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Colazione in riva al mare
Colazione in riva al mare
Colazione in riva al mare
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Colazione in riva al mare

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Numero 1 in Italia e in Inghilterra

Dall'autrice del bestseller Colazione da Darcy

La vera casa è dove si trova il tuo cuore...

Il sole splende sulla piccola e tranquilla località di mare di Sandybridge: accoglienti negozi di souvenir, una sala da tè e un favoloso fish and chips. È il posto dove Grace è cresciuta, anche se al momento non ne è troppo contenta. Finché è rimasta a Sandybridge, ha aiutato i suoi genitori a scovare dei tesori vintage per il loro negozio d’antiquariato, ma il suo desiderio è sempre stato quello di poter girare il mondo. E a un certo punto lo ha fatto: ha cominciato a viaggiare per lavoro, si è innamorata, ha costruito una famiglia. Allora perché si trova di nuovo in quella cittadina sul mare, che si era lasciata alle spalle, e a rivedere Charlie, il suo migliore amico quando era adolescente? Forse viaggiare in giro per il mondo non era quello di cui Grace aveva veramente bisogno. Forse quello che cercava è sempre stato a portata di mano… 

Un romanzo dolce e delicato che parla d’amicizia e del primo amore

«Un romanzo magico, sull’amicizia che dura dai tempi dell’infanzia, sul primo amore e i sogni per il futuro.»

«Questo romanzo mi è molto piaciuto. Soprattutto perché non fa ricorso al sesso per raccontare una storia d’amore. Amo la scrittura “innocente” di questa autrice e la sua fervida immaginazione. Grazie per averci regalato queste pagine.»
Ali McNamara
Ha iniziato a scrivere postando pensieri sul sito di Ronan Keating, cantante dei Boyzone, attirando migliaia di contatti giornalieri. Quando si è accorta di questo successo, ha venduto le sue storie donando il ricavato alla lotta contro il cancro. Dopo questo strano inizio, ha scritto il suo romanzo d’esordio Innamorarsi a Notting Hill, grande bestseller in Gran Bretagna, Colazione da Darcy, Da New York a Notting Hill per innamorarsi ancora, Colazione a Notting Hill, Il piccolo negozio di fiori in riva al mare e Colazione in riva al mare, tutti pubblicati in Italia dalla Newton Compton.
LanguageItaliano
Release dateJul 12, 2017
ISBN9788822709981
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    Book preview

    Colazione in riva al mare - Ali McNamara

    Estate 2016

    Oggi Sandybridge Hall è felice. Lo sento.

    Il palazzo e la tenuta sono gremiti di visitatori e tutti si godono la splendida giornata di luglio. Con mia grande meraviglia, siamo riusciti a richiamare moltissime persone, che ci hanno preferito alla nostra bella cittadina di mare e alle sue spiagge, una località di villeggiatura rinomata sin dall’epoca della regina Vittoria. Negli ultimi tempi la villa, che si trova leggermente fuori dal centro di Sandybridge, si sta facendo valere nelle classifiche delle località turistiche.

    Osservo l’edificio in stile Tudor che si staglia davanti a me; i suoi mattoncini giallo-oro scintillano sotto l’incantesimo del sole caldo. Sandybridge Hall era sempre felice quando aveva ospiti. Quando le persone passeggiavano per i giardini curatissimi lanciando esclamazioni di gioia alla vista degli interni finemente restaurati, le finestre allineate sugli spessi muri di mattoni rilucevano dietro le grate, e un’atmosfera calda e accogliente si diffondeva per i corridoi e i saloni del palazzo.

    Sandybridge Hall e la sua grande tenuta erano fatti apposta per dare piacere alla gente, e i visitatori in cambio arrivavano a migliaia ogni anno.

    «Grace, eccoti!». Iris, la mia giovane assistente, mi viene incontro correndo sull’erba tosata con cura. «Devo farti firmare quei documenti».

    «Grazie, Iris», le dico, quando mi raggiunge. «Mi dispiace di averti abbandonata in ufficio da sola, ma avevo voglia di fare un salto fuori. Adoro guardare il palazzo che freme d’attività. Dà sempre il meglio di sé in queste occasioni».

    «Be’, oggi abbiamo un bel po’ di gente». Iris si guarda intorno, mentre firmo con uno scarabocchio i fogli che mi ha passato. «È così dall’inizio della settimana». Le allungo di nuovo i documenti. «Questa casa è rimasta vuota troppo spesso in passato. Sono felicissima di vederla rinascere».

    «Tutto grazie al nostro fantastico benefattore», esclama lei, facendomi l’occhiolino.

    «Esatto», rispondo, pensando a lui con affetto.

    «Ah, a proposito…». Iris infila una mano nella tasca della salopette. «Prima Danny stava cercando di contattarti. Ha telefonato in ufficio perché ha detto che non rispondevi al cellulare. E credo di sapere il motivo», aggiunge, inarcando le sopracciglia e passandomi il telefonino. «L’hai lasciato sulla scrivania».

    «Scusa», le dico, prendendolo. «Mi succede spesso».

    «Me ne sono accorta». Iris arriccia il naso, su cui fa capolino un piccolo orecchino dorato. «Non capisco come fai a lasciarlo sempre in giro. Per me, il cellulare è come il mio braccio destro».

    «Perché sei giovane», spiego, sorridendo. «Ci stareste sempre appiccicati, dovete controllarlo ogni secondo. Ricordati che quando avevo la tua età gli unici telefoni esistenti erano attaccati al muro, non al nostro corpo. Non potevi portarli da nessuna parte!».

    «Non me lo dire». Iris si porta una mano alla fronte con un gesto teatrale. «Non sopporto neanche il pensiero!».

    «E anche quando, finalmente, abbiamo avuto il cellulare, serviva solo per chiamare, non era un computer in miniatura come oggi!». Continuo a stuzzicare Iris, che morirebbe senza i suoi dispositivi moderni.

    «La prossima volta mi dirai che a casa avevi uno di quei computer beige, grandi come scatoloni», dice Iris, stando al gioco. «Li ho visti in un museo. E giocavi a Pac-Man e a Space Invaders? No, aspetta!». Agita la mano. «Scommetto che non avevi neppure quello… probabilmente facevi i compiti con la macchina da scrivere!».

    All’improvviso sento un nodo allo stomaco. Iris è andata troppo vicina alla verità e, senza volerlo, ha toccato un nervo scoperto.

    «Arriva gente!», annuncio, felice della distrazione, quando due grosse carrozze varcano lentamente il solenne cancello nero di Sandybridge Hall e sfilano sul vialetto di ghiaia davanti a noi.

    «Sì, una gita», spiega Iris, arricciando di nuovo il naso. «Adolescenti. Dubito che siano interessati alla storia del palazzo. Probabilmente vogliono solo perdere un giorno di scuola».

    «Non c’è niente di male», rispondo, ricordando con affetto alcune delle nostre gite. «Non si sa mai, potrebbero vedere qualcosa che accende in loro l’interesse per il passato».

    «Credi?». Iris fa una smorfia.

    Scuoto la testa. «Probabilmente no. Alla loro età, mi interessavano solo i ragazzi e fuggire da Sandybridge».

    «Davvero?», domanda Iris, con sorpresa sincera. «Conoscendoti, ero convinta che fossi la secchiona della classe e te ne stessi tutto il giorno con il naso sui libri di storia».

    Rido. «Niente di più sbagliato! A scuola odiavo la storia. È cambiato tutto quando avevo quindici anni».

    «Oh, e cosa è successo quando avevi quindici anni?», chiede, incuriosita.

    «È una lunga storia. Un giorno te la racconto. Adesso credo che faremmo meglio a tornare in ufficio, abbiamo un sacco di cose da fare. E poi più tardi devo uscire».

    «Sì?», chiede Iris quando ci avviamo verso il palazzo. «Non ho segnato niente sull’agenda».

    «Ho un incontro importante», dico, senza approfondire. «Starò via per un po’».

    Iris fa spallucce, ma acconsente e continuiamo a camminare in silenzio sul vialetto, verso il punto in cui le due carrozze hanno fatto scendere i passeggeri.

    Un giovane professore sta cercando di richiamare l’attenzione dei ragazzi, che per la maggior parte non presta il minimo ascolto a quel che sta dicendo. Mentre passiamo, sento una studentessa che esclama a voce alta: «Odio la storia, cavolo!». E la mia mente si ritrova catapultata in quell’estate del 1986…

    PRIMA PARTE

    GIUGNO 1986

    1

    «Grace!», grida mia madre dalla stanza accanto. «Per favore, puoi venire ad aiutarmi con questa roba? Te l’ho già detto due volte».

    Sospiro e smetto di scrutare la foto sul muro. Immagini di luoghi in cui non sono mai stata, a differenza della persona che a sua volta mi fissa dalla parete, che a quanto pare si è anche divertita parecchio. Non so niente della donna nella foto, come non so niente di quei posti, ma per la vita bizzarra che conduco insieme ai miei genitori, al momento sto passando al setaccio tutte le sue cose nella speranza di trovare oggetti di valore.

    «Va bene, eccomi», dico a mia madre, facendo capolino dalla porta del salotto che sta sgombrando.

    «Era ora! E adesso, aiutami a portare queste scatole nel furgone, va bene? Ah, Grace?»

    «Sì?»

    «Smettila di sognare a occhi aperti! Di sicuro non è questo il momento né il luogo per farlo. Dobbiamo darci una mossa!».

    «Sì, mamma», borbotto, e inizio a portare le scatole di cartone piene di cianfrusaglie verso il nostro furgone azzurro ammaccato.

    Harper – Antiquariato e collezionismo

    annuncia con orgoglio la fiancata, a lettere bianche e arricciolate.

    Compravendite − Stime – Sgomberi

    4 Lobster Pot Alley, Sandybridge,

    Norfolk

    02163 492445

    Nel fine settimana, di solito, era quello il mio destino: aiutare mamma e papà a servire i clienti nel loro piccolo negozio d’antiquariato oppure, come oggi, dare una mano a sgomberare una casa. Era il modo in cui ottenevano gran parte della loro merce. Di tanto in tanto partecipavamo a un’asta, che era un po’ meno noioso, ma niente di entusiasmante. A volte – ma solo a volte, attenzione – ero quasi felice che arrivasse il lunedì e che grazie alla scuola avessi una scusa per togliermi da quel vecchiume.

    Ma il vecchiume vendeva. Continuavo a sorprendermi nel vedere quanti clienti entravano nel negozio di mamma e papà, impazienti di comprare un oggetto che qualcun altro aveva buttato via – che fosse gente del posto a caccia di un affare o turisti in visita a Sandybridge per una giornata al mare. I clienti arrivavano senza sosta, e i miei lavoravano tantissimo. E meno male, perché di sicuro non avrebbero fatto fortuna come operatori di borsa, con il cellulare e l’agenda stretti al petto. No, i miei genitori erano lontanissimi dal mondo sfacciato e variopinto degli anni Ottanta, quanto io dal mio primo viaggio intorno al mondo. Mia madre e mio padre preferivano rimanere attaccati al passato e non avevano nessuna intenzione di cambiare idea.

    «Adesso posso andare?», chiedo a mia madre, mentre carichiamo sul furgone quella che credo sia l’ultima scatola.

    «Andare dove?». La mamma si volta a guardarmi con un’espressione perplessa.

    Ehi, non girare il dito nella piaga! Solo perché non ho una vita sociale da sballo, qui a Sandybridge! Probabilmente sarebbe lo stesso in tutto il Norfolk e anche nel resto del mondo… Difficile avere una vita meno da adolescente della mia, di questo ero sicura. Avevo quindici anni e l’esperienza più eccitante che avessi mai vissuto era stata farmi quasi beccare a marinare la scuola; a parte il fatto che nessuno ci aveva creduto. La professoressa che mi vide entrare nel negozio all’angolo per comprare la rivista «Just Seventeen» (avevo anche «Cosmo», ma la tenevo nascosta) dette per scontato che fossi malata, dato che non mi aveva vista a scuola, e mi offrì un pacchetto di caramelle per la gola e del paracetamolo.

    Anche i miei rapporti con l’altro sesso erano praticamente inesistenti. L’unico ragazzo da cui avevo ricevuto delle attenzioni era stato Will Granger, quando aveva tentato di appiccare il fuoco ai miei capelli ondulati facendoli penzolare a mia insaputa sopra un becco di Bunsen, il giorno in cui eravamo stati costretti a fare un esperimento insieme durante l’ora di chimica.

    Così, mentre gli adolescenti di Sandybridge stavano sempre in giro a far festa, allargando i propri orizzonti e mettendo a dura prova la pazienza dei genitori, io ero a malapena scesa dalla culla e non avevo mai lasciato l’asilo.

    «Ho appuntamento con i miei compagni per guardare la partita», dico alla mamma con una punta di orgoglio. Era un’interpretazione piuttosto libera della realtà. I compagni in questione non erano proprio miei amici, solo che venerdì mattina mi ero ritrovata in classe, in attesa di iscrivermi al corso, mentre i ragazzi fichi discutevano della questione ed ero stata inclusa quasi per caso nell’invito generale. Non accadeva spesso, e desideravo sfruttare al massimo quell’opportunità, anche se ciò avesse significato guardare degli uomini strapagati che calciavano una palla in un campo per novanta minuti, esibendosi in cadute degne di una prima ballerina.

    «Da quando ti interessa il calcio?», chiede la mamma, con un accenno di sorpresa nella voce.

    «Ci sono i mondiali, no? Come si fa a non interessarsi, non si parla d’altro!».

    Lei socchiude gli occhi e affonda con decisione le mani nelle tasche della salopette blu.

    Alla sua aria sospettosa, reagisco con uno sguardo innocente.

    «Be’, ti farà bene uscire un po’, credo», riconosce alla fine. «Da chi andate a vedere questa partita?»

    «A casa di Duncan Braithwaite», mormoro, nella speranza che non mi senta.

    I suoi occhi, da socchiusi, si fanno grandi e sgranati.

    «Duncan Braithwaite? Non so se mi va bene che esci con quella gente, Grace. Pare sia un poco di buono».

    «Mamma, non sarò da sola; siamo in gruppo. Non mi succederà niente».

    Mia madre non sembra convinta, ma acconsente. «Se è quello che vuoi, per me va bene. Ma promettimi che starai attenta, Grace. Quindici anni sono un’età difficile, soprattutto quando ci sono di mezzo i ragazzi. Mi ricordo, quando avevo quindici anni io…».

    «Mamma!», protesto.

    «Scusa, tesoro. Lo sai che mi preoccupo per te; sei la mia bambina, la mia unica bambina. Ho il permesso di preoccuparmi un pochino, no?».

    Annuisco. «Ma soltanto un pochino, eh!».

    Lei sorride. «Va bene, credo che nel cottage sia rimasto solo uno scatolone, per ora abbiamo finito. Domani tornerò a prendere il resto, papà è libero e potrà aiutarmi a sollevare i mobili pesanti. Chissà come gli è andata quell’asta a Fakenham… Mi sarebbe piaciuto partecipare, ma la famiglia voleva che facessi il lavoro il prima possibile. Te l’ho detto che Mabel ha specificato che voleva noi per lo sgombero della sua casa?», esclama la mamma tutta fiera, per la terza volta.

    «Sì, mamma, me l’hai detto. Ma non è un po’ bizzarro, lasciare disposizioni su come dovranno disfarsi delle tue cose?»

    «Credo che a certe persone piaccia avere tutto sotto controllo. Evidentemente sentiva la fine avvicinarsi, anche se quando le ho parlato sembrava in salute. Sì, è un po’ strano, forse». La mamma distoglie lo sguardo dal piccolo cottage che abbiamo svuotato e lo alza sull’imponente faro che si erge lì accanto. «È una vergogna che il faro rimanga senza un vero guardiano che viva sul posto», dice, guardando con affetto l’alto cilindro di mattoni bianchi che, dalla nostra angolazione, sembra svettare fino alle nuvole, per poi scomparirci dentro. «Da quando hanno costruito quello nuovo più avanti sulla costa, il nostro piccolo faro è inutilizzato. Mabel è stata l’ultima a vivere nella Casa del faro».

    «Il mondo deve andare avanti, mamma», le dico. «Il progresso significa cambiamento».

    «Lo so, ma non sono mai stata molto brava con i cambiamenti. Forse è per questo che io e tuo padre ci siamo lanciati nel settore dell’antiquariato, per rimanere aggrappati al passato ancora un po’, eh?». Mi sorride, poi dà le spalle al faro e si volta verso l’enorme edificio in stile Tudor che si innalza sulla collina dietro di noi. «Lo sai che stanno vendendo anche il palazzo?», domanda mia madre con una nota di tristezza nella voce. «I proprietari non possono più permettersi di mantenerlo, sono stati costretti a vendere e a trasferirsi da un’altra parte. Che situazione penosa; in passato i padroni della tenuta possedevano tutta Sandybridge: le case, i negozi, persino il faro», alza una mano a indicare la costruzione, «ma gli anni sono passati, e pezzo dopo pezzo hanno dovuto vendere i terreni. Finché è rimasta solo la casa, e adesso perderanno anche quella». La mamma scuote la testa. «Sono totalmente favorevole al progresso, Grace, ma se a farne le spese deve essere la storia del nostro paese, ne faccio volentieri a meno».

    Mi volto indietro, verso Sandybridge Hall. Il nome gli calza a pennello; persino in questa giornata nuvolosa di giugno, il bel giallo dorato e i mattoni rossi di terracotta danno un’aria calda e accogliente al sontuoso palazzo circondato dal fossato, in cima a un viale costeggiato dagli alberi.

    «Scommetto che ti sarebbe piaciuto tantissimo entrare là dentro, mamma, fra tutti quei mobili e dipinti antichi. Ti saresti sentita a casa se avessi dovuto sgomberarla!».

    «Oh, no, impossibile. Gli arredi di Sandybridge Hall sono troppo preziosi per venderli allo svuotatutto», spiega la mamma. «Alcuni quadri hanno un grande valore, e ci sono pezzi d’arredamento che risalgono al XVI secolo. Si vocifera che abbiano persino una penna d’oca che Maria Stuarda usò per scrivere una lettera durante un soggiorno al palazzo».

    «Ah…», esclamo, spostando di nuovo lo sguardo sulla casa. Niente di tutto ciò mi interessa minimamente.

    «Comunque, adesso non posso stare qui a preoccuparmi». La mamma si sfrega la fronte con il dorso della mano, e qualche ciocca bionda sfugge al foulard che indossa per proteggere i capelli dalla polvere. «Avrò anch’io il mio tesoro da scoprire, una volta portata a casa tutta questa roba. Mabel possedeva dei pezzi deliziosi – questo sgombero dovrebbe dare buoni frutti». Salta sul furgone. «Grace, fai la brava e vai a prendere l’ultima scatola nel cottage mentre io finisco di sistemare queste».

    «Certo», rispondo, felice di non dover più parlare di roba vecchia. La storia e la salvaguardia del passato erano senza dubbio i cavalli di battaglia della mamma, ed era sempre un sollievo quando scendeva dalla cattedra prima che le prendessero la mano.

    Varco il cancello della staccionata bianca che circonda il piccolo giardino del cottage, spingo il portoncino di legno ed entro per prendere l’ultimo scatolone. Non è dove mi aspettavo di trovarlo, nel salotto in cui abbiamo ammassato tutti gli altri. Per cercarlo, passo in rassegna tutte le stanze della casa.

    Nella vecchia cucina non c’è niente, solo mobiletti di legno vuoti con la vernice che si stacca dalle ante e un forno che ha tutta l’aria di aver visto giorni migliori. L’atrio è troppo angusto per nascondere uno scatolone, quindi salgo le scale, che si trovano dietro una tenda, per dare un’altra occhiata di sopra. Niente nelle tre camerette, eccetto qualche mobile che mio padre verrà a prendere più tardi. Anche il bagno è vuoto, a parte una vecchia vasca da bagno bianca con i piedini, un water e un lavandino antiquati. Torno di sotto per dare un’ultima occhiata al soggiorno, nel caso mi fosse sfuggito qualcosa. Invece, vedo solo il maestoso camino di ferro battuto in fondo alla stanza e alcuni mobili cadenti di Mabel.

    Mentre continuo la ricerca, penso che il cottage potrebbe diventare una casetta molto accogliente, se lo comprassero e lo rimettessero a nuovo. Sicuramente lo venderanno a qualcuno che vuole ristrutturarlo per poi affittarlo ai turisti che stanno iniziando ad arrivare a frotte a Sandybridge. Da quando, un paio di anni fa, la cittadina è stata rinnovata da cima a fondo e ha iniziato a investire sulla costa e sulla passeggiata, insieme alle attività commerciali sono arrivate le persone. Adesso, Sandybridge sta riacquistando la sua fama di località di villeggiatura, ed è famosa quasi come ai tempi della regina Vittoria.

    «Mmm, cosa c’è qui?», mi chiedo, girando la maniglia di una porticina che non avevo notato, nascosta nell’atrio, accanto alla porta d’ingresso. «Eccola!», esclamo, ritrovandomi in uno stanzino che i vecchi guardiani del faro probabilmente utilizzavano come ufficio. Ci sono delle mensole, senza più i libri e i documenti per cui erano state costruite, e una scrivania logora con la quale mamma e papà faranno magie, riportandola all’antico splendore prima di venderla. Ma l’oggetto che mi interessa al momento è appoggiato sulla scrivania: la scatola mancante.

    Mi dirigo subito al tavolo e cerco di sollevarla.

    Wow! Rimetto subito giù lo scatolone, non appena sento quanto pesa. Mi chiedo cosa ci abbia messo la mamma. Sollevo una delle ali di cartone e sbircio all’interno.

    «Ah, è solo una macchina da scrivere», dico alla stanza vuota. È una di quelle vecchissime, nere, con i tasti lunghi e rotondi. Non mi stupisce che pesi così tanto. Erano macchine costruite per durare. Sto per richiudere la scatola e tentare nuovamente di sollevarla, quando noto un foglio con su scritto qualcosa avvolto intorno al rullo nero. Infilo dentro una mano e sfilo la pagina per leggerla.

    Cara Grace,

    mi congratulo con te per avermi trovato. Lo sapevo che saresti stata tu.

    Per favore, porta Remy (è così che le piace farsi chiamare) a casa con te e prenditene cura. In futuro ti sarà di grande aiuto, come lo è stata per tante persone prima di te.

    Devo avvertirti, però, dovrai seguire alcune regole.

    Non puoi scrivere lettere con Remy, solo leggerle.

    I consigli di Remy possono aiutarti e guidarti nei momenti duri; tuttavia, non può svelare informazioni dettagliate. Date e nomi, per esempio, sono proibiti.

    Sei libera in ogni momento di ignorarla! Capita. Ma ricorda: tutto quello che dirà, sarà per il tuo bene.

    Quando giungerà il momento di consegnare Remy a un nuovo proprietario, riceverai informazioni al riguardo.

    Buona fortuna.

    Con affetto, Io x

    «Che diavolo?», borbotto, rileggendo la lettera. «Remy? Perché uno dovrebbe dare il nome a una macchina da scrivere, e perché proprio Remy?». Guardo dentro la scatola. «Ah, Remington! Ora ho capito», esclamo, quando vedo la marca scritta a lettere dorate sulla macchina. «Ma è comunque un po’… bizzarro. E perché indirizzare la lettera a me?». Scuoto la testa. «Non sapevo che la vecchia Mabel fosse svitata! Che scherzo è questo? Come può una vecchia macchina da scrivere dare dei consigli? E perché scrivere una lettera a me? Evidentemente sapeva che avrei aiutato la mamma con lo sgombero della casa».

    «Grace!», sento chiamare mia madre nell’atrio. «Ho trovato l’ultima scatola. È ora di andare».

    Ma…? Guardo con sospetto lo scatolone che ho davanti, infilo la lettera dentro in fretta e furia, richiudo e con uno sforzo enorme riesco a sollevarlo, a portarlo fuori dallo studio e a caricarlo sul furgone.

    «Cos’hai lì?», chiede lei, mentre faccio una fatica immane per caricare la scatola sul retro insieme alle altre. «Pensavo che avessimo preso tutto».

    «L’ho trovata nello studio, è una macchina da scrivere».

    La mamma sbircia dal coperchio, poi arriccia il naso. «Bellissima, come tutte quelle vecchie. Direi che potrebbe avere fra i quaranta e i cinquant’anni. Ma non riusciremo mai a venderla, ormai la gente è fissata con i computer… sai, Amstrad, Commodore, quella roba lì».

    Lo so. A scuola hanno allestito l’aula di informatica e ci andiamo una volta a settimana. Si vocifera persino che presto avremo un Sinclair ZX Spectrum. Ma scoprire che mia madre ne sa qualcosa, e conosce persino le marche principali, mi lascia senza parole.

    «Cosa ci faccio allora? È nel furgone».

    «Vuoi tenerla?», chiede lei. «Un giorno potrebbe valere qualcosa. Consideralo un ringraziamento per avermi aiutata».

    «Non al posto della paga, ovviamente!». La mamma mi circonda le spalle con un braccio e mi stringe. «Lo sai quanto io e papà apprezziamo il tuo aiuto, vero, Grace? Non potremmo mandare avanti il negozio senza di te». Mi bacia sulla testa. «Sei una brava ragazza, lo sei sempre stata».

    Per quanto odi le smancerie, concedo alla mamma quel momento d’affetto.

    «Andiamo, allora, portiamo questa roba in negozio», esclama, lasciandomi andare e dirigendosi al posto di guida. «Poi potrai prepararti per la festa di stasera».

    «Non è una festa», ribatto. «Sto solo andando a casa di un amico a guardare la partita».

    «Sì, sì», risponde la mamma, sedendosi al volante. «Ma non sai mai chi potresti incontrare, festa o non festa…».

    2

    Sul lungomare di Sandybridge sorgono tanti negozi di souvenir, e sembra che tutti vendano gli stessi articoli: cartoline della città di varie forme, ricordi di ceramica, secchielli, palette di plastica e girandole variopinte per i bambini, che stasera, quando passo di lì, girano sospinte dalla brezza marina, facendo un gran baccano. C’è una sala giochi, ci sono schiere di bed & breakfast che danno l’impressione di essere sempre pieni, due sale da tè, una delle quali al momento è chiusa, ma camminando noto un cartello in vetrina che annuncia: Nuova gestione – Riapriamo presto. C’è un negozio di fish and chips ottimo, davanti al quale serpeggia una lunga fila di persone, fino alla porta e fuori sul marciapiede, e quando mi arriva l’odore di fritto per poco non mi accodo.

    «No, Grace», mi dico in tono severo, «devi ridurre le calorie. Altrimenti, non entrerai mai in quei jeans taglia quarantaquattro. E poi ti sei già sbafata una barretta di cioccolato oggi pomeriggio. Stasera devi fare la brava».

    Mi preoccupo costantemente del mio peso, come la maggior parte delle ragazze della mia classe, a giudicare dalle loro conversazioni. Non sono grassa, ma sono troppo rotonda per i miei gusti, perciò devo lottare in continuazione contro il mio naturale amore per il cibo.

    Il mio stomaco brontola, ma tiro dritto davanti al negozio di fish and chips e mi dirigo verso casa di Duncan Braithwaite. Per distrarmi dalla fame, penso a Sandybridge, e mi chiedo perché la gente scelga di venire in vacanza qui, quando al mondo ci sono migliaia di posti più eccitanti. Certo, abbiamo due spiagge magnifiche – una sabbiosa un po’ fuori città, vicino al faro, per raggiungerla bisogna attraversare un ponticello – da cui deriva il nome della cittadina; l’altra, quella che ho davanti agli occhi adesso, corre lungo la passeggiata di cemento ed è completamente ricoperta di sassolini grigi, bianchi e marroni.

    Un tempo non era mai così affollata. Prima dei lavori, Sandybridge era una piccola cittadina di mare, un po’ fatiscente ma suggestiva, a suo modo. Adesso, nei programmi di viaggi alla televisione verrebbe definita un’animata località turistica sulla costa.

    «Quando sarò grande, me ne andrò da qui per vedere il mondo». Ripeto la stessa frase dentro di me ogni volta che percorro la passeggiata, fissando l’orizzonte infinito in cui il mare incontra il cielo. Per quanto un sacco di gente sembri attratta dalle bellezze della zona, non ci penso proprio a restare bloccata sulla costa settentrionale del Norfolk, a guardare ogni giorno lo stesso panorama, come alcuni dei residenti più anziani di Sandybridge hanno fatto per tutta la vita. Il mondo è grande e pieno di cose strane, interessanti ed eccitanti, e io voglio vederle e provarle tutte, dalla prima all’ultima.

    Eppure, cosa c’era di più bizzarro della macchina da scrivere che avevo trovato nel cottage di Mabel qualche ora prima?

    Quando eravamo tornate al negozio, avevo aiutato la mamma a scaricare la merce dal furgone, come facevo sempre, e poi avevo bighellonato fuori mentre lei parlava con Doris, la signora che ci dava una mano per mezza giornata, per sentire com’era andata quel pomeriggio e se avevano venduto qualcosa.

    Non passavo mai un minuto più del necessario in negozio. La roba vecchia non mi dava alcuna gioia; il futuro era davanti a noi, non dietro. Il negozio era carino, credo, per una persona a cui piace il genere; il giornale locale ci aveva definiti

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