per Elora, com’era possibile che stesse succedendo proprio a lei?

    I figli, spaventati, cercarono subito aiuto, perché da soli non erano in grado di aiutare davvero la madre.

    Nel frattempo, il freddo Colin restava impassibile: c’erano già i figli e il denaro a prendersi cura di Elora.

    Andò avanti per molto tempo, fino a quando, cinque anni dopo, Elora perse del tutto la memoria e la consapevolezza e, seppure con la morte nel cuore, furono costretti a ricoverarla in una casa di cura davanti all’impossibilità di tenerla con loro. Quel giorno, il duro Colin crollò. I figli desideravano il meglio per lei e lui non glielo negò. Elora lo meritava.

    Quello stesso anno, alla cena di Natale, Colin presentò Rose ai suoi figli, una donna poco più giovane di Elora che già da un po’ faceva parte della sua vita. All’inizio, Rose non fu ben accolta. In occasione delle feste, dei compleanni, o all’inizio e alla fine dei corsi scolastici, Rose interpretava il ruolo di madre e questo a loro non piaceva, ma alla fine, riuscì a conquistarli tutti. Era impossibile non volerle bene.

    «Lola, Lola», la chiamò Priscilla.

    La giovane guardò sua sorella e quest’ultima, sorridendo, le chiese: «Eri già nel Lolamondo?».

    Anche lei sorrise. Ogni volta che si fermava a pensare a qualcosa, i fratelli si prendevano gioco di lei dicendole che si trovava in un posto chiamato Lolamondo.

    «Senti, non tiriamola per le lunghe. Io vado», disse Priscilla in tutta fretta. «Ci vediamo a Londra tra un paio di giorni». Ciò detto, abbracciò la sorella, la baciò e si allontanò. Passando accanto a Dennis, entrambi sorrisero, poi Priscilla corse verso João, che la abbracciò. Dopo essersi baciati, si presero per mano e uscirono insieme dall’aeroporto mentre Lola li osservava.

    Dieci minuti dopo, fece il check-in al banco della compagnia per cui lavorava suo fratello. Quando il bagaglio fu portato via dal nastro trasportatore, cominciò a incamminarsi, sola e con le mani nelle tasche dei jeans, senza rendersi conto che un paio di occhi scuri, vivaci e curiosi, non avevano mai smesso di osservarla.

    Quando Dennis raggiunse il banco, salutò la giovane impiegata con uno dei suoi provocanti sorrisi.

    «Ciao, Tainara».

    Arrossendo, la ragazza annuì. Quello era il fratello della sua migliore amica e il bocconcino per il quale tante avevano perso la testa nei giorni in cui era stato in Brasile.

    «Ciao, Dennis», rispose nervosa.

    Parlarono un po’ del più e del meno. Se c’era una cosa che a Dennis riusciva benissimo era proprio far capitolare le donne davanti al suo fascino e, quando ebbe la ragazza in pugno, chiese: «Potresti farmi un favore, Tainara?»

    Lei annuì, estasiata. Niente l’avrebbe resa più felice che esaudire un suo desiderio.

    «Certo, sarà un piacere».

    Soddisfatto, Dennis sussurrò col solito dolce sorriso: «So che sul volo c’è una mia amica, si chiama Lola Simmons e viaggia come me in business. Potresti farmi sedere accanto a lei?»

    Tainara consultò rapidamente la lista passeggeri e poi affermò, sorridendo: «Fatto, sei accanto a lei».

    Dennis fissò la donna con i suoi occhi scuri e, sorridendo di nuovo, bisbigliò: «Grazie, ti devo da bere!».

    A Tainara scoppiò il cuore in petto. Andare a bere qualcosa con lui sarebbe stato incredibile e non vedeva l’ora di raccontarlo alle amiche.

    Dopo aver lasciato il bagaglio sul nastro trasportatore, Dennis afferrò il biglietto che gli porgeva la ragazza e, dopo averle strizzato l’occhio con aria complice, si incamminò in direzione dei controlli di sicurezza per raggiungere il gate per l’imbarco.

    Attese il suo turno prima di passare sotto il metal detector. Lasciò lo zaino di cuoio nero e il cellulare in un contenitore bianco, l’iPad in un altro e, dopo aver sorriso all’agente di polizia che gli fece cenno di avanzare, Dennis superò i controlli. Recuperò le sue cose e girovagò un po’ tra i negozi dell’aeroporto, osservando alcuni prodotti con curiosità. Quando vide il profumo che era solito usare, lo prese e se ne spruzzò un po’; quella fragranza gli piaceva molto.

    Dopo aver passeggiato tra i negozi, si diresse verso uno dei tanti schermi distribuiti all’interno del terminal e, quando localizzò il suo volo, vide il gate d’imbarco corrispondente e si diresse verso lo Starbucks che era di fronte. Ordinò un caffellatte e si sedette a un tavolo. Si guardò attorno in cerca della ragazza con la parrucca verde, ma, non vedendola, aprì lo zaino, tirò fuori l’iPad, sfogliò l’elenco delle canzoni e, accedendo a una cartella, selezionò Por qué llorar, interpretata da Pastora Soler. Mentre la canticchiava, controllò la posta elettronica e cercò i quotidiani digitali. Aveva tempo a sufficienza per leggere.

    Mentre era concentrato nella lettura, gli squillò il cellulare. Sorrise nel vedere il nome apparso sulla schermata e, parlando in portoghese, sussurrò: «Oi, mamãe».

    Mentre parlava con sua madre, vide la donna che stava cercando. Invece di indossare la parrucca verde, sfoggiava una bellissima capigliatura rossa. Era una rossa! La osservò avvicinarsi alle sedie vicino alla porta d’imbarco e prendere posto. Guardò curioso come raccoglieva i bei capelli in una coda alta e rimase imbambolato a contemplare il collo snello e tentatore. Era così sexy!

    Lei finì di farsi la coda, prese il cellulare dalla tasca della gonna lunga che indossava e lesse qualcosa che la fece sorridere. Poi lo mise via, aprì un’enorme borsa, tirò fuori un libro e cominciò a leggere.

    Trascorsi alcuni minuti, dopo aver salutato la madre, Dennis non si mosse dal suo posto. Continuò a restare seduto da Starbucks, osservando con disinvoltura la donna che sarebbe stata accanto a lui per le successive tredici ore, mentre il suo iPad suonava Insensatez, cantata da Mónica Naranjo.

    I capelli rossi raccolti senza troppa cura le davano un’aria fresca e spensierata. A un certo punto, la giovane si tolse la giacca e Dennis riuscì a distinguere meglio la sua figura, in particolare i seni. Né grandi né piccoli, ma tentatori. Gli si seccò la bocca. Immaginare quella donna nuda seduta sulle sue gambe lo eccitò e, sorridendo, decise di pensare a qualcos’altro. Non era il momento di eccitarsi.

    Passò più di un’ora, poi, quando l’hostess annunciò l’imbarco del volo, ripose l’iPad nello zaino, si alzò e si mise in fila alle spalle della rossa, la quale non si era accorta che la stesse marcando già da un po’.

    Il profumo che diffondeva nell’aria era gradevole, davvero molto buono, ma Dennis preferiva il modo in cui muoveva il collo e se lo grattava lentamente. Sbirciando sopra le sue spalle, riuscì a vedere il titolo del libro con la copertina nera e sorrise. Lo aveva letto anche lui mesi prima, gli era stato raccomandato dalla sua amica Judith.

    Quando la rossa consegnò il biglietto a un’addetta alle procedure d’imbarco della compagnia aerea, Dennis la osservò camminare. Procedeva con sicurezza, erotismo e convinzione. Dopo aver consegnato il suo biglietto alla giovane del banco, che gli sorrise, il brasiliano continuò a seguirla. Poi rallentò il passo in modo che, quando si fosse avvicinato al suo posto, lei sarebbe già stata seduta e l’avrebbe visto arrivare.

    Un po’ in ansia per aver lasciato a terra sua sorella Priscilla, Lola si incamminò verso l’aereo. Dopo aver salutato l’assistente di volo all’entrata con un cenno del capo, si diresse al suo posto, nella fila centrale, in business class. Avere un fratello pilota doveva pur servire a qualcosa.

    Mentre si accomodava e ascoltava la dolce canzone La ragazza di Ipanema, interpretata da João Gilberto, che si diffondeva dagli altoparlanti dell’aereo, notò che qualcuno si era fermato dall’altro lato dell’ampio corridoio. Voltandosi, si trovò di fronte un uomo alto, moro e terribilmente attraente, che le sorrise e la salutò in inglese.

    «Ciao».

    Lola lo fissò. Quell’uomo aveva uno sguardo conturbante e magnetico; tuttavia, ritornò in sé, si portò una ciocca rossa dietro l’orecchio e ricambiò il saluto in modo sbrigativo: «Ciao».

    Per alcuni secondi ognuno rimase sulle sue, fino a quando Dennis, vedendola prendere posto mentre canticchiava la canzone, disse: «Bella canzone, La ragazza di Ipanema».

    Lola annuì.

    «Sì, molto bella».

    Senza darsi per vinto, il bel brasiliano sorrise e insistette: «Sembra che viaggeremo insieme».

    «Così sembra», si limitò a rispondere lei mentre apriva il libro.

    Senza dire altro, lui lasciò lo zaino vicino al sedile della donna e una delle assistenti di volo giunse subito in suo aiuto, sorridendogli incantata. Dennis fu gentilissimo ma, allo stesso tempo, vide con la coda dell’occhio che la giovane dai capelli rossi era tornata a immergersi nella lettura.

    Non appena l’hostess si fu allontanata, Dennis aprì lo zaino, prese il suo iPad e lo lasciò sopra il sedile. Infilò zaino e giubbotto nello scomparto e, dopo essersi seduto, guardò la compagna di viaggio e chiese: «Vuoi una gomma?»

    Lei si voltò e, vedendo che era alla ciliegia, rispose: «No, grazie».

    Dennis mise via il pacchetto di gomme e, dato che lei non sembrava aver voglia di parlare, cominciò ad armeggiare con lo schermo del televisore che aveva davanti, per vedere i film disponibili.

    Lola, facendo finta di nulla, lo guardò maneggiare senza sforzo il telecomando incorporato nel bracciolo del sedile. Di certo non era né la prima né la seconda volta che lo utilizzava e, dimenticandosi del suo libro, osservò i film che apparivano sullo schermo. Ce n’erano almeno tre che non aveva mai visto, perciò li avrebbe senz’altro guardati.

    In quell’istante, dagli altoparlanti si udì una voce: «Buonasera, signori passeggeri, il comandante e il resto dell’equipaggio vi danno il benvenuto a bordo e vi ringraziano per aver scelto questo volo della compagnia Iberia diretto a Londra, con scalo a Monaco…».

    Mentre l’hostess continuava a parlare, le colleghe passarono in cabina offrendo qualcosa da bere. Sia Lola che Dennis chiesero un bicchiere di vino bianco, cosa che li spinse a guardarsi e sorridersi. A quel punto, approfittando della situazione, lui mormorò: «Non è il miglior vino al mondo, ma non è male».

    Lola annuì, e lui continuò: «Odio volare, ma dopo le vacanze nella mia terra devo tornare a Monaco e un po’ di vino fa sempre bene per calmare i nervi».

    La giovane sorrise e, abbassando il libro, commentò: «Per essere uno a cui non piacciono gli aerei, ti aspetta un volo di più di tredici ore».

    Dennis annuì e sorrise come solo lui sapeva fare, poi affermò: «Ne è valsa la pena solo per aver visto la mia famiglia».

    La giovane sorrise di nuovo, e a quel punto lui le tese la mano e si presentò: «Il mio nome è Dennis. Dennis Alves».

    Lola sorrise. Le si prospettava un bel viaggio in buona compagnia. Gli prese la mano e, mentre gliela stingeva, disse: «Keira. Keira McCarty».

    «Irlandese?»

    Lei annuì. Le piaceva usare il nome e il cognome della bisnonna materna e, toccandosi i capelli rossi, disse con ironia: «I miei capelli lo gridano ai quattro venti».

    Dennis rimase sorpreso dal nome con cui si era presentata, perché sapeva benissimo che si chiamava Lola; Lola Simmons, per la precisione. Ciononostante, dato che non voleva rivelare ciò di cui era a conoscenza, senza lasciarle la mano se la portò alle labbra, gliela baciò e sussurrò: «Piacere di conoscerti, Keira».

    La giovane annuì. Quell’uomo era un predatore, esattamente come lei quando si riproponeva di sedurre qualcuno. Non essendo disposta a lasciarsi intimidire né da lui né da nessun altro, sorrise e, riprendendo il libro, continuò con la lettura. Il viaggio era lungo.

    Quindici minuti dopo, l’aereo cominciò a muoversi e dagli altoparlanti si udì un altro messaggio: «Signori passeggeri, seguendo le norme internazionali dell’aviazione civile, effettueremo una dimostrazione sull’utilizzo della cintura di sicurezza, del giubbotto di salvataggio, delle maschere d’ossigeno e sulla localizzazione delle uscite di emergenza. Per favore, è molto importante che prestiate attenzione. La cintura di sicurezza deve…».

    Dennis rimase a fissare l’hostess che mostrava come allacciare la cintura di sicurezza al centro del corridoio e si rallegrò nel constatare che la donna lo guardava e gli sorrideva. Prestò attenzione alla spiegazione e, quando ebbe terminato, capì che l’aereo sarebbe decollato a breve.

    Poco dopo, quando imboccò la pista di decollo con i motori che giravano al massimo, Lola lo guardò di nascosto e notò che il brasiliano si aggrappava con forza al sedile, e lo trovò buffo.

    Possibile che un uomo grande e grosso e che sembrava tanto sicuro di sé avesse paura di volare?

    L’aereo cominciò ad accelerare sempre di più e Dennis chiuse gli occhi.

    «Tranquillo, non succede niente», sentì dire all’improvviso, «va tutto bene».

    Sentendo la voce della ragazza, Dennis aprì gli occhi e, guardandola totalmente paralizzato, replicò: «Sto malissimo al decollo e all’atterraggio perché so che sono i momenti più pericolosi».

    «Ma se sono i più divertenti!», disse lei, ridendo.

    «Mi spiace, ma non riesco a sorridere», bisbigliò lui, a cui sbiancarono le mani quando l’aereo iniziò la salita.

    Senza pensarci, Lola intrecciò le sue dita a quelle dell’uomo e guardandolo, cominciò a parlare per distrarlo. Quando terminò il discorso e l’aereo si fu stabilizzato, gli lasciò la mano e affermò con positività: «Ecco, la fase di decollo è finita! Ora ci aspetta un volo meraviglioso verso Monaco».

    Contento, il brasiliano si rilassò. Si sentiva ridicolo, ma le regalò un fantastico sorriso per ringraziarla e disse: «Grazie mille per il tuo aiuto».

    «Tranquillo, a questo servono i compagni di viaggio».

    Il sorriso di quella ragazza lo incantò, giusto nel momento in cui lei riprese di nuovo il libro e tornò a concentrarsi sulla lettura.

    Un’ora dopo, l’hostess gli portò qualcosa da bere, insieme alle noccioline e alle olive che mangiarono in silenzio, ognuno concentrato sulle proprie cose. Quando arrivò l’ora del pasto, mentre entrambi si gustavano le pietanze portate dalle assistenti di volo, Dennis guardò Lola e chiese: «Keira, sei stata in Brasile per lavoro o per piacere?»

    Una volta mandato giù il pezzo di pollo che aveva in bocca, rispose: «Piacere. Sono stata in vacanza con mia sorella».

    Lui annuì e subito dopo chiese, facendo il finto tonto: «Tua sorella vive a Rio e sei venuta a farle visita?»

    «No», disse Lola, «non vive a Rio, ma diciamo che ha conosciuto qualcuno e ha preferito prolungare di un giorno il suo viaggio».

    «Wow, mica male», disse Dennis con un sorriso.

    «Sì», rispose lei ridendo. «Mica male per lei, mentre a me aspetta tutta un’altra musica quando mio padre vedrà che sono tornata da sola».

    «Ma non è colpa tua. Come hai detto anche tu, tua sorella ha deciso di prolungare il viaggio».

    Lola annuì. Sapeva che aveva ragione.

    «Lo so», rispose e, cercando di cambiare argomento, aggiunse: «Immagino che anche tu sia stato in Brasile per piacere».

    «Ho approfittato delle vacanze prese a Monaco per venire a far visita alla mia famiglia», disse Dennis.

    «Ma che ci fa un brasiliano a Monaco?»

    «Ci lavora», rispose lui, sorridendo.

    Continuarono a mangiare in silenzio fino a quando Dennis disse: «Il libro erotico che stai leggendo l’ho letto qualche tempo fa».

    Lola guardò il libro che aveva accanto e lo sentì aggiungere: «È interessante».

    Lei annuì. Era un romanzo ad alto contenuto erotico e, abbassando la voce, disse: «E molto perverso».

    Entrambi scoppiarono a ridere, come sempre il sesso suscitava ilarità. Allora il brasiliano chiese senza mezzi termini: «E cosa ne pensi?»

    «A cosa ti riferisci?»

    Consapevole del fascino che esercitava sulle donne, Dennis le si avvicinò un po’ di più e sussurrò: «Intendo dire se le vedi cose fattibili o se sei una di quelle che si spaventa davanti a certi argomenti».

    Si fissarono per alcuni secondi. Ciò che pensavano in merito all’argomento del libro risultava lampante, così, lasciandosi trasportare dal momento e cosciente del fatto che non avrebbe più rivisto quel bel moro, Lola si avvicinò a un paio di centimetri dalla sua bocca e, guardandolo negli occhi, rispose: «Mi piace quello che leggo. Credo che tutti abbiamo delle fantasie e il sesso non mi spaventa».

    Senza allontanarsi, sicuro di averla in pugno, il brasiliano sorrise e poi la sentì aggiungere: «E sebbene pensi di essere riuscito a ottenere quello che volevi, devo essere sincera e dirti che sono stata io ad averlo ottenuto».

    Dennis non la capiva. Sollevò un sopracciglio, e lei proseguì: «Ti ho visto al gate e ho notato subito che mi stavi osservando. Eri seduto da Starbucks, bevevi qualcosa e giocavi con il tuo iPad, ma guardarmi ti divertiva di più. Poi, durante l’imbarco, mentre eravamo in fila, ti ho sentito dietro di me e mi è piaciuto. Non solo, mi è piaciuto anche il tuo profumo. Quale porti?»

    «Loewe 7».

    Lola annuì mentre sorrideva tra sé nel vedere il brasiliano spiazzato.

    Adorava disarmare gli uomini; più erano sicuri di loro stessi, più lei ne traeva godimento. Poi proseguì: «Anche se non ci crederai, ho tenuto il gioco, eccitata al pensiero che tu mi guardassi mentre camminavo davanti a te. Anche se non vedevo il tuo viso, sapevo che osservavi il movimento dei miei fianchi e l’ho accentuato di proposito per mostrarti quanto mi sento sicura della mia femminilità. E non sto qui a raccontarti quanto mi abbia sorpreso scoprire che eri il mio compagno di viaggio. Perciò, non credere che mi sia arresa al tuo fascino, sarebbe meglio dire che tu ti sei arreso al mio dal momento in cui me lo sono riproposto».

    Sorpreso, stupefatto ed esterrefatto, Dennis sbatté le palpebre quando lei, senza un minimo di vergogna, posò le labbra sulle sue e sfiorandole, sussurrò: «Sei sexy, tentatore e credo anche focoso a letto, ma sono stanca e voglio solo tornare a casa».

    A bocca aperta, Dennis non si mosse.

    Rispetto al sesso, il predatore era sempre stato lui, ma quella rossa dagli occhi verdi e sfacciati non era di certo da meno.

    Quando aprì la bocca, pronto ad accogliere la sua lingua provocante, Lola sorrise. Dopo avergli dato un leggero colpetto sulla punta del naso, tornò al suo posto e sussurrò: «E adesso che abbiamo messo le carte in tavola, che ne dici se ci guardiamo un film e raffreddiamo i bollenti spiriti?»

    Dennis annuì.

    Aveva conosciuto tante donne differenti in vita sua: divertenti, sconsiderate, timide, sorridenti, paurose, disponibili… ma quel tipo di donna così schietta, diretta, tanto sicura di se stessa, era una novità.

    «Guardiamo un film», mormorò alla fine. «Sarà meglio».

    Lola sorrise e si accomodò sulla poltroncina. Se c’era una cosa che aveva imparato fin da piccola, era stare sempre un passo avanti, e con lui lo aveva fatto.

    Capitolo 2

    Con lo schienale del sedile reclinato, Dennis cercò di dormire mentre intorno a lui era buio.

    Stavano volando da circa dieci ore e ne erano già passate un paio senza scambiare neanche una parola con la vicina di posto che, dopo aver guardato un film, aveva abbassato lo schienale quasi fino a farlo sembrare un letto e si era addormentata.

    Dennis stava fissando il soffitto dell’aereo quando vide passare un’assistente di volo che gesticolava in direzione della cabina di pilotaggio. Questo richiamò la sua attenzione e, premendo il pulsante del sedile, lo riportò in posizione verticale. Notando che l’hostess lo guardava, si alzò e chiese: «Succede qualcosa?»

    La donna sorrise e fece cenno di no con la testa.

    «Torni al suo posto e allacci la cintura, per favore».

    Dennis non si mosse e insistette: «Ma sta succedendo qualcosa?»

    In quell’istante, l’aereo sussultò, svegliando tutti i passeggeri che stavano dormendo. Il brasiliano guardò l’hostess e stava per ripetere la domanda quando la donna, con un sorriso ma con il viso pallido come cera, vide sopraggiungere le colleghe e ripeté: «Per favore, signore, torni al suo posto e allacci la cintura».

    Dennis capì subito che c’erano dei problemi. Una volta tornato al suo posto, Lola, che si era svegliata come gli altri passeggeri e stava rimettendo il sedile in posizione verticale, lo guardò e chiese: «Che succede?»

    Dennis allacciò in fretta la cintura di sicurezza, la guardò e disse: «Non lo so, ma di certo qualcosa non va».

    A Lola iniziò a battere forte il cuore e, quando l’aereo ebbe un altro scossone e i passeggeri iniziarono a gridare, dall’altoparlante si udì: «Signori passeggeri, se a bordo di questo volo c’è un medico, un vigile del fuoco o personale di qualsiasi altra compagnia aerea, per favore, si identifichi. Grazie».

    Il cuore di Lola riprese a palpitare. Se avevano fatto un annuncio del genere significava che qualcosa non andava.

    In quel momento, un’assistente di volo raggiunse Dennis e, toccandogli una spalla, chiese: «Per favore, signore, potrebbe venire con me?»

    Sorpreso, il ragazzo si alzò, ma sentì che la giovane seduta accanto a lui gli afferrava di colpo la mano e gli sussurrava con uno sguardo spaventato: «Non andartene».

    «Ma devo…».

    «Non provare a lasciarmi qui da sola».

    L’intensità dello sguardo e la paura che percepiva nella voce della donna lo spinsero a mettere da parte il nervosismo. Guardandola, le disse: «Ti prometto che tornerò in pochi secondi, tranquilla».

    Dopo essersene andato, l’aereo diede un altro scossone e Lola, ormai da sola, si aggrappò all’enorme poltrona della business class, sussurrando tra sé: «No, no, non può essere vero».

    Dopo aver riunito un gruppo di persone, gli assistenti di volo spiegarono che avevano un problema al motore destro dell’aereo, ma che sarebbe andato tutto bene. Poi chiesero di aiutarli nell’attuare le procedure di evacuazione subito dopo aver toccato terra. Detto questo, tornarono tutti ai loro posti.

    Quando Dennis tornò da Lola, si sedette accanto a lei, si allacciò la cintura di sicurezza e, prendendole la mano senza neppure chiederle il permesso, disse: «Tranquilla, è tutto sotto controllo».

    «Non ti credo, ma mi fa piacere che tu lo dica. Che sta succedendo?»

    Preoccupato quanto lei, sebbene non in apparenza, bisbigliò: «C’è un problema al motore destro e faremo un atterraggio d’emergenza».

    «Oh mio Dio! Finiremo per…».

    Lola non riuscì a terminare la frase perché il brasiliano, intuendo che si sarebbe messa a urlare, l’attirò a sé e la baciò. Fu un bacio breve ma sensuale e, quando si staccarono, la guardò negli occhi e sussurrò: «Come mi hai detto tu durante il decollo, andrà tutto bene!».

    «Ma…».

    «Andrà tutto bene, tornerai a casa e potrai finalmente riposare».

    Lola non rispose, non ci riusciva. Non era in vena di scherzare. Era terrorizzata e inoltre sentiva le grida spaventate di alcune signore.

    «Keira, guardami!», insistette Dennis. Ubbidì a malincuore, e lui disse: «Non succederà niente, fidati di me».

    Lola, che gli stringeva talmente forte la mano da bloccare la circolazione a entrambi, annuì e, nonostante la paura che provava, riuscì a dire: «D’accordo, mi fido di te».

    Dennis sorrise proprio nell’istante in cui l’aereo sobbalzò e le maschere d’ossigeno caddero sopra le loro teste.

    Diventava sempre più preoccupante.

    L’equipaggio cercò di calmare i passeggeri come meglio poteva e gli altoparlanti li informarono che avrebbero dovuto effettuare un atterraggio di emergenza in Spagna per un problema a uno dei motori. Per la precisione, all’aeroporto Adolfo Suárez di Madrid.

    Tutti si guardarono spaventati.

    Sentire un annuncio simile in pieno volo fu terrificante, ma l’equipaggio li tranquillizzò con professionalità. Mostrò loro la posizione da assumere in fase di atterraggio e come procedere dopo aver ricevuto l’ordine di evacuazione.

    Lola, come il resto dei passeggeri, era paralizzata. Riusciva a scorgere la paura negli occhi di tutti i presenti, ma, cercando di non perdere la lucidità, guardò Dennis proprio nel momento in cui il comandante annunciò qualcosa e gli assistenti di volo cominciarono a gridare in varie lingue: «Posizione d’emergenza! Tenete giù le teste!».

    Attaccata a Dennis e piegata in avanti come lui, Lola notò che l’aereo si muoveva in modo strano e, dopo aver toccato il suolo, procedeva spedito senza fermarsi, mentre cellulari, occhiali e una marea di oggetti volavano da tutte le parti e un terribile odore di bruciato inondava le narici.

    Le grida della gente, il rumore tremendo dell’aereo, il forte odore di bruciato e la paura che si era diffusa in tutto il corpo la facevano respirare a fatica. Poi, finalmente, l’aereo si fermò e sentì gli assistenti di volo gridare: «Evacuazione!».

    Dennis le lasciò la mano, slacciò la cintura di sicurezza, la tirò verso di sé, afferrò la borsa che gli era caduta sulle gambe e disse: «Andiamo, slacciati la cintura. Dobbiamo uscire da qui».

    A partire da quel momento, avvenne tutto molto in fretta.

    L’equipaggio aprì i portelloni da cui si srotolarono gli scivoli gonfiabili e Dennis, insieme ad altre persone, aiutò a evacuare i passeggeri il più in fretta possibile. Quando Lola toccò il suolo dell’aeroporto di Madrid, le gambe le cedettero. Se non fosse stato per un vigile del fuoco che la sorresse, avrebbe preso una bella botta.

    Attonita, si guardò indietro alla ricerca del brasiliano, ma non lo vide. Cercò di ritornare nell’aereo, ma ovviamente non le fu permesso. La gente correva e piangeva spaventata e, alla fine, la fecero salire su una navetta insieme ad altri passeggeri e li portarono via.

    Era notte. Quando entrò nell’enorme terminal T4, dove non c’era anima viva, Lola guardò l’ora sul pannello e vide che erano le due e cinque del mattino.

    Nessun passeggero era rimasto ferito, ma c’erano comunque dei medici che si prendevano cura di loro. Non era successo nulla a cui non si potesse rimediare.

    Ancora spaventata, Lola si guardò intorno tenendo stretta la borsa. Doveva localizzare Dennis, ma non riusciva a trovarlo. L’ultima volta che l’aveva visto era stato nel momento in cui l’aveva spinta sullo scivolo d’emergenza per farla scendere, dopodiché era stata sorretta dal vigile del fuoco e ora si trovava lì.

    Arrivarono un paio di navette con altri passeggeri spaventati. Alcuni ridevano, altri piangevano e altri erano ancora sotto shock. Ogni secondo che passava, Lola era sempre più cosciente di quanto accaduto, che non era successo nulla di grave e che lei era lì, sana e salva.

    Preoccupata, osservò il costante andirivieni di persone finché non lo vide. Ecco il bel moro che stava cercando e, vedendolo, provò un grande sollievo. Senza staccargli gli occhi di dosso, notò che anche lui si fermava a guardarsi intorno, poi, quando la vide, sorrise.

    Si fissarono per alcuni secondi senza muoversi fino a quando, come attratti da una calamita, cominciarono a incamminarsi l’uno in direzione dell’altra.

    «Visto?», disse l’uomo quando furono faccia a faccia, «è andato tutto bene».

    Lola sorrise. Fino a prova contraria, era lui che aveva paura di volare. Gli gettò le braccia al collo, lo abbracciò, e chiudendo gli occhi, sussurrò: «Grazie, grazie per essermi stato accanto».

    Contento, Dennis la strinse tra le braccia. Affondò il naso contro il suo collo e, sollevato per essere stato in grado di dominare la paura e non restare paralizzato, rispose: «Per me è lo stesso».

    Restarono abbracciati per qualche minuto, finché un uomo con la barba bianca si presentò a tutti come responsabile della compagnia aerea e fornì maggiori informazioni su quanto accaduto e sui rimborsi che avrebbero potuto ottenere, mentre distribuiva dei fogli.

    Venti minuti più tardi, dopo aver risposto a tutte le domande che gli erano state rivolte, lo stesso uomo diede loro tre opzioni: trascorrere la notte in hotel e prendere un volo per Monaco o Londra il giorno seguente; prendere voli diretti per Monaco o Londra quella stessa notte; oppure, se c’era qualcuno diretto a Monaco che preferiva non volare, la compagnia avrebbe pagato il biglietto del treno o di un autobus fino a destinazione.

    «Tremo ancora dalla paura», disse Lola.

    Dennis la capiva bene. Valeva anche per lui, ma cercò di essere positivo e disse: «Tranquilla, arriveremo a casa sani e salvi e senza problemi».

    «Lo spero».

    Lui sorrise e, dato che voleva sapere qualcosa di più di lei, chiese: «Verrà a prenderti qualcuno di speciale all’aeroporto?»

    Lola ci pensò e poi rispose: «Sì, speciale è il taxi che prenderò per andare a casa, quello sì».

    Dennis annuì. Era felice di saperlo.

    Alcuni minuti dopo, Lola scelse la seconda opzione. Il suo volo sarebbe decollato nel giro di cinque ore senza fare scalo a Monaco.

    Dennis optò per il volo diretto per Monaco che partiva un’ora dopo quello di Lola.

    Si sedettero ad aspettare in quel terminal solitario e, un’ora dopo, alcuni addetti giunsero in sala con vari carrelli pieni di borse, borsoni, giacche e telefoni cellulari, informando i passeggeri che lì c’era tutto quello che era stato recuperato dalla cabina dell’aereo e che potevano riprenderne possesso in modo ordinato.

    Tutti si accalcarono in cerca dei loro effetti personali e Dennis recuperò lo zaino di cuoio nero e il giubbotto. Lola recuperò la giacca e, per fortuna, anche il telefono. Era meraviglioso ritrovare le proprie cose.

    Per tutto il resto del tempo, Lola e Dennis non si separarono neanche un istante. Avevano bisogno l’uno dell’altra. Avevano trovato un punto d’appoggio l’uno nell’altra, ma notarono anche la forte attrazione che cresceva ogni secondo, nonostante cercassero di tenerla a bada. Non era né il momento né il luogo.

    Un paio d’ore dopo li fecero spostare in

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