La donna silenziosa
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About this ebook
L’editore
Un grande thriller
I segreti più oscuri si nascondono nei luoghi più belli
«Un debutto sconvolgente e misterioso.»
Daily Mail
Quando Rosie Anderson, una ragazza di appena diciotto anni, scompare, la cittadina idilliaca dove viveva non è più la stessa. Kate, la giardiniera del posto, è scossa e tormentata dal senso di colpa. Conosceva bene Rosie e, negli ultimi tempi, forse era arrivata a conoscerla anche meglio della madre. Rosie era bella, buona e gentile. Veniva da una famiglia amorevole e aveva tutta la vita davanti a sé. Chi avrebbe mai voluto farle del male? E perché? Kate è convinta che la polizia non stia valutando tutti gli indizi. Di sicuro qualcuno in paese sa più di quel che dice. Via via che le ricerche del colpevole vanno avanti, Kate è sempre più ossessionata dalla soluzione del mistero…
Un thriller psicologico avvincente e una storia piena di segreti oscuri, ossessione e suspense.
Tutti hanno dei segreti ma alcuni sono più pericolosi di altri
Una cittadina in stato di shock. Una famiglia lacerata. Chi nasconde la verità?
«Un esordio imperdibile e di grande suspense.»
Publishers Weekly
«Un thriller dall’effetto ipnotico.»
Daily Mail
«Uno di quei libri che vi catturano dalla prima pagina, vi stringono e non vi lasciano andare. Ho assaporato ogni parola, personaggio e dettaglio psicologico. Davvero fantastico!»
Lisa Jackson, autrice bestseller del New York Times
Debbie Howells
In passato ha studiato psicologia, è stata un’istruttrice di volo, la proprietaria di un negozio di fiori, e attualmente scrive a tempo pieno. Il suo thriller d’esordio, La donna silenziosa, è stato un successo di critica e di pubblico e i diritti di traduzione sono stati venduti a cifre molto alte in numerosi Paesi. Debbie vive nel West Sussex con la sua famiglia.
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La donna silenziosa - Debbie Howells
Indice
Rosie
Capitolo 1
Capitolo 2
Rosie
Capitolo 3
Rosie
Capitolo 4
Capitolo 5
Rosie
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Rosie
Capitolo 9
Delphine
Rosie
Capitolo 10
Rosie
Capitolo 11
Rosie
Capitolo 12
Rosie
Capitolo 13
Rosie
Capitolo 14
Rosie
Capitolo 15
Rosie
Capitolo 16
Rosie
Capitolo 17
Rosie
Capitolo 18
Rosie
Delphine
Capitolo 19
Rosie
Capitolo 20
Rosie
Capitolo 21
Rosie
Capitolo 22
Rosie
Capitolo 23
Rosie
Capitolo 24
Rosie
Capitolo 25
Rosie
Capitolo 26
Rosie
Capitolo 27
Rosie
Capitolo 28
Rosie
Capitolo 29
Rosie
Capitolo 30
Rosie
Delphine
Rosie
Capitolo 31
Rosie
Capitolo 32
Rosie
Capitolo 33
Rosie
Capitolo 34
Rosie
Capitolo 35
Rosie
Capitolo 36
Rosie
Capitolo 37
Delphine
Rosie
Capitolo 38
Delphine
Rosie
Capitolo 39
Rosie
Capitolo 40
Rosie
Capitolo 41
Rosie
Capitolo 42
Rosie
Capitolo 43
Rosie
Ringraziamenti
narrativa_fmt.png1688
Questa è un’opera di finzione. I nomi, i personaggi, i luoghi,
le organizzazioni, gli eventi e gli avvenimenti sono frutto
dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta,
memorizzata su un qualsiasi supporto o trasmessa in qualsiasi forma e
tramite qualsiasi mezzo senza un esplicito consenso da parte dell’editore
Titolo originale:The Bones Of You
Copyright © Debbie Howells 2015
The right of Debbie Howells to be identified as the
author of this work has been asserted by her in accordance
with the Copyright, Designs and Patents Act 1988
All rights reserved
Traduzione dall’inglese di Beatrice Messineo
Prima edizione ebook: agosto 2017
© 2017 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-227-0985-1
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Sandro Ristori
Debbie Howells
La donna silenziosa
Newton Compton editori
OMINO.jpgA Bob, Georgie e Tom
Le stelle sono anime di poeti morti,
ma per diventare stelle, bisogna prima morire
VAN GOGH
Rosie
Agosto
È vero quello che si dice sugli istanti prima di morire. Negli ultimi orribili secondi della mia esistenza, diciotto anni di vita mi scorrono davanti in un flash.
Soltanto ora capisco la differenza tra la vita e la morte. Il tempo. Lo sapevate che ci vogliono 0,0045 secondi perché un impulso arrivi al cervello e altri 0,002 perché ci sia una reazione? Quindi quanto tempo ci vuole per urlare dopo uno spavento? E quanto prima di sentire dolore, dopo che il coltello mi affonda nella carne? Sapevate che questi ultimi secondi possono diluirsi nell’eternità?
Sento che sto per abbandonare il corpo, rompo le catene invisibili che mi tengono legata e mi libro in aria, libera. Guardo in basso, osservo il sangue – una pozza densa e scura che si insinua tra le foglie e penetra nel terreno. E anche se il mio cervello non ha più ossigeno, sopraffatto dalle endorfine, io sono ancora qui, in attesa di qualcosa di sconosciuto.
E così comincia: un fermo immagine, momenti fissati nel tempo come piccole palle di vetro senza neve. Vedo i miei genitori – ancora troppo giovani per essere i miei genitori, ma riconosco i capelli chiari di mia madre e quel sorriso che non raggiunge mai gli occhi, noto la mano di mio padre posata sulla sua spalla. Hanno in braccio una bambina, sono in posa davanti a una piccola casa di mattoni rossi che non ricordo.
L’immagine svanisce e si fonde con un’altra, e poi un’altra ancora. Ho cinque anni, le immagini prendono vita, io ne faccio parte. Vivo, spero e sogno tutto quanto una volta ancora – solo che adesso è diverso.
La mia infanzia meravigliosa, i giocattoli, le vacanze in posti remoti, la TV in camera di cui andavo tanto fiera – è tutto ancora lì, ma frantumato in un milione di pezzi, macchiato di sangue, coperto di polvere, avvolto in un’oscurità più nera dell’inchiostro.
E poi arrivano le voci. Quei segreti che nessuno deve mai scoprire, che non sono neanche più segreti ormai, perché posso sentirli. Quel volto che mi ha sempre osservato, che sa tutta la verità.
Sto guardando il film della mia vita.
1
Agosto
Metto giù la cornetta e rimango impalata, immobile.
«Mamma, chi era?».
Grace crede che tutto quello che accade in questa casa sia affar suo. A diciotto anni pensa di avere il diritto di conoscere ogni segreto – diritto che gli altri non hanno, naturalmente. Dato che non riceve subito risposta, rincara la dose.
«Madre, ho chiesto con chi stavi parlando».
«Scusa». Avete presente quei momenti in cui nella tua mente si affollano così tanti pensieri che non riesci a formulare una sola parola? I miei occhi inespressivi fissano un punto a caso: una parte del muro, una tazza vuota, senza vederli veramente. «Era Jo. È successa una cosa terribile. Rosie è scomparsa».
Viviamo agli estremi opposti di un minuscolo paesino, le nostre figlie vanno a scuola insieme: io e Jo facciamo parte di un gruppo di mamme che di tanto in tanto si incontrano e fanno due chiacchiere. So che è sposata con Neal, uno stimato e affascinante giornalista che ho avuto modo di vedere più in TV come inviato di guerra che dal vivo. E so anche che hanno due figlie, guidano macchine nuove – lei una Range Rover nera e Neal una BMW X5 – e che vivono in questa casa enorme, progettata da un qualche architetto importante, che ho visitato una o due volte. La nostra amicizia si limita a qualche caffè e di tanto in tanto un pranzo occasionale infarcito di pettegolezzi, ma a dirla tutta è Rosie quella che mi incuriosisce e mi attira davvero. Lei e Grace hanno la stessa età, entrambe hanno superato gli esami di maturità e sono state ammesse all’università da qualche settimana, ma i punti in comune finiscono qui. Rosie è molto più tranquilla, è una ragazzina timida che condivide il mio amore per i cavalli.
Grace alza gli occhi al cielo. «Probabilmente è in giro con Poppy e non l’ha detto a Jo perché non le avrebbe mai dato il permesso di uscire. Poppy è un gran troia».
L’ha detto con disinvoltura, come se non valesse più di idiota
o imbecille
, ma rimane comunque una parola orribile, una macchia sulle labbra di mia figlia. Il rimprovero parte prima che riesca a fermarlo.
«Gracie…».
Ma poi la mia mente torna a fantasticare: immagino cosa possa esserle successo, rivedo quegli occhi intelligenti nascosti dietro i capelli chiari che le coprono il viso.
«È vero, mamma. Tu non hai mai visto Poppy. Porta gonne così corte che si vedono le mutande sotto. E va con chiunque, persino con Ryan Francis».
Ryan Francis è il peggior essere umano di sesso maschile al mondo – secondo Grace, anche se non me ne ha mai spiegato il motivo.
«Ma Rosie non è così, no?». Faccio fatica a immaginare Rosie che sbaciucchia un ragazzo a caso. È un animo gentile: l’ho capito dai miei cavalli, che le girano tranquillamente intorno come se fosse una di loro.
«Ma dai! Io stavo parlando di Poppy, infatti. Però sai, la pressione sociale e queste cose qua… non mi sorprenderei se…».
Sento il primo campanello d’allarme. E se Grace avesse ragione? Se Rosie fosse entrata nel gruppo sbagliato? O peggio ancora, se qualche buono a nulla l’avesse convinta a scappare con lui? Dovrei dirlo a Jo? Noto quell’espressione sulla faccia di Grace. Quella che mi dà proprio sui nervi.
«Be’, comunque sia», rispondo infastidita, «non è il momento di scherzare. Se vieni a sapere qualcosa, fammelo sapere. Jo è davvero preoccupata. Non ha notizie di Rosie da ieri e al cellulare parte subito la segreteria. A parti inverse, starei dando di matto».
Grace esita un attimo. «Posso rimediare il numero di Poppy, se vuoi».
Sventolando i capelli rossi dietro le spalle, inizia subito a scrivere un messaggio.
I ragazzi di oggi sono così interconnessi che in pochi secondi le arriva il contatto. «Te lo invio sul telefono».
Mezz’ora più tardi, richiamo Jo. È agitata, cosa che non mi sorprende affatto. Fa fatica a concentrarsi, la sua mente salta da una frase all’altra.
«Non dirai mica Poppy Elwood?». Dal tono di voce capisco che è scioccata. «Oh, Kate, Rosanna non può certo essere sua amica…».
«Secondo Grace sì».
«Oh mio Dio…». Mi sembra di sentire i suoi pensieri che vagliano gli incubi peggiori – sua figlia scappata di casa, magari con uno sconosciuto. Jo tende ad agitarsi inutilmente per sua figlia, anche se Rosie ormai ha diciott’anni e tra poco abbandonerà il nido. «La polizia la troverà, non è vero? Se ne sentono tante di storie così… ma poi li trovano sempre, no?»
«Cerca di non preoccuparti, Jo». Sembro molto più sicura di quanto non sia in realtà. «La troveranno, se ce ne sarà bisogno. Ma probabilmente tornerà a casa da un momento all’altro con una spiegazione perfettamente plausibile e ragionevole. Comunque sia, perché non senti Poppy?», le ricordo. «Non si sa mai, magari saprà dirti qualcosa».
«Sì, immagino che dovrei chiamarla». Si calma. «Ancora non posso credere che sia sua amica».
So benissimo come si sente. Succede a tutte le madri. Arriva un’amica di tua figlia che minaccia di mandare all’aria tutto ciò che desideri per lei, le offre uno stile di vita diverso, le propone abitudini e idee nuove. E lei magari le preferirà rispetto a quelle che le hai insegnato tu.
«Non può essere davvero così male, altrimenti Rosie non sarebbe sua amica», le faccio notare. «In fin dei conti, è pur sempre tua figlia. Sa cosa è giusto. Non è stupida».
Il silenzio di Jo fa da eco alla mia esitazione. In fondo, Rosie non mi ha mai detto nulla a riguardo, ma sono curiosa lo stesso.
«Mi chiedevo… ce l’ha il ragazzo, Jo? Perché nel caso potrebbe sapere qualcosa».
«No, non ce l’ha. È completamente concentrata sullo studio, non come…». Non finisce la frase.
«Libero la linea», mi affretto a dire, ignorando le sue critiche a quegli studenti che lavorano sodo ma ogni tanto si divertono anche. Come Grace. «Magari starà provando a chiamarti. Mi fai sapere appena torna a casa?».
Rosie tornerà, ne sono certa. Da buona giardiniera, ho una fede innata nell’ordine naturale delle cose. I fiori dai morbidi petali che crescono e producono i semi. L’inesorabile susseguirsi delle stagioni. Le rondini che inseguono l’estate eterna per chilometri e chilometri.
I figli che non muoiono prima dei loro genitori.
2
Dopo aver parlato con Jo, urlo dal piano di sotto: «Vado a fare una cavalcata, Grace… Vuoi venire?»
«Sto per uscire». È la risposta sommessa che arriva dalla porta chiusa. «Mi dispiace».
In qualsiasi altro giorno, quest’indifferenza mi irriterebbe, ma oggi no. A Grace piace cavalcare la mattina presto, quando l’aria è ancora fresca e il paesaggio addormentato. Il suo momento di riflessione, come lo chiama lei. E quindi io posso seguire il mio ritmo, invece di essere risucchiata dalla folle corrente della vita degli adolescenti, in cui l’intera giornata rotola in avanti a casaccio finché non arriva la parte riguardante la vita sociale, fulcro di tutto. E oggi, ho davvero bisogno di prendermi del tempo per schiarirmi le idee.
Il pomeriggio volge al termine ma fa ancora caldo, un caldo pesante e afoso che accompagna le nuvole sospese nell’aria instabile. Mentre attraverso il campo, i cavalli sono letargici, sventolano svogliatamente la coda per scacciare le mosche e sollevano il muso per un istante. Mi sentono arrivare e smettono di pascolare.
A parte la mia Reba ormai in pensione e Oz, il pony fin troppo cresciuto di Grace, gli animali che arrivano qui presentano sempre qualche problemino – stando a quanto dicono i loro padroni almeno, che mi pagano profumatamente per rieducarli. È un lavoro che ben si abbina alla progettazione di giardini e, comunque, i cavalli sono la mia vita.
Riescono sempre a tenermi con i piedi per terra, qualunque cosa stia succedendo nella mia vita in un determinato periodo. È tutto merito della loro bellezza e del loro spirito, che non possono essere eguagliati da nessun’altra creatura al mondo. Il modo in cui si muovono, la delicatezza soffice e calorosa di un muso che mi sfiora la guancia. Non c’è bisogno di fingere con un cavallo. Sanno decifrare il linguaggio del corpo. Sanno a cosa pensi ancora prima di te.
Oggi cavalcherò Zappa, un bestione grigio che ha fama di essere imprevedibile e pericoloso. Chi se ne frega, direbbe Grace, alzando gli occhi al cielo. È uno dei cavalli più belli che abbia mai visto, zampe dritte e slanciate e occhi scuri e intelligenti. Uno di quelli che sentono anche il minimo bisbiglio e rispondono al più leggero spostamento di peso. Un sogno.
Questa bestia apparentemente così pericolosa è in piedi mezzo addormentata, si lascia raggiungere e montare. Una volta che sono in sella, Zappa risale il percorso in piena tranquillità, mentre il suo manto chiaro risalta nell’aria che si fa via via sempre più scura e le orecchie si piegano avanti e indietro ogni volta che si affaccia oltre un muro o una fossa. Mi chiedo – e non è certo la prima volta – quanto tempo potrò tenerlo, prima di confessare al suo padrone che non c’è assolutamente niente che non vada in lui.
In cima alla collina imbocchiamo il sentiero che attraversa il bosco, proprio mentre le prime gocce di pioggia iniziano a cadere. Il vento prende forza e, in lontananza, un cancello sbatte di colpo spaventando Zappa. Alzo gli occhi verso il cielo, che si rabbuia di più ogni secondo che passa, e poi osservo il bosco, ancora più tetro.
Fiutando la tempesta incombente, Zappa decide per conto suo e si fionda tra gli alberi. Ci addentriamo ancora un po’, mentre il cielo si squarcia e le gocce di poco fa si trasformano in un vero e proprio diluvio.
Al di sotto delle chiome folte, il sentiero è asciutto. Il grido improvviso di un fagiano lo spaventa e gli accarezzo il collo per calmarlo, mentre con uno zoccolo sbatte contro una radice. Quando parte al galoppo, Rosie s’intrufola dal nulla nei miei pensieri.
Forse era proprio qui l’altra sera. L’ultima volta che è stata vista da qualcuno.
Il battito del mio cuore accelera seguendo il ritmo della pioggia, mentre provo a scacciare il senso d’inquietudine che mi assale. Rosie sarebbe potuta essere ovunque.
Ma se le fosse successo qualcosa?
E poi avanza un altro, terribile pensiero.
E se le fosse successo qualcosa proprio qui?
All’improvviso un brivido freddo mi percorre la schiena, come se la morte stessa mi avesse sfiorato, e mi rendo conto tutt’a un tratto che qui intorno non c’è nessuno a spasso con il cane o a cavallo. Sono sola.
Ho un brutto presentimento. E poi si trasforma in paura, sì, la paura è in agguato dietro ogni angolo. Solo che la paura è un concetto troppo debole, non è adatto a esprimere il panico totale in cui sono sprofondata, il terrore che mi blocca ogni pensiero. Una sola parola riecheggia nella mia mente, urlata da qualche parte nel profondo.
Scappa.
Zappa mi sente e scatta in avanti, anche se il sentiero si restringe. Così galoppiamo inseguiti dalla paura, mentre un tuono si infrange sopra le nostre teste e il vento mi spinge i rami contro il viso. Un fulmine improvviso spinge Zappa a correre persino più veloce, mentre di fronte ai miei occhi si materializza l’immagine di un ciuffo di capelli chiari. I capelli di Rosie. E poi sento la sua voce, o forse è il vento, che mi chiama.
Zappa solleva la testa e cerco di rallentarlo, ma ormai non mi ascolta più. L’unica cosa che possa fare è tenermi stretta, restare aggrappata a lui, e proprio quando penso che stia per cadere, più avanti il buio si dirada lasciando spazio alla luce.
Zappa devia in quella direzione, mentre i rami si incastrano tra i miei vestiti e mi feriscono la pelle. Perde il passo, ma tira dritto e risale la roccia calcarea di fronte a noi e poi, su in cima, si ferma di colpo scaraventandomi a faccia avanti nell’oscurità.
Rosie
Non appena l’immagine prende forma davanti ai miei occhi, capisco subito tre cose. Ho cinque anni, il semestre inizia oggi ed è il mio primo giorno alla Abbey Green Primary, una piccola scuola locale con una staccionata che circonda un prato perfettamente falciato che a me fa una paura tremenda.
L’uniforme mi prude e le trecce sono così strette che mi tirano la pelle. Sono terrorizzata e non voglio lasciare mia madre.
«Avanti, Rosanna. Non facciamo tardi», dice stringendomi con vigore la mano.
Mi sento di nuovo quella bimbetta che viene trascinata con lo stomaco chiuso per la paura.
Quando arriviamo in classe, mamma rimane sulla porta. Io vorrei restare con lei, ma devo entrare per forza. Attraverso la stanza con gli occhi fissi sul pavimento, mentre tutti si girano. Ho il viso in fiamme e vorrei piangere di nuovo.
«Buongiorno, Rosanna».
Cavolo. Mi ero completamente dimenticata della signora Bell. All’epoca adoravo i suoi sorrisi e la sua gentilezza. Ora, vedo soltanto una donna di mezza età con una pazienza infinita e un amore illimitato. Si preoccupa costantemente dei suoi alunni, mi osserva quando non la guardo e non posso accorgermi di quelle occhiate amorevoli. Rassicura mia madre e le dice che mi ambienterò presto. Poi, quando anche l’ultimo alunno se n’è andato, la vedo stanca e grigia, ha un disturbo al cuore di cui nessuno sa nulla. Prepara la classe per un nuovo giorno di lezione, dopo cinque minuti di riposo.
Mi chiedo quanti bambini siano passati sotto le sue amorevoli cure. Osservo la stanza, i piccoli tavolini di legno con sei posti, il libro sulla cattedra che avrà letto a centinaia di alunni proprio come lo leggeva a noi, immancabilmente ogni pomeriggio. E poi i ricordi riaffiorano, uno o due all’inizio, per poi straripare come un’inondazione. L’odore stantio dell’armadio in cui appendevamo i cappotti e gli zainetti. I pranzi disgustosi. I giochi nel cortile sotto l’ippocastano. Che zuffe con le castagne! Le urla di protesta quando mia madre veniva a riprendermi.
Mi sono fatta un’amichetta. Becky Thomas. La ricordo magrolina, con gli occhi svegli e la frangetta castano scuro. Ora la vedo meglio, ha un’uniforme rattoppata, con le maniche troppo corte e la gonna stretta con una spilla da balia. Indossa scarpe consumate e strizza gli occhi per leggere perché nessuno l’ha mai portata da un’oculista.
Mi ricordo che anch’io volevo la frangetta come Becky. Ricordo pure casa sua, stretta in mezzo ad altre identiche, tutte con dei cortiletti sottili e lunghi e un mucchio di gatti. Sua madre fuma e dice in continuazione «Oddio». Ha le ciglia lunghissime.
Stiamo giocando in camera di Becky. A un certo punto mi dice che possiamo mascherarci con gli abiti di sua madre, così indossiamo due bei vestiti che portano ancora il suo profumo e ci infiliamo anche delle collane. Poi sento un rumore sulle scale, sua madre viene verso di noi, ho un po’ di timore.
Ma non ci sgrida. Si mette a ridere. «Oddio, siete proprio due belle pollastrelle alla moda», dice. Ci porta uno dei suoi rossetti, ci trucchiamo.
Non ho mai sentito parlare di polli alla moda. Chissà se sono una specie particolare. La mamma di Becky ci prepara patatine e ketchup e ci lascia mangiare di fronte alla TV. Alla fine arriva mia madre. La sento parlottare con la signora Thomas. Entra e in faccia ha quello sguardo preoccupato che mi fa sempre rigirare lo stomaco.
«Prendi le tue cose, Rosanna».
Anche la voce è preoccupata.
«Che nome adorabile», sussurra la madre di Becky, soffiando via il fumo della sigaretta. «Di classe».
Sulla strada verso casa, anche se so che mia madre è arrabbiata per qualche motivo, la felicità di avere una nuova amica è così forte che non riesco a trattenermi.
«Ci siamo divertite un sacco, mamma. Abbiamo giocato tanto. Ci siamo mascherate da pollastrelle alla moda».
«Rosanna…».
La tensione nella sua voce mi zittisce di colpo. Non so che cosa ho fatto, so soltanto che ho sbagliato. Devo aver combinato qualche guaio, perché sento che non ne vuole parlare. È sempre così quando tira fuori questa voce scioccata, preoccupata e infastidita.
La mamma va più veloce del solito e appena parcheggia mi dice di correre dentro casa.
Mi lava la faccia, sento la macchina di papà che sgasa sul vialetto come al solito. Parcheggia e sbatte la portiera. Anche mamma lo sente. La fronte è solcata da una profonda ruga. Si inginocchia, appoggiandomi entrambe le mani sulle spalle.
«Non voglio che tu sia amica di quella bambina, Rosanna. Loro non sono come noi».
Non capisco. Rimango con gli occhi fissi in quelli di mia madre. Io voglio essere amica di Becky, ma sicuramente avrà ragione lei, no? Ricordo la mia felicità che sparisce nel lavandino insieme all’acqua del rubinetto. Mi sentivo stupida perché non capivo, sentivo il sapore del sapone sulla bocca.
«E, ti prego, Rosanna, non dire a papà quello che hai fatto stasera. Non capirebbe».
Lo dice in modo carino, sistemandomi i capelli dietro l’orecchio. E poi mi dà un bacio, proprio mentre la chiave gira nel chiavistello.
«Veloce», bisbiglia, alzandosi in piedi. Si preme un dito sulle labbra, e aggiunge: «Ricorda quel che ho detto: non una parola».
E io voglio così bene a mia madre che faccio come dice.
3
Zappa sta bene, ma io non sono un gran bel vedere. Ho il viso pieno di graffi, e i lividi intorno all’occhio iniziano a gonfiarsi quando Angus torna a casa. Giustamente, è scioccato.
«Cristo, Kate. Che è successo?»
«Il temporale ha spaventato Zappa. È corso nel bosco e io sono caduta».
Non gli dico che sono svenuta. Persino dopo venti anni di matrimonio, Angus è ancora convinto che i cavalli siano pericolosi.
Non gli parlo neanche della paura, di quella strana certezza che qualcosa di orribile sia accaduto a Rosie, proprio là.
Mi sono rimessa in piedi a fatica, ritrovandomi in una piccola radura in cima a un pendio calcareo, nel bel mezzo di un anello formato da vecchi alberi di faggio.
Uno sbuffo mi ha colto di sorpresa e, alzando gli occhi, ho visto Zappa davanti a me, con le redini che gli pendevano dal muso, le narici dilatate, ancora chiaramente in allerta.
«Buono, bello». Ho afferrato le redini. «Va tutto bene». Gli ho dato qualche pacca rassicurante sul collo e pian piano sono tornata verso casa.
«Sei ridotta male», ha detto Angus.
«Grazie. Sei sempre così prodigo di complimenti», ho risposto.
«Non intendevo in quel senso, Kate». Si è avvicinato e mi ha sfiorato gentilmente la ferita. Il dolore era già intenso.
Allontanando la mano, ha corrugato la fronte. «Sicura di non avere un trauma cranico?»
«Sto bene, Angus. Sembra molto peggio di quel che è».
«Forse dovresti farti controllare».
Ho scosso la testa. Ne avevo abbastanza. E comunque sia, dopo ore e ore di attesa al pronto soccorso mi sarei sentita solo peggio.
«Sto bene. Dico sul serio». Ho sfoderato un sorriso per mezzo secondo, giusto il tempo necessario affinché i pensieri di poco prima mi tornassero in mente. E poi me ne sono resa conto.
«Oh mio Dio, tu non sai ancora niente».
«Probabilmente Grace ha ragione», mi dice appena finisco il mio racconto. «Gli adolescenti fanno un sacco di sciocchezze, persino quelli più educati. E Rosie sicuramente sapeva che sua madre non le avrebbe permesso di andare da Poppy».
«Lo so», sospiro.
Vorrei credergli. E in qualsiasi altra circostanza, sarei perfettamente d’accordo con lui. Ricaccerei indietro tutti quei pensieri terribili e aspetterei che Jo mi chiamasse per dirmi che Rosie è di nuovo a casa. Ma con quello che è accaduto poco fa – per quanto possa essere insensato – non riesco a togliermi di dosso la sensazione che le sia capitato qualcosa.
Mangiamo dentro. L’aria mi sembra ancora carica e gonfia dei pettegolezzi bisbigliati che si sparpagliano nel villaggio, del rombo di altri tuoni in lontananza. Siamo solo io e Angus – Grace è uscita prima che tornassi a casa. È insieme ai suoi amici, si fanno forza l’un l’altro, si guardano le spalle a vicenda. Finché non si avranno notizie di Rosie.
«Ehi, sei persa in un mondo tutto tuo», nota Angus. «Smettila di preoccuparti, Kate. Starà bene».
«Lo so». Metto giù coltello e forchetta. «Ma se non fosse così? Scusa, ma sono davvero preoccupata. Cioè, da una come Sophie potresti aspettartelo, no?». Sophie è un’amica stretta di Grace, ha una testa tutta sua, un modo di pensare indipendente e una vena ribelle che mia figlia a volte invidia e a volte detesta. Più la prima che la seconda: quelle due sono come culo e camicia.
«Ma Rosie non è così. Non è una cosa da lei».
Fisso il piatto di salmone al vapore con contorno di insalata. L’appetito è svanito. Vorrei tanto sapere dove si trova.
Inizia un nuovo giorno, e ancora non si ha nessuna notizia. Sembra assurdo, ma l’unica cosa che rimane da fare è aspettare. So bene che gran parte degli adolescenti scomparsi torna a casa. So anche che molti tornano illesi.
Ma gli altri? Forse, ogni secondo che passa non fa altro che allontanarli ancora, offuscandone la memoria, nascondendone le tracce, e alla fine nessuno saprà più dove sono finiti.
Le ipotesi più terribili mi affollano la mente. Rapimento, stupro, spaccio e peggio ancora. A un certo punto non riesco più a sopportare la mia stessa compagnia e vado da Rachael.
La trovo davanti a casa sua, scarica le buste della spesa dal pick-up con cui porta i figli a scuola – è la macchina di Alan, l’ha comprata