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È solo colpa tua
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È solo colpa tua

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About this ebook

Numero 1 del passaparola

Dall'autrice del bestseller Tra di noi nessun segreto

Andrew Thomas Carmody è un giovane medico dall’avvenire luminoso. Futuro primario di neonatologia, è considerato una leggenda vivente all’interno del Presbyterian, l’ospedale in cui lavora. È un uomo dall’aspetto affascinante: alto, atletico, con un viso dai lineamenti virili e dai colori delicati, una vera calamita per gli occhi di ogni donna e al contempo una chimera per chiunque lo corteggi. Andrew è infatti felicemente sposato con il suo primo amore, Alexandra, ideale di grazia e bellezza femminile. La loro è una storia d’amore da favola, fino a quando il corpo scandaloso e l’esplosiva audacia della giovane Evalyn non si insinuano in quel quadro perfetto mandandolo in pezzi. Sensualità e scene di realismo straordinario, sentimenti e sensazioni accompagneranno il lettore in una dimensione nuova. Lasciarsi andare e godere di ogni singolo istante passato in compagnia dei protagonisti di questa storia incendiaria sarà l’unica via possibile.

Il nuovo romanzo di Robin C. è un viaggio nel mondo del proibito che sconvolge e seduce fino all’ultimo respiro

Hanno scritto di Tra di noi nessun segreto:

«Dopo due notti insonni passate a leggere, sono rimasta senza parole. Sconvolta da ciò che sono stata in grado di sentire, provata dagli innumerevoli sentimenti contrastanti che si sono insinuati con prepotenza dentro di me. Un libro che consiglio tantissimo.»

«L’ho letto tutto d’un fiato. È una storia avvincente, ci sono proprio tutti gli ingredienti: passione, amore, paura, suspense.»
Robin C.
È lo pseudonimo di una scrittrice che ha scalato le classifiche sul web e ha ottenuto recensioni entusiastiche dai suoi lettori. Con la Newton Compton ha pubblicato Tra di noi nessun segreto, diventato un bestseller e È solo colpa tua.
LanguageItaliano
Release dateMay 5, 2017
ISBN9788822709806
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    Book preview

    È solo colpa tua - Robin C.

    Parte prima

    PERDIZIONE

    Prologo

    Andrew guidava verso casa con il cuore pesante, schiacciato da un’inquietudine che lo mangiava vivo da giorni, suggestionato da un oscuro presagio che lo obbligava a premere il piede sull’acceleratore.

    Pensava a lei.

    Nell’ultima settimana Alexandra gli era sembrata strana, differente, vittima di un cambiamento repentino e spaventoso.

    Per mesi l’aveva vista smarrita, disorientata, fragile. Un’ombra confusa e tormentata che non capiva, che non vedeva o non voleva vedere.

    E come avrebbe potuto? Non era nella sua natura essere sospettosa e non era abbastanza smaliziata da riconoscere il male, anche quando quello giaceva tra le sue lenzuola. Era una creatura leale e sincera. Il suo amore e il suo attaccamento erano stati tangibili in ogni parola, in ogni gesto, in ogni sguardo, per tutti i dieci anni del loro matrimonio. Un’anima pura come la sua non avrebbe potuto nemmeno contemplare l’idea di un tradimento e Andrew ne aveva approfittato in modo dissennato, sperando che lei fosse davvero così cieca da non vedere chi fosse diventato e cosa le stesse facendo.

    Eppure in quella notte nera non desiderava altro che riportare indietro il tempo. Ritornare a un’epoca in cui tutto era ancora onesto e pulito fra loro. Non desiderava altro che sentirla di nuovo sua.

    Assurdo questo bisogno, pensò, considerando i sentimenti che aveva provato durante l’ultimo periodo del loro matrimonio.

    La tollerava, infatti, ormai a malapena e la riteneva responsabile di ogni frustrazione, ogni stupido contrattempo, ogni aspettativa disattesa. Sapeva che lei aveva passato gli ultimi mesi ad arrancare, cercando di capire, senza riuscirci, perché lui non ce la facesse più a sostenere di averla intorno. Non capiva che la colpevolizzava per la sua sola presenza, che la riteneva un limite, un guinzaglio teso e soffocante.

    Per quanto ci avesse provato, Alexandra non era stata in grado di spiegarsi i cambiamenti di lui e ne soffriva da morire, questo era evidente, ma ciò non aveva comunque fermato Andrew dal continuare a ferirla.

    Poi, all’improvviso, era stata lei a mutare radicalmente d’atteggiamento.

    Aveva smesso d’essere paziente, d’essere presente. Aveva smesso di chiamarlo per sentire come stava o semplicemente per salutarlo. Era diventata fredda, assente, lontana, e lui non aveva idea di cosa fosse accaduto in tempi così inspiegabilmente brevi. Andrew sentiva solo questa nuova insicurezza, la percezione sgradevole che vi fosse qualcosa che non comprendeva, a cui non era in grado di dare forma o nome, e che era lì, fissa nella sua mente, costantemente.

    Quella stessa sensazione lo spinse a raccogliere il cellulare dal sedile al suo fianco e a rileggere il messaggio che lei gli aveva mandato nel pomeriggio.

    Non era insolito che lo invitasse a essere presente per cena. Così come non era insolito che lui la deludesse, inventandosi una scusa qualunque.

    Ma quel messaggio non era l’usuale, tenera, preghiera che si sentiva fare da lei. Aveva più l’aspetto di un ordine, un ultimatum al quale sembrava non essere ammessa alcuna replica, ed era in linea con la nuova, minacciosa condotta di una donna che non riconosceva più.

    Nel cuore di Andrew non c’era traccia della noia che aveva provato in passato a ogni suo invito, soltanto un’angoscia profonda mista al puerile desiderio di sfuggire a un destino oscuro, ma che sentiva incombente e indecifrabile.

    Trattenne il cellulare in mano per qualche secondo, fissando l’immagine del bel viso della moglie.

    "No. Non è possibile. Non può sapere. Nessuno sa. Nessuno.

    Sono stato attento.

    È solo arrabbiata perché l’ho trascurata troppo a lungo.

    È delusa, ma io posso riprendermela. Posso riportarla a me.

    Non è troppo tardi".

    Quei pensieri autoconsolatori non bastavano a placare l’inquietudine che sentiva.

    Doveva vederla subito. Doveva fare l’amore con lei e chiederle perdono. Doveva farle capire che, malgrado si fosse comportato per mesi da egoista bastardo, l’amava ancora da morire.

    E poi avrebbe lasciato l’altra. L’avrebbe lasciata l’indomani, senza alcun rimpianto o esitazione.

    Sapeva d’essere stato un folle a crederla migliore della moglie, a desiderarla così disperatamente, e se ne rendeva conto solo ora che sentiva scivolare tra le dita ciò che aveva accantonato per molto tempo senza un secondo pensiero.

    Si accese l’ennesima sigaretta. «È tutto a posto», continuò a sussurrare tra sé e sé, «sono stanco e ho equivocato ciò che ho visto e sentito. È tutto in ordine e questa sera farò in modo di silenziare ogni sua paura, ogni suo dubbio. La legherò a me ancora una volta».

    Il finestrino aperto permise all’aria fredda della notte di riempire l’abitacolo e gli fornì un temporaneo sollievo, ma per maggior cautela Andrew prese ancora una volta in mano il cellulare e le inviò un breve messaggio di risposta.

    Sto arrivando a casa, miele.

    Cercò di sorridere, senza riuscirci davvero, ancora troppo teso.

    Forse non era poi così bravo nemmeno a mentire a se stesso.

    Parcheggiò nel viale di fronte alla loro bella casa a due piani. Dall’esterno si poteva vedere una luce diffusa in sala. Lo stava aspettando, come sempre, come ogni altra sera.

    Deve essere un buon segno, si disse.

    Entrò in casa, appoggiò la valigetta e le chiavi della macchina sul tavolino dell’ingresso e, lentamente, si diresse verso il grande soggiorno.

    La chiamò con tono incerto: «Alex?».

    Lei non rispose e lui si affacciò sull’entrata della sala dalla quale proveniva la luce accogliente e calda che aveva visto dal giardino. Il camino era acceso, così come le candele sparse dappertutto, e lei era lì, bella da togliere il fiato.

    Indossava una vestaglia corta di seta nera e le scarpe con il tacco alto che lui le aveva regalato per il suo ultimo compleanno e per le quali non aveva mai dimostrato un grande entusiasmo.

    Era truccata, e anche questo era qualcosa che faceva di rado.

    Teneva in mano un calice di vino rosso. Lo fissò e si portò il bicchiere alle labbra, inarcando un sopracciglio in modo suggestivo e seducente. Lui si allentò la cravatta e, senza dire una parola, le si avvicinò.

    Un desiderio che non provava da molto tempo pervase il suo corpo e gli annebbiò la mente. Come ho potuto?, si chiese ancora una volta, cercando poi di mettere da parte quel disturbante senso di colpa.

    Lei gli andò incontro senza spezzare il silenzio assordante in cui erano immersi, si fermò a pochi metri da lui, finì il vino e poggiò il calice vuoto su un piccolo tavolino rotondo di fianco al divano.

    Rimase ferma di fronte al camino, le sue mani si posarono leggere sulla vestaglia che indossava e che lentamente fece scivolare a terra. Un’ombra scura, statuaria, con un’aura di fuoco a circondarla. Sembrava un angelo nero.

    Si passò la lingua sulle labbra e si avvicinò di più a lui, ancora fermo all’ingresso della sala, fino a raggiungerlo. Gli prese una mano e lo condusse sull’ampio tappeto davanti al fuoco acceso, in silenzio, fissandolo con i suoi enormi occhi chiari. In piedi davanti a lui, gli prese il viso, trattenendolo teneramente tra le mani, e lo guardò intensamente per qualche secondo con un’espressione persa e incredibilmente desolata.

    Poi un lampo differente le attraversò le iridi di ghiaccio e il secondo successivo si abbassò in ginocchio davanti a lui.

    Lentamente, molto lentamente, gli slacciò la cintura e poi aprì i pantaloni.

    Andrew la guardò negli occhi nel momento in cui lei alzò lo sguardo, e la determinazione che vi lesse aumentò la sua confusione.

    Quella era casa sua e la donna inginocchiata davanti a lui era sua moglie, eppure l’intera situazione gli risultava incomprensibile.

    Nello sguardo di lei non vi era traccia dell’antica devozione, della sua naturale dolcezza. I suoi occhi verdi erano freddi e spietati. Non sembrava più la stessa donna. Sembrava piuttosto una divinità fredda e crudele pronta a bruciarlo vivo.

    Le mani di Alexandra gli carezzarono le cosce, salendo dal basso verso l’alto, fino a raggiungere e liberare la sua erezione. Ne afferrò con presa salda la base e iniziò a masturbarlo fino a che non lo sentì diventare duro, poi lo prese tra le labbra accoglienti.

    Andrew chiuse gli occhi per un istante, sopraffatto dalla sensazione calda e umida nella quale era stato improvvisamente risucchiato. Istintivamente scattò in avanti con il bacino, ma lei lo fermò, poggiandosi con fermezza sulle sue cosce, premendo senza pietà le proprie unghie dentro la sua carne, obbligandolo silenziosamente a stare fermo. La sensazione della bocca sul suo sesso, che lo assaporava, succhiava e accarezzava, lo faceva impazzire. Sarebbe venuto in pochi istanti se avesse continuato così. E non voleva. Non in quel momento. Non dentro la sua bocca.

    Voleva invece fare l’amore, guardarla negli occhi e ritrovare lo sguardo sereno che conosceva e che gli avrebbe donato nuovamente la pace.

    «Alex… fermati. Parlami. Ti prego».

    E lei, per un breve istante, si fermò.

    Le sue labbra rosse si contrassero in una smorfia rabbiosa. I suoi occhi si tramutarono in due fessure scure e profonde. Infine la sua bocca si aprì, liberandolo dalla dolce morsa nella quale era stato trattenuto fino a un secondo prima. Lo guardò, inclinando di poco la testa da un lato, poi gli prese le mani, lo obbligò a piegarsi in avanti e a mettersi in ginocchio di fronte a lei.

    Erano di nuovo uno innanzi all’altra.

    Il suo seno premeva contro il tessuto sottile della raffinata camicia di lui, i capezzoli turgidi ne sottolineavano l’eccitazione, eppure quel suo sguardo gelido ed enigmatico non poteva essere ignorato.

    «Alex. Cosa succede?».

    Lei, notando lo smarrimento e la paura sul volto del marito, sorrise in silenzio. Andrew cercò di allontanarsi, perché era ormai chiaro che le azioni di Alexandra non fossero dettate dall’amore che fino a pochi giorni prima affiorava da ogni suo gesto, ma lei lo trattenne per i polsi con forza, fino a fargli male. Non parlava ancora. Solo un suono ferino, simile a un ringhio soffocato, le sfuggì dalle labbra mentre lo riportava vicinissimo a sé con decisione. Lo sorprese con un bacio furioso, infilando la lingua con prepotenza nella sua bocca, obbligandolo a gustare il sapore amaro e salino della propria eccitazione mischiato alla loro saliva.

    Lui emise un gemito di piacere. Lei ne emise un altro identico, più rauco, in risposta.

    Con lentezza Andrew le passò una mano tra le gambe, poi spostò da un lato il tessuto bagnato delle mutandine, fece scivolare il dito medio lungo le sue labbra morbide, infine la penetrò con quello. Venne premiato con un mugolio sonoro che lui soffocò tornando a baciarla.

    Fu un bacio lento e lascivo, diverso da tutti gli altri che si erano scambiati in passato e lui ci si aggrappò con tutto se stesso, attirandola a sé con più forza, mentre aumentava il ritmo con il quale continuava a penetrarla. Voleva farla venire. Voleva sentirla esplodere intorno alle proprie dita. Voleva sentirle gridare il proprio nome. Così pompava e accarezzava, leccava e graffiava, mordeva e sussurrava parole sporche con voce roca, parole che non le aveva mai detto e che la spinsero oltre la soglia del piacere.

    Alexandra venne d’improvviso. Cavalcò l’onda del proprio orgasmo dondolando il bacino contro di lui e mordendogli una spalla. Infine appoggiò la propria fronte nello stesso punto in cui aveva affondato i denti. Quando le si fu calmato il respiro, allargò le piccole mani sul petto dell’uomo, lo spinse e lo obbligò a sdraiarsi sul morbido tappeto sotto di loro. Con aggressività e determinazione gli strappò la camicia, gli slacciò le scarpe e gli sfilò i pantaloni eleganti che ancora indossava. Insieme a questi scivolarono via anche i boxer.

    Lui rimase nudo, sdraiato, annichilito di fronte a quella furia.

    «Alex…».

    Lei non rispose, se non con quello sguardo indecifrabile che lui continuava a temere, e si alzò.

    Le sue gambe lunghe e snelle erano aperte, divaricate sopra di lui.

    Si slacciò il reggiseno e se ne liberò.

    Fece un passo indietro e si sfilò le mutandine.

    Gli si mise sopra e gli fornì una perfetta visione del proprio sesso, ancora bagnato per il recente orgasmo.

    Lui allungò le braccia, con le mani le circondò le cosce afferrandole appena sopra il ginocchio, e la fece scendere su di sé, proprio all’altezza del viso.

    La voleva divorare.

    La voleva consumare.

    Leccò, succhiò, morse delicatamente, finché la sentì gemere il suo nome.

    «Andrew…».

    Finalmente la sua voce, pensò.

    Le strinse più forte le natiche tra le mani, grato ed eccitato per quel regalo. «Godi nella mia bocca, miele».

    Lei appoggiò le mani dietro di sé e i suoi capelli gli solleticarono lo stomaco. Andrew le afferrò con decisione il bacino, muovendolo avanti e indietro, continuando a penetrare e leccare con forza maggiore fino a che Alexandra venne di nuovo, scossa da lunghi gemiti strozzati, con la bocca spalancata e gli occhi serrati.

    Non le diede tempo di riprendersi, la prese e la distese sotto di sé. La guardò estasiato da tanta addolorata bellezza: il viso arrossato, i capelli scomposti, gli occhi lucidi e velati di tristezza, così in contrasto con il momento di profondo godimento che entrambi avevano appena sperimentato.

    Perché era così triste? Davvero era la fine quella?.

    Cacciò questo pensiero insopportabile, le sollevò una gamba, portandosela oltre la spalla, e la penetrò con una spinta lunga e decisa.

    I loro occhi incatenati così come le loro mani.

    Ogni affondo, un grugnito.

    Ogni colpo, un gemito.

    Ogni spinta più forte, sempre più intensa, sempre più profonda.

    Per cancellare quello sguardo e quelle sensazioni contrastanti. Per negare ciò che stava avvenendo. Per non permetterle di pensare e di agire.

    Era il paradiso, era l’inferno che bruciava, e lui non capiva se stava per morire oppure rinascere.

    Sentì il sangue pulsare più veloce nelle vene e ondate di calore infiammare la sua pelle. La sensazione pungente nel basso ventre lo avvisò che non sarebbe riuscito a resistere ancora per molto. Il suo cazzo teso stava per esplodere. Le sue spinte si fecero scomposte e alla fine si arrese, riempiendola con lunghi fiotti di seme caldo.

    Si riavvicinò per baciarla. La baciò con amore, con passione, con dedizione, come non faceva da mesi, ma le labbra di lei rimasero inerti.

    «Amore…», la implorò ancora e ancora inutilmente, mettendosi seduto. Un secondo dopo Alexandra era in piedi e si allontanava da lui.

    «Ti prego, parlami», le disse.

    Avrebbe voluto chiudere gli occhi per non vedere cosa stava accadendo.

    Avrebbe voluto poter scappare in quel momento, per non vederla andar via.

    Perché sapeva.

    Lo sapeva quando era tornato a casa il giorno prima.

    Lo sapeva quella mattina quando era andato in ospedale.

    Lo sapeva ora che la vedeva sempre più lontana.

    Aveva sempre saputo che sarebbe finita così, fin da quella prima notte in cui avrebbe potuto ancora fermare tutto, durante la quale avrebbe potuto salvarsi e invece si era diretto a tutta velocità verso la propria fine.

    Passarono pochi minuti e lei tornò completamente vestita in abiti severi ed eleganti.

    «Alex, ti prego, amore…». Alexandra non rispose e indossò il cappotto.

    Dal tavolino rotondo accanto al divano raccolse una busta, poi arrivò fino al limitare del salotto e si voltò verso di lui. I begli occhi chiari, lucidi e tristi. Il viso arrossato. I capelli sconvolti. Lui si sedette e si coprì il viso con le mani. «No… amore. No… amore, no. No… no… no… no… no… no…».

    Lei gli lanciò con violenza la busta che teneva in mano e che cadde al suo fianco. Andrew la fissò. Si era aperta, lasciando intravedere i bordi di alcuni ingrandimenti fotografici. Il cuore gli si fermò e la bocca si spalancò per l’orrore.

    No. No. No. No. Tornò a guardarla, implorandola con gli occhi.

    Ma trovò solo un abisso di dolore e odio. E finalmente la sua voce: «Spero che ne sia valsa la pena, Andrew».

    Capitolo 1

    Tentazione

    New York, marzo 2011

    Andrew aveva appena terminato un estenuante turno in ospedale, ma la spossatezza che sentiva non era cosa a cui non fosse abituato.

    Aveva attaccato a lavorare al pronto soccorso la sera precedente e durante la notte aveva dovuto far fronte a una decina di piccole emergenze, riuscendo ad appisolarsi solo per brevi intervalli. Durante il giorno, invece, aveva effettuato due interventi di tonsillectomia routinari e uno più rischioso con l’équipe di cardiologia infantile. Nel tardo pomeriggio aveva visitato tutti i suoi piccoli pazienti ricoverati nel reparto e, ora, ventiquattr’ore dopo, era seduto alla scrivania del suo studio per dare un’ultima occhiata ad alcune cartelle cliniche. Chiuse gli occhi per qualche istante e pensò.

    Durante l’intera durata di quel lungo turno non aveva mai sentito la moglie, nemmeno per una breve telefonata. Pensò che lei probabilmente lo stava aspettando nella loro accogliente cucina, con la cena calda in forno e la voglia di stare insieme nel cuore. Pensò che il tragitto che lo separava da casa era di soli trenta minuti, ma che lui non aveva nessuna voglia di vederla né di sentirla. Piuttosto avrebbe voluto uscire e distrarsi un poco. Mangiare qualcosa con un collega. Fermarsi a dormire in una delle stanze adibite ai turni di notte e infine riattaccare per il turno successivo il giorno dopo. Prima però doveva chiamarla. Prese quindi il cellulare con un senso di fastidio e nausea. Era stufo di dovere giustificare ogni suo pensiero, ogni sua azione, ed era certo che quella telefonata avrebbe innescato l’ennesimo conflitto dal quale sarebbe risultato colpevole. Gli sembrava ingiusto passare sempre per quello senza cuore, essere accusato d’essere un uomo cinico e dipendente dal lavoro, e mal tollerava le silenti accuse che lei da mesi sembrava rivolgergli con i suoi sguardi delusi.

    Credeva di avere il sacrosanto diritto di godersi le poche ore di libertà che il lavoro gli concedeva, senza sentirsi costantemente obbligato a comportarsi secondo le aspettative di una moglie lagnosa. E si sentiva in trappola, prigioniero di una vita che amava sempre meno. Digitò il numero di casa controvoglia, e attese. Non dovette aspettare molto, lei rispose con voce vivace e calda quasi subito: «Andrew. Finalmente. Dove sei?»

    «Dove vuoi che sia? Sono in ospedale. Ho finito l’ultimo giro di visite dieci minuti fa. Sono distrutto». Non riuscì a controllare il tono duro e infastidito con cui le parlò, di certo fuori luogo dopo ventiquattro ore di silenzio e una domanda innocente e prevedibile come quella.

    «Non torni a casa?»

    «No. Pensavo di fermarmi a dormire in ospedale…».

    Lei non disse nulla e lui sentì le tempie pulsare di rabbia per quel silenzio passivo e aggressivo. Un silenzio che nascondeva delusione, amarezza, scoraggiamento, tristezza e giudizio. Era una tra le tante cose che non sopportava più di lei. Sempre così apparentemente accondiscendente e docile, sempre così disponibile. Lei e i suoi innumerevoli messaggi, gli inviti a passare del tempo insieme, gli sguardi da cerbiatto ferito. Sempre lì a ricordargli che lei c’era, solo per farlo sentire il peggiore degli uomini. Dio, come non la sopportava! Che voglia aveva di darle un motivo per essere delusa davvero! Che voglia di fare qualcosa di sbagliato per legittimarla a esprimere con ragione il suo disappunto.

    Ringhiò sottovoce: «Non lo capisci, giusto? Non ti rendi conto che sono stato in piedi per un numero di ore senza senso. Non ti rendi conto che anche il solo pensiero di guidare per pochi minuti mi sembra inconcepibile in questo momento…».

    «Certo che lo capisco. È solo che mi manchi. Ti aspettavo per cenare insieme ma, se sei stanco, non fa niente. Riposati. Spero di vederti domani. Ti lascio andare…».

    La sua voce era dimessa e sottile, un mieloso tentativo di fargli cambiare idea, e lui decise di stare al gioco, di recitare la parte del marito affezionato che non aveva scelta e che si sarebbe fatto perdonare in futuro.

    Sospirò: «Ti chiedo scusa per come ti ho risposto e mi dispiace per la cena, piccola. Ma sono davvero esausto. Non riesco a tenere gli occhi aperti e rischierei un incidente se guidassi in questo stato…».

    «Non importa. Non è nulla. Mangerò qualcosa e ti lascerò il resto in frigo per il pranzo. Buona notte, amore», rispose lei, con voce di nuovo serena.

    Andrew si sorprese della facilità con la quale quella donna si lasciava ingannare, ma questa volta, al posto del solito senso di colpa, provò un brivido di sadico piacere. «Buona notte, Alex». Chiuse la telefonata con un sorriso sulle labbra e un peso in meno sul petto.

    Era libero. Libero di fare ciò che desiderava. Mangiare un boccone e poi leggere qualcosa, oppure andare a dormire immediatamente. E se l’indomani mattina si fosse svegliato in tempo, avrebbe potuto tornare a casa prima che lei uscisse e tenerle compagnia per la colazione. Rimase ancora qualche secondo a occhi chiusi e mentre considerava se recarsi da solo a mangiare qualcosa oppure cercare la compagnia di un collega, sentì la porta del suo ufficio che si apriva lentamente. Alzò gli occhi e sulla soglia c’era lei, Evalyn, ancora una volta.

    Vederla di fronte a sé, con un bel sorriso dipinto sulle labbra morbide e giovani, improvvisamente lo fece sentire sveglio e leggero come se le ultime ventiquattr’ore non fossero mai esistite, come se la telefonata con la moglie non fosse mai avvenuta. Come se Alexandra, alla fine, non fosse reale ma solo un brutto sogno.

    Evalyn era giovane e attraente. La sua era una bellezza acerba, sbocciata con prepotenza da poco, che lei non faceva nulla per nascondere. All’inizio Andrew non aveva dato peso al modo in cui lo guardava, alla scelta delle parole che usava con lui e al tono con cui uscivano dalla sua bocca. In fin dei conti non era la prima giovane infermiera che sognava un’avventura con un dottore e lui era nientemeno che Andrew Thomas Carmody, futuro primario di pediatria, Golden Boy dell’ospedale, dotato di carisma e mani d’oro. Una leggenda vivente a meno di trent’anni. Sapeva quale effetto la sua presenza avesse sulla maggior parte delle donne.

    Era sempre stato così, fin da quando era ragazzo. Il suo fisico longilineo e atletico, il viso dai lineamenti virili e dai colori delicati, la sua voce calda, la sua intelligenza vivace, gli avevano sempre garantito l’attenzione di ogni donna avesse conosciuto. Il fatto, dunque, che quella giovane all’inizio si fosse infatuata di lui non era stata una novità; la novità stava piuttosto nel fatto che quella era la prima volta che si sentiva così attratto da una donna che non fosse sua moglie. Gli sguardi lascivi di lei, il suo corpo, la voce sottile da bambina, gli avevano smosso qualcosa dentro di sopito e nascosto. Una voglia e un bisogno arcaici e primitivi.

    Evalyn entrò nel suo studio, chiuse la porta dietro di sé, gli si avvicinò e girò intorno alla sua poltrona, carezzandogli una spalla, come sempre pronta a tentarlo, a provocarlo, come sempre decisa a fargli capire quanto lo desiderasse. Poi si sedette sulla scrivania, accavallando le belle gambe tornite e lo fissò con i suoi grandi occhi blu.

    «Stanco, dottore?»

    «Evalyn, non ti credevo ancora qui. Il tuo turno è finito da un pezzo…».

    «Ho sostituito Page. È stata una lunga giornata anche per me. Pensavo che magari avremmo potuto andare a bere qualcosa insieme. Rilassarci un po’».

    La ragazza sembrava possedere il potere di sedurre senza sforzo, senza nemmeno provarci. Era dotata di una naturale sensualità che affascinava inesorabilmente l’universo maschile. Più di un medico si era fatto avanti con lei attratto dalla sua bellezza e dalla sua disponibilità a flirtare, ma presto era stato chiaro il limite invalicabile che la donna poneva ai suoi ammiratori. Con loro era un gioco: guardare e non toccare. Con Andrew invece la situazione era molto differente. Con lui tirava fuori le unghie, non si arrendeva mai, si esponeva senza timore al giudizio di chi la osservava, rischiando grosso pur di ottenere ciò che desiderava. Con lui la sua voglia era evidente in ogni parola detta, in ogni gesto, in ogni movimento. E quella notte, se possibile, sembrava ancora più determinata del solito, più calda, ancora più disponibile.

    La piccola divisa bianca le strizzava i seni e i fianchi in modo delizioso e la postura con la quale era ora seduta ne metteva in mostra le gambe sode. I suoi occhi trasparenti lo guardavano senza tentennare mentre con la lingua si carezzava lentamente le labbra in attesa di una risposta affermativa.

    «Dottore, non dirmi che non hai fame». Nel suo sguardo innocenza e lussuria.

    Andrew la desiderava ferocemente. Erano settimane che il folle bisogno di cedere alle sue lusinghe e di possederla lo tormentava. Settimane che la fuggiva, anche se con passo via via più lento e incerto.

    Perché scateni in me questo desiderio? Perché hai questo potere su di me?, si chiedeva ogni volta che l’aveva di fronte, mentre la forza di resisterle si faceva progressivamente più flebile.

    In fin dei conti sapeva che sarebbe successo, lo voleva anche lui, lo voleva proprio con lei e, in quell’istante si rese conto che prima o poi sarebbe accaduto.

    Chiuse per qualche secondo gli occhi, poi li riaprì e la fissò sfacciatamente. Era stanco di scappare, stanco della sua vita monotona e prevedibile, stanco della moglie, stanco di mentire a se stesso.

    In quello sguardo Evalyn lesse la risposta a tutte le proprie preghiere: dopo settimane di attesa e dopo mille vani tentativi, l’uomo che desiderava era finalmente sul punto di crollare.

    «Solo un drink. Poi andremo a letto. Promesso», gli disse così, candidamente, come se non ci fosse un evidente doppio senso in quelle poche parole, e lui accettò.

    Afferrarono i loro cappotti e uscirono insieme nell’aria frizzante di una New York primaverile.

    Capitolo 2

    Seduzione

    La fece salire in macchina e, mentre guidava, la osservò. Il suo bel viso era illuminato a intermittenza dalla flebile luce dei lampioni che costeggiavano la strada. Il corpo avvolto in un trench che ne disegnava le curve morbide in modo esplicito e metteva in mostra le sue gambe, scollato abbastanza da esporre sfacciatamente l’abbondante rigonfiamento dei seni.

    La ragazza sorrideva, sembrava felice e senza nessun pensiero al mondo, mentre si aggiustava il trucco e si osservava soddisfatta nello specchio interno al parasole. Era innocente e volgare allo stesso tempo e gli faceva venire voglia di cose proibite.

    Arrivarono in un locale lontano dall’ospedale e dalla casa di lui. Si trovava in un quartiere che Andrew conosceva bene perché situato nei pressi di un centro clinico presso il quale collaborava come consulente. Un club raffinato in cui l’abito corto e scollato di lei sarebbe stato chiaramente fuori luogo, eppure la disinvoltura indecente con cui lo indossava lo eccitava in un modo che non riusciva a spiegarsi.

    Alexandra non lo aveva mai fatto sentire in imbarazzo, era sempre inappuntabile quando uscivano. Anche quando si vestiva in modo molto femminile e sensuale, la sua classe ed eleganza spiccavano.

    L’erotismo di Evalyn era invece audace e scandaloso, provocante al punto che, per qualche istante, lui sentì l’impulso di accostare lungo la strada e fottersela in macchina prima ancora di arrivare al locale, certo che lei non si sarebbe tirata indietro. Da settimane visualizzava scenari sempre più perversi quando l’aveva vicina. La immaginava in posizioni oscene, disposta ad acconsentire a qualunque sua richiesta. Smaniosa di accontentarlo con la bocca e con ogni altra parte del suo corpo.

    Dovette dunque sforzarsi per non dare sfogo lì, in quel preciso momento, alla voglia dura che gli pulsava tra le gambe e che gli rendeva doloroso anche solo il semplice atto di guidare. Quando arrivarono al locale lasciò le chiavi della macchina al parcheggiatore.

    Evalyn non notò lo sguardo lascivo del giovane che portava via la loro auto, troppo concentrata sull’uomo che le camminava a fianco, ancora incapace di credere di averlo finalmente sedotto.

    Lo aveva spiato di sottecchi in macchina e non le erano sfuggiti gli sguardi lussuriosi che lui le aveva lanciato in più di un’occasione. Non gli era nemmeno sfuggita la sua tensione, quel doversi allentare la cravatta a metà del tragitto e sistemarsi più volte sul sedile della macchina a causa di un evidente tormento a livello del cavallo dei pantaloni.

    All’entrata Andrew chiese un tavolo lontano dalla pista e dal bancone del bar, in un angolo poco illuminato della sala, poi ordinò una bottiglia di brandy per entrambi e lei sorrise soddisfatta per quella scelta. Era una ragazza scaltra e intelligente e comprendeva quanto per lui quella rappresentasse una situazione limite. Quella bottiglia era di certo il suo ultimo passo per darsi del coraggio, in forma liquida, prima di arrendersi.

    Sapeva che era sposato da tempo, sapeva che la moglie si chiamava Alexandra e che lui non l’aveva mai tradita. L’aveva persino intravista in un paio di occasioni e ne aveva notato la bellezza e l’atteggiamento affabile. Se non avesse rappresentato l’unico ostacolo tra sé e l’uomo che desiderava, l’avrebbe forse avvicinata per conoscerla meglio. Non sarebbe andata così, però. Quella donna era il nemico e mai Evalyn si sarebbe permessa di pensare a lei in termini differenti, specialmente non quella notte.

    «Hai almeno l’età legale per bere?», le chiese Andrew, prendendola in giro per il fatto che fosse molto giovane.

    In risposta Evalyn si sfilò il piccolo trench che indossava, inarcò la schiena e mise in mostra le più belle tette che lui avesse mai visto. Gli si avvicinò al viso e sussurrò: «Ho l’età per fare un sacco di cose interessanti e piacevoli, in verità».

    Lui rise di gusto, divertito dalla sua impertinenza, eccitato dalla sua sfacciataggine.

    Il loro breve scambio fu interrotto dall’arrivo del cameriere con la bottiglia di liquore e due bicchieri. Il ragazzo li servì in silenzio e se ne andò soddisfatto, con una mancia di venti dollari in tasca.

    Andrew le porse il bicchiere pieno. Lei lo portò alle labbra, inclinò il capo all’indietro, esponendo il collo sottile e delicato, serrando gli occhi mentre il liquido le scivolava caldo nella gola. Alla fine emise un piccolo gemito soddisfatto e a lui divenne duro come la pietra solo per averla osservata compiere un gesto così apparentemente innocente.

    E pensò.

    Pensò ad Alexandra che non beveva mai per non perdere il controllo. Che faceva sempre la cosa giusta. Ai suoi comportamenti e pensieri sempre così corretti, così prevedibili e scontati. Pensò all’ultima volta che gli era venuto duro solo a guardarla e non riuscì a ricordarsene. Pensò al fatto che avevano sempre e solo fatto l’amore, mai del sesso puro, e a quanto questa cosa gli fosse mancata. Pensò che non sarebbe stato costretto a trattare Evalyn con dolcezza, perché era evidente quanto fosse diversa dalla moglie, quanto amasse vivere sopra le righe, quanto fosse consapevole della propria sensualità e quanto non si facesse scrupolo a giocarci.

    Tutto in lei aveva il sapore del peccato.

    Il suo trucco eccentrico.

    I suoi abiti troppo corti.

    I suoi top scollati.

    I suoi tacchi esagerati.

    Le parole maliziose che uscivano dalla sua bocca.

    E, nella luce perversa dei suoi occhi, vide se stesso potente.

    Passarono i minuti e poi le ore, occupate a bere e a fare chiacchiere vacue, soltanto per arrivare al livello di stordimento grazie al quale non ci sarebbe stato spazio per alcun senso di colpa o ripensamento.

    Parlarono della loro vita in ospedale, di piccoli episodi e di futili pettegolezzi. Parlarono di lei, dei suoi sogni, del suo lavoro e di quanto quello non la appagasse. Di come lo avesse scelto forzatamente per accontentare i genitori che l’avevano sempre sognata con un impiego sicuro e stabile. Gli confidò che avrebbe voluto fare l’attrice o la fotomodella. Lui le rispose che aveva tutti i requisiti per provarci, data la sua bellezza, e che non dubitava del fatto che sarebbe

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