Il sentiero degli alberi di limone
By Nadia Marks
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About this ebook
Anna non aveva mai pensato che il matrimonio con Max potesse naufragare, fino al giorno in cui ha scoperto che lui l’ha tradita. Troppo sconvolta per affrontarlo, decide di seguire il padre, recentemente rimasto vedovo, in un viaggio nella piccola isola dell’Egeo dove è nato. Una volta arrivata sull’isola, la cordialità dei familiari e la bellezza del mare la travolgono, facendole riassaporare il fascino delle proprie origini. Ma la Grecia ha delle sorprese in serbo per lei: una scoperta casuale all’interno di un vecchio baule rivelerà ad Anna segreti di famiglia che sono rimasti nascosti per oltre sessant’anni. Un fiume di eventi, accaduti durante la seconda guerra mondiale, si riversa all’improvviso sulla sua vita. Anna assiste allo sconvolgimento che quelle verità, a lungo sepolte, provocano sulla sua esistenza. Capirà in breve tempo che il solo modo per scendere a patti con il presente è fare i conti con il proprio passato…
Un viaggio in una piccola isola greca per ripercorrere la storia di famiglia e scoprire tutte le sfumature dell'amore
«Ricco di emozioni, risate e segreti.»
Sunday Post
«Il mio libro preferito dell’anno. Una storia commovente sul vero significato dell’amore, scoperto a poco a poco insieme ai segreti di famiglia.»
Vanessa Feltz, BBC Radio
Nadia Marks
È nata a Kitromilides, che in greco significa limoni amari, ma è cresciuta a Londra. È stata direttore creativo e editor per numerose riviste femminili inglesi, ma adesso la scrittura occupa la maggior parte del suo tempo. Vive con il marito Mike e con i due figli a Londra. Il sentiero degli alberi di limone è il suo romanzo d’esordio.
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Book preview
Il sentiero degli alberi di limone - Nadia Marks
1897
Titolo originale: Among the Lemon Trees
Copyright © Nadia Marks 2017
First published 2017 by Pan Books, an imprint of Pan Macmillan,
a division of Macmillan Publishers International Limited
Traduzione dall’inglese di Erica Farsetti e Alessandra Maestrini
Prima edizione ebook: aprile 2018
© 2018 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-1870-9
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Il Paragrafo, www.paragrafo.it
Nadia Marks
Il sentiero
degli alberi di limone
Newton Compton editori
OMINO.jpgAi miei figli, Leo e Pablo
Indice
PARTE PRIMA
L’amore su un’isola greca, 1936
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
PARTE SECONDA
L’amore su un’isola greca, 1936
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
PARTE TERZA. NAPOLI, ITALIA, 1944
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
PARTE QUARTA. L’AMORE SU UN’ISOLA GRECA, 1945
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Ringraziamenti
Il greco antico ha quattro parole distinte per indicare l’amore: agape, eros, philia e storgé. È la lingua a definire l’uso di ciascuna.
Così come gli antichi greci, pur adorando dodici divinità, non escludevano la possibilità che ne esistesse una tredicesima, non si può escludere che esista una parola per indicare un quinto tipo d’amore.
Parte prima
L’amore su un’isola greca, 1936
La gente dell’isola ha sempre rispettato e venerato il potere della luna piena. Crede che, sotto l’influenza della luna d’agosto, il pensiero razionale tenda ad abbandonare le persone, soprattutto quelle che sono state colpite dall’incantesimo dell’amore. Sotto quell’influsso tutto può succedere. È un periodo pericoloso e imprevedibile: il suo effetto sugli amanti, giovani o vecchi che siano, non perdona. Quando l’aria calda e profumata di gelsomino inebria le menti, e il cielo è illuminato dal chiarore della luna, i sensi si risvegliano e i guai sono dietro l’angolo. La luna che brilla sul mare temperato promette piaceri che vanno ben oltre l’immaginazione, e chiunque può cadere preda del suo potere ed essere condotto sulla strada sbagliata.
In giorni lontani, presentendo il pericolo, le madri usavano tenere le giovani figlie sotto chiave. Fu proprio in una di quelle notti d’agosto che una ragazza focosa e ribelle riuscì a sfuggire all’occhio vigile della madre per correre sulla spiaggia a incontrare il ragazzo che amava.
Sapeva che, una volta alta nel cielo, la luna sarebbe stata troppo luminosa per offrire riparo da occhi indiscreti, così si era accordata per incontrare il giovane amante dopo il tramonto, ma prima del sorgere della luna. Quella era l’ora magica in cui il mondo era ammantato di oscurità e il mare piatto come una lastra di vetro.
Per settimane i due innamorati avevano pianificato di far coincidere il loro incontro segreto con il ventottesimo giorno del mese, quando la ragazza avrebbe compiuto quindici anni. Protetti dal buio della notte, si sentivano al sicuro, scambiandosi baci e abbracci, e giacendo l’una nelle braccia dell’altro, in attesa di partecipare al mistero del sorgere della luna d’agosto. Osservarono ammirati il baluginio dorato all’orizzonte crescere gradualmente fino a diventare un’enorme sfera color ambra sospesa sopra il mare, che inondava tutto con il suo caldo bagliore. Ma prima che la luna si alzasse ulteriormente, illuminando la spiaggia come un faro e tradendoli, i giovani innamorati corsero a cercare rifugio in una delle tante grotte sotto la scogliera alle loro spalle. Fu quella notte, la notte in cui compì quindici anni e la luna piena dominava il cielo, che la ragazza si concesse al giovane che amava più di chiunque altro al mondo, promettendogli amore eterno. Lui aveva compiuto sedici anni tre mesi prima.
«Ti amerò per sempre», giurò lui.
«Preferirei morire che smettere di amarti», replicò lei.
Capitolo 1
Londra, 1999
Anna aveva il cellulare in modalità silenziosa. Aveva escluso la suoneria durante la cena. Le dava fastidio se Max o i ragazzi rispondevano al telefono mentre erano a tavola. I pasti erano un momento solo per la famiglia: tutti gli altri potevano aspettare. In fondo, se loro erano insieme, quale emergenza poteva mai esserci che non potesse attendere? L’unica cosa di cui Anna si preoccupava era che il suo anziano padre potesse avere bisogno di lei, ma tanto lui chiamava sempre sulla linea fissa.
Stava svuotando la lavastoviglie, quando notò il telefono che vibrava sul bancone della cucina. Un numero che non aveva in rubrica. Esitò un secondo, prima di rispondere. Poi udì la voce dello sconosciuto.
«La signora Turner?»
«Sono io». Anna provò una certa inquietudine. Non capitava spesso che la chiamassero con il suo cognome da sposata, e la voce dell’uomo sembrava seria.
«Sono il dottor Morris, del Whittington Hospital», si presentò l’interlocutore.
Anna trattenne il fiato.
«Papà», sussurrò, un filo di voce a malapena udibile, lasciando quasi cadere il telefono.
«Abbiamo qui il signor Turner», continuò la voce. «Sta bene, ma forse è meglio che lei venga in ospedale. È stato suo marito a darci il numero. Al momento è in Medicina d’urgenza».
Nel giro di pochi istanti, Anna aveva afferrato le chiavi della macchina e stava salendo di corsa le scale per prendere il cappotto e avvisare Alex e Chloe, che erano ognuno nella propria camera. A quanto pareva Max aveva avuto un attacco cardiaco.
«Ragazzi! Ragazzi!», gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, affrontando due gradini alla volta e precipitandosi nella propria camera. «Vostro padre è in ospedale. Muoviamoci, andiamo!».
«Che cosa è successo?», chiesero entrambi all’unisono, correndo fuori dalle loro stanze.
«Stava bene a cena», disse Chloe.
«È andato a correre…», aggiunse Alex. «Era a posto».
«Non so che cosa sia successo», rispose Anna, senza fiato, «ma sembra che si tratti del cuore, quindi andiamo a vedere. Chloe, guida tu, non credo di essere in grado».
Disteso in uno dei cubicoli della Medicina d’urgenza in attesa che si occupassero di lui, Max aveva un’aria cupa.
«Sono davvero felice di vedervi, ragazzi», li salutò, sorridendo debolmente alla sua famiglia, che si precipitò ad abbracciarlo.
«Che diavolo è successo, Max?». Anna gli strinse la mano, baciandolo delicatamente sulle labbra. «Sapevo che correre dopo cena era una cattiva idea», commentò, con la preoccupazione stampata in volto. «Mi sembrava che fossi via da tanto, ma ho pensato che ti fossi fermato da John».
«A essere onesto», disse Max con voce fievole, «è tutto piuttosto confuso».
Cominciò a spiegare che stava facendo la sua solita corsa, alcuni giri su per la collina e attorno all’isolato, quando si era sentito stranamente mancare il fiato. Aveva provato un bruciore allo sterno. «Credevo fosse acidità di stomaco. Ho dato la colpa al cibo cinese che avevo mangiato a pranzo». Imprecò contro il tofu fritto. «Lo sapete che lo preferisco al vapore». Guardò Anna. «Continuava a tornarmi su e ho pensato che non avrei mai dovuto mangiarlo. Ero sicuro che fosse un reflusso gastrico. Poi ricordo solo di essermi ritrovato qui, dove a quanto pare mi stanno preparando per un angiogramma».
«Oh, papà!», esclamò Chloe, trattenendo le lacrime. «Ci hai spaventati a morte».
«Che cosa succederà adesso? Che cos’è un angiogramma?», domandò Alex, guardando sua madre.
Più tardi, il cardiologo disse ad Anna che Max era «un uomo fortunato» e che, se tutto andava bene, se la sarebbe cavata con uno stent nell’arteria ostruita, invece dell’alternativa, ovvero un’operazione a cuore aperto. Max si era sempre considerato fortunato, e doveva ringraziare proprio la fortuna se, quando era collassato, era stato notato da una donna con il cellulare che stava portando a spasso il cane.
Alla fine dovettero fargli un bypass. Fisicamente recuperò in fretta e, nel giro di un paio di mesi, diceva di sentirsi come prima. «L’ho scampata bella», continuava a ripetere a tutti. Il fatto che Max avesse sfiorato la morte aveva avuto un forte impatto su tutta la famiglia. I ragazzi e Anna si erano stretti attorno a lui.
«Papà deve capire che è ora di rallentare», aveva detto Chloe alla madre. «Non è più giovane quanto crede. Devi dirglielo, mamma, sul serio. Ho solo diciassette anni e mezzo, non voglio rimanere orfana», aveva continuato, mascherando la propria ansia dietro un finto fastidio. Alex, da parte sua, aveva deciso che era suo dovere tenere d’occhio il padre e, quando Max aveva ripreso a correre, era andato con lui.
«Ho bisogno di un incentivo per cominciare a fare esercizio», gli aveva detto, «in compagnia è molto meglio». Quello che l’iperapprensivo Alex intendeva in realtà era: Devo assicurarmi che tu non esageri, papà, e sono l’unico che può farlo!
. Avendo quindici anni, inoltre, aveva cose ben più ovvie di cui preoccuparsi, come lo studio e le ragazze, e l’eventuale decesso di suo padre non era ancora in programma neppure per lui, così si assicurava di aiutarlo a tornare in salute.
I Turner erano una famiglia unita. Quello di Max e Anna era stato un matrimonio lungo e fruttuoso: apprezzavano la compagnia reciproca, non erano mai a corto di argomenti e facevano ancora molte cose insieme. Il prossimo anniversario, per il quale Anna prima del collasso di Max stava progettando un viaggio a sorpresa a Cuba, sarebbe stato il loro venticinquesimo. In seguito, si era parlato di andarci per festeggiare il nuovo millennio e portare anche i ragazzi: sarebbe stato l’ultimo dell’anno più bello della loro vita. Ma poi avevano pensato al padre e ai fratelli di Anna, e il viaggio era stato momentaneamente accantonato.
«In ogni caso», aveva detto Chloe, mentre discutevano delle alternative per l’anniversario, «ho sentito dire che a Cuba festeggiano il nuovo millennio nel 2001, quindi possiamo sempre andarci l’anno dopo…».
Entrambi i ragazzi avrebbero preferito una festa, una grande riunione familiare per i genitori, ma Anna era riluttante.
«Andiamo, mamma», avevano insistito, «è ora di fare una festa di famiglia, non ne abbiamo più organizzate da quando è morta nonna. Farà bene a tutti».
«Lo so. Avete ragione», aveva risposto Anna, «ma conoscete vostro padre, non è uno da feste. E poi, parliamo di Cuba da così tanti anni… Questa è la nostra occasione, vogliamo andarci prima che cambi tutto; faremo una festa un’altra volta». E così era stato deciso. Avrebbe comprato i biglietti e, quando fosse arrivato il momento, avrebbe fatto la sorpresa a Max.
Il suo collasso era arrivato del tutto inaspettato. Aveva spaventato molto Anna, ricordandole ancora una volta la precarietà della vita. La morte di sua madre, quattro anni prima, e quella della madre di Max, solo un anno prima, erano state un enorme colpo, e tremava al pensiero di perdere anche il marito; avevano così tanto per cui vivere, e ancora moltissime cose da fare insieme. Anna si prese cura di lui con zelo, fino a farlo tornare in salute, e tutti le diedero una mano, in particolar modo Chloe. Lei e Anna erano sempre state vicine, il loro rapporto rispecchiava quello che Anna aveva avuto con sua madre. In effetti, le tre generazioni di donne avevano condiviso un legame molto forte. La nonna era italiana e generosa nel dispensare amore alla famiglia. La sua perdita era costata molto a tutti, quindi la scampata perdita di Max li aveva portati ad apprezzare ancora di più ciò che avevano. Sembrava averli avvicinati ulteriormente.
«Stupido vecchio», aveva detto Chloe, quando Max era stato dichiarato fuori pericolo. «Che cosa voleva fare? Il suo problema è che non sa mai quando fermarsi!».
Nonostante le innumerevoli rassicurazioni sul fatto che sarebbe stato bene, Max fu devastato da quello che considerava il cedimento del proprio corpo. Si era sempre vantato di mantenersi in forma perfetta ed era un fanatico dell’esercizio e del mangiar sano, al punto che spesso litigava con Anna, molto meno apprensiva riguardo alla propria longevità.
«La durata della vita ha molto più a che vedere con i geni e il DNA che con la frequenza con cui si va in palestra», gli diceva lei. «Guarda mio padre, non è mai andato a correre in tutta la sua vita e sembra vent’anni più giovane di quanto non sia».
«Avere un aspetto giovanile non vuol dire essere sani», argomentava Max, e così le discussioni continuavano. Era determinato a vivere per sempre, o almeno a vivere come se dovesse vivere per sempre.
La presa di coscienza che anche lui sarebbe morto, prima o poi, e forse più prima che poi, dato il suo recente collasso, lo aveva colpito con una forza tale che era come se si fosse scontrato con un iceberg. Era ancora molto giovane. Forse non anagraficamente (il prossimo compleanno ne avrebbe compiuti cinquantasei), ma di certo nello spirito. Era pieno di vigore ed entusiasmo, traboccante di idee, progetti e programmi: la morte non era contemplata, nella sua vita. Poi, all’improvviso, gli era sembrato di esserne circondato. Inizialmente il suo migliore amico: un attimo prima stavano bevendo insieme una buona bottiglia di Bordeaux e quello dopo lui non c’era più, morto sotto i suoi stessi occhi. Era stato uno shock terribile, ma Max aveva dato la colpa al fatto che Stewart era sovrappeso e non si prendeva cura di se stesso. Poi era stata la volta di sua madre. Nessuna malattia, nessuna avvisaglia: era semplicemente andata a letto e non si era più svegliata. E comunque, lei aveva ottantasei anni. Ma Max? Non c’era alcuna ragione valida perché collassasse a quel modo. Nessuna ragione valida perché il suo cuore cedesse.
Poteva anche pavoneggiarsi e cercare di convincere tutti quanti di essere tornato «come prima» e che tutto andasse bene, ma Anna non ci cascava. Ultimamente i suoi sbalzi di umore erano accompagnati da un’irascibilità che non gli era caratteristica. Il suo comportamento non era quello del Max che aveva sposato. Le sue battute ironiche, le carezze gentili, erano sparite. Da quando Anna lo conosceva, il loro rapporto era sempre stato molto fisico. La sua vita con lui era piena di intimità e tenerezze. Lui le aveva sempre detto che il momento della giornata che preferiva era quando, seduto a letto, la osservava spogliarsi e prepararsi per coricarsi accanto a lui. Anna non era neppure del tutto cosciente dell’effetto che aveva sul marito. Non lo faceva in modo provocatorio, non indossava intimo seducente o in pizzo: bastava che si togliesse semplicemente i jeans e la maglietta, e lui posava il libro per guardarla.
«Ah! Il mio momento zen!», le diceva ridendo. «Sono un uomo fortunato!».
Anna, sempre ritrosa, rispondeva con una battuta, minimizzando, ma non si stancava mai di sentirglielo ripetere.
Quando Max aveva cominciato a rimanere in piedi fino a tardi o a trovare il libro che stava leggendo molto più coinvolgente del corpo nudo della moglie, Anna si era preoccupata. Forse il problema al cuore ha influito sulla sua libido
, si diceva. Queste cose spesso hanno delle conseguenze. O magari è depresso
.
Voleva aiutare il marito, essere lì per lui, come era solita fare; la pazienza era sempre stata una delle sue virtù, ma niente avrebbe mai potuto prepararla a ciò che accadde in seguito.
Max era appoggiato con noncuranza al bancone della cucina, una mano stretta attorno a una tazza di caffè, l’altra infilata nella tasca dei pantaloni. Era passato circa un anno dal suo collasso. Stava pronunciando parole che lei non avrebbe mai immaginato potessero uscire dalla sua bocca, parole che non avevano alcun senso per lei. Anna si appoggiò con una mano al tavolo, per sorreggersi, deglutendo per impedirsi di piangere. Il tremore le era partito dagli arti e si era diffuso lungo il corpo finché non le sembrò che tutti gli organi dentro di lei stessero rimbalzando in ogni direzione.
«Lei mi ama», lo udì dire, mentre distoglieva gli occhi, con le labbra serrate in una linea dura. «È un legame forte» e «Sono arrivato a un bivio della mia vita». Non riusciva a capire. Il nodo che aveva in gola si faceva sempre più ingombrante, rendendole difficile respirare. Non è lucido
, le gridò il cervello. Follia di mezza età, paura di morire!
, urlò di nuovo, e poi Anna ricordò di aver letto da qualche parte che tutte le donne il cui marito aveva una relazione credevano che si trattasse di un esaurimento nervoso.
Si disse che erano passati mesi, dall’intervento. Era stata presente, si era presa cura di lui, sostenendolo a ogni passo del suo percorso. Di certo Max capiva che adesso sarebbe andato tutto bene, no? Non devo piangere, solo ascoltarlo fino in fondo
, si era detta di nuovo, cercando di ritrovare un minimo di controllo.
«Non capisco, Max. Che cosa stai dicendo?», intervenne alla fine, la voce un sussurro, in contrasto con le urla che sentiva nella testa. Le stava confessando di avere una relazione ed era sul punto di chiederle di perdonarlo, o stava dicendo che voleva lasciarla?
«E tu… tu la ami?», si era sforzata di chiedergli.
«Sono innamorato di lei… sì». La risposta la colpì come un pugno nello stomaco.
«Innamorato?», aveva balbettato Anna, cercando di immaginare Max innamorato di qualcuno che non fosse lei. Erano sposati da un quarto di secolo, e c’erano due figli grandi a dimostrarlo. Anna non si era mai immaginata il futuro senza di lui. Aveva sempre pensato che stessero procedendo nella stessa direzione, legati l’uno all’altra, alle loro famiglie, ai loro amici. E adesso eccolo lì a parlarle in un’altra lingua, come fosse un estraneo. E che cosa mi dici di quest’ultimo anno?
, gridò di nuovo il cervello di Anna. Quanto amore e quanto sostegno può ricevere un uomo dalla sua famiglia? Da sua moglie?
.
«Chi è?», sussurrò di nuovo.
«È un’accademica, una docente dell’università…». La sua voce si affievolì. Anna trattenne il respiro. Non voleva sentire altro. Era più di quanto potesse sopportare. Max aveva colpito dove più le faceva male, toccato il suo punto più vulnerabile. Una donna con un cervello! Un’accademica, probabilmente bella, magari più giovane e pure intelligente! Di nessuna di quelle cose le importava davvero, tranne che del cervello. Non che Anna non ne avesse: era in gamba, talentuosa e brillante, ma intellettualmente non si era mai considerata alla pari di Max; era un suo complesso, lo sapeva. Aveva frequentato l’Accademia, e non una prestigiosa università; aveva preso un diploma d’arte, e non una laurea; era lui il cervellone, il geniale professore. Anna lo ammirava e si rimetteva al suo illustre intelletto. Sapeva che non avrebbe dovuto, ma non riusciva a fare altrimenti, l’aveva sempre messo al primo posto.
«Sei innamorato di lei, o la ami proprio?», si udì chiedere, con le lacrime che le offuscavano la vista.
«Che differenza c’è?». Max continuava a evitare il suo sguardo.
Anna divenne paonazza. L’incredulità, la confusione e il dolore che provava si trasformarono all’improvviso in collera.
«Sai perfettamente che differenza c’è», ringhiò tra i denti.
Certo che lo sapeva: Anna lo stuzzicava fin troppo spesso, a riguardo.
«L’inglese è una lingua ricchissima», le piaceva raccontare a chiunque la ascoltasse, «ma, nel definire l’amore, i greci hanno il primato». Approfondire l’argomento la divertiva e la faceva sentire arguta. Spiegava come i greci avessero quattro parole per dire amore, e come ognuna descrivesse un’emozione diversa. Agape è il grande amore; storgé, il tenero amore materno; philia, l’amicizia; ed eros l’amore erotico. «Agape», continuava Anna, «include tutti gli altri amori in una grande, assoluta e suprema emozione. Eros, invece, sempre secondo i greci, è l’amore a cui ci riferiamo con l’espressione innamorarsi. È tutta una questione di passione, desiderio e ossessione, è totalizzante, ma alla fine è effimero».
Quindi sì, Max avrebbe dovuto sapere perfettamente a che cosa si stava riferendo Anna. La rabbia prese il sopravvento.
«Max! Max!», gridò. «Che cosa ti succede? Ti sei ascoltato?». Ricacciò le lacrime. «È con me che stai parlando, Anna, tua moglie, ricordi?». Max rimase immobile, come un ragazzino sprezzante. Non aveva niente da dire.
«Vuoi ancora stare con me? Mi ami ancora?», chiese Anna, dopo avere aspettato per alcuni istanti che il marito rompesse il silenzio. Non aveva mai pensato che un giorno avrebbe dovuto fare a Max quella domanda. Lui era la sua anima gemella, il suo migliore amico, il suo amante, il padre dei suoi figli. Come poteva non amarla?
«Credo di sì… Non lo so», fu la risposta evasiva che le trafisse il cuore.
«Non lo sai?», sbottò di nuovo lei. «Dopo venticinque anni di matrimonio, mi rispondi così? E che mi dici dei tuoi figli? Che mi dici di Alex e Chloe? Sai se li ami o no?»
«Ho bisogno di spazio, di tempo per pensare. Sono confuso», borbottò Max.
Nelle settimane che seguirono, ad Anna sembrò di vivere in un brutto sogno. Max era ancora a casa, ma incapace di prendere una qualsiasi decisione sul futuro. Entrambi cercavano di comportarsi in modo normale davanti ai ragazzi; poi però, in privato, lei esplodeva, frustrata dall’incapacità del marito di discutere dei propri sentimenti o di esprimerli. Più e più volte, Anna aveva colto Chloe a guardarla con aria interrogativa.
«Mamma, che cosa succede, che cos’ha papà?», aveva chiesto la ragazza in più di un’occasione, ma Anna era decisa a tenere i figli fuori da quella faccenda, almeno fino a che lei stessa non si fosse fatta un quadro più chiaro della situazione.
Ogni volta che era sul punto di dire al marito di fare i bagagli e andarsene, pensava a tutti gli anni passati insieme. Se Max era impazzito, toccava a lei tenere la testa sulle spalle. Qualche mese di follia contro venticinque anni di buon matrimonio: doveva dargli più tempo, ma quanto?
Decisa a non lasciare che la sua esistenza si fermasse di colpo, Anna cercò di tirare avanti come sempre. Stava attraversando a piedi Piccadilly, in direzione della Royal Academy of Arts. Erano gli ultimi giorni di una importante mostra su Monet, e si era convinta ad andarci. Pensieri sulla sua vita che stava andando fuori controllo le offuscavano la mente. Un cielo color cemento opprimeva la città, come un soffitto umido che minacciava di esplodere. Mentre camminava, le uniche cose a cui riusciva a pensare erano: È la fine? È davvero così che si chiuderanno tutti questi anni di matrimonio felice?
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Doveva essersi distratta. I semafori per i pedoni erano diventati verdi: ne era piuttosto sicura. La ragazza al suo fianco era scesa dal marciapiede e lei l’aveva seguita meccanicamente. La motocicletta sbucò dal nulla. Lo stridio dei freni e il suono assordante del clacson riscossero Anna dal suo torpore, facendola tornare indietro con un balzo. Ma la ragazza davanti a lei non fu abbastanza svelta e fu colpita in pieno dal veicolo. Era sdraiata sull’asfalto, il corpo scomposto sulla strada come un giocattolo rotto. La sua borsa e una delle scarpe erano state sbalzate via, cadendo vicino ai piedi di Anna, che, con le ginocchia che le cedevano, guardò incredula la ragazza, appoggiandosi a un semaforo per evitare di cadere. Nel giro di pochi secondi, si radunò una piccola folla. Una donna prese