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I dieci geni che hanno cambiato la fisica e il mondo intero
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I dieci geni che hanno cambiato la fisica e il mondo intero

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Da Galileo Galilei a Albert Einstein, da Isaac Newton a Marie Curie, la storia è stata scritta dai loro esperimenti

Ognuna di queste dieci figure ha dato un contributo enorme alla fisica. Alcuni sono nomi familiari, altri sono meno noti, ma attraverso le loro scoperte abbiamo potuto comprendere meglio il mondo e le sue regole.
Vite insolite e interessanti come quella di Marie Curie, dedicata interamente all’isolamento e alla concentrazione del radio e del polonio, o quelle di Bohr ed Einstein, impegnati in un dibattito intenso, soprattutto quando Einstein tentò di mettere in dubbio la teoria quantistica. Questo libro rende la scienza più accessibile, cercando di mettere in evidenza il legame tra la fisica e le domande più profonde che riguardano la nostra vita. L’ordine cronologico consente al lettore di seguire lo sviluppo delle conoscenze scientifiche nel corso di 400 anni, mostrando come questi grandi personaggi abbiano radicalmente modificato la comprensione dell’universo al quale apparteniamo.

La storia è stata scritta dai loro esperimenti
Ecco i dieci fisici che hanno cambiato il mondo:

• Galileo Galilei (1564-1642)
Il sistema eliocentrico
• Isaac Newton  (1642-1727)
La forza di gravità
• Michael Faraday (1791-1867)
La legge dell’induzione elettromagnetica
• James Clerk Maxwell (1831-1879)
Le equazioni di Maxwell
• Marie Curie (1867-1934)
La radioattività
• Ernest Rutherford (1871-1937)
La scoperta dei protoni
• Albert Einstein (1879-1955)
La teoria della relatività
• Niels Bohr (1885-1962)
La meccanica quantistica
• Paul Dirac (1902-1984)
La teoria quantistica dell’elettrone
• Richard Feynman (1918-1988)
Le nanotecnologie
LanguageItaliano
Release dateFeb 23, 2016
ISBN9788854191723
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    Book preview

    I dieci geni che hanno cambiato la fisica e il mondo intero - Brian Clegg

    389

    Copyright fotografie: p. 61, Newton’s Principia Mathematica: Science Museum/Science & Society Picture Library; p. 71, Michael Faraday: © National Portrait Gallery, London; p. 87 Faraday’s Disc: Library of Congress/Science Photo Library; p. 95, James Clerk Maxwell: Emilio Segre Visual Archives /American Institute of Physics/Science Photo Library; p. 155, Radium Institute, Paris: Universal Images Group/Getty images; p. 161, Ernest Rutherford: © Peter Lofts Photography/National Portrait Gallery, London; p. 173, Albert Einstein: Associated Press/Science & Society Picture Library; p. 199, Niels Bohr: Science Museum/Science & Society Picture Library; p. 223, Paul Dirac © Peter Lofts Photography/National Portrait Gallery, London; p. 231: positron: Carl Anderson/ Science Photo Library; p. 249, Richard Feynman: Science Museum/Science & Society Picture Library.

    Titolo originale: Ten Physicists Who Transformed Our Understanding of Reality

    © Rhodri Evans and Brian Clegg 2015

    First published in Great Britain in 2015 By Robinson,

    an imprint of Little, Brown Book Group

    All rights reserved

    Prima edizione ebook: febbraio 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9172-3

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Realizzazione: Sebastiano Barcaroli

    Foto: Elaborazione da © Everett Collection/Contrasto

    Rhodri Evans e Brian Clegg

    I dieci geni che hanno cambiato la fisica e il mondo intero

    Da Galileo Galilei ad Albert Einstein, da Isaac Newton a Marie Curie, la storia è stata scritta dai loro esperimenti

    Alle nostre rispettive famiglie

    Maggie, Meirin, Siân-Azilis e Esyllt

    Gillian, Chelsea e Rebecca

    Introduzione

    Niente ci piace di più di una lista. Giornali e canali

    TV

    la considerano un modo sicuro e a buon mercato di suscitare interesse; i media ci bombardano con i cento migliori brani di musica classica, i venti libri da leggere prima di morire o i dieci ristoranti più consigliati. Lettori e spettatori adorano le liste: l’attrazione di un mix inebriante di raccomandazioni e il potenziale per una discussione è troppo allettante per poter resistere. Tutti noi abbiamo pensato almeno una volta: Perché ha scelto proprio quello?, Come hanno fatto a non includere quell’altro!.

    Con le liste sui beni materiali è abbastanza facile tentare varie opzioni e vedere chi è d’accordo, ma quando si tratta di persone la faccenda si fa più delicata. Non vi è alcun problema nello stilare una lista nutrita, ma è ben diverso quando si tratta di valutare le conquiste intellettuali. Come si possono scegliere i dieci fisici di maggior valore della storia, come ha fatto l’«Observer» nel 2013? Alcune figure sono difficili da ignorare – Newton e Einstein vengono subito in mente – ma ve ne sono moltissime altre meno celebri che competono per i posti rimanenti.

    A complicare ulteriormente le cose, i fisici più capaci non sono sempre i più famosi. Alcuni potrebbero sorprendersi, per esempio, nel non trovare il nome di Stephen Hawking, che è senza alcun dubbio il fisico vivente più noto al mondo. Sarebbe facile immaginare che una votazione popolare lo collocherebbe ai primi posti della top ten, eppure nella nostra lista non compare. Non perché il suo lavoro non sia stato ritenuto importante, quanto piuttosto perché vi è una vera e propria armata di altri fisici che non hanno raggiunto la popolarità, ma che verrebbero posizionati più in alto di Hawking da chiunque conosca bene la materia.

    Un utile esempio della tensione che comporta il dover stilare una lista del genere è fornito dalla seguente domanda, che ci è stata rivolta mentre lavoravamo a questo libro: «Includerete Tesla?». La risposta è stata semplice: no. Nikola Tesla non era nella lista originale e sarebbe stato difficile che lo fosse, dal momento che non era un fisico. Tesla iniziò come talentuoso ingegnere elettronico e fece incredibili passi avanti nello sviluppo della corrente alternata, inventando motori eccellenti, generatori ad alto voltaggio, dispositivi radiocomandati e molto altro ancora. Ma aveva una scarsa conoscenza della fisica del

    XX

    secolo. Il punto è che anche se alcuni personaggi hanno un posto speciale nell’immaginario comune, non significa che siano degni di entrare in una lista così prestigiosa.

    Ma allora chi è in grado di qualificarsi? Diamo un’altra occhiata alla lista completa pubblicata dall’«Observer» il 12 maggio 2013, in un articolo scritto da Robin McKie, responsabile della sezione di Scienza e tecnologia del periodico:

    1. Isaac Newton (1643-1727)

    2. Niels Bohr (1885-1962)

    3. Galileo Galilei (1564-1642)

    4. Albert Einstein (1879-1955)

    5. James Clerk Maxwell (1831-1879)

    6. Michael Faraday (1791-1867)

    7. Marie Curie (1867-1934)

    8. Richard Feynman (1918-1988)

    9. Ernest Rutherford (1871-1937)

    10. Paul Dirac (1902-1984)

    Per comprendere meglio perché siano stati scelti loro, è prima necessario interiorizzare il concetto di fisica e della sua posizione all’interno del vasto mondo delle scienze. Si può pensare alla scienza come a una piramide: la fisica (insieme alla matematica) ne forma la base – i fondamentali, i mattoni costitutivi su cui si fonda tutto il resto della costruzione; la chimica si concentra sulla fisica degli atomi e delle molecole e ne studia il comportamento su una scala più ampia e la biologia combina il lavoro di fisica e chimica e si interessa di quel fenomeno squisitamente complesso che è la vita.

    Gli uomini e le donne di questa lista hanno contribuito a farci fare veri passi da gigante nella comprensione di queste discipline. Senza la fisica, senza il lavoro di questi scienziati e di molti altri, la scienza così come la conosciamo non potrebbe esistere. Così come non esisterebbe la tecnologia, essenziale per il mondo moderno. Fino al

    XIX

    secolo, la scienza ha giocato solo un ruolo marginale nell’industria, ma con l’introduzione della meccanizzazione si è imposta all’attenzione – e si trova ancora oggi alla radice di ogni cosa: dalle sofisticate componenti elettroniche di uno smartphone al semplice funzionamento di un frigorifero.

    Come Steven Weinberg ha chiarito nella sua introduzione, questa lista non è l’unica soluzione possibile. McKie ha fatto delle scelte interessanti; l’aspetto più controverso è stato mettere Niels Bohr al secondo posto. In pochi metterebbero in dubbio i vasti contributi di Galileo, Newton e Einstein, ma il lavoro di Bohr è stato più sottile: ci ha fornito il primo modello valido di atomo ed è stato una delle figure chiave (se non la più influente) nello sviluppo della teoria dei quanti. Ma, al secondo posto di tutta la storia? Davvero?

    È interessante osservare i commenti che accompagnano l’articolo originale. Lasciando da parte le reazioni sorprese per l’omissione di Tesla, in molti hanno evidenziato la mancanza di altri nomi importanti del

    XX

    secolo, soprattutto i fondatori della fisica quantistica. E qualcuno ha perorato con passione – e a ragione – l’inserimento di Archimede. Ci occuperemo dell’ordine della lista e di chi dovrebbe essere incluso o escluso nel capitolo conclusivo di questo volume.

    Una guida nella scelta dei potenziali candidati dall’inizio del

    XX

    secolo a oggi tende a essere il premio Nobel. Quando l’inventore e magnate degli esplosivi di origini svedesi Alfred Nobel destinò la maggior parte del suo patrimonio a finanziare coloro che «durante l’anno precedente più abbiano contribuito al benessere dell’umanità», non solo ferì e scioccò la propria famiglia, ma diede origine a un nuovo meccanismo per dare risalto a importanti sviluppi in numerosi campi, tra cui – rilevante per noi – la fisica.

    Per i primi posti della nostra lista non abbiamo potuto prendere in considerazione il Nobel, ma il premio per la fisica fu assegnato per la prima volta nel 1901 (a Wilhelm Röntgen, che scoprì i raggi

    X

    ) e da allora è stato un indicatore di eccellenza. Come è naturale, però, vi sono dei problemi: il premio è limitato a un massimo di tre persone, che devono essere in vita al momento del conferimento. Questo può causare degli inconvenienti, considerato il numero crescente di grossi team coinvolti nella ricerca scientifica, e spesso il significativo intervallo di tempo che intercorre tra la scoperta e il conferimento del premio può comportare che potenziali vincitori non siano più in vita al momento della cerimonia.

    Per di più, anche se tra i premi Nobel della fisica sono presenti molte figure famose, basta dare un’occhiata alla lista dei vincitori per trovarvi dei nomi che solo pochi sono in grado di riconoscere. Chiedete a chiunque, fisici compresi, dell’importanza del lavoro di Nils Gustaf Dalén e ne riceverete in cambio uno sguardo assente. Non è così strano, considerato che vinse il premio nel 1912 per aver inventato «regolatori automatici da utilizzare in combinazione con accumulatori di gas per l’illuminazione di fari e boe». Non vi sono dubbi che Tesla meritasse il Nobel più di Dalén, ma le incursioni dei comitati di fisici nel regno della tecnologia sono sempre elementi di tensione. (Nel caso dei laser, per esempio, i tre vincitori non comprendevano il detentore del brevetto o l’uomo che fabbricò il primo laser funzionante). Persino nella fisica teorica possono sorgere delle controversie, come quando la scopritrice delle pulsar, Jocelyn Bell, passò in secondo piano e vide assegnare il premio al suo capo. Ma in molti concorderanno che i premi Nobel costituiscono un valido punto di partenza nella ricerca dei candidati moderni per una top ten.

    La nostra idea iniziale era di esplorare la lista dell’«Observer» al contrario, partendo dal basso per arrivare ad assegnare la medaglia d’oro a Isaac Newton, ma è sorto un problema: avrebbe significato dover iniziare da Paul Dirac, nonostante il suo lavoro si fondasse su quello di chi l’aveva preceduto. Perciò, se vogliamo veramente capire perché questi individui abbiano vinto il premio, ha molto più senso analizzare i dieci fisici in ordine cronologico.

    Questo vuol dire che inizieremo la nostra esplorazione con un nome che ci è familiare quanto quello di Newton, un nome che ha una forte presa sulla nostra immaginazione, sia per l’aver fatto cadere delle sfere dalla torre di Pisa sia per essersi ribellato alla Chiesa, quando proclamava che la Terra è il centro dell’universo. Questo nome, ovviamente, è Galileo Galilei.

    1

    Galileo Galilei

    Non è un’esagerazione definire Galileo il fondatore della fisica moderna, o persino della scienza moderna. Quando nacque, era d’uso che i filosofi naturalisti (come venivano chiamati allora gli scienziati) seguissero gli insegnamenti dell’antico filosofo greco Aristotele. Il poeta Dante Alighieri si riferì ad Aristotele come al «maestro di color che sanno»; era rispettato al punto che quasi nessuno osava mettere in dubbio le sue idee. Almeno finché non arrivò Galileo.

    Al centro della dottrina aristotelica vi era il desiderio di comprendere perché le cose sono così come ci appaiono. Aristotele sosteneva che fosse necessario svelare lo scopo definitivo dietro gli eventi naturali. Seguendo l’esempio del suo predecessore Empedocle, credeva che il mondo fosse composto di quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. Oltre il nostro mondo si estendeva la sfera celeste, che comprendeva la Luna, il Sole, i pianeti e le stelle. Quello era il regno del quinto elemento, la «quintessenza», e Aristotele insegnava che i cieli erano perfetti e immutabili.

    In associazione con gli elementi terrestri vi erano quattro «qualità», in coppia con il proprio contrario: caldo-freddo e umido-secco. I quattro elementi appartenevano a luoghi naturali e, attraverso la gravità o la levità (che si presupponeva fosse l’opposto naturale della gravità, cioè la tendenza a fluttuare verso l’alto), tendevano a ritornare al loro luogo naturale. Aristotele stilò delle regole logiche attraverso le quali era possibile risalire alle cause degli eventi naturali, cause che erano desunte con la ragione più che con la sperimentazione. Gli esperimenti erano accantonati perché si basavano sui sensi, che erano fallibili; invece, le leggi che governavano la natura erano deducibili solo con il pensiero. Galileo avrebbe sfidato l’ordine del mondo accettato sino ad allora attraverso prove concrete che ribaltarono le concezioni diffuse.

    Galileo Galilei nacque a Pisa il 15 febbraio 1564. Suo padre Vincenzo era un virtuoso di liuto e teorico musicale e sposò la madre di Galileo, Giulia Ammannati, nel 1562. Galileo, chiamato così in onore di un parente lontano, il dottor Galileo Bonaiuti, era il maggiore di sette (o forse otto) figli e, com’era consuetudine nella classe media, ricevette un’educazione privata. Intorno ai dieci anni si trasferì con la famiglia da Pisa a Firenze, dove proseguì gli studi prima di essere mandato al monastero camaldolese a Villombrosa. Galileo comunicò alla famiglia di volersi fare prete, ma il padre desiderava che seguisse l’esempio del suo omonimo e diventasse medico. Vincenzo lo rimandò così a Firenze, dove il ragazzo proseguì gli studi religiosi per corrispondenza.

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    Galileo Galilei.

    Nel 1581, a diciassette anni, entrò all’università di Pisa. Si trattava di un’età relativamente avanzata – in genere gli studenti iniziavano a tredici o quattordici anni. Non gli ci volle molto per rendersi conto che lo interessavano di più le scienze del sacerdozio, in parte grazie all’insegnamento di uno dei filosofi naturalisti più rinomati d’Italia: Andrea Cesalpino. Ascoltare le sue lezioni potrebbe essere stato fondamentale per il passaggio di Galileo dalla medicina alla matematica.

    Galileo era piuttosto acuto e provava una curiosità naturale riguardo ai fenomeni cui assisteva. Circolano molte storie sulla sua vita e sulle sue opere ed è difficile distinguere con esattezza le vere da quelle che veritiere non sono; verso la fine della sua vita era diventato una figura talmente importante che si inventavano aneddoti per perpetuarne e accrescerne la leggenda. Per esempio, il racconto di quando fece precipitare delle sfere di peso diverso dalla torre pendente di Pisa per verificare se sarebbero cadute alla stessa velocità è, con ogni probabilità, inattendibile. Un’altra storia dalle origini incerte concerne le sue osservazioni della lampada del Duomo di Pisa. Si racconta che Galileo stesse assistendo a un sermone particolarmente noioso, quando si accorse che il tempo impiegato dalle lampade per oscillare avanti e indietro pareva dipendere dalla lunghezza delle catene cui erano appese: quelle appese a catene più lunghe impiegavano più tempo delle altre appese a catene più corte.

    Ma su una cosa non vi sono dubbi: durante l’estate del suo primo anno all’università, Galileo si immerse negli esperimenti per indagare sulle proprietà del pendolo. Aveva visto come il padre conduceva i suoi esperimenti con gli strumenti musicali, prendendo appunti e alterando un solo aspetto alla volta; costruì dei pendoli con masse di pesi diversi e fili di lunghezze variabili e li mise in moto con oscillazioni differenti, che misurò poi contando i propri battiti cardiaci. Concluse che il periodo del pendolo dipende solo dalla lunghezza del filo e non dal peso della massa o dall’ampiezza dell’oscillazione. (In realtà, Galileo si sbagliava su quest’ultimo punto, ma le sue osservazioni sono valide nel caso di piccoli spostamenti).

    Galileo non fece mai un uso diretto di questa scoperta, anche se si servì delle sue osservazioni per dimostrare che Aristotele si sbagliava quando sosteneva che pesi di dimensioni diverse cadessero a diverse velocità. Comunque, il suo lavoro con il pendolo pose le basi per lo sviluppo, nel

    XVII

    secolo, dell’orologio a pendolo da parte dello scienziato olandese Christiaan Huygens.

    Galileo era con ogni evidenza uno studente brillante, ma anche piuttosto polemico e con problemi nelle altre materie, fatta eccezione per la matematica. Ciò nonostante, proseguì gli studi medici finché i suoi professori a Pisa non gli consigliarono di dedicarsi completamente alla matematica, e suo padre acconsentì a malincuore. Sapeva che i matematici non erano pagati meglio dei liutisti, ma si era anche reso conto che con la medicina suo figlio non avrebbe potuto liberare del tutto il proprio talento.

    Galileo rimase a Pisa ancora un po’, ma se ne andò nel 1585 senza terminare gli studi, per lo più perché Vincenzo subì delle perdite finanziarie ed ebbe bisogno del supporto del figlio. Non avere un titolo di studio non era così insolito per un gentiluomo dell’ambiente di Galileo: l’università era una specie di scuola d’élite per gli uomini della classe media e la laurea non era ritenuta particolarmente importante. Ciò che contava veramente era frequentare i corsi e allacciare relazioni.

    Galileo si preparò a insegnare Matematica. Accettò di dare ripetizioni a Firenze e a Siena e verso la fine del 1587 scoprì un modo ingegnoso per determinare il centro di gravità di alcuni solidi. Questo gli valse il primo riconoscimento fuori dai confini italiani e, forte di questo risultato, nel 1588 Galileo si candidò, senza successo, a un posto di professore presso la prestigiosa università di Bologna.

    Non aveva ottenuto l’incarico, ma il suo lavoro attirò l’interesse del marchese Guidobaldo del Monte, un uomo potente, che rimase uno dei suoi principali mecenati fino alla morte, avvenuta nel 1607. La scoperta inoltre fece sì che si interessasse di lui Cristoforo Clavio, matematico e astronomo presso il collegio dei gesuiti di Roma. Con l’aiuto di Clavio e Del Monte, Galileo ottenne una cattedra all’università di Pisa nel 1589, quattro anni dopo aver abbandonato gli studi. La paga era misera, ma la posizione accademica permise ai suoi mecenati di procurargli una condizione più vantaggiosa a Padova, dove la matematica era tenuta in grande considerazione.

    Nel 1590 Galileo scrisse il trattato De Motu (Sul moto), in cui discuteva le intuizioni aristoteliche sul movimento dei corpi, unendo la filosofia alle idee matematiche di Archimede, uno dei suoi eroi. Il De Motu non contiene molto materiale originale ed è chiaro dalla sua analisi del Mathematikè sýntaxis (Trattato matematico, meglio noto con il nome di origine araba di Almagesto) dell’astronomo greco-egizio Claudio Tolomeo, che all’epoca Galileo accettava l’idea che la Terra era al centro dell’universo.

    È nel De Motu che Galileo delinea per la prima volta la teoria che oggetti con peso differente cadono alla stessa velocità. Secondo la filosofia aristotelica, gli oggetti precipitano se hanno una preponderanza degli elementi acqua e terra, che vogliono raggiungere la loro sede naturale al centro dell’universo. Oggetti pesanti contengono una maggiore quantità di questi elementi, perciò cadono più in fretta di oggetti più leggeri. È incredibile che quell’idea non era mai stata sottoposta a verifica, ma semplicemente accettata per vera e tramandata come tale. Nonostante il De Motu fosse molto più completo di tanti altri studi dell’epoca sul movimento, Galileo non lo pubblicò mai, probabilmente perché non era soddisfatto delle proprie elaborazioni sul moto in un piano inclinato, che doveva ancora verificare sperimentalmente.

    Intanto i tre anni di insegnamento a Pisa si avvicinavano a una conclusione e, anche se aveva stretto amicizia con alcuni colleghi, Galileo era riuscito a inimicarsi molti degli altri professori, perciò aveva ogni ragione di ritenere che il suo impiego non sarebbe stato riconfermato. A peggiorare la situazione, Vincenzo morì nel 1591 e Galileo, il figlio maggiore, divenne responsabile della dote di sua sorella Virginia. Per fortuna, a Padova si rese disponibile un posizione più remunerativa, che Galileo si conquistò con l’aiuto di Del Monte e di Clavio. Occupò la cattedra nel 1592, al triplo della paga precedente.

    Oltre alla vita accademica dell’università, a Padova c’era una fiorente comunità intellettuale, che confluiva per lo più nella casa di Giovanni Vincenzo Pinelli, che invitava con regolarità ospiti con cui discutere. Quando Galileo giunse a Padova, si fermò un po’ da Pinelli e fu con ogni probabilità lì che conobbe fra’ Paolo Sarpi e il cardinale Roberto Bellarmino, che avrebbero giocato un ruolo importante nella sua vita.

    Non vi sono prove che Galileo avesse dimostrato alcun interesse per l’astronomia fino al 1595, anno in cui iniziò a cercare una spiegazione per le maree terrestri. Per molti secoli, gli scienziati avevano faticato a giustificare le due alte maree e le due basse maree giornaliere e le tempistiche del loro variare. La spiegazione (scorretta) che escogitò Galileo richiedeva che la Terra ruotasse sul proprio asse e che orbitasse intorno al Sole. Fu la prima indicazione che Galileo accarezzava l’idea del modello eliocentrico proposto da Copernico nel 1543. Tale concezione dell’universo andava contro sia agli insegnamenti della Chiesa sia a quelli dei filosofi naturalisti, il cui dogma aristotelico prevedeva che la Terra fosse al centro di ogni cosa e che per questo i gravi ne fossero attratti. Inoltre, l’idea che la Terra si muovesse in fretta sembrava un’assurdità. Come potevamo non percepirne il movimento? Per come stavano le cose alla fine del

    XVI

    secolo, erano in pochi ad accettare il modello copernicano. I dati migliori a disposizione verso la fine del 1500 provenivano dall’astronomo danese Tycho Brahe, ma il suo lavoro concordava meglio con il modello geocentrico che con quello eliocentrico. Brahe aveva proposto un modello ibrido, con Sole e Luna orbitanti intorno alla Terra, immobile, mentre i restanti pianeti ruotavano intorno al Sole.

    Nel 1597 un ospite diede a Galileo una copia del trattato di Keplero dal titolo Mysterium Cosmographicum (Mistero cosmografico), pubblicato nel 1596. L’opera era di forte stampo copernicano e probabilmente influenzò il suo pensiero. Galileo scrisse a Keplero sostenendo di essere stato da tempo un sostenitore della nuova astronomia e che attraverso di essa era in grado di spiegare fenomeni che altrimenti risultavano incomprensibili (senza specificare a cosa si riferisse). Galileo raccontò, inoltre, di non insegnare la nuova astronomia in pubblico per paura della reazione dei suoi numerosi oppositori.

    Fu l’inizio di una lunga corrispondenza tra Galileo e Keplero. Quest’ultimo intuì a ragion veduta che una delle cose che Galileo avrebbe potuto spiegare sarebbero state le maree, e gli chiese di effettuare alcune osservazioni astronomiche per suo conto, ritenendolo in possesso di una strumentazione più accurata. Keplero gli domandò anche di osservare la parallasse stellare, un fenomeno spesso presentato a sostegno della vecchia astronomia. Il ragionamento era piuttosto semplice: se la Terra fosse stata in orbita intorno al Sole, la nostra posizione nello spazio avrebbe dovuto cambiare e questo cambiamento avrebbe portato le stelle più vicine a spostarsi rispetto a quelle più lontane. Quest’apparente cambiamento di posizione di un oggetto vicino contro uno sfondo lontano è familiare a chiunque abbia guardato fuori dal finestrino di un’auto o di un treno in movimento nella campagna: gli alberi più vicini sembrano muoversi all’indietro rispetto a quelli più lontani. Si tratta della parallasse. Allo stesso modo, se si tende il braccio e si solleva un dito, chiudendo prima un occhio e poi l’altro, il dito sembrerà muoversi sullo sfondo.

    Nessuno aveva mai assistito allo spostamento delle stelle vicine contro quelle più lontane durante il corso dell’anno, perciò l’assenza di parallasse stellare sembrava implicare che la Terra fosse immobile. Galileo non effettuò l’osservazione personalmente, convinto che non avrebbe potuto trovare qualcosa che era sfuggito persino al migliore scienziato nel campo, e il fenomeno fu osservato solo nel 1838 dal matematico e astronomo tedesco Friedrich Bessel, che misurò la parallasse della stella 61 Cygni in 0,314 secondi d’arco. (Era un angolo davvero piccolo, considerato che vi sono 3600 secondi d’arco in un grado e 360 gradi in un cerchio completo. 0,31 secondi d’arco è l’angolo che farebbe una moneta da dieci centesimi di dollaro a una distanza di trentatré chilometri!).

    Mentre intratteneva questa corrispondenza con Keplero, Galileo allacciò una relazione con una donna veneziana di nome Marina Gamba; non convogliarono mai a nozze, ma nel 1600 nacque la loro primogenita Virginia – chiamata così in onore della sorella maggiore di Galileo. Nel 1602 nacque la secondogenita, Livia (come la sorella minore di Galileo), e nel 1606 il primo maschio, cui fu messo il nome di Vincenzo in ricordo del padre. Galileo guadagnava bene per essere un matematico

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