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Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità della Puglia
Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità della Puglia
Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità della Puglia
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Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità della Puglia

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Puglia, una regione tutta da scoprire

Che cosa c’è in una guida insolita della Puglia? Al di là delle tradizioni, dei miti, delle storie che si raccontano da sempre a proposito di questo rettangolo di terra, il volume svela una serie di aspetti forse mai conosciuti del “tacco” dello stivale. Una Puglia diversa, avvincente, incantevole, ma anche la terra che ha dato i natali ad Aldo Moro e a Giuseppe di Vittorio, nonché a personaggi come Mennea o come il mitico Rodolfo Valentino. Così, seguendo l’autrice nei suoi itinerari pugliesi, andremo a scoprire una regione insolita, raccontata con cura: un viaggio dei più straordinari e affascinanti in una terra che magari abbiamo sempre pensato di conoscere ma che si mostra, qui, policroma e caleidoscopica come mai avremmo osato immaginare.

In questo volume:

La leggenda di san Nicola a Bari

La leggenda del Pozzo di San Paolo a Galatina

Le streghe della notte di San Giovanni

Mille e una Notte della Taranta:

Eventi, feste e sagre

I monumenti, i personaggi, i piatti tipici

…e molto altro!

Antonella Lattanzi

(Bari, 1979) vive e lavora a Roma. Tra le sue pubblicazioni, i romanzi Devozione e Prima che tu mi tradisca. Per la Newton Compton ha scritto anche Leggende e racconti popolari della Puglia.

Natalino Lattanzi

è un insegnante di Letteratura italiana e Storia. Ha pubblicato Breve storia della città di Bari e Cronache di scuola. Vive e lavora a Bari.
LanguageItaliano
Release dateJun 17, 2015
ISBN9788854185012
Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità della Puglia

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    Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità della Puglia - Antonella Lattanzi

    La provincia di Bari

    Bari

    Mercato settimanale: lunedì, mercoledì, giovedì, sabato

    Santi patroni: san Nicola, ss. Maria Odigitria, san Sabino

    Festa patronale: 6 dicembre e 7-9 maggio

    Abitanti: baresi

    Come si raggiunge: A 14 Bologna-Bari

    Guardia medica: Bari centro: via Villari, 17, tel. 080 5842004; Bari-San Girolamo/Fesca: lungomare Starita, 6, tel. 080 5348348; Bari-Palese: via Nazionale, 39/b, tel. 080 5300067; Bari San Paolo: presso Ospedale, via Caposcardicchio, tel. 080 5370118; Bari Carbonara: presso Opera Pia Di Venere, tel. 080 5650125

    Musei: Museo della Basilica di San Nicola Pinacoteca Provinciale; Museo Storico Civico; Museo Etnografico Africano; Museo di Scienze della Terra; Museo Raccolta di Fisica; Gipsoteca del Castello Normanno Svevo; Museo di Zoologia

    Acquario Provinciale; Orto Botanico dell’Università di Bari

    Cenni storici

    Il toponimo deriva da Barium, che si riferisce a baur o bur, ossia casa, riparo. Forse la sua forma originaria fu baorra.

    Furono i Peucezi a impiantarsi per primi sul territorio di Bari e a fare di questa città un’importante via di comunicazione. Già nel X secolo a.C., infatti, il porto di Bari trafficava con l’Oriente e l’Occidente grazie alla mentalità mercantile dei suoi primi abitanti. Con l’impero romano la città acquisì nuovi meriti, tanto da poter battere una propria moneta, ambita su tutte le rotte commerciali.

    La crisi dell’Impero Romano d’Occidente e il successivo avvento dell’egemonia di Costantinopoli non solo non tolsero prestigio al grande centro pugliese, ma ne accrebbero l’importanza attraverso l’ampliamento dell’area portuale. Ciò fece di Bari la sede della flotta imperiale e del catapano, cioè del massimo rappresentante a livello amministrativo dell’impero bizantino.

    Anche il dominio normanno non scalfì l’importanza della città, che poté, anzi, fregiarsi della bellissima basilica di San Nicola, divenuta, in breve tempo, meta di continui pellegrinaggi sia per coloro che seguivano il rito greco-ortodosso, sia per i fedeli di rito latino. Lo stesso Federico II non trascurò la bella città del Sud, che abbellì ulteriormente con la costruzione del castello svevo, edificato su ciò che restava della struttura normanna. Il declino di Bari iniziò invece con gli Spagnoli, che non seppero continuare quanto avevano fatto i precedenti dominatori, relegando la città ad un ruolo subalterno.

    L’arrivo delle armate napoleoniche, ma soprattutto di Gioacchino Murat, nuovo re di Sicilia, riportò la città agli antichi splendori, abbellendola col prestigioso ampliamento che va sotto il nome di Borgo o Quartiere Murattiano. Lo sviluppo dell’area cittadina conferì al capoluogo pugliese, con l’unificazione italiana, nuova dignità e importanza sia come via commerciale da e per l’Oriente, con la creazione della Fiera del Levante, sia come centro di cultura con il sorgere e l’affermarsi della casa editrice Laterza, la prestigiosa università, una delle più grandi d’Italia, e la costruzione del teatro Piccinni.

    Nel periodo più recente, le due tragiche guerre mondiali se per un verso costituirono la grande piaga di cui tutta l’umanità ha pagato lo scotto, dall’altro contribuirono ad affermare l’importanza strategica e commerciale della città che, pur soffrendo, come tutti, per le errate scelte di politica estera, ha saputo risorgere e ridare lustro a quei monumenti che l’intraprendenza dei cittadini aveva voluto. Non vanno infatti dimenticati il cinema teatro Kursaal Santa Lucia, il cinema teatro Margherita, il prestigioso, ambito e ora, purtroppo, rimpianto Politeama Petruzzelli, il celebre e stupendo Albergo delle Nazioni e lo stadio San Nicola, uno dei più prestigiosi in ambito nazionale.

    LA LEGGENDA DI SAN NICOLA¹

    Bari, da sempre, è il crocevia tra Oriente e Occidente, tra la chiesa ortodossa e quella cristiana; un po’ come lo snodo ferroviario di Bologna per attraversare la nostra penisola.

    Le sue vie, la Francigena e la Via Sacra Longobardorum, erano spesso calcate dai pellegrini, e portavano da Oriente verso Roma e Compostela o, in direzione contraria, a Costantinopoli e verso la Terra Santa. Ma, quasi non bastasse, alle due culture religiose, nel IX secolo, se ne aggiunse un’altra, quella musulmana.

    I musulmani giunsero in Puglia intorno alla metà del secolo, tanto che fonti storiografiche ci rendono noto che nell’853 Bari era governata da Mufarrag ibn Sallam².

    L’urto fra la cultura europea e quella araba produsse uno stravolgimento sociale ed economico che non necessariamente dette esiti negativi, anzi consentì al popolo barese di sviluppare quel mercantilismo che è stato ed è la sua arma vincente in un mondo che si avvia ad essere sempre più globalizzato.

    La presenza araba, infatti, fece affluire nella città una serie di operai e imprenditori che lasciarono segni indelebili della loro presenza, specie in quella che poi è divenuta la basilica del santo patrono.

    Alcune leggende parlano di una moschea fatta costruire dal governatore arabo, di cui non si ha traccia, che potrebbe essere, invece, proprio sotto le fondamenta della chiesa costruita per il santo Nicola.

    Altri riferiscono, ancora, che la struttura portante della chiesa sia proprio la famosa moschea di cui tanto si parla.

    Bari, la statua di San Nicola, in un’incisione ottocentesca.

    Sebbene nella stessa basilica, sul fianco destro della Porta dei Leoni, vi sia un sepolcro certamente realizzato dagli arabi, come del resto, all’interno del mosaico presbiteriale, l’intreccio del monogramma di Allah, fonti più accreditate asseriscono che si tratta di due costruzioni ben distinte che, comunque, risentono dell’influenza araba sul territorio.

    Alla luce di questi avvenimenti divenne necessariamente logico che la città dovesse dotarsi di un santo patrono super partes, che fondesse la cultura occidentale e quella asiatica, quasi ad affermare che Bari, non terra di nessuno, non porto franco per i commerci internazionali, ma porta per l’Oriente, ormai inteso in senso lato, accomunava religioni, popoli e razze diverse, per giungere, come auspicò più tardi Federico II, ad una unica religione che fondesse i riti cristiani, musulmani ed ebrei.

    Come racconta la leggenda, supportata dalle cronache cittadine e dalle opere di vari autori³, altro elemento determinante alla scelta del santo fu la dominazione normanna che guardava con favore all’introduzione di un feudalesimo agricolo e osteggiava le classi favorevoli agli scambi, ai traffici e agli sbocchi commerciali.

    Fu per questo che proprio marinai, armatori, preti e laici (circa 62), nel maggio del 1087, presero parte alla spedizione che dalla Licia, dalla città di Mira per precisione, sottrasse le reliquie di uno dei santi più amati e venerati dell’intera cristianità.

    Dal punto di vista strettamente storico il trafugamento delle reliquie del santo fu un fatto squisitamente antinormanno, ad indicare le spinte autonomiste della città di Bari che così, in epoca fortemente mistica, assicurava la protezione del patrono alla gente di mare, agli imprenditori e agli stessi cavalieri.

    Ciò valse al capoluogo pugliese l’invidia delle città di Venezia e Genova che, spinte dagli stessi interessi, le contesero vanamente il potentissimo simbolo⁴. Tra le infinite ipotesi non manca quella secondo cui la traslazione delle ossa di san Nicola sarebbe stata voluta dal papa Gregorio VII per recuperare una preziosissima reliquia che avrebbe potuto essere di aiuto agli eserciti cristiani nella lotta contro gli infedeli e che si sarebbe trovata in una non meglio identificata città di nome Sarraz, in Medio Oriente, e che avrebbe dato origine ai Saraceni.

    Ma ancora una volta storia e leggenda si fondono.

    La reliquia non sarebbe che il Santo Graal, la coppa che, secondo la tradizione, avrebbe raccolto il sangue caduto dal costato di Gesù e che sola avrebbe potuto infondere forza e coraggio ai cavalieri nella lotta contro gli infedeli.

    Gregorio VII non vide realizzato il suo sogno; della reliquia non si trovò traccia e fu il papa Urbano II a organizzare la prima crociata, il 25 novembre 1095, nel corso del Concilio di Clermont, sotto il comando di Goffredo di Buglione.

    La partenza avvenne da Bari nel 1096.

    Ma per tornare al nostro san Nicola, quando i coraggiosi componenti della spedizione tornarono a Bari con le ossa del futuro patrono e con la manna, il prezioso liquido miracoloso in cui erano immerse, furono accolti da trionfatori ed eroi. Le reliquie furono custodite temporaneamente nella piccola chiesa di Santo Stefano e successivamente nella basilica intitolata al santo, edificata sull’area occupata dalla residenza del catapano, il governatore bizantino del tema di Longobardia (Andrea Pazienza).

    San Nicola conquistò immediatamente il cuore dei baresi che con devozione hanno tramandato per generazioni leggende straordinarie.

    Si narra, ad esempio, di tre giovinette poverissime, senza il miracoloso intervento del loro santo protettore destinate alla prostituzione. San Nicola, infatti, avendo intuito quale sarebbe stato il loro terribile destino, di notte lanciò da una finestra che dava nella loro camera tre sacchetti di monete d’oro che costituirono la loro dote matrimoniale.

    Nella raffigurazione iconografica i tre sacchetti di monete sono divenuti tre sfere d’oro, le tre sfere che ancor oggi rappresentano uno dei più singolari miracoli del santo.

    Un’altra leggenda che circola per i vicoli di Bari antica e a macchia d’olio si è diffusa in tutto il mondo cristiano è legata alla resurrezione di tre giovinetti che, sperduti nelle campagne, incapparono in una coppia, marito e moglie, di malnati. I due coniugi, beceri gestori di una trattoria, a corto di vivande da offrire agli avventori approfittarono della tenera età dei malcapitati fanciulli e dopo averli fatti addormentare li uccisero facendo a pezzi le loro carni, con l’intenzione di servirle alla tavola degli eventuali clienti.

    Il santo, avvertito da una premonizione di quanto era accaduto, si presentò alla locanda e chiese della carne fresca. Gli osti non appena lo riconobbero sbiancarono in volto, cominciarono a balbettare, ma non poterono esimersi dall’accompagnarlo nella cucina dove avevano compiuto il misfatto.

    Al comando del santo di venir fuori dalle botti in cui erano stati stivati i miseri resti, i tre fanciulli, miracolosamente vivi, sani e vegeti, gli si fecero incontro e l’abbracciarono.

    Fu lo stesso santo a riaccompagnarli dai genitori.

    La cattedrale di Bari in un’incisione ottocentesca.

    Una leggenda che risale ai tempi in cui san Nicola era ancora a Mira narra di una famiglia, composta da madre, padre e un figlioletto, molto devota al santo che, puntualmente, ogni anno si recava nella città della Licia per offrirgli voti.

    Una volta, quando il fanciullo aveva tredici anni, come al solito i tre si recarono a Mira, ma durante il viaggio furono assaliti dai briganti, derubati e picchiati.

    Invece che accontentarsi del bottino, i malviventi rapirono il fanciullo e lo vendettero schiavo all’emiro di Creta che ne fece il suo coppiere.

    Non vi dico la disperazione dei poveri genitori, che ogni giorno pregavano che il figlio tornasse da loro.

    Viste inutili le loro preghiere, decisero di recarsi nuovamente a Mira per parlare con san Nicola.

    Il santo pianse nell’udire il racconto e preso da pietà, senza pronunciare una parola, si alzò in volo e raggiunse l’emirato di Creta.

    L’emiro stava festeggiando con i suoi amici la nascita del primo figlio e ordinava al fanciullo rapito di riempire senza sosta le coppe dei commensali.

    San Nicola, inaspettato e portato in volo dagli arcangeli del Signore, prese tra le braccia il fanciullo e tra lo stupore dei presenti lo portò via con sé. Quello stesso giorno la famiglia si riunì.

    I fortunati genitori ringraziarono il loro santo protettore e ne diffusero tanto la fama da farle valicare i confini del mondo.

    Queste non sono che alcune delle leggende che circolano sul santo di Bari, venerato in tutto il mondo occidentale e in gran parte dell’Oriente.

    In molte regioni d’Europa è anche venerato come santa Klaus, il nostro Babbo Natale, importato dal Vecchio nel Nuovo mondo.

    Si fa risalire, infatti, agli olandesi non solo la fondazione di New York, un tempo Nuova Amsterdam, ma anche la diffusione del mito di santa Klaus, il portatore di doni, come è tuttora ritenuto san Nicola.

    Ora, in America, la ricorrenza che cadeva e cade tuttora da noi il 6 dicembre viene fatta coincidere coi giorni del Natale, in cui tutti i bambini del mondo ricevono i doni dal vecchio dalla candida barba che, vestito di rosso, attraversa i cieli sulla slitta trainata in volo dalle sue renne.

    Monumenti e chiese

    Il castello svevo fu costruito sul precedente edificio normanno, per volere di Federico II. La costruzione è coronata da quattro torri, una delle quali è detta del Monaco o di San Francesco perché pare vi abbia sostato il santo in uno dei suoi tanti pellegrinaggi. A questo proposito va ricordato che nel castello di Bari esiste una lapide che ricorda l’incontro tra Federico II e san Francesco, che, come racconta lo storico Giulio Petroni, sarebbe avvenuto per mettere alla prova la santità del poverello di Assisi.

    La leggenda narra di una festa, una delle tante che si svolgevano nel castello svevo, cui fu invitato san Francesco. La tavola era imbandita con cibi prelibati e vini della terra di Puglia, ma il santo sebbene sollecitato non accettò che un pezzo di pane. L’imperatore, allora, escogitò un marchingegno per insidiare la castità del santo. Data l’ora tarda, invitò Francesco a riposare in una stanza della torre che va sotto il nome di torre del Monaco o di San Francesco e, a sua insaputa, fece in modo che una bellissima fanciulla lo aspettasse per trascorrere la notte con lui. Francesco, per contrastare il desiderio, raccolse dal camino un mucchio di carboni ardenti e invitò la fanciulla a distendersi con lui su quello strano giaciglio. L’imperatore, che con alcuni suoi cortigiani da uno spioncino osservava la scena, si convinse, così, della santità del povero frate e il mattino dopo si congedò da lui con parole di stima e di elogio.

    Chiaramente si tratta solo di una leggenda, perché, come ci ricorda il professor Raffaele Licinio, ordinario di Storia medievale nella facoltà di Lettere dell’Università di Bari, all’epoca della venuta a Bari di san Francesco l’imperatore non era in città. La leggenda, comunque, assume un valore assoluto proprio perché mette a confronto due uomini chiave del Medioevo, animati da tensioni diverse: il primo rappresenta l’arroganza del potere, l’altro l’ossequio a canoni etici e di fede che pure era difficile veder rispettati dallo stesso alto clero.

    La basilica pontificia di San Nicola, in stile romanico-pugliese, dell’XI-XII secolo, raccoglie intorno alla sua costruzione e al suo santo racconti e leggende che ne fanno una chiesa ricolma di mistero e santità.

    La cattedrale di San Sabino è a impianto romanico e conserva nella cripta i resti del santo che era stato il primo patrono della città.

    I teatri storici di Bari

    Che Bari avesse urgente bisogno di un vero teatro ne era a conoscenza tutta la popolazione, ma forse sfuggiva agli amministratori della città che consentivano, ancora nel 1835, in un momento in cui l’intellighenzia cittadina era in pieno fervore culturale e il popolo seguiva con attenzione tutto ciò che guitti, istrioni, attori e artisti si sforzavano di rappresentare nel palazzo del Sedile, divenuto teatro, di affollare una struttura fatiscente.

    La sera del 13 luglio, però, fu chiaro anche ai più sprovveduti che si era rischiata la tragedia e che i muri del vecchio palazzo avevano retto forse solo per intercessione di san Nicola, il santo patrono della città. Resisi conto dell’inagibilità della struttura, i decurioni, dopo qualche tentennamento, decisero che non era il caso di pensare ad una ristrutturazione che avrebbe solo prolungato l’agonia di uno stabile non più sicuro, e qualcuno avanzò l’ipotesi di costruire un nuovo teatro, anzi, il teatro nel quartiere murattiano.

    I più nel Consiglio nicchiarono. Sì, nel borgo murattiano, ma dove con precisione?

    Non era facile scegliere perché la città era come spaccata a metà: una parte con strade pavimentate, l’altra, periferica, tutta sterrata, lontana, per quell’epoca, dal centro. Eppure era a due passi dal Borgo Antico. Dopo queste controversie, durate quattro anni, finalmente si raggiunse l’accordo di costruire il teatro di fronte al palazzo dell’Intendenza, per capirci l’attuale municipio, nel corso Ferdinandeo, oggi corso Vittorio Emanuele.

    I picconi scavarono le fondamenta; architetti e ingegneri discussero circa l’ampiezza e l’acustica; i consiglieri si accapigliarono nella scelta del personaggio cui intitolarlo.

    Ma avevano tutti fatto i conti senza l’oste, Ferdinando II di Borbone, che ne interruppe i lavori per dare la precedenza alla costruzione di una chiesa, di cui il nuovo borgo era privo, fortemente voluta dall’arcivescovo Michele Basilio Clary. Così, mentre il popolo fremeva, cominciarono i lavori per la chiesa di San Ferdinando, tra via Sparano e via Calefati, così chiamata in onore del sovrano padrone.

    A quel punto non resse più l’ostracismo degli oppositori e si riprese a lavorare alacremente per portare a termine il progetto del nuovo teatro.

    Finalmente nel 1852 fu data l’ultima pennellata agli intonaci, anche se l’agibilità fu ottenuta solo due anni dopo.

    Morto un papa, si dice, se ne fa un altro e questo risolve il problema.

    Non fu così per il primo vero teatro di Bari.

    Terminata una questione ne sorse un’altra e fu questo il problema.

    Il sindaco Carrassi propose di intitolare la nuova struttura a Maria Teresa di Borbone, ma la regina si oppose. Ciò impedì che il 4 ottobre del 1854, giorno dell’inaugurazione, il teatro avesse un nome riferito a un personaggio illustre, tanto che si decise per una intitolazione provvisoria al municipio.

    Per fortuna in sole due settimane prevalse il buonsenso e il consiglio comunale stabilì di intitolarlo a Niccolò Piccinni, un grande musicista, figlio della città di Bari.

    La passione per il teatro travolse i baresi, coinvolse gli scettici, suscitò forti emozioni.

    In poco tempo il teatro Piccinni non fu sufficiente ad accogliere il popolo barese che sembrava dover saziare una fame infinita, un digiuno atavico, tanta era la voglia di immergersi nelle magiche atmosfere che creavano gli artisti sul palcoscenico del nuovo teatro.

    Sorsero, così, strutture spurie, provvisorie, ma che garantirono anche a coloro che non disponevano di larghi mezzi di godere, a sera, nei pressi del porto vecchio, là dove ora sorge il palazzo della Camera di Commercio, della brezza del mare e delle favole affascinanti che artisti conosciuti e dilettanti recitavano sulle scene improvvisate.

    Il destino dei teatri baresi, fu chiaro sin da allora, non era dei più favorevoli: la struttura in legno del Varietà Margherita nel 1911 prese fuoco. Ma i baresi, conosciuti anche come Capa toste, cioè testa dura, duri appunto come la pietra, non si lasciarono piegare dal fato e, in soli tre anni, costruirono il Kursaal Margherita, un glorioso teatro in stile Liberty che amano come un vecchio e caro amico, chiuso nel febbraio del 1980 per gli alti costi di gestione. Nel 2009, finalmente restaurato, è stato riaperto al pubblico come sala espositiva.

    Al Margherita, così detto in onore della regina, consorte di Umberto di Savoia, seguirono le strutture del teatro Cammarano e dell’arena del Varietà. Quando sembrava che finalmente si fosse colmata la penuria di sale atte a ricevere il sempre più esigente pubblico barese, il Comune di Bari, consapevole che la città ambiva a possedere un maestoso teatro che potesse competere con quello delle grandi città, che fosse capace di ospitare le più illustri firme dello spettacolo nazionale, indisse una gara per la costruzione di una struttura che nulla avesse da invidiare al San Carlo di Napoli o a qualsiasi altro importante teatro d’Italia.

    I lavori, dopo lunghe trattative, cominciarono grazie ai fratelli Petruzzelli che, su progetto dell’ingegnere Messeni, loro cognato, costruirono il più bel teatro che Bari abbia mai avuto e che la popolazione ha pianto come un figlio perduto nell’ormai lontano 27 ottobre 1991, quando la mano di uno stolto piromane, prezzolato da gente di malaffare, appiccò il fuoco alla parte più deliziosa e amata di Bari, distruggendo un’opera d’arte, frutto della sensibilità e dell’intelligenza degli artisti baresi che l’avevano cesellato con la loro fantasia e il loro amore.

    Finalmente, dopo alterne vicende, nel 1993 cominciarono i lavori di ricostruzione e restauro del glorioso teatro, portate a termine nel 2009. L’inaugurazione avvenne il 4 ottobre dello stesso anno, con un concerto dell’Orchestra della Provincia di Bari sulla Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven, diretto dal maestro Fabio Mastrangelo. Oggi il teatro, vanto della cultura barese, è tornato all’antico splendore.

    La basilica di San Nicola e il Santo Graal

    Che la basilica di San Nicola di Bari sia ricca di misteri è cosa nota, ma che abbia a che fare con re Artù e il Santo Graal forse sono in pochi a saperlo. Nella basilica, inoltre, vi è una riproduzione della lancia di Longino, il centurione romano che scagliò la sua arma nel costato di Gesù Cristo: la leggenda del Santo Graal è nata proprio grazie a questo atto sconsiderato.

    Il termine Graal deriva da una parola latina, gradalis, cioè coppa, calice, e indica la tazza che secondo alcuni Gesù avrebbe utilizzato nell’ultima cena per bervi con gli apostoli. Secondo altri, il gralla sarebbe il contenitore di cui si sarebbe servito Giuseppe di Arimatea per raccogliervi il sangue sgorgato dal costato del figlio di Dio.

    La tradizione vuole che san Nicola sia legato indissolubilmente al mito del Santo Graal.

    La basilica dedicata al santo, infatti, presenta tracce singolari del mitico mondo di re Artù e della reliquia che il re per primo e tutti i cavalieri della Tavola Rotonda cercarono disperatamente nel corso della loro vita avventurosa.

    Si vuole, ad esempio, che l’impresa compiuta dai 62 marinai il nove maggio del 1087 sia stata voluta dal papa Gregorio VII, per impadronirsi del Santo Graal, in possesso dei musulmani in Medio Oriente.

    Qui leggenda e storia si fondono mirabilmente, tanto da far pensare che la traslazione delle ossa del santo sia stata portata a termine non da mercanti o marinai, come ancora si tramanda ai giorni nostri, ma da cavalieri cristiani, gli stessi che poi dettero origine all’ordine dei Templari.

    L’impresa riuscì solo in parte, perché se è ben certo che le reliquie del santo riposano da circa mille anni nella chiesa a lui intitolata, cosa ne sia stato del Graal è ancora ignoto.

    Ma al di là delle congetture, resta il fatto che Artù, il mondo crociato, Bari e san Nicola formano quasi un tutt’uno destinato alla liberazione della Terra Santa e dei misteri racchiusi in essa.

    Gregorio VII non poté portare a termine il suo progetto, ma il suo successore, Urbano II, lo realizzò organizzando la prima crociata.

    Ancora una volta Bari acquista un valore di sacralità, perché è proprio da qui che le navi crociate partirono per Gerusalemme.

    La crociata, dunque, nacque non solo per conquistare al culto i luoghi santi della vita e della passione di Cristo, ma anche, probabilmente, per entrare in possesso del simbolo per eccellenza del cristianesimo stesso: il Santo Graal.

    Le crociate si susseguirono con alterne vicende, ma del Santo Graal ben poco è stato accertato.

    Si narra che Federico II⁵, signore del Regno di Sicilia, sia entrato in possesso del Graal grazie ai Sufi, mistici dell’Islam, che consegnarono nelle mani dei cavalieri Teutonici la reliquia, affinché fosse custodita da un sovrano cristiano, e che questo l’abbia conservata in una nicchia segreta del suo misterioso castello a pianta ottagonale, situato tra Andria e Barletta, nel territorio di Bari.

    Castel del Monte, secondo alcuni storici, sarebbe una delle possibili locazioni, con la basilica di San Nicola, del Santo Graal.

    La chiesa del santo, infatti, mostra chiari riferimenti al mondo arturiano, che, secondo alcuni storici, coinvolge non solo il mitico re di Avalon, ma tutti coloro che si impegnavano nella ricerca del Graal.

    Lo stesso nome Artù pare derivi dal greco Arktos, cioè Orso, come in alcune leggende è soprannominato il re dei cavalieri della Tavola Rotonda, e che così fossero chiamati, appunto, i cercatori del Graal.

    Ciò avvalorerebbe l’ipotesi che la reliquia si trovi proprio nella basilica di Bari, come suggeriscono il suo archivolto e la misteriosa iscrizione, il crittogramma di san Nicola, inciso sulla lamina d’argento che impreziosisce l’altare del santo patrono di Bari.

    Sulla cornice, infatti, vi sono incise 622 lettere che paiono non comporre alcuna parola.

    Lo studioso Vincenzo Dell’Aere, non molto tempo fa, partendo dall’iscrizione sulla Porta dei leoni, In tectae cryptae, cioè nelle segrete cripte, ha dato una soluzione secondo la quale si leggerebbe la seguente frase: Arca-Testa-Tecta-A-Cripta-In-Mira-Et-Gradale-A-Sacel(Lo)-In-(Ihs)-Galva(Ni)- Sepulcr(O), che, tradotta dal latino significherebbe: La cassa ed il vaso provenienti dalla cripta di Mira ed il gradale proveniente dal sacello dell’eremo di Galvano (Galgano) sono qui nascosti.

    Il riferimento a san Galgano è un altro segno incontrovertibile dei legami tra la vicenda arturiana, nicolaiana e Bari.

    Galgano, infatti, narra la leggenda, era un giovane nobile del territorio senese, senza princìpi morali, amante del rischio e dell’avventura, dedito ad una vita sregolata.

    Un giorno, dopo una solenne bisboccia, fu colto dal sonno e sognò l’arcangelo Michele che lo esortava ad abbandonare la vita dissoluta e a mettersi al servizio di Cristo.

    Galgano ne rimase talmente scosso che, non appena sveglio, conficcò la sua spada nella roccia sino all’elsa.

    Il diavolo, che aveva assistito alla scena, vedendo che l’elsa della spada raffigurava la croce di Gesù inviò tre suoi compari a distruggere la roccia.

    Ma, prova e riprova, la roccia resistette e la spada si spezzò in tre parti.

    Galgano non si sconfortò e iniziò a pregare.

    Miracolosamente la spada si ricompose e rimase conficcata per l’eternità nella dura roccia. Galgano, la notte successiva, sognò Gesù seduto con i dodici apostoli, tanti quanti erano i cavalieri di re Artù, intorno ad una tavola rotonda.

    La leggenda, a questo punto, si inserisce in quella più nota dei cavalieri di re Artù e dice che Galgano non è altri che il nobile Galvano, eroico cavaliere del re di Avalon.

    Il giovane divenne monaco cistercense e da cavaliere eremita compì tante opere in difesa dei deboli e della fede.

    La sua fama crebbe tanto tra il popolo che vicino alla roccia con la spada fu edificata una chiesetta in suo onore.

    Nel volgere di poco tempo la piccola struttura divenne un’abbazia frequentata da cavalieri Templari⁶ e Teutonici, dediti alla ricerca del Santo Graal.

    Le connessioni tra san Nicola e san Galgano si ritrovano, dunque, proprio nelle leggende che li circondano, in cui il calice col sangue di Gesù e la manna, cioè il liquido miracoloso in cui sono immerse le ossa del santo patrono di Bari, diventano un tutt’uno, a significare che forse la ricerca del Santo Graal non è un’utopia, ma qualcosa di reale, di vicino, che solo la costanza potrà portare a compimento.

    Forse si trova proprio a Bari, in una cripta, nella basilica di San Nicola, la misteriosa coppa, il calice che raccolse il sangue del figlio prediletto di Dio?

    Curiosità

    Presso l’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Bari è possibile ammirare i resti di una balenottera, lunga 11 metri e risalente al Pleistocene inferiore (circa 1.700.000 anni fa), ritrovata nel torrente Lamasinata, vicino alla pineta San Francesco, proprio alle porte di Bari, nell’estate del 1968.

    Feste, fiere e mercati

    Ogni 3ª domenica del mese: Mercatino dell’antiquariato, in largo Sant’Elia. Vi partecipano circa quaranta venditori che portano al mercato oggetti e mobili di epoche lontane.

    7-9 maggio: Festa patronale di San Nicola. È una festa a cui partecipa la maggior parte della popolazione barese e un numero esorbitante di pellegrini provenienti da quelle parti del mondo in cui è sentita la venerazione del santo di Mira. Luminarie circondano il borgo antico a partire da piazza Mercantile, che si affaccia sul bellissimo corso Vittorio Emanuele, per giungere sino al Molo Pizzoli, su corso De Tullio. Il santo, dalla basilica, viene portato in processione sino al mare, dove viene caricato su un peschereccio di un armatore barese parato a festa. La processione si snoda sul mare, dove decine di piccole imbarcazioni circondano il bastimento col santo, per rendere omaggio a uno dei più amati personaggi della cristianità. Particolarmente sentita è, nei giorni dei festeggiamenti, la presenza di una folta rappresentanza russa.

    2ª settimana di settembre: Fiera del Levante. È una delle più note fiere campionarie internazionali, motivo di incontro tra varie culture. La manifestazione, che si svolge di solito nella seconda settimana di settembre, presenta, tra i tanti, i prodotti dell’artigianato nazionale e, nella Galleria delle Nazioni, prodotti dell’artigianato mondiale. Grande importanza assume l’esposizione della nuova tecnologia sia nel campo della meccanica (autovetture e mezzi motorizzati per l’agricoltura) che in quello della produzione delle fonti di energia alternativa. Grande spazio occupa anche l’allevamento. Annualmente il bacino d’utenza raggiunge e supera il milione di visitatori e i 2000 espositori. Manifestazioni legate alla Fiera del Levante, anche se con datazioni diverse, sono quelle che, con alternanza e data variabile, si aprono al grande pubblico dagli ultimi giorni di settembre sino a tutto luglio, qui di seguito citate in ordine cronologico:

    fine settembre-inizio ottobre: Expo Regalo (data variabile);

    fine settembre-inizio ottobre: Oro Levante (data variabile);

    fine 2ª decade-inizio 3ª decade di ottobre: Agri Levante (data variabile);

    1ª settimana di novembre: Mostra Ornitologica Internazionale del Mediterraneo (data variabile);

    2ª decade di novembre: Campus Orienta. Salone dello Studente (data variabile);

    3ª decade di novembre: Bimbinfiera. Salone per mamme e future mamme (data variabile);

    2ª decade di gennaio: Io Sposa (data variabile);

    fine 1ª decade e inizio 2ª decade di febbraio: Bianco Casa Mediterranea ed Exporegalo (data variabile);

    3ª decade di febbraio: BI-MU Mediterranea (data variabile);

    3ª decade di febbraio: Macplas. Esposizione macchine utensili, robot e automazione (data variabile);

    fine ultima decade di marzo-inizio 1ª decade di aprile: Expolevante. Fiera internazionale per il tempo libero (data variabile);

    1ª decade di aprile: Expoturismo (data variabile);

    2ª decade di aprile: Edil Levante Costruire. Biennale internazionale per l’edilizia (data variabile);

    2ª decade di luglio: Modamare Mediterranea. Esposizione di collezioni di intimo e mare (data variabile).

    Tutto il mese di dicembre e la 1ª settimana di gennaio sino all’Epifania: Mercatino di Natale. La Fiera si svolge in varie parti della città con stand gastronomici, di oggestica e di abbigliamento. La più suggestiva è intitolata Magie del Natale, nella Piazza dell’Economia, situata accanto a Piazza del Ferrarese. Sfavillante di colori, il mercatino di Natale mostra, in particolare, bellissimi manufatti artistici raffiguranti i vari personaggi che popolano i presepi, prodotti artigianalmente da maestri d’arte provenienti da varie parti d’Italia.

    Mercato permanente di prodotti artigianali e internazionali sono i padiglioni di Eataly al lungomare Starita, nei pressi della Fiera del Levante. Inaugurato nel 2013, grazie alla lungimiranza dell’imprenditore Oscar Farinetti, il mercato costituisce oggi una stupenda realtà visitato quotidianamente da un gran numero di turisti e compratori. Nei suoi spazi ristoro è possibile gustare i migliori prodotti della terra di Puglia e i favolosi gelati di produzione propria.

    Siti web:

    www.storiamedievale2.net/Rec/federico.htm

    www.comuni-italiani.it

    www.puglia.splinder.com

    www.abc fiere.com/fiera_fiera del_levante_bari_538.php

    Acquaviva delle Fonti

    Mercato settimanale: venerdì

    Santo patrono: Maria SS. di Costantinopoli e Sant’Eustachio

    Festa patronale: 1° settembre

    Abitanti: acquavivesi

    Come si raggiunge: A 14 Bologna-Taranto, uscita Acquaviva

    Guardia medica: tel. 080 3108063

    Cenni storici

    Situata sulle Murge, Acquaviva risale al VII secolo, e basa la propria economia sulla fiorente agricoltura.

    Il nome deriva dalla falda acquifera sottostante il paese, provocata dalla presenza di terreni argillo-sabbiosi di epoca pliocenica e molto rara in Puglia⁷, che notoriamente soffre di carenza di acqua (per questo, uno dei significati del nome Puglia deriverebbe da Apulia, cioè a-pluvia, senza piogge).

    Già Acquaviva di Bari, la moderna Acquaviva delle Fonti fu così ribattezzata nel 1860 per la copiosità della sue falde acquifere. Il borgo di Acquaviva nacque in epoca medievale (VI-VII secolo) dalla scomparsa di un antico borgo da cui si formarono, oltre quello suddetto, altri due agglomerati, Cassano e Santeramo.

    LA LEGGENDA DELLA MADONNA E LA PESTE

    Quando nel XVII secolo Acquaviva, già vessata dagli abusi dei principi de Mari, fu colpita da terremoti e siccità, ma scampò al terribile flagello della pestilenza, gli acquavivesi, grati alla Madonna di Costantinopoli, alla quale avevano promesso in dono una somma di denaro (50 mezze pezze) in cambio della salvezza, onorarono il loro patto dal quale nacque una tradizione ancora in vita, che si festeggia il primo martedì di settembre e di marzo di ogni anno durante la festa di Maria SS. di Costantinopoli.

    Monumenti e chiese

    La cattedrale di Acquaviva (insieme a quella di Altamura, alla basilica di San Nicola di Bari e al santuario di San Michele Arcangelo una delle quattro basiliche palatine pugliesi, volute da Federico II), intitolata al patrono della cittadina, Sant’Eustachio, risale al 1529. Voluta dall’arciprete Cesare Lambertino, terminata 65 anni dopo la posa della prima pietra, la cattedrale, a pianta longitudinale, presenta, nella facciata principale, un vasto portale affiancato da due leoni stilofori, a destra e a sinistra, e sovrastato da una lunetta raffigurante la conversione di Sant’Eustachio. Nonostante i riferimenti al gusto romanico, alcuni elementi, come la bifora absidale, hanno le caratteristiche ariose tipiche dello stile rinascimentale. Con le parole di G. Fraccascia, la cattedrale, «sotto il peso dell’enorme tradizione romanica della regione, mosse i primi passi in un acerbo rinascimento e fu completata in un clima di consapevole manierismo, che vide i suoi frutti soprattutto nella bella e complessa facciata principale».

    Acquaviva delle Fonti, la cattedrale, in un’incisione ottocentesca.

    Risalente al XII secolo (o addirittura all’XI), il castello di Acquaviva, di fattura normanna, ha una pianta quadrangolare; il primo feudatario fu il conte Cornulo, seguito dal conte Roberto Brizio.

    Siti archeologici

    Acquaviva delle Fonti presenta, a circa 3 chilometri dal centro abitato, e precisamente in contrada Talentino (dove un tempo si pensava sorgesse il primo nucleo abitativo dell’odierna cittadina), un importante scavo archeologico i cui reperti risalgono a un’epoca che va dall’età del Bronzo al Medioevo. Particolare importanza, tra i vari reperti, ha una tomba-ossario risalente al VI-VII secolo d.C., nella quale è stata rinvenuta una brocca altomedievale di inestimabile valore.

    Altrettanto importante, dal punto di vista archeologico, è la grotta di Cortomartino, anch’essa a 3 chilometri da Acquaviva, incastonata sulle pendici della Murgia barese. Risalente al Paleolitico, la grotta, situata a circa 360 metri sul livello del mare, rivela presenze antichissime di gruppi umani.

    La banda di Acquaviva

    Famosissima in tutta la Puglia è la banda musicale di Acquaviva, fondata nel lontano 1797 dal facoltoso Girolamo Jacobellis, strenuo sostenitore della Carboneria, tanto che la banda fu «creata come strumento di propaganda contro la dominazione borbonica»⁸.

    Vincitrice di due importanti concorsi (nel 1898 a Torino e nel 1961 a Stoccolma, nell’ambito del concorso internazionale per complessi bandistici), la banda si esibisce tutt’oggi all’interno della Cassarmonica.

    La Cassarmonica, in cemento armato, è il simbolo dell’amore che gli acquavivesi nutrono per le esecuzioni della loro rinomata banda. Sotto la cupola sovrastante le colonne che formano questa sorta di gazebo, è posta una fascia sulla quale sono effigiati i maggiori musicisti pugliesi.

    Eventi, feste e sagre

    1° martedì di marzo: Festa della protettrice del paese. La festa è istituita come ringraziamento alla Madonna di Costantinopoli per aver salvato, nel 1656, la popolazione da una terribile peste: al momento della consegna delle offerte, durante la messa della mattina, il tesoriere del Comune, celebrando un rito che si tramanda ormai da secoli, affida al canonico della chiesa 50 monete dette mezze pezze.

    2° martedì di marzo: Festa della Fanove. Consiste nell’allestimento di un ingente mucchio di fasci di legno sulla cui sommità (la cima cima) vengono poste le migliori primizie e al quale, in seguito, viene dato fuoco. Quando la cima del fascio cade, la tradizione vuole che la direzione della caduta indichi la localizzazione dei campi che daranno, quell’anno, un raccolto migliore.

    19 marzo: Festa di San Giuseppe. Processione con falò e distribuzione di pane benedetto.

    20 maggio: Festa di Sant’Eustachio, patrono della città.

    11 maggio e 21 agosto: fiere.

    1° martedì di settembre: nuovamente, Festa della Madonna di Costantinopoli. I festeggiamenti durano dalla mattina della domenica (quando la statua della Madonna con in braccio il bambino viene posta sul trono, sino alla sera del mercoledì (quando la Madonna viene deposta in una nicchia situata accanto all’altare maggiore della cattedrale). La Madonna e il Bambino vengono vestiti di abiti preziosi e, durante l’arco di tempo dei festeggiamenti, vengono portati in processione, mentre la cittadina risuona degli echi festosi del corteo degli sbandieratori e dei fuochi d’artificio. Inoltre, a mezzanotte del martedì viene lanciato in aria un pallone aerostatico grande quanto un palazzo di quattro piani. Dall’orientamento e dal corso di tale lancio gli esperti prevedono con sicurezza l’andamento della stagione agraria.

    Nel periodo luglio-settembre, nell’ambito del programma Estate Acquavivese sono previste manifestazioni quali: spettacoli teatrali, conferenze, cineforum, esibizione di gruppi musicali locali e non e manifestazioni sportive.

    Nel mese di settembre si svolge il Festival delle bande. Il programma, articolato in quattro serate-concerti, propone l’esibizione in Cassarmonica di prestigiosi complessi bandistici anche accompagnati dal coro; la presentazione e la guida all’ascolto è affidata a relatori quali critici musicali, giornalisti e musicisti di fama nazionale. Inoltre per l’occasione viene allestita una mostra di strumenti musicali⁹.

    Ottobre: Sagra delle olive e dell’olio.

    1ª domenica di ottobre: Festa della cipolla. Uno dei prodotti tipici, e più rinomati, di Acquaviva, sono le famose cipolle rosse, per le quali è stata istituita una festa durante la quale sono organizzate mostre a cura di pittori e scuole, spettacoli musicali e quant’altro.

    3ª domenica di ottobre: Sagra del calzone. Il calzone è un rustico tipicamente pugliese, preparato con cipolla, ricotta forte e olive snocciolate. Festeggiato in questa prelibata sagra, si può gustare ad Acquaviva con agnello alla brace, olive nere, olio extravergine locale, ricotta e vino Primitivo, mentre si assiste agli spettacoli musicali e non allestiti nella piazza principale.

    Nel periodo dicembre-gennaio, nell’ambito del programma Natale Acquavivese sono previste manifestazioni quali: concerti, spettacoli di burattini, esibizione di gruppi folcloristici, percorsi di visite ai presepi allestiti in chiese minori, ed inoltre la festa della Befana¹⁰.

    11 novembre: Festa del vino Primitivo.

    8 dicembre: Festa dei dolci di pasta di mandorle, delle pettole e tipicità natalizie.

    15-16 dicembre: Sagra delle pettole, cartellate e dolci di mandorle.

    Siti web:

    www.comuni-italiani.it

    www.comune.acquaviva.ba.it

    www.gopuglia.it/comuneacquavivadellefonti.html

    Adelfia

    Mercato settimanale: martedì

    Santo patrono: san Trifone

    Festa patronale: 10 novembre

    Abitanti: adelfiesi

    Come si raggiunge: superstrada Bari-Taranto, uscita Adelfia

    Guardia medica: tel. 080 4597254

    Musei: Museo Civico

    Cenni storici

    Il nome deriva dal greco adelphos (fratello) per intendere la fratellanza tra i due centri abitati, Canneto e Montrone, che si sono fusi nel 1927 e hanno formato l’attuale paese. L’economia di Adelfia è prevalentemente agricola, basata in particolare sulla coltivazione della vite per la messa sul mercato di ottime uve da tavola e da vino.

    I due nuclei, quello di Canneto fondato dai Peucezi e quello di Montrone dai Greci, erano divisi solo da una pietra di confine, detta Fitta, poi, in tempi successivi, sostituita dalla stele di corso Vittorio Veneto.

    Secondo il gesuita De Nicolai Canneto risale all’XI secolo, fondata dai Normanni di Roberto il Guiscardo che si accamparono nelle campagne del piccolo centro quando assediarono Bari per cacciarne i Greci. Il nome Canneto deriverebbe dalle canne, abbondanti sul territorio, che servirono per la costruzione delle capanne. Il primo feudatario fu il nobile Giosuè Gualtieri di Messina, la cui figlia Beatrice fece costruire il castello con un’alta torre e poi, in seguito ad una miracolosa guarigione, la cappella di Santa Maria della Stella.

    Montrone, secondo la tradizione, fu fondata da un commerciante greco, un certo Roni Sansech, su una collina che da lui si chiamò Montrone. Sempre al commerciante si deve la costruzione di una cappella intitolata alla Madonna del Principio. Guglielmo II infeudò il piccolo centro al nobile Goffredo Tortomanni, il primo di una serie di feudatari. Infatti Montrone passò di mano in mano, dagli Sparano ai Clignetti, ai Dottula, i quali costruirono il castello con la torre, ai Fusco e, infine, ai Bianchi. Con il Risorgimento a Canneto proliferarono le vendite carbonare, che videro il piccolo Comune parte attiva per l’unificazione italiana.

    La depressione successiva costrinse numerosi abitanti di Adelfia a emigrare in America, da cui, in occasione della festa di San Trifone, molti tornano per onorare il santo protettore della città.

    Monumenti e chiese

    Il castello marchesale, del 1396, fu edificato per volontà di Niccolò Dottula e ristrutturato e ampliato nel 1519 da Giambattista Galeota, che lo arricchì con affreschi di scuola napoletana.

    La chiesa di Santa Maria del Principio fu eretta nel 1806.

    La chiesa madre fu ultimata nel 1711, mentre il suo campanile fu innalzato nel 1744.

    La torre normanna risale al 1147 ed è stata dichiarata monumento nazionale nel 1920. Consta di quattro piani.

    La casina don Cataldo, del 1600, è un’opera di grande pregio artistico e architettonico.

    Eventi, feste e sagre

    Luglio: festeggiamenti in onore di Maria SS. della Stella, detta anche Madonna dell’Oro.

    Luglio: Festa di san Vittoriano.

    Agosto: Mostra dell’antiquariato.

    Settembre-ottobre: Sagra dell’uva e delle frittelle.

    Novembre: Festa di san Trifone con una manifestazione culturale e folcloristica di richiamo internazionale per i tanti emigrati nelle Americhe, che periodicamente tornano nel paese d’origine per rendere omaggio al santo protettore. Famosissimi sono, inoltre, gli spettacolari fuochi pirotecnici prodotti da fedeli di varia estrazione che concorrono all’ambito premio del lauro del vincitore in una gara che di anno in anno diventa sempre più gradevole e spettacolare.

    Siti web:

    www.prolocoadelfia.it

    www.gopuglia.it/comuneadelfia.html

    Alberobello

    Mercato settimanale: giovedì

    Santo patrono: santi medici Cosma e Damiano

    Festa patronale: 24-28 settembre

    Abitanti: alberobellesi

    Come si raggiunge: SS 100 uscita Casamassima, Turi, Noci, Alberobello

    Guardia medica: tel. 080 4328230

    Cenni storici

    Secondo alcuni il nome si riferisce alla presenza in zona di una grande quercia, secondo altri deriva da Sylva Arboris Belli, una distesa di querce. Per lungo tempo si è creduto che la parte finale del nome, ossia -bello, derivasse dal latino bellum, cioè guerra, ma l’ipotesi sembrerebbe da scartare.

    Nel 1996 è stato dichiarato parte del Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO per la presenza dei suggestivi, folcloristici, misteriosi trulli¹¹ che costellano il suo centro storico. Alberobello, capoluogo dei trulli, era, in origine, un bosco ricco di querce secolari. Da ciò, il nome Sylva Arboris Belli, cioè bosco dell’albero di guerra. Il termine belli, però, probabilmente non si riferisce in questo caso alla guerra vera e propria, ma più plausibilmente¹² a una quercia imponente, che, sino all’Ottocento, sorgeva nei pressi di Alberobello, sulla via per Taranto.

    I trulli¹³

    Il trullo (il cui nome deriva dai tholoi greci, costruzioni molto simili a queste), per alcuni studiosi di origine celtica (popolo dalle fervide convinzioni religiose, la cui storia è piena di riti in cui convergono elementi magici, sacri e trascendenti, si presenta, a prima vista, come una casa rurale realizzata senza l’uso di malta. Ancora oggi, di queste case coniche, non si è disvelato del tutto il segreto. Tali costruzioni, simili ai nuraghi sardi, erano un tempo adibite dai contadini a ricoveri o a magazzini degli attrezzi e, proprio a seconda delle mansioni cui erano destinate, venivano indicate con nomi differenti: pajare, paiare (plurale di pajara, paiara, pajaru, paiaru); pagghiare (plurale di pagghiara, pagghiaru), pajaruni, paiaruni (plurale di pajaroni, paiaroni) e furnieddhi (plurale di furnieddhu)¹⁴ sono solo alcuni dei nomi con cui venivano denominati a seconda della loro funzione.

    Alberobello, in un’incisione ottocentesca.

    Il trullo tipico è un’abitazione dalla pianta circolare (simile a un igloo, dall’esterno) i cui muri, imbiancati a calce, sono costruiti a secco, senza l’uso di stucchi o cemento, ma solo mediante incastro di pietre a forma di parallelepipedo, e sulla cui sommità è come calato un tappo bianco a forma di cono rovesciato in cima al quale, come una sorta di albero di Natale, troneggia un pinnacolo. Su quest’ultimo è segnato, a calce, un simbolo a un tempo esoterico, cristiano o astrologico.

    La cupola è foderata di filari concentrici di chiancarella, una pietra grigia locale.

    Il simbolo dipinto può raffigurare: «spirali, svastiche messapiche, mezze lune, croci, cuori trafitti, i segni dello zodiaco, profili satanici»¹⁵, stelle di David. Non solo, «animali, conchiglie, strumenti di lavoro, cornucopie, stelle, croci, fiori, navi, angeli, mascheroni, ini­ziali, lettere sacre, segni di ordini monastici»¹⁶ sono altrettanti simboli pagani o cristiani, propiziatori, ermetici, salvifici, astrologici, tutti con una forte carica trascendentale¹⁷. Secondo alcuni, ogni simbolo sul pinnacolo del trullo ha un diverso significato che serve sempre a proteggere la casa, secondo altri a ingraziarsi il favore di qualche divinità, per altri ancora a richiamare una formula magica.

    «Esoterismo, cabala, astrologia, antiche credenze [...], cultura del rituale, desiderio di riconoscersi nel valore cosmico al di là del candore abbagliante»: le case a forma di cono sono niente e sono tutto. Chi e perché abbia costruito i trulli è ancora un enigma. Certo è che si tratta di un’architettura povera, anche se solo apparentemente impermanente.

    Probabile è l’origine orientaleggiante della casa a cono, ma alcuni sostengono fermamente che l’origine dei trulli sia di tipo magico, o religioso.

    Secondo Giuseppe Notarnicola¹⁸, per esempio, la simbologia dei trulli è distinguibile in primitiva, pagana e magica. Laddove si nota la presenza di un pinnacolo di forma circolare, piramidale, tetraedrica o a disco, si è al cospetto di una casa a cono costruita in onore del dio Sole.

    Quando invece i simboli sono «grovigli di linee, di curve, di circoli, di triangoli per lo più in numero di tre o sette»¹⁹, si tratta di edifici dedicati a Zoroastro che, secondo la tradizione, sarebbe un altro nome per indicare il profeta Zarathustra (vissuto per alcuni nel 600 a.C. e per la maggioranza tra il 1500 e il 1000 a.C.), dal quale ha origine lo zoroastrismo, anche detto mazdeismo, nato in Persia (nella zona dell’attuale Iran) circa 800 anni or sono.

    Il Notarnicola spiega più avanti che, se sui trulli – in particolare quelli rurali²⁰, ridotti spesso a cumuli di macerie – si nota un simbolo di natura animale, quasi certamente la costruzione non aveva uno scopo religioso, ma più verosimilmente paganeggiante.

    «[...] il gallo, il cavallo, il bue, la serpe, l’aquila»²¹ sono infatti, da un punto di vista quasi sempre inconscio e irrazionale, antichi feticci, vetusti talismani adoperati dall’uomo per sconfiggere il male in ogni sua forma (qui si parla di malocchi, fatture, malasorte, stregonerie, ma anche male inteso come cattiveria umana e cattiva sorte). Ancora, le «croci, i monogrammi, le sigle mariane, l’alfa e l’omega, i cuori trafitti, il calice eucaristico, le iniziali dei santi patroni»²² sono stati dipinti sui pinnacoli dei trulli nella speranza, tramite l’uso della simbologia cristiana a guisa di amuleto, ancora una volta, di invocare (un po’ come l’acqua santa spruzzata tramite ramoscello di ulivo in tutta la casa il giorno di Pasqua) la benedizione di Dio, la pace, la cessazione di ogni tribolazione, la tranquillità, la libertà, la liberazione da ogni tipo di male. Infine, segnare la propria abitazione con un simbolo di natura astrologica, zodiacale o planetaria richiama, come si è già detto, l’ipotesi che queste costruzioni abbiano origini orientali.

    Erano infatti proprio le genti dell’Est ad adoperare tali simbologie nello svolgimento dei loro riti magici «perché l’uomo potesse agire sulla natura per mezzo delle forme»²³.

    La magia della Valle d’Itria è ancora vivissima in queste allegorie multiformi, «nell’ameno paesaggio dolcemente ondulato, circoscritto dal sorriso del cielo e dalla silente campagna, gli acuminati trulli, protesi verso il cielo, lontani dal turbine cittadino... chiusi nelle secolari memorie; mentre con i pinnacoli e coi simboli parlano un millenario linguaggio ieratico e misterioso»²⁴.

    Secondo altre fonti, i trulli compaiono invece in epoca molto recente, soltanto dopo, cioè, che il Guercio di Puglia (conte Giangirolamo Acquaviva) si stabilì in questa regione.

    LA STORIA DEI TRULLI

    Secondo la tradizione che fa risalire la nascita dei trulli al Guercio di Puglia, queste folcloristiche, misteriose costruzioni sono nate per frodare il fisco.

    Durante il Regno di Napoli, infatti, su ogni costruzione doveva pagarsi una tassa. Il Guercio, che, secondo alcuni, voleva per sé un feudo indipendente dalla Corte di Napoli, senza chiederne l’autorizzazione al re, ordinò che fossero costruite queste case in pietra a secco (di cui la zona era ricca), in modo tale che, quando funzionari del re fossero venuti a riscuotere il dazio, i cittadini, come per magia, avrebbero potuto smontare in brevissimo tempo le costruzioni, senza lasciarne traccia. La magia ulteriore in questo progetto di costruzione, però, sta nel fatto che, se come sembra la storia è questa, il Guercio non poteva sapere che il modus aedificandi e persino l’aspetto dei trulli ricalcavano in modo sorprendente sia quello delle tombe principesche di Micene, in Grecia, sia quello di altre costruzioni presenti nel Mediterraneo, in Cappadocia, Egitto e Dalmazia.

    L’arte di costruzione dei trulli merita di essere raccontata:

    Senza ricorrere a strumenti di misurazione, il trullista, dopo aver raccolto nei campi la materia prima [denudando, così, il carattere roccioso di questo territorio], disegnava l’edificio e la disposizione delle stanze quadrangolari, le cui pareti interne erano a piombo e quelle esterne in pietra ben squadrata [...]. Per la copertura a volta [...] si disponevano le pietre ad anelli concentrici che andavano progressivamente stringendosi verso l’alto, fino a quando l’occhio sommitale poteva essere chiuso da un unico lastrone. Solo allora, il tetto veniva coperto di cianche o chiancarelle, pietre piatte inclinate in modo da far scivolare via l’acqua.

    [...] L’intonaco veniva usato per il pinnacolo, le cui forme geometriche hanno, secondo alcuni, significati simbolici: forse un augurio di buona salute o felicità, quando non, addirittura, di prosperità²⁵.

    La zona monumentale

    I trulli si innalzano, come seminati, snocciolati sulle stradine che si inerpicano su per le salite e si biforcano a partire da corso Vittorio Emanuele per via del Gesù (dove si trova il trullo Sovrano, unico trullo su due piani, alto ben 15 metri).

    È interessante un giro in piazza Ferdinando IV dove la casa D’Amore, in stile ottocentesco, crea un suggestivo stacco con il paesaggio imbiancato dei trulli.

    La zona monumentale propriamente detta comprende, inoltre, il santuario dei santi Cosma e Damiano, restaurato in stile seicentesco verso la metà del XIX secolo. Accedendo, da largo Martellotta, nei rioni Monti e Aia Piccola, incontreremo un gran numero di trulli, più di 1000 conservati sino ad oggi: persino la chiesa principale di Monti è un trullo!

    Qui si trova dal 1997 anche il Museo del Territorio (settembre-giugno: dal martedì al venerdì 9-13 e 15-19; agosto 9-19), situato nella restaurata casa Pezzolla, i cui locali più antichi risalgono al XVIII secolo, e visitando il quale si potrà compiere un viaggio all’interno della cultura, della storia, dei mezzi di sostentamento (che fino a qualche tempo fa erano principalmente costituiti dall’agricoltura) alberobellese.

    Eventi, feste e sagre

    Febbraio: Carnevale.

    Venerdì Santo: Via Crucis vivente. Ormai da anni, la Via Crucis di Alberobello raccoglie fedeli e curiosi da tutto il mondo. Ogni anno organizzata in maniera diversa, parte da piazzale Indipendenza per risalire verso la tortuosa salita di via Monte Sabotino (detto u’ mond d’Crist, il monte di Cristo, e perfetto per questo scopo grazie alla sua tradizionale resistenza a qualsiasi contaminazione da parte del progresso) e, con il suo tradizionale, foltissimo corteo di uomini e donne in costume – costituito da più di cento personaggi –, a piedi e a cavallo, giunge sino a Villa Sant’Antonio. Qui, di fronte alla chiesa omonima, ha luogo il momento più toccante della manifestazione: la crocifissione del Cristo.

    Marzo: Festa della primavera.

    15-16 luglio: Festa della Madonna del Carmine.

    23 luglio: corteo storico con rievocazione della conquista della libertà della città.

    5-7 agosto: Festival folcloristico internazionale.

    15 agosto: Festa della Madonna della Madia.

    16-19 agosto: Sovrano Festival.

    31 agosto-3 settembre: Festa della birra.

    25-28 settembre: Festa patronale dei santi Cosma e Damiano.

    Ottobre: Sagra dei legumi col peperoncino.

    Dicembre: il presepe vivente fra i trulli.

    Gli alberobellesi

    Popolo fiero e coraggioso, gli alberobellesi sono definiti da alcuni documenti secenteschi come debitori, inquisitori, malfattori: il motivo di questo astio così palese è, appunto, la ribellione alle prevaricazioni dei grandi signori e possidenti di cui, con costanza e coraggio, gli alberobellesi si sono macchiati per lungo tempo, sino a raggiungere il pieno, appassionante conseguimento dei diritti civili.

    Ciò è potuto avvenire soprattutto grazie alla tradizionale trasmissione dell’arte agricola, sulla quale per secoli si è fondato tutto il sostentamento di questo paesino.

    Siti web:

    puglia.splinder.com

    www.trullosovrano.org/modules.php?name=Content&pa=showpage&pid=33

    www.trulliland.it/pageview2.php?i=213

    www.comuni-italiani.it/072/003/index.html

    Altamura

    Mercato settimanale: sabato

    Santo patrono: sant’Irene

    Festa patronale: 5 maggio

    Abitanti: altamurani

    Come si raggiunge: A 14 Bologna-Bari poi SS 98 uscita Altamura

    Guardia medica: tel. 080 3108201

    Musei: Museo Archeologico Statale, via Santeramo 87 (8,30-13,30, 14,30-19,30); Museo della Civiltà Rurale

    Info turistiche: Coop. Archè ARL, via Garibaldi 16 tel. 080 3149622 www.cooparche.com

    Cenni storici

    Il luogo era forse chiamato in passato Alta Augusta; il nome attuale si riferisce alle alte mura che circondavano il centro nel XIII secolo.

    Sorta nel primo Medioevo su un precedente centro peuceta di nome Peteliia (cioè luogo elevato), la cittadina venne nominata Petella alta muris per lungo tempo finché la prima parola scomparve e rimase solo l’aggettivo in funzione nominale. Secondo alcuni, il nome originale di Altamura era invece Alta Augusta o, ancora, il toponimo potrebbe riferirsi alla figura mitica della regina Altea.

    I primi stanziamenti umani ad Altamura risalgono a circa 400.000 anni fa, come testimonia il famosissimo Uomo di Altamura, i cui resti sono stati rinvenuti nella grotta di Lamalunga. Già nel 500 a.C. circa, inoltre, le prime, altissime mura megalitiche vennero innalzate a cingere la cittadina: da qui, probabilmente, il nome Alta-mura. Anche ad Altamura, dopo le occupazioni saracene e franche, arrivò Federico II, il puer Apuliae, per mano del quale, come successe anche altrove, la cittadina sembrò rifiorire. Fu proprio lui che, devotissimo alla Madonna, fece innalzare anche qui una delle quattro basiliche costruite in Puglia per suo volere: la cattedrale.

    Grazie all’impulso dato alla cultura e alle arti da Federico II, che la dichiarò città libera (anche se posta sotto il dominio del re), Altamura diventò meta di copiosi pellegrinaggi, da parte di Greci, Ebrei, Arabi, Mori, Giudei che, quasi naturalmente, andarono ad accrescere, con le loro abitazioni, i già numerosi vicoli e vicoletti presenti nel suggestivo borgo antico, quasi sempre sfocianti nei claustri (letteralmente luogo chiuso, da cui le piazzette chiuse). Il claustro, tipico di Altamura, aveva al tempo stesso anche una funzione difensiva, perché, finto sbocco di un vicolo cieco, serviva a intrappolare i nemici, che cadevano sotto i numerosi trabocchetti approntati dai cittadini.

    Quando la città di Altamura, soggetta a diverse dominazioni, passò sotto il governo degli Orsini del Balzo, nel 1463 al precedente stemma della città venne sovrapposta una corona, a simboleggiare il dominio dell’imperatore Ferdinando I d’Aragona. Nel 1531 furono gli stessi altamurani a riscattare la libertà della loro città pagandola ben 20.000 ducati. Da quel momento Altamura riacquistò la sua autonomia municipale.

    Per la sua indomita bellezza, inoltre, la cittadina fu la dote di matrimonio della figlia dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, Margherita d’Austria. Non solo: la cittadina fu dotata, nel

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