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L'incredibile intelligenza del gatto
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L'incredibile intelligenza del gatto

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Uno dei maggiori esperti mondiali del comportamento animale ci mostra la sorprendente natura dei gatti

Il gatto è l’animale domestico più diffuso al mondo. Per ogni cane, considerato “il migliore amico dell’uomo”, ci sono tre gatti. Eppure oggi questi amabili felini si trovano ad affrontare sfide senza precedenti nella loro convivenza con gli esseri umani: dagli ambientalisti, che li considerano una minaccia per la fauna selvatica, agli altri gatti, con cui si trovano a competere per il territorio, per finire coi proprietari, animati da buone intenzioni, e i veterinari con idee sbagliate su ciò di cui hanno davvero bisogno. Al gatto non serve la nostra simpatia, ma la nostra comprensione. L’incredibile intelligenza del gatto ci offre per la prima volta un quadro davvero scientifico, eppure profondamente affettuoso, su uno dei compagni più stretti eppure più enigmatici dell’uomo.
John Bradshaw
è un biologo che ha fondato e dirige l’Anthrozoology Institute, di fama mondiale, che ha sede presso l’Università di Bristol. Ha studiato il comportamento dei gatti domestici e dei loro proprietari per oltre 25 anni, ed è autore di numerosi articoli e studi scientifici in merito.
LanguageItaliano
Release dateOct 19, 2016
ISBN9788854199255
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    L'incredibile intelligenza del gatto - John Bradshaw

    Capitolo 1

    Il gatto sulla soglia

    I gatti come animali da compagnia sono oggi diffusi in tutto il mondo, ma come si siano trasformati da selvatici a domestici rimane un mistero. La maggior parte degli animali che ci circondano furono soggetti a domesticazione per ragioni prosaiche, assai pratiche. Bovini, pecore e capre forniscono carne, latte e pelli. I maiali servono per la carne; i polli danno carne e uova. I cani, il secondo animale preferito dell’uomo, non fanno solo compagnia, ma spesso lavorano: nella caccia, nella conduzione e nella guardiania del bestiame, nel traino di slitte, nella ricerca di persone, per nominare solo alcune delle loro attività. I gatti non fanno niente di così utile: anche la loro reputazione di sterminatori di roditori potrebbe essere un po’ esagerata, anche se, storicamente, questa era la loro funzione più ovvia riguardo agli insediamenti umani. Pertanto, diversamente da quanto sappiamo del cane, non abbiamo una risposta univoca su come il gatto si sia insinuato con tanta efficacia nella cultura umana. La nostra ricerca di spiegazioni deve risalire a circa 10.000 anni fa, quando il gatto si è probabilmente affacciato sulla nostra soglia di casa.

    Secondo la teoria convenzionalmente accettata sulla domesticazione del gatto, basata su reperti archeologici e storici, i gatti sarebbero vissuti nelle abitazioni umane in Egitto, circa 3500 anni fa. Questa teoria è stata di recente confutata da nuove prove che arrivano dalla biologia molecolare. L’analisi delle differenze tra il DNA dei gatti domestici e dei gatti selvatici attuali ha fissato le loro origini in un’epoca molto più antica, tra i 10.000 e i 15.000 anni fa (tra l’8000 e il 13.000 a.C.). Possiamo tranquillamente scartare la datazione più antica: un momento precedente ai 15.000 anni fa ha poco senso in termini di evoluzione della nostra specie, essendo improbabile che i cacciatori-raccoglitori dell’età della pietra avessero la necessità o le risorse per tenere dei gatti. La stima minima, 10.000 anni fa, ipotizza che i gatti domestici siano derivati da diversi progenitori selvatici, provenienti da diverse regioni del Medio Oriente. In altre parole, la domesticazione del gatto è avvenuta in vari luoghi molto distanti tra loro, forse contemporaneamente, oppure in un arco di tempo più lungo. Anche presumendo che i gatti abbiano iniziato a essere domesticati circa 8000 anni prima dell’era volgare, rimane un intervallo di 6500 anni prima della comparsa delle più antiche testimonianze storiche in Egitto. Finora, pochissimi scienziati, in qualunque campo, hanno studiato questa prima e lunghissima fase del rapporto tra umani e gatti.

    I reperti archeologici di questa fase, in quanto tali, non sono di molto aiuto. Denti e frammenti ossei di gatti risalenti a un periodo tra il 7000 e il 6000 a.C. sono stati rinvenuti nei pressi della città di Gerico, in Palestina, e in altre zone della Mezzaluna fertile, la culla della civiltà che si estendeva dall’Iraq attraverso Siria e Giordania fino alle sponde orientali del Mediterraneo e dell’Egitto. Tuttavia, tali frammenti sono non comuni; per di più, potrebbero essere appartenuti a gatti selvatici, magari uccisi per la pelliccia. Pitture rupestri e statuette di piccoli felini risalenti al millennio successivo, scoperte negli attuali territori di Israele e Giordania, potrebbero ragionevolmente rappresentare gatti domesticati; questi felini, però, non essendo raffigurati in ambienti domestici, potrebbero essere rappresentazioni di gatti selvatici o anche di grandi felini. Eppure, anche ammettendo che queste prove si riferiscano tutte ad antichi esemplari di gatti domestici, la loro stessa rarità attende ancora una spiegazione. Intorno all’8000 a.C., il rapporto tra umani e cane domestico era già arrivato al punto che i cani venivano normalmente seppelliti accanto ai loro padroni in diverse zone di Asia, Europa e Nordamerica, mentre le sepolture di gatti diventano comuni in Egitto solo intorno al 1000 a.C.¹. Se i gatti erano davvero già domesticati a quest’epoca, dovremmo avere prove più numerose e tangibili di questo rapporto di quante ne siano state scoperte.

    Gli indizi più precisi su come ebbe inizio la relazione tra uomo e gatto non provengono dalla Mezzaluna fertile, ma da Cipro. Cipro è tra le poche isole del Mediterraneo che non sono mai state unite alla terraferma, anche quando il livello del mare era minimo. Di conseguenza, la popolazione animale ha dovuto migrare qui a nuoto o volando, almeno fino a quando gli uomini non hanno cominciato a spostarsi su imbarcazioni primitive, circa 12.000 anni fa. A quell’epoca, nelle regioni del Mediterraneo orientale non c’erano animali domesticati, con la possibile eccezione dei primi cani, quindi gli animali che fecero la traversata con quei primi esploratori dovevano essere animali selvatici mansuefatti, oppure soggetti saliti a bordo per caso. Pertanto, se ancora non siamo in grado di dire se gli antichi resti di gatti trovati sulla terraferma siano di soggetti selvatici, mansuefatti o domesticati, i gatti che sono giunti a Cipro potevano solo esservi stati trasportati deliberatamente dagli umani, dato che possiamo senza dubbio escludere che vi siano arrivati a nuoto, essendo poco propensi ad avventurarsi per mare, proprio come i gatti moderni. Tutti i resti felini rinvenuti qui devono essere dunque di animali semidomesticati o forse tenuti in gabbia, o dei loro discendenti.

    I resti più antichi dei gatti rinvenuti a Cipro coincidono come datazione e si trovano nei primi insediamenti umani permanenti, risalenti al 7500 a.C., ed è molto probabile che fossero stati trasportati qui di proposito. I gatti sono troppo grandi e appariscenti per essere stati trasportati accidentalmente in mare aperto sui piccoli natanti dell’epoca: sappiamo molto poco delle imbarcazioni da mare del periodo, ma erano probabilmente troppo piccole per avere dei nascondigli per un gatto clandestino. Inoltre, per altri 3000 anni non abbiamo prove che vi fossero gatti che vivevano lontano dalle abitazioni umane a Cipro. Lo scenario più probabile, dunque, è che i primi abitanti di Cipro avessero portato con sé gatti selvatici catturati e mansuefatti già in terraferma. Non è plausibile che fossero stati i soli ad aver pensato di addomesticare soggetti selvatici, quindi è possibile che la cattura e la domesticazione di gatti selvatici fosse una pratica consolidata nelle regioni del Mediterraneo orientale. A conferma di ciò abbiamo prova dell’importazione in epoca preistorica di gatti domesticati anche in altre grandi isole del Mediterraneo, come Creta, la Sardegna e Maiorca.

    La ragione più probabile che condusse alla domesticazione di felini selvatici è altresì evidente nei primi insediamenti ciprioti. Sin dall’inizio, queste abitazioni, come le case coeve sulla terraferma, furono infestate dai topi. È probabile che questi topi indesiderati fossero stati trasportati per sbaglio, annidati nei sacchi di cibo o di cereali da seminare. Lo scenario più convincente è che non appena si scoprì l’infestazione di topi a Cipro, i coloni abbiano importato gatti mansuefatti o semidomesticati per tenerla sotto controllo. Questo potrebbe essere avvenuto a distanza di dieci o di cento anni dalla fondazione dei primi insediamenti: i reperti archeologici non sono in grado di stabilire queste piccole differenze. Se questo è corretto, allora la pratica della domesticazione dei felini selvatici per utilizzarli nel controllo dei topi era già consolidata sulla terraferma almeno 10.000 anni fa. Non si troveranno prove certe di questo, in quanto la presenza ubiquitaria di gatti selvatici rende impossibile stabilire se i resti felini, anche se rinvenuti all’interno di un insediamento umano, siano quelli di un animale selvatico forse ucciso nei pressi, o morto per cause naturali, oppure di un gatto vissuto accanto agli umani per tutta la sua vita.

    Quali che siano le origini esatte, la tradizione di addomesticare gatti selvatici perché acchiappino i topi è arrivata fino ai tempi moderni, come in alcune zone dell’Africa, dove i gatti domestici sono pochi e i felini selvatici abbondano. In navigazione sul Nilo Bianco, nel 1869, il botanico ed esploratore tedesco Georg Schweinfurth scoprì che le sue casse di campioni botanici venivano invase da roditori durante la notte. Così scriveva:

    Un animale molto comune, in queste zone, era il gatto selvatico delle steppe. I nativi non li allevano come animali domestici, ma li catturano individualmente da cuccioli, per poi introdurli senza alcuna difficoltà nelle loro capanne e villaggi, dove crescono per condurre la loro lotta istintiva contro i topi. Mi procurai diversi di questi gatti, i quali, dopo essere rimasti legati per diversi giorni, diventavano meno feroci e si adattavano alla vita al chiuso, tanto da adottare sotto molti aspetti le abitudini di un gatto comune. La notte li sistemavo accanto alle mie casse, che erano altrimenti in pericolo, e così potevo andare a riposare senza temere che fossero depredate dai topi.²

    Come Schweinfurth, quegli antichi pionieri che portarono i primi gatti selvatici a Cipro dovevano certamente aver scoperto che era necessario tenere gli animali legati. Se lasciati liberi, sarebbero senza dubbio scappati per fare scempio della fauna locale, che non aveva esperienza di predatori micidiali come i felini. Sicuramente questo fu ciò che accadde, alla fine. Diversi secoli dopo i primi insediamenti umani, gatti indistinguibili dai loro omologhi selvatici si diffusero in tutta Cipro e vi rimasero per diverse migliaia di anni³. Più probabilmente, solo i felini confinati nei depositi di cereali sarebbero rimasti per collaborare con i coloni nell’eliminazione dei topi; gli altri se ne sarebbero andati per cacciare la fauna locale. I discendenti di questi fuggiaschi forse venivano catturati e anche mangiati, dato che in diversi altri siti neolitici a Cipro sono state rinvenute ossa spezzate di gatti, oltre a quelle di altri predatori, come volpi e anche cani domestici.

    La pratica della domesticazione di gatti selvatici per il controllo degli animali nocivi fu probabilmente indotta dalla comparsa di un nuovo parassita negli antichi granai, il topo domestico (Mus musculus); in realtà, le storie di questi due animali sono strettamente connesse. Il topo domestico è una delle oltre trenta specie di topo diffuse nel mondo, ma è l’unica che si sia adattata a vivere accanto agli uomini per sfruttare le sue riserve di cibo.

    Il topo domestico, o topo comune, deriva da una specie selvatica originaria dell’India settentrionale, probabilmente apparsa almeno un milione di anni fa, sicuramente ben prima che comparissero i primi uomini. Di lì il topolino si espanse sia a oriente che a occidente, nutrendosi di cereali selvatici, fino a quando alcuni non raggiunsero la Mezzaluna fertile, dove finalmente s’imbatterono negli antichi depositi di cereali coltivati: denti di topo sono stati rinvenuti in Israele in mezzo a granaglie risalenti a 11.000 anni fa, mentre in Siria fu ritrovato un ciondolo di 9500 anni fa in pietra intagliata a forma di testa di topo. Così ebbe inizio una consociazione con il genere umano che continua tuttora. Gli umani non solo disponevano di derrate alimentari in abbondanza che i topi potevano sfruttare, ma anche di abitazioni calde e asciutte dove costruire nidi e trovare protezione dai predatori selvatici. I topi che si adattarono meglio a queste condizioni di vita prosperarono, gli altri morirono: attualmente il topo domestico di rado si riproduce con successo lontano dalle abitazioni, soprattutto dove ci sono concorrenti come i topi selvatici.

    Ma gli umani hanno anche fornito ai topi domestici il modo per colonizzare nuove aree. I topi originari della parte sudorientale della Mezzaluna fertile, gli attuali Siria e Iraq settentrionale, furono involontariamente trasportati, forse in mezzo alle granaglie oggetto di commercio tra le varie comunità, in tutto il Vicino Oriente, fino alla sponda orientale del Mediterraneo e quindi nelle isole vicine, come Cipro.

    La prima cultura a essere assillata dai topi domestici fu quella dei Natufiani, i quali, per estensione, sono il popolo che più probabilmente ha dato inizio al lungo viaggio che ha portato il gatto nelle nostre case. I Natufiani popolavano l’area oggi compresa tra Israele-Palestina, Giordania, Siria sudoccidentale e Libano meridionale, tra 11.000 e 8000 anni prima dell’era volgare. Considerati comunemente gli inventori dell’agricoltura, all’inizio erano cacciatori-raccoglitori come altri abitanti della regione; presto, tuttavia, iniziarono a specializzarsi nel raccogliere i cereali selvatici che crescevano abbondanti, dato che la regione era notevolmente più produttiva rispetto a oggi. Per fare ciò, i Natufiani inventarono la falce. Le lame di falce rinvenute negli insediamenti natufiani mostrano ancora la superficie lucida prodotta dall’uso sugli steli abrasivi dei cereali selvatici, progenitori di frumento, orzo e avena.

    I primi Natufiani vivevano in piccoli villaggi; le abitazioni erano in parte sottoterra, in parte sopra, con muri e pavimenti di pietra e tetto di ramaglie. Fino a 10.800 anni prima dell’era volgare era difficile che seminassero cereali deliberatamente, ma nei 1300 anni successivi un repentino cambiamento climatico, detto Dryas recente, comportò una significativa intensificazione nel disboscamento, nella semina e nella coltivazione. Con l’aumento del raccolto di cereali crebbe la necessità di conservare le derrate al meglio. I Natufiani e i loro successori usarono probabilmente pozzi di stoccaggio per i cereali costruiti in mattoni di fango, un po’ come versioni in miniatura delle loro abitazioni. Fu probabilmente questa invenzione a dare il via all’autodomesticazione del topo comune; le bestiole, spostandosi in questo ambiente ricco di cibo e nuovo, divennero così i primi mammiferi nocivi per l’uomo.

    I topolini delle case, aumentati di numero, attirarono sicuramente l’attenzione di predatori naturali, come volpi, sciacalli, uccelli da preda, i cani domestici dei Natufiani e, naturalmente, gatti selvatici. Questi avevano due vantaggi che li distinguevano da altri predatori di topi: erano agili e ben adattati alla caccia notturna, nella semioscurità, quando i topi entrano in attività. Tuttavia, se questi gatti selvatici fossero stati diffidenti dell’uomo così come lo sono i loro omologhi attuali, è difficile immaginare come abbiano potuto sfruttare questa nuova e abbondante fonte di cibo. È quasi sicuro, pertanto, che i gatti selvatici della regione abitata dai Natufiani fossero assai meno diffidenti di quanto lo siano oggi.

    Non vi sono prove che i Natufiani avessero deliberatamente domesticato il gatto. Come il topo prima di lui, il gatto arrivò semplicemente per sfruttare una nuova risorsa venutasi a creare ai primordi dell’agricoltura. Quando le tecniche agricole natufiane si fecero più complesse, con l’aumento dell’estensione degli appezzamenti coltivati e la domesticazione di animali come pecore e capre, e con il propagarsi dell’agricoltura ad altre regioni e culture, si moltiplicarono anche le opportunità a disposizione dei felini. Questi non assomigliavano ai gatti domestici che conosciamo oggi; i felini che sfruttavano queste concentrazioni di topi assomigliavano più probabilmente alle volpi di città attuali, che sono in grado di adattarsi a un ambiente urbano pur restando selvatiche. La domesticazione sarebbe avvenuta molto più avanti.

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    Gatto delle sabbie.


    EVOLUZIONE DEI GATTI

    Ogni membro della famiglia dei felini, dal nobile leone al minuscolo gatto dai piedi neri, deriva da un animale di medie dimensioni, simile a un gatto, Pseudaelurus, che abitava le steppe dell’Asia centrale circa undici milioni di anni fa. Pseudaelurus alla fine si estinse, ma non prima che i livelli del mare eccezionalmente bassi gli consentissero di migrare oltre l’attuale Mar Rosso sino in Africa, dove diede origine a diversi felidi di medie dimensioni, compresi gli attuali caracal e serval. Altri Pseudaelurus si spostarono a est, oltre lo stretto di Bering, allora terra emersa, per approdare in Nordamerica; da questo felide derivano la lince rossa, la lince e il puma. Circa due-cinque milioni di anni fa, successivamente alla formazione dell’istmo di Panama, i primi felidi passarono in Sudamerica; qui la loro evoluzione procedette in isolamento, formando diverse specie che si trovano solo qui, come l’ocelot e il gatto di Geoffroy. I grandi felini – leoni, tigri, giaguari e leopardi – si svilupparono in Asia per espandersi sia in Europa che in Nordamerica; la loro distribuzione attuale è solo un minuscolo residuo di quella che era milioni di anni fa, quando disponevano di un areale vastissimo. È interessante notare che i progenitori degli attuali gatti domestici sembra abbiano avuto origine in Nordamerica, circa otto milioni di anni fa, per poi migrare nuovamente in Asia circa due milioni di anni dopo. Attorno a cinque milioni di anni fa da questi gatti iniziarono a derivare le specie che conosciamo oggi, compresi il gatto selvatico, il gatto delle sabbie e il gatto della giungla; una discendenza asiatica separata, che comprende il gatto di Pallas, o manul, e il gatto viverrino, iniziò a prendere forma circa nello stesso periodo.


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    Migrazioni dei Felidae.

    Sappiamo davvero poco sui felini selvatici della Mezzaluna fertile e delle aree circostanti (vedi box p. 32, Evoluzione dei gatti). I reperti archeologici indicano che 10.000 anni fa nella regione vivevano diverse specie, tutte attirate nei villaggi dall’abbondanza di topi. Sappiamo che in seguito gli antichi Egizi addomesticarono gatti della giungla, Felis chaus, in gran numero; questi felini, però, sono ben più massicci dei gatti selvatici, dato che pesano tra i quattro e i nove chili, e sono abbastanza grandi da uccidere giovani gazzelle e chital, o cervi pomellati. Sebbene i roditori facciano normalmente parte della loro dieta, probabilmente erano troppo grossi e vistosi per avere accesso regolare ai granai. Oppure potevano avere un carattere non adatto a vivere accanto agli umani. Vi sono prove che gli Egizi cercarono di addomesticarli e di addestrarli a cacciare roditori, ma evidentemente senza successo duraturo.

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    Gatto della giungla.

    All’epoca vi erano anche i gatti delle sabbie, Felis margarita, animali dalle grandi orecchie, cacciatori notturni che si servono di un udito molto sviluppato. Inoltre sono relativamente poco timorosi dell’uomo, e quindi potrebbero essere stati buoni candidati per la mansuefazione e la domesticazione. Essi sono però fatti per vivere nel deserto – hanno i cuscinetti plantari ricoperti di fitta pelliccia per poter camminare sulla sabbia bollente – dunque difficilmente si sarebbero avvicinati ai depositi di granaglie: i Natufiani costruivano in genere i loro villaggi in aree boscose.

    La civiltà, espandendosi verso oriente in tutta l’Asia, venne a contatto con altre specie di felini. A Chanhudaro, centro costruito dalla civiltà Harappa nella valle dell’Indo, nell’attuale Pakistan, gli scavi archeologici hanno restituito un mattone di fango di 5000 anni fa con l’impronta di un gatto, a cui è sovrapposta quella di un cane. Probabilmente, mentre i mattoni appena fatti si asciugavano al sole, un felino li calpestò, inseguito da un cane. L’impronta è più grande di quella di un gatto domestico, le dita palmate e gli artigli non retrattili fanno pensare a un gatto pescatore, Felis viverrina, che attualmente vive nel bacino dell’Indo verso est, e a sud fino a Sumatra in Indonesia (ma non nella Mezzaluna fertile). Come implica il suo nome, il gatto pescatore è un ottimo nuotatore, specializzato nel catturare pesci e uccelli acquatici. Pur nutrendosi occasionalmente di piccoli roditori, è difficile pensare che sia passato a una dieta costituita quasi completamente da topi, dunque anche questo è un candidato improbabile per la domesticazione.

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    Manul.

    In luoghi ancora più lontani sappiamo di almeno altre due specie di gatto che uscirono dalle foreste per predare i topi che infestavano i depositi di cereali degli umani. In Asia centrale e nell’antica Cina, il gatto selvatico locale, il manul (o gatto di Pallas, dal nome del naturalista tedesco che lo classificò per primo) veniva occasionalmente mansuefatto per tenerlo come sterminatore di topi. Il manul è un gatto a pelo lungo, tanto che le orecchie sono quasi del tutto nascoste. Nell’America centrale precolombiana, nel frattempo, un felino dalla pelliccia simile a quella della lontra, lo yaguarondi, veniva anch’esso tenuto semimansuefatto per il controllo dei roditori. Nessuna di queste specie è mai stata del tutto domesticata, e nessuno di essi fa parte della genealogia del gatto domestico attuale.

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    Yaguarondi.

    Di tutte queste specie di felini selvatici, solo una fu domesticata con successo. Questo onore va a un gatto selvatico della penisola araba, Felis silvestris lybica⁵, come conferma il suo DNA. In passato, sia gli scienziati che gli allevatori di gatti hanno avanzato l’ipotesi che certe razze, all’interno della famiglia dei gatti domestici, siano ibridi con altre specie: per esempio, i piedi del gatto persiano, forniti di ciuffi di pelo tra le dita, sono in qualche modo simili a quello del gatto delle sabbie, e il suo mantello morbido e fine ricorda quello del manul. Invece, nel DNA di tutti i gatti domestici, che siano non di razza, Siamesi o Persiani non si trova traccia di queste altre specie, né in realtà di altre mescolanze. In qualche modo, solo il gatto selvatico del Vicino Oriente riuscì a infiltrarsi con successo nella società umana, sbaragliando tutti gli altri rivali, per espandersi finalmente in tutto il mondo. Sebbene non sia facile identificare le qualità che gli diedero questo vantaggio, probabilmente si presentarono in combinazione solo nei gatti selvatici del Medio Oriente.

    Il gatto selvatico Felis silvestris si trova attualmente in tutta Europa, in Africa e in Asia centrale, come pure in Asia occidentale, probabilmente il suo areale d’origine. Come molti predatori, come il lupo, oggi vive solo in aree isolate e generalmente remote, dove è in grado di evitare la persecuzione da parte dell’uomo. Ma non è sempre andata così: in certe zone, 5000 anni fa, i gatti selvatici erano considerati leccornie, tanto che nelle fosse dei rifiuti lasciati dagli abitanti preistorici in Germania e Svizzera sono state rinvenute numerose ossa di gatti selvatici⁶. All’epoca i felini dovevano essere numerosi; altrimenti, difficilmente si sarebbero fatti catturare in gran numero tutti insieme. Nel corso dei secoli divennero meno comuni, sfrattati dalle estensioni alberate che venivano tagliate per ricavare terreno coltivabile, e sospinti nel fitto dei boschi dallo sviluppo agrario e dalla perdita dell’habitat naturale. L’invenzione delle armi da fuoco portò alla caccia indiscriminata dei gatti selvatici, fino alla loro estinzione in diverse aree. Nel XIX secolo, in molti paesi d’Europa, compresa la Gran Bretagna, la Germania e la Svizzera⁷, furono classificati come animali nocivi, in quanto cacciatori di fauna selvatica e di bestiame. Solo di recente, grazie alla creazione di riserve e parchi, e al diffondersi di una diversa cultura sull’importanza del ruolo dei predatori nella stabilità degli ecosistemi, i felini selvatici stanno ritornando, per esempio, in Baviera, dove erano scomparsi da centinaia di anni.

    Attualmente il gatto selvatico è suddiviso in quattro sottospecie o razze. Queste sono il gatto selvatico europeo Felis silvestris silvestris, il gatto selvatico africano Felis silvestris lybica, il gatto selvatico sudafricano Felis silvestris cafra e il gatto selvatico asiatico Felis silvestris ornata⁸. L’aspetto di tutti questi gatti selvatici è alquanto simile, e tutti sono in grado di incrociarsi e generare ibridi i cui rispettivi habitat si sovrappongono. Una quinta possibile sottospecie è il rarissimo gatto di Biet, Felis bieti, che vive nei deserti della Cina e che, a quanto dimostra il suo DNA, deriva dai primi gatti selvatici, circa 250.000 anni fa. È possibile che questi felini siano in realtà una specie a sé, dato che non è nota l’esistenza di ibridi, ma poiché vivono in una regione molto ristretta e inaccessibile (parte della provincia cinese dello Sichuan) ciò può essere dovuto a una mancanza di opportunità più che a un’impossibilità fisica.

    I gatti selvatici delle varie parti del mondo presentano notevoli differenze nella facilità di addomesticamento. Questo, per di più, può avvenire solo con animali che sono già abbastanza confidenti da allevare la prole in prossimità di insediamenti umani. Questi piccoli, i più assuefatti alla vicinanza di persone e ambienti umani sono, abbastanza chiaramente, i più predisposti a rimanere nella stessa prossimità e a riprodursi; quelli più diffidenti molto probabilmente si rifugeranno nei boschi. Nel corso di più generazioni, questa ripetuta selezione naturale cambierà, anche spontaneamente, il patrimonio genetico di questi animali, che diventeranno così più adatti a vivere accanto agli uomini. È probabile, inoltre, che allo stesso tempo siano gli uomini a intensificare la selezione, offrendo cibo agli animali più docili e scacciando quelli che tendono a mordere e graffiare. Tale processo non può avere inizio se non vi è una preesistente base genetica per la docilità, che, nel caso dei felini selvatici, non è certo distribuita in modo uniforme. Attualmente in alcune regioni del mondo scarseggia la materia prima per la domesticazione, mentre in altre la situazione sembra più promettente.

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    Distribuzione storica delle sottospecie di gatto selvatico.

    Sappiamo, per esempio, che le quattro sottospecie di gatti selvatici presentano differenze nell’attitudine alla domesticazione. Il gatto selvatico europeo è più grande e massiccio di un tipico gatto domestico, e ha una caratteristica coda corta, dalla punta nera e arrotondata. A parte questo, da lontano può ricordare molto un soriano domestico: un’occhiata di sfuggita è tutto ciò che può sperare la maggior parte delle persone, essendo uno degli animali più schivi in assoluto. Questo è un atteggiamento genetico e non è dovuto a come viene allevato: i pochi che hanno tentato di far riprodurre dei gatti selvatici per ottenere una prole docile hanno ricavato scarsissimi risultati. Nel 1936 la fotografa di natura e fauna selvatica Frances Pitt scriveva:

    È stato da tempo stabilito che il gatto selvatico europeo non è addomesticabile. C’è stato un tempo in cui non lo credevo… Il mio ottimismo ricevette un duro colpo quando feci la conoscenza di Beelzebina, Principessa dei Demoni. Proveniva dalle Highlands scozzesi, ed era poco più che una gattina che sputava e graffiava con rancorosa ferocia. Dai suoi occhi verde pallido traspariva odio puro per gli esseri umani, e ogni tentativo di fare amicizia con lei fallì miseramente. Crescendo abbandonò molte delle sue paure ma, se da una parte diminuiva la timidezza, dall’altra aumentava il suo essere selvatica⁹.

    Frances Pitt volle insistere e si procurò un gattino maschio ancora più giovane, credendo che forse Beelzebina fosse già troppo grande quando era stata trovata e non potesse quindi essere socializzata. Il fatto che avesse chiamato questo nuovo gattino Satan la dice lunga su quanto dovesse essere stato difficile da gestire, sin dall’inizio. Crescendo, quando diventò più robusto e sicuro di sé, diventò impossibile toccarlo; prendeva il cibo dalla mano, ma sputando e ringhiando anche in quel momento, per indietreggiare subito. Non era tuttavia aggressivo in modo patologico; semplicemente, odiava le persone. Era ancora piccolo quando la Pitt gli presentò una gattina domestica, Beauty, nei confronti della quale era tutto gentilezza e devozione. Quando questa gattina fu fatta uscire dalla gabbia nella quale doveva stare rinchiuso lui, «la cosa lo fece soffrire enormemente. Le sue urla stridule laceravano l’aria, dato che la sua voce, sebbene parecchio alta, non era gradevole». Beauty e Satan ebbero numerose cucciolate e tutti i gattini presero il tipico aspetto del gatto selvatico. Alcuni, nonostante fossero stati abituati al contatto con l’uomo, si rivelarono diffidenti come il padre; altri erano un po’ più socievoli con Frances e con i suoi genitori, ma tutti restarono sempre molto guardinghi nei confronti degli sconosciuti. L’esperienza di Frances Pitt con i gatti selvatici scozzesi sembra essere tipica: anche Mike Tomkies, the Wilderness Man, non riuscì mai a socializzare due gattine selvatiche allevate a mano, Cleo e Patra, che teneva in un cottage isolato, sulle sponde di un loch scozzese¹⁰.

    Poco si sa del gatto selvatico asiatico, ma è notoriamente difficile da addomesticare. Questa sottospecie si trova nelle regioni meridionali e orientali del Mar Caspio, a sud, in tutto il Pakistan e negli stati nordoccidentali dell’India, il Gujarat, il Rajasthan e il Punjab, e verso est, dal Kazakistan alla Mongolia. Il suo mantello è generalmente più chiaro di quello degli altri gatti selvatici, e presenta più macchie che strisce. Come altri felini selvatici, può occasionalmente vivere nei pressi delle fattorie, attirato dalla forte presenza di roditori, ma non ha mai compiuto il passo successivo verso la domesticazione e l’accettazione degli umani. Negli scavi di Harappa sono state trovate tracce della domesticazione di caracal, un felino di taglia media e dalle zampe lunghe, con caratteristici ciuffi di pelo sulle orecchie, e di gatti della giungla, oltre al noto gatto viverrino, o pescatore, che qui lasciò la sua impronta; ma non abbiamo indicazioni di alcun gatto selvatico asiatico. Per molto tempo biologi e allevatori hanno ritenuto che i gatti Siamesi derivassero dall’unione di gatti domestici e gatti selvatici asiatici, e fossero dunque discendenti dell’inincrocio tra antichi gatti domestici e gatti selvatici locali avvenuto in una regione ignota della valle dell’Indo. Gli scienziati però non hanno riscontrato le caratteristiche del DNA del gatto selvatico asiatico in alcun esemplare di Siamese e delle razze correlate, che sarebbero pertanto discendenti dei gatti selvatici del Medio Oriente o dell’Egitto; non esistono gatti selvatici silvestris in Asia sudorientale, pertanto i primi gatti del Siam furono probabilmente importati da regioni più occidentali come animali già del tutto domestici.

    I gatti selvatici del Sudafrica e della Namibia (cafra) presentano a loro volta delle differenze dal punto di vista genetico. Essi migrarono a sud, staccandosi dalla popolazione originale nordafricana, circa 175.000 anni fa, più o meno nello stesso periodo in cui i progenitori del gatto selvatico asiatico migrarono verso oriente. Non è chiaro dove corra il confine tra gatti selvatici sudafricani e gatti selvatici asiatici, dato che in nessuna regione dell’Africa, tranne che in Namibia e nella Repubblica Sudafricana, è stato caratterizzato il DNA di gatti selvatici. I gatti selvatici della Nigeria sono diffidenti, aggressivi e difficilmente addomesticabili; in Uganda possono essere a volte più tolleranti verso le persone, ma spesso non hanno il tipico aspetto di gatti selvatici (i quali, nella regione, hanno caratteristiche orecchie dal dorso rossiccio) e sono probabilmente ibridi, hanno cioè un comportamento più docile a causa dei geni di gatti domesticati. Quasi tutti i gatti randagi, in questa zona, hanno tracce di gatti selvatici nel loro corredo genetico, tanto che la distinzione tra gatto selvatico, gatto randagio e gatto domestico di provenienza incerta si fa assai confusa, in diverse parti dell’Africa.

    I gatti selvatici dello Zimbabwe, probabilmente derivati dalla sottospecie sudafricana, sono un esempio emblematico. Negli anni Sessanta del secolo scorso, Reay Smithers, naturalista e direttore di museo, aveva in casa due femmine di gatto selvatico allevate a mano, Goro e Komani, in quella che allora si chiamava Rhodesia meridionale¹¹. Entrambe erano abbastanza domestiche da poter essere lasciate uscire dai loro recinti, anche se una per volta, dato che si azzuffavano non appena s’incontravano. Una volta Komani scomparve per quattro mesi, per riapparire, una sera, nel fascio di luce della torcia di Smithers:

    Chiamai mia moglie, alla quale era particolarmente attaccata, e ci sedemmo a terra, mentre lei la chiamava per nome, a voce bassa. Trascorse più o meno un quarto d’ora prima che Komani decidesse a un tratto di reagire e di avvicinarsi. Il loro incontro fu davvero commovente: Komani appariva felice, faceva le fusa e si sfregava contro le gambe di mia moglie.

    Si tratta di un comportamento identico a quello di un gatto di casa che ritrova il proprietario, e le somiglianze con i gatti domestici non finirono qui. Sia Goro che Komani non avevano alcun timore dei cani di Smithers, anzi si sfregavano contro le loro zampe e amavano acciambellarsi davanti al fuoco accanto a loro. E ogni giorno dimostravano il loro affetto nei confronti di Smithers con le tipiche manifestazioni di un gatto domestico.

    Questi felini non fanno mai le cose a metà; per esempio, rientrando a casa dopo una giornata trascorsa all’aperto, tendono a essere super affettuose. In questo caso, meglio sospendere qualsiasi cosa stiate facendo, perché cammineranno sul foglio su cui state scrivendo, sfregandosi contro il vostro viso e le mani; oppure, vi salteranno sulle spalle, insinuandosi tra la vostra guancia e il libro che stavate leggendo, rotolandosi sul dorso, facendo le fusa e stiracchiandosi tutte, a volte cadendo a terra per il troppo entusiasmo; ma, in generale, pretenderanno la vostra attenzione esclusiva.

    Quello descritto è il comportamento di un tipico gatto selvatico sudafricano allevato a mano, ma è più probabile che Goro e Komani, se indubbiamente erano selvatiche per l’aspetto e l’abilità nella caccia, avessero nel DNA qualcosa che derivava dall’inincrocio con gatti domestici, avvenuto in qualche passaggio della loro ascendenza. La portata dell’ibridazione tra gatti selvatici e domestici in Sudafrica e Namibia è stata rivelata di recente tramite sequenziamenti del DNA di ventiquattro gatti ritenuti selvatici, otto dei quali contenevano i segni rivelatori di una parziale discendenza da gatti domestici. In una ricerca condotta negli zoo negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e nella Repubblica Sudafricana, ho scoperto che su dodici gatti selvatici sudafricani, dieci mostravano un comportamento affettuoso nei confronti dei loro custodi e, di questi, due cercavano il contatto e leccavano loro le mani¹². Questo tipo di comportamento è fortemente indicativo che questi felini fossero ibridi, mentre quelli che non si lasciavano manipolare per niente erano probabilmente veri gatti selvatici. Gli otto esemplari che erano moderatamente affettuosi potevano essere entrambe le cose.

    L’ibridazione tra gatti selvatici e domestici non è limitata all’Africa. In uno studio su sette gatti selvatici catturati in Mongolia, cinque avevano tracce di DNA del gatto domestico; solo due erano gatti selvatici asiatici puri. Nella mia ricerca sugli esemplari degli zoo ho scoperto anche che su dodici gatti di questa sottospecie tenuti in cattività, solo tre si avvicinavano spontaneamente ai custodi e solo uno si era sfregato contro le gambe della persona che si occupava di lui. Dalle proporzioni riscontrate nei risultati del DNA sembra altamente probabile che tutti questi soggetti fossero ibridi, anche se all’aspetto erano tutti gatti selvatici asiatici. Nel medesimo studio sul DNA dei gatti selvatici, quasi un terzo di quelli che sembravano gatti selvatici analizzati in Francia aveva qualche antenato tra i gatti domestici¹³. Con l’avvento della tecnologia per lo studio del DNA, è semplice riscontrare l’ibridazione quando i soggetti selvatici locali sono geneticamente diversi dai gatti domestici, come avviene in Sudafrica, Asia centrale ed Europa occidentale. La definizione di cosa è selvatico e cosa è ibrido è molto più complessa là dove gatti domestici e selvatici sono pressoché identici, come nella Mezzaluna fertile, la regione d’origine del gatto selvatico lybica.

    Il gatto selvatico africano lybica non è solo il più simile al gatto domestico, ma è anche, probabilmente, l’esemplare vivente più prossimo al primo Felis silvestris, dato che le altre sottospecie si sono evolute centinaia di migliaia di anni fa, in seguito alla migrazione di piccoli gruppi di animali verso est, sud o ovest dalla regione di origine della specie, nel Medio Oriente. I gatti selvatici nell’Africa a nord del Sahara sono probabilmente lybica anch’essi, ma il loro DNA non è stato ancora testato per confermare questa ipotesi. Come tutti i gatti selvatici, la specie nordafricana/araba presenta un

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