Keep calm e difenditi dagli stronzi
By Fabio Farini
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About this ebook
Se ne trovano ovunque e non solo ai giardinetti. Alla riunione di condominio, al lavoro, sulla metro o nel bel mezzo del traffico metropolitano. Quelli più scaltri hanno imparato anche a celarsi dietro le sembianze del partner, della suocera, del gatto o del forno a microonde. Sono gli stronzi, sono malintenzionati e vogliono conquistare il nostro pianeta. Che lo siano per insicurezza, paranoia, narcisismo, o non risolti traumi provenienti da un’altra galassia, per noi non fa differenza. Ci manterremo calmi e quieti e useremo questo libro a mo’ di crocifisso e aglio contro i vampiri che vogliono succhiarci tempo, energie e spazio. Affinché possano tornare da dove sono venuti e sciogliersi come liquame al sole. Difendiamoci dagli stronzi e rimandiamoli al paese loro.
Lo stronzo paranoide • Lo stronzo narcisista • Lo stronzo isterico • Lo stronzo borderline • Lo stronzo antisociale
...e tanti altri stronzi in omaggio!
Fabio Farini
nato a Firenze nel 1975, è laureato in Psicologia. Lavora presso il tribunale come esperto in Fotografia Forense. È al suo quarto libro, ma Keep calm e difenditi dagli stronzi è il primo che firma con il suo vero nome.
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Keep calm e difenditi dagli stronzi - Fabio Farini
Prolegomeni
a ogni futura
metafisica
dello stronzo
Premessa
Lo stronzo nella letteratura contemporanea
Un autore meno celebrato e osannato di me potrebbe avere qualche problema a scrivere un libro dal titolo poco aulico di Keep calm e difenditi dagli stronzi. La verità, tuttavia, è che sono in ottima ed erudita compagnia.
Prendiamo ad esempio l’argomento del cretino
, che sembrerebbe a prima vista poco adeguato a una trattazione dotta e illuminata, e questo nonostante le migliori penne di ogni epoca e latitudine vi si siano da sempre cimentate intingendo con voluttà il pennino nel calamaio.
Si veda, per cominciare, Il cretino. Rispettabile se non esauriente trilogia sull’argomento di Carlo Fruttero e Franco Lucentini, che trova il suo degno contrappunto ne l’Elogio dell’imbecille di Pino Aprile.
Se qualcuno avesse dubbi sul fatto che il topic non è esattamente alla portata di chiunque ci permettiamo di consigliargli Come sono diventato stupido di Martin Page, che non dovrebbe scontentare nemmeno i fan più sfegatati de Il fascino del coglione di Franz Iacono.
Senza stare a scomodare L’idiota di Fëdor Dostoevskij, il lettore più smaliziato potrebbe consultare anche il più prosaico Paolo Villaggio, autore della biografia autocelebrativa Vita morte e miracoli di un pezzo di merda.
Se il coglione appare in questo campione poco rappresentato, pur contando perle indimenticabili quali Come fare di tuo figlio un coglione, sullo scemo di turno la biografia può dirsi certamente ampia ed esaustiva, spaziando dal perentorio Stupidità di Gianfranco Marrone al giusnaturalistico Le leggi fondamentali della stupidità umana di Carlo Cipolla.
Il tema delle infinite sfumature della dabbenaggine ha conosciuto anche trattazioni molto specifiche. Se Nicholas Carr, da una parte, si chiede retoricamente Internet ci rende stupidi?, Reinghold Howard non ha problemi a spiegarci Perché la rete ci rende intelligenti. A entrambi risponde Manfred Spitzer, che mette da parte ogni dubbio residuo: Demenza digitale, il suo ultimo titolo, non sembra ammettere ulteriori digressioni.
A questo punto, per corroborare ulteriormente la mia tesi, secondo la quale ingiuria e diffamazione sono un argomento del tutto consono a una dotta dissertazione, potrei citare quel mestiere nobile e antico che per il dizionario conta più sinonimi che contrari, tra cui donnaccia, falena, mondana e baiadera. È bene notare, tuttavia, che dal punto di vista semantico il termine copre un ambito di variabilità assai ampio, che spazia dal perentorio Io puttana di Isabel Pisano all’ermetico Troppe puttane! Troppo canottaggio! di Filippo D’Angelo.
L’ambito malafemmina è, tuttavia, virtualmente sconfinato, e non riconosce gli angusti confini della letteratura di settore. Si va da un inconfutabile Le zanzare sono tutte puttane di Beppe Tosco, al self-help per la donna che vuole farsi da sé quale Porcaputtana. Manuale dell’allegra battona.
Se poi da ultimo analizziamo i competitor della nostra specifica fetta di mercato, che copre ingiurie, oltraggi, affronti e contumelie, troviamo il settore eccezionalmente agguerrito con un’equa divisione tra i due generi.
Il settore stronzi
, da par suo, conta molte amare autodenunce quali Diario di uno stronzo di Fabio Giacomello o Memorie di un povero stronzo di Domenico D’Agostino, che se non altro si caratterizzano per una spiccata lucidità d’analisi.
Il settore stronze
, d’altro canto, è rappresentato da una fiorente manualistica che promette alle lettrici di realizzare le proprie potenzialità più recondite. Si parte dal classico Come diventare belle, ricche e stronze, del seminale Giulio Cesare Giacobbo, fino ad arrivare a una sequela pressoché infinita di consigli per giovani e aspiranti donne malestrue. Se per Sherry Argov, autrice di Falli soffrire, è quasi banale che Gli uomini preferiscono le stronze, per Anne-Sophie e Marie-Aldine Girard è un dato di fatto e di diritto che La donna perfetta è una stronza. Neanche Elisabeth Hilts sembra dubitarne allorché non solo titola Fai uscire la stronza che c’è in te, ma per le più dure d’orecchi aggiunge: …e non far finta di non sapere di cosa sto parlando.
Accantonata la questione dell’indubbia levatura dell’opera che ci accingiamo a compiere, passiamo al tema della presente trattazione, partendo, analiticamente, da una definizione: di cosa parliamo quando parliamo di stronzi.
Introduzione
Di cosa parliamo quando parliamo di stronzi
Tutti sappiamo cosa vuol dire difendersi ma siamo davvero sicuri di sapere cosa sia uno stronzo?
La prestigiosa enciclopedia Treccani ci informa che il termine viene dal longobardo strunz e ha come sinonimo volgare, e non comune, stronzolo
. Nella sua accezione letterale indica, come noto, «una massa fecale solida di forma cilindrica», ma è il significato figurato quello che qui ci sta a cuore: «persona malfida e sleale», come ad esempio nell’espressione «sei proprio uno stronzo!». Ma anche «canaglia, carogna e infame», o per andare sul pesante «merda (pezzo di)» o (volgare) «testa di cazzo».
Il sostantivo si può anche aggettivare, ma la sostanza non cambia: si predica infatti di «persona che non dà nessun affidamento, che si comporta con slealtà», come nell’attonita esclamazione «è una ragazza stronza!» (con tanto di punto esclamativo, in un misto di rabbia e stupore). I sinonimi comprendono, peraltro, una lunga sequela di insulti: «stupido, cretino, odioso, carogna» e persino, al culmine del climax, «fetente».
Insomma, sembrerebbe trattarsi di una cosa brutta, il che parrebbe cozzare con tutta la libellistica agiografica di cui sopra, che insegna a tirare fuori la stronza che è in te e a difendersi al tempo stesso dallo stronzo che è in loro
¹.
L’incoerenza potrebbe forse spiegarsi ipotizzando che stronzo abbia invariabilmente un’accezione negativa e la sua controparte femminile una connotazione positiva ma si tratterebbe, in tutta evidenza, di una curiosa bizzarria linguistica. Stupido non è diverso da stupida, imbecille e idiota non fanno distinzioni di sesso, anche se è vero, in ultima analisi, che i coglioni son quasi tutti maschi.
Un’altra possibile spiegazione, che chiama in causa la pragmatica più che la linguistica, è che l’unico modo per sopravvivere per le donne in un mondo maschile di deiezioni ed escrementi sia diventare come gli uomini se non peggio. E dal momento che ciò che accomuna gli esseri umani di sesso maschile è (o sarebbe) la stronzaggine intrinseca, si invita a superarli a destra senza neanche mettere la freccia.
Stronzo o stronza che sia, la parola contiene al suo interno moltitudini. Pensiamo ad esempio all’espressione, quasi sinonimica, Grande figlio di puttana, resa lirica dagli Stadio nella canzone di Dalla e Baldazzi.
Il verso inizia da subito con un’apparente contraddizione («Grande figlio di puttana, ma che amico per me») che viene ribadita nell’ambivalente ritornello («Grande però, che grande figlio di puttana»). Il cantante, Geatano Curreri, prova per il suo amico un misto di stima e riprovazione, perché se da una parte «ha donne sparse per l’Italia / lui approfitta e scappa via» dall’altra, a onor del vero, «con ognuna ha fatto un pianto / l’ha fatto anche con la mia» (il che non è bello, e questo va detto).
L’ambivalenza intrinseca e irriducibile dello stronzo
alias figlio di puttana
ci viene proposta anche nel film Pulp Fiction di Quentin Tarantino. Jules Winfield, cattivissimo gangster al soldo del perfido Marcellus Wallace prima di giustiziare le sue vittime declama loro l’intero salmo di Ezechiele (25:17): «Il cammino dell’uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi». Ma folgorato sulla via di Damasco, e ritrovatosi nel bel mezzo di una rapina, Winfield decide di graziare il maldestro brigante, il sedicente Zucchino
(«Ma stamane ho visto qualcosa che mi ha fatto riflettere. E adesso sto pensando che forse tu sei l’uomo malvagio. E io sono l’uomo giusto»). Winfield non gli risparmia solo la vita ma gli offre anche i suo denari, tanto per dare un aiuto fattivo all’uomo timorato minacciato da ogni parte dall’iniquità degli esseri egoisti: «Voglio che tu guardi in quel sacco, e trovi il mio portafoglio […] Quello con la scritta Brutto figlio di puttana
» (bad mother fucker
). Anche nella lingua inglese il peggior insulto che si possa ricevere coincide con il miglior complimento che un uomo si possa fare: la parola motherfucker rappresenta lo zenit e il nadir del significato, il punto in cui il bene assoluto coincide con il male supremo².
Lo stronzo è chi infrange le regole, ma d’altronde a chi non piace infrangerle? Lo stronzo è ciò che vorremmo essere è ciò che vorremmo che gli altri non fossero. La cosa non ha ovviamente alcun senso dal punto di vista etico, ma gli esseri umani non funzionano – se non occasionalmente – da quel punto di vista.
A questo punto, tuttavia, il lettore più perdigiorno potrebbe obiettare che questo ragionamento vale solo per le espressioni ingiuriose che chiamano in causa ignari figli di ex meretrici o persone con evidenti, e poco latenti, problemi edipici. Che dire invece dell’oggetto precipuo di questo libro, ovvero lo stronzo?
Ci viene in soccorso, a questo proposito, Giorgio Bracardi, autore della canzonetta Che felicità, ripresa da Elio e le storie tese nell’album Craccracriccrecr.
L’attacco della strofa si richiama, in tutta evidenza, alla Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, che pone, come noto, «il perseguimento della felicità» tra i diritti inalienabili di tutti gli uomini. Così il Bracardi: «Io so ‘no stronzo. Testa de cazzo. Oho oho, oho oho. Io vado a zonzo come ‘no stronzo. Oho oho, che felicit໳.
L’autore indugia quindi nel definire se stesso uno stronzo, e se ne compiace, e sembra anzi porre questa particolare condizione in una qualche relazione con il massimo traguardo a cui l’essere umano possa agognare: l’aristotelica eudaiomonia (εύδαιμονία), ovvero la felicità.
Ne consegue che se vogliamo capire la stronzaggine dobbiamo in primo luogo coglierne la natura duplice. Siamo affascinati dall’essere stronzi, allo stesso modo in cui la stronzaggine ci repelle.
Non assumeremo quindi alcuna prospettiva di tipo moralistico ma cercheremo di capire le cause di questo fenomeno (capitolo 1), le tipologie più diffuse dello stesso (capitolo 2) e le soluzioni e i rimedi, ammesso ovviamente che ve ne siano (capitolo 3). Nel far questo non ci proponiamo di vedere la pagliuzza nell’occhio del vicino, tralasciando la trave nel nostro, ma di enfatizzare lo stronzo che è in noi non meno che lo stronzo che è in loro.
Perché se «nulla che sia umano mi è estraneo» come affermava Publio Terenzio Afro, va da sé che la stronzaggine altrui può rendermi più consapevole della mia, così come il mio essere stronzo riguarda il mio prossimo come me stesso. «Nessun uomo è un’isola», poetizzava John Donne, ma ne consegue «che nulla di stronzo mi è estraneo».
Conoscere se stessi, senza paura di insudiciarsi con i lati meno gradevoli nella propria natura, è quindi lo scopo ultimo del nostro cammino. Per non dover mai più dire che a tutto c’è rimedio «tranne che a morte e fetenzia».
Inciso
La figura del coglione come
necessario alter-ego dello stronzo
Se la figura dello stronzo è già stata abbondantemente sviscerata con dovizia di esempi e illustrazioni, il coglione merita ancora una chiosa, per tracciare le dovute distinzioni del caso.
Nell’accezione letterale la parola coglione indica il testicolo, ovvero la gonade maschile localizzata nella sacca scrotale. Ma anche in questo caso a essere chiamata in causa è più spesso l’accezione estesa, ovvero quella di «persona poco avveduta che non prevede le conseguenze dei propri atti per insufficiente intelligenza»⁴.
Sarà chiaro, a questo punto della trattazione, che se qualcuno può voler essere stronzo nessuno può voler essere un coglione. Non ci saranno canzoni degli Stadio, né film di Tarantino né canzonette di Giorgio Bracardi a celebrare la virtù dell’essere didimo.
A questo proposito, e a meri fini didattici, non si può non citare Rotta x Casa di Dio di Pezzali e Repetto. Nella deliziosa operetta in quattro atti (la preparazione, lo smarrimento, la rivelazione, il ritrovamento) quattro balordi non riescono ad arrivare a una festa che si preannuncia foriera di sviluppi e si ritrovano in un autogrill tra birra e Camogli, «come non succedeva da un pacco di tempo».
Più analiticamente, nella seconda strofa, la tragedia raggiunge il suo apice, e Cisco capisce che la direzione intrapresa è grossolanamente errata («stiamo andando a fanculo», proclama). Il coro greco degli amici astanti intona un lamento straziante, degno di una prefica di professione: «Lo sapevo che sarebbe finita così / siamo teste di cazzo noi! / Basta uscire più di dieci chilometri / Che noi stronzi ci perdiamo».
Per quanto testa di cazzo e stronzo siano in teoria sinonimi è evidente che in questo contesto i quattro si stanno dando a vicenda del coglione. Se nessuno desidera quindi essere un babbeo, sembrano dirci Pezzali e Repetto, una volta che la natura si accanisce, non possiamo far altro che rivolgerci (quanto meno) al piacere dell’autocommiserazione.
La parola coglione d’altro canto fa quasi tenerezza ed è difficile immaginarla urlata a gran voce durante una rissa a un incrocio. Quando mi do del coglione al tempo stesso me ne compiaccio, e quando do del coglione a qualcun altro non riesco a non provare empatia per il poveraccio. Coglionare qualcun altro assolve una funzione apotropaica che scaccia da noi stessi lo sgradito sospetto di essere più coglioni del coglionato (o del coglionazzo).
Se quindi lo stronzo è chi eccede nel farsi gli affari propri, anche a discapito di quelli altrui, il coglione è perfino incapace di badare ai propri legittimi interessi, ed è quindi facile preda (e necessario complemento, spalla e co-protagonista) dello stronzo.
A questo punto della trattazione non posso esimermi dal raccontare un aneddoto autobiografico, al solo fine di illustrare meglio il punto in questione. Nel far questo dovrò tirare in ballo niente meno che Luigi Pirandello, che prima di ogni altro ha compreso come lo stronzo sia solo un coglione visto da un altro punto di vista.
Uno, nessuno e centomila, una sue delle opere più celebri, inizia con la scena di Vitangelo Moscarda che apprende dalla moglie di avere il naso leggermente storto. Vitangelo scopre in quel frangente che la percezione che ha di se stesso non è necessariamente quella che ne hanno gli altri ma invece di farsi scivolare addosso l’infelice scoperta, come farebbe chiunque altro, la prende male, forse perché, a differenza di chiunque altro, non ha mai letto Pirandello. Decide quindi di cambiare vita, si rovina economicamente, la moglie lo lascia e finisce in un ospizio dove diventa pazzo. Il che, date le premesse, ne converrete, costituisce quanto meno un’esagerazione.
La mia esperienza al riguardo è invece molto diversa.
Ho sempre avuto la percezione di essere un coglione, intuizione confortata peraltro da una serie di evidenze di tutto rispetto: sono sempre stato imbranato, poco incline alla dominanza gerarchica e piuttosto propenso al bullismo (ma dalla parte del bullizzato). La mia massima fonte di (inconsapevole) ispirazione è sempre stata il personaggio interpretato da Woody Allen in Provaci ancora Sam che «cerca di apparire sexy, disinvolto e sofisticato anche se non ci riesce quasi mai, per colpa della sua indole fortemente ansiosa ed emotiva».
Se Woody Allen viene salvato da Humphrey Bogart io, non potendo aspirare a tanto, fui restituito alla vita buona da un episodio del tutto fortuito: venni casualmente a conoscenza del fatto che nel mio giro di amici una ragazza aveva detto che ero uno stronzo
.
Ogni mio singolo gesto di coglionaggine, di insulsa goffaggine, di becera dabbenaggine, era stato (male) interpretato non come il comportamento di un minchione, quale in effetti ero, ma come quello di un uomo malvagio e profittatore che persegue scientemente e scaltramente i propri interessi (sessuali) anche a discapito delle illegittime altrui resistenze.
Da questa aleatoria scoperta la mia autostima è lievitata oltre ogni misura. A differenza di Vitangelo Moscarda non ho avuto alcun bisogno di cambiare vita per capire chi fossi, ma ho capito che mi bastava cambiare la percezione che avevo di me per conformarla a quella che ne avevano gli altri.
Ho anch’io, a guardar bene, il naso un po’ storto, ma non me ne lamento. Sono stato promosso in un sol colpo da minchione a grandissimo figlio di puttana e questo libro parla anche di questo. Di come una crisalide può diventare non solo una banale farfalla, ma il lepidottero più stronzo di tutto il fottuto regno animale.
____________________________________________
¹ Stiamo parlando ovviamente degli uomini. Si prenda ad esempio il categorico Gli uomini sono tutti stronzi di Marta Hari, l’ambivalente