Mr. Reeder indaga
By AA. VV.
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Mr. Reeder indaga - AA. VV.
185
Titoli originali: Red Aces, Kennedy the Can Man, The Case of Joe Attymar
Traduzione su licenza della Garden Editoriale s.r.l.
Prima edizione ebook: agosto 2013
© 2013 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-5219-9
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Gag srl
Edgar Wallace
Mr. Reeder indaga
Newton Compton editori
Assi rossi
1.
Quando un giovanotto è molto innamorato di una ragazza estremamente affascinante, è tipico che le attribuisca qualità e virtù che lei non ha mai posseduto. Eppure capita che a rari e penosi intervalli si insinuino nella sua anima alcuni orrendi sospetti e, in tali occasioni, è propenso a considerare la possibilità che la signora in questione sia colpevole delle più basse nefandezze e meschinità.
Tutti sapevano che Kenneth McKay era perdutamente innamorato. Era arcinoto, nella banca in cui trascorreva le giornate a contare il denaro degli altri, che una buona parte del tempo destinato all’intervallo di colazione veniva destinato alla stesura di appassionate e alquanto sgrammaticate lettere a Margot Lynn. Il suo taciturno genitore, sempre impegnato a rimuginare sulla sua passata ricchezza, nella bicocca di Marlow, sulla sponda del fiume, avrebbe potuto impiegare i pochi momenti che concedeva ai problemi altrui a riflettere sul nuovo interesse del figlio. Ma è quasi certo che non lo faceva mai perché George McKay era un egocentrico di prim’ordine e concentrava tutti i suoi pensieri solo sulla follia con la quale aveva dissipato il patrimonio accumulato con tanta cura e sull’elaborazione di fantastici schemi per il recupero del medesimo.
Per tutta la giornata, sia in estate che in inverno, se ne stava seduto nello studio di fronte a un mazzo di carte a elaborare sistemi su quello che lui definiva calcolo delle probabilità
, o ad azionare una piccola roulette di cui registrava i numeri vincenti.
Ogni mattina, sulla sua rumorosa motocicletta, Kenneth si recava a Beaconsfield e tornava alla sera, talvolta molto tardi, poiché Margot viveva a Londra. La ragazza viveva in un piccolo appartamento dove non poteva riceverlo, quindi mangiavano insieme nei ristoranti più economici e talvolta andavano a teatro. Kenneth era socio di un club londinese di poche pretese che tuttavia ospitava una sola anima sensibile. Infatti a eccezione di Rufus Machfield, il confidente in questione, non aveva amici.
– E lascia che ti consigli di non fartene nessuno qui – gli ripeteva Rufus.
Era un uomo sui quarantacinque anni dall’aspetto militaresco e la maggior parte delle persone lo riteneva decisamente noioso per gli indiscutibili pareri che distribuiva a destra e a manca su qualsiasi argomento, dalla politica alla religione, e che lui traeva ogni mattina dall’articolo di prima pagina del suo quotidiano preferito.
Rufus possedeva un elegante appartamento in Park Lane governato da un cameriere francese, due puledri che portava a spasso per il parco, e nessuna occupazione.
– Il Leffingham Club è a buon mercato – disse – è vicino a Piccadilly e il cibo non è male. Come rovescio della medaglia, c’è il fatto che praticamente chiunque non sia stato in prigione può diventarne membro...
– Eppure sono socio anch’io... – lo interruppe Ken.
– Tu sei un ragazzo di buona famiglia e hai frequentato il college – proseguì Machfield con la sua voce sonora. – Non sei ricco, lo ammetto...
– Lo ammetto anch’io – convenne Ken passandosi una mano sulla capigliatura ribelle.
Kenneth era alto, atletico e di bell’aspetto anche se non poteva essere definito proprio un Adone. Quella sera era passato al Leffingham soprattutto per vedere Rufus e confidargli le sue preoccupazioni. E le sue preoccupazioni erano enormi. Sembrava addirittura ammalato; il signor Machfield pensò che non avesse dormito bene. E il suo sospetto si rivelò fondato.
– Si tratta di Margot... – esordì il giovanotto.
Il signor Machfield sorrise.
Aveva conosciuto Margot quando aveva ricevuto la giovane coppia a cena a casa sua. Aveva invitato addirittura un paio di volte i due ragazzi a teatro.
– Abbiamo litigato, Rufus. È cominciato tutto una settimana fa. Era già un pezzo che quelle sue maniere reticenti mi turbavano. Perché diavolo non mi diceva cosa faceva per vivere? Non lo rivelerei mai ad anima viva se non a te... sembra orribilmente sleale nei suoi confronti, eppure non lo è. So che non possiede denaro suo eppure si permette un tenore di vita di mille sterline all’anno. Sostiene di essere la segretaria di un uomo d’affari ma l’ufficio in cui lavora è intestato a lei. Eppure ci va pochi giorni alla settimana e, oltretutto, per poche ore.
Il signor Machfield prese in considerazione la faccenda.
– E si rifiuta di dirti altro?
Kenneth si guardò attorno, nel salottino riservato ai fumatori. A eccezione di un inserviente impegnato a contare i sigari in un piccolo stipetto di mogano, erano soli. Abbassò la voce.
– E non lo farà mai più... L’ho vista con un uomo – disse. – Margot lo incontra clandestinamente!
Il signor Machfield lo fissò con aria dubbiosa.
– Oh... che tipo d’uomo?
Kenneth ebbe un istante d’esitazione.
– Beh, per dirti la verità, è anziano. In effetti mi sono accorto della tresca in modo proprio strano. Era domenica mattina e stavo facendo un giro in campagna. Margot mi aveva detto di non poter venire da noi... le avevo chiesto di pranzare a casa nostra a Marlow... perché sarebbe stata fuori Londra. Così andai a Burnham e mi attardai a esplorare un boschetto. Mi imbattei in due animali che stavano duellando... credo fossero ermellini selvatici... e avevo deciso di seguirli.
– Gli ermellini possono essere pericolosi – cominciò il signor Machfield. – Mi ricordo una volta...
– Ad ogni buon conto mi misi a seguirli armato di macchina fotografica. Poi vidi due persone, un uomo e una ragazza, che si allontanavano lentamente. L’uomo teneva il braccio attorno alle spalle di lei. Erano proprio belli a vedersi, così inquadrati da una chiazza di sole, con gli alberi come sfondo... un’immagine idilliaca. Misi a fuoco l’apparecchio e proprio mentre premevo il pulsante l’uomo si girò indietro e la ragazza si voltò: era Margot!
Il giovanotto si sfiorò il sopracciglio con la punta del fazzoletto. Rufus era alquanto divertito nel vederlo così agitato per un episodio talmente insignificante.
Kenneth buttò giù d’un fiato la sua bevanda; gli tremavano le mani.
– Era anziano... sulla cinquantina... di aspetto non sgradevole. Buon Dio! Li avrei uccisi entrambi! Margot era la freddezza in persona, benché avesse cambiato colore. Ma non cercò né di presentarmi né di fornire la minima spiegazione.
– Suo padre... – buttò lì Rufus.
– Non ha padre... nessun parente vivente a eccezione della madre che è invalida e vive a Firenze... o, quantomeno, io credevo così – sbottò Kenneth.
– Ma cosa hai fatto?
Il giovanotto si lasciò sfuggire un profondo sospiro.
– Praticamente niente... esclamai solamente: Che combinazione incontrarti!
. Poi mi disse che era proprio una bellissima giornata e quando le domandai che cosa volesse dire tutto ciò e cosa rappresentasse quell’uomo per lei, nel frattempo lo sconosciuto si era allontanato e ci aveva lasciati soli... lei si rifiutò nella maniera più assoluta d’aprir bocca. Girò sui tacchi e lo seguì.
– Straordinario! – commentò il signor Machfield. – Da allora l’hai più rivista?
Kenneth annuì cupamente.
– Quella stessa sera venne a Marlow. Mi pregò d’aver fiducia in lei... era davvero bellissima. Mi sembrava impossibile vederla lì, a casa mia. Quando scesi in soggiorno e me la trovai davanti, mi venne un accidente... la cameriera non mi aveva detto chi fosse quell’ospite improvviso e io l’avevo fatta aspettare.
– Allora? – incalzò l’amico.
– Allora – proseguì Kenneth alquanto goffamente – ci si deve fidare della persona che si ama. Margot mi raccontò che si trattava di un suo parente... fino a quel momento, come ti ho già detto, credevo che fosse sola al mondo.
– Con l’eccezione della madre che abita a Firenze... e il cui mantenimento costa dei bei soldoni, soprattutto se si tratta di un’invalida – rifletté Rufus passandosi una mano sul labbro superiore accuratamente rasato. – E adesso qual è il problema? Avete litigato?
Kenneth tirò fuori una lettera dalla tasca e la passò all’amico che l’aprì e la lesse.
Caro Kenneth, non intendo rivederti più. Mi si spezza il cuore nel dirtelo. Ti prego, non cercare d’incontrarmi... ti prego!
M.
– E questo quando è successo?
– Ieri sera. Naturalmente mi precipitai a casa sua. Non c’era. Allora corsi al suo ufficio. Non era nemmeno lì... Così arrivai in ritardo in banca ed ebbi una terribile girata dal direttore. Inoltre, a peggiorare le cose, c’è un tale che mi tormenta per farsi restituire duecento sterline... i guai arrivano tutti insieme... sai, avevo preso in prestito dei soldi per papà. Così, fra una cosa e l’altra, sono assolutamente disperato.
Il signor Machfield si alzò dalla poltrona.
– Vieni a casa mia a mangiare un boccone – lo invitò. – E per quanto riguarda quella somma...
– No, no, no! – Kenneth McKay sembrava in preda al panico. – Non li voglio in prestito da te... assolutamente no! Maledizione! Come vorrei scoprire chi è quel vecchio malefico e dargli una bella lezione! E tutta colpa sua! E stato lui a convincerla a troncare la nostra relazione.
– Non sai come si chiama?
– No. Può darsi che viva nelle vicinanze, ma non l’ho mai visto. Adesso intendo compiere delle indagini. – Poi cambiò di colpo argomento. – Conosci un tizio di nome Reeder... J.G. Reeder?
Il signor Machfield scosse il capo.
– E un investigatore privato – spiegò Kenneth. – Ha una grande esperienza nel campo bancario. Oggi è stato da noi... è un tipo davvero strano. Comunque, se lui è un investigatore, lo può essere chiunque!
Il signor Machfield disse che quel nome non gli giungeva nuovo.
– Si è occupato di quella rapina al treno, non è vero? J.G. Reeder... sì, adesso ricordo bene. Un tizio davvero intelligente. Giovane?
– È vecchio come... beh, è abbastanza avanti con gli anni. E ha dei modi alquanto antiquati.
– Perché l’hai menzionato? – domandò Machfield con interesse.
– Non lo so. Forse mi è venuto in mente a proposito di quelle indagini che intendevo compiere.
Rufus schioccò le dita all’indirizzo del cameriere e pagò il conto.
– Non so cosa ci sarà per cena, ma Lamontaine è un cuoco fantastico. Non sapeva di esserlo finché non l’ho convinto a cimentarsi in cucina.
Così i due raggiunsero il piccolo appartamento di Park Lane e Lamontaine, il pallido cameriere di mezz’età che parlava un inglese perfetto senza traccia d’accento straniero, preparò un pranzo che giustificò gli elogi del suo padrone, nel corso del quale riaffiorò di nuovo il nome del signor Reeder.
– Cosa l’ha portato a Beaconsfield... c’è qualche problema alla tua banca?
Rufus vide il giovanotto arrossire.
– Beh... ci sono stati degli ammanchi... non grosse somme... in merito ai quali ho una mia opinione ben precisa, ma non sarebbe corretto... beh, cerca di capire...
Come discorso non era certo molto chiaro, ma il signor Machfield non se la sentì d’insistere.
– Comunque, io odio la banca... il lavoro, voglio dire. Ma devo pur fare qualcosa e, quando ho lasciato il college di Uppingham, papà mi ha sistemato in banca, intendo. Poveretto, ha perso tutto il suo patrimonio a Monte Carlo o da qualche altra parte... somme enormi. Nessuno crederebbe che è stato un grosso giocatore. Non che mi piaccia lamentarmi, ma talvolta è difficile da sopportare.
Il signor Machfield lo accompagnò alla porta e rabbrividì.
– Fa freddo... non mi sorprenderebbe se dovesse nevicare – commentò.
Ma in effetti la neve arrivò soltanto una settimana dopo. Cominciò come pioggia e, durante la notte, si trasformò in neve. Al mattino quelli che vivevano in campagna aprirono gli occhi su un paesaggio immacolato: alberi rivestiti di una nuova bellezza e siepi che si piegavano sotto le folate di un vento gelido.
2.
C’era un’auto che arrivava dalla direzione di Beaconsfield. Il cavaliere, immobile nel centro della strada innevata, fissava le luci che si facevano sempre più brillanti. Proprio in quel momento, nel riverbero dei fari, il conducente della vettura scorse un poliziotto a cavallo in mezzo alla via, lo vide alzare la mano guantata e fermò la macchina, impresa non facile perché il manto stradale si era trasformato in una lastra ghiacciata sulla quale era andato a deporsi un sottile e infido strato di neve fresca.
– Qualcosa non va...
Il conducente aveva appena cominciato a formulare la domanda quando si accorse di una figura infagottata sul terreno, floscia come un sacco svuotato: a una prima occhiata non aveva nulla di umano.
Il conducente saltò giù e si fece strada fra la neve gelata.
– Lo avevo appena notato quando vi ho visto – fece il poliziotto. – Vi spiacerebbe girare appena un po’ l’auto sulla destra? Vorrei che lo illuminaste con i fari.
Girò sui tacchi e si accostò con passo pesante al punto in cui giaceva l’uomo.
Il secondo occupante della macchina si mise al volante e, pur con una certa difficoltà, voltò la vettura in maniera che i fari illuminassero quella raccapricciante visione.
Il cavallo del poliziotto si era portato di fianco all’auto e continuava a scrollare il muso con fare indifferente... era l’unico a non essere preoccupato.
Prendendolo per le briglia con mano tremante, il secondo uomo uscì dalla macchina e si unì agli altri due.
– È il vecchio Wentford! – esclamò il poliziotto.
– Wentford... Mio Dio!
Il primo dei due automobilisti si inginocchiò di fianco al corpo esanime e cominciò a studiarne il volto alterato da una smorfia orribile.
Il vecchio Benny Wentford!
– Mio Dio! – ripetè.
Si trattava di un avvocato di mezza età, non avvezzo a simili orrori. La cosa più terribile che avesse turbato la sua tranquilla esistenza era stata qualche sporadica lite con il segretario del club di golf al quale era iscritto da tempo immemorabile. E ora si trovava faccia a faccia con la morte, violenta e mostruosa... un uomo senza vita sulla strada bianca di neve... un uomo che gli aveva telefonato due ore prima, pregandolo di lasciare una festicciola e di raggiungerlo benché avesse ricominciato a nevicare.
– Conoscevate il signor Wentford... mi ha parlato di voi.
– Sì, lo conosco. Sono andato spesso a casa sua... in effetti ci sono stato anche stasera, ma era tutto chiuso. Aveva preso degli accordi particolari col mio capo... hmm!
Il poliziotto continuò a fissare per un attimo il cadavere, le mani appoggiate sui fianchi.
– Voi rimanete qui... io andrò a telefonare alla centrale – disse.
– Beh... non pensate sia meglio che ci andiamo noi? – domandò con una punta di nervosismo il signor Enward, l’avvocato, il quale non aveva nessuna voglia d’essere lasciato solo di notte con un povero cadavere martoriato e un impiegato il cui tremito era quasi percettibile.
– Non sareste in grado di girare la macchina – obiettò il poliziotto. Il che corrispondeva a verità, poiché la strada in quel punto era davvero molto stretta.
– È morto, signor Enward? – si intromise il giovane impiegato con un filo di voce.
– Sì... mi pare proprio... e poi così ha detto il poliziotto.
– Non dovremmo sincerarcene? Potrebbe essere soltanto... svenuto...
Il signor Enward aveva visto il volto nell’incavo di una spalla appena sollevata e non desiderava rivederlo un’altra volta.
– Meglio lasciarlo com’è fino all’arrivo di un dottore... è meglio non interferire in simili faccende. Wentford... mio Dio!
– È sempre stato un po’ eccentrico, non è vero? – L’impiegato era molto giovane e, poiché la curiosità è il tonico della gioventù, aveva riacquistato parte del suo coraggio. – Vivere da solo in quella villetta con tutti i suoi soldi! Domenica scorsa ci sono passato davanti in bicicletta... una scatola di cemento, ecco come l’ha definita la mia mogliettina. Con tutti i suoi soldi...
– E morto, Henry – lo redarguì il signor Enward con aria severa – e una persona trapassata non possiede alcuna proprietà. E inoltre mi pare... hmm... indelicato parlare di lui in sua... hmm... in sua presenza.
A quel punto l’anziano avvocato ebbe l’impressione che avrebbe dovuto esternare qualche emozione. Ma non era sua abitudine lasciarsi andare per quanto riguardava i clienti... e figuriamoci se avrebbe potuto farlo ora, per quel vecchio avaraccio. Però qualche preghiera non sarebbe stata comunque fuori posto. Tuttavia da anni il signor Enward era amministratore della locale chiesa episcopale ed erano gli altri a pregare per lui. Se almeno fosse stato un eretico– ma non lo era. Desiderò avere con sé un libro di preghiere.
– Ormai se n’è andato da un pezzo.
In realtà il poliziotto non poteva essere a più di mezzo chilometro di distanza, ma sembrava trascorso un enorme lasso di tempo da quando era partito.
– Ha degli eredi? – domandò il giovane impiegato con tono professionale.
Il signor Enward non rispose. Anzi, propose di spegnere i fari della macchina. Illuminavano quel corpo con troppa crudezza. Henry obbedì. Cadde un buio impenetrabile quando i fari vennero spenti e la vista faceva strani scherzi: per un attimo sembrò quasi che quell’ammasso informe si muovesse. Il signor Enward ebbe addirittura l’impressione che quel grugno stravolto gli avesse ammiccato furbescamente da sopra la spalla.
– Riaccendete di nuovo i fari, Henry – fece la voce dell’avvocato alquanto malferma. – Non vedo quello che faccio.
Anche se non stava facendo nulla, provava la raggelante sensazione che il morto si stesse comportando in modo strano. Eppure era sempre lì immobile, in mezzo alla coltre di neve.
– Dev’essere stato assassinato. Chissà adesso quelli dove si sono cacciati? – domandò Henry sempre con un filo di voce mentre uno spiacevole brivido correva lungo la spina dorsale del signor Enward.
Assassinato! Certo che era stato assassinato. C’era del sangue sulla neve, e gli assassini erano...
Si guardò nervosamente alle spalle e fu sul punto di mettersi a gridare: c’era un uomo proprio dietro alla macchina.
– Chi... chi siete, per favore? – gracidò l’avvocato.
Aveva aggiunto per favore
perché era meglio non essere scortese con chi avrebbe potuto essere un assassino.
La figura avanzò verso la luce. Era leggermente curvo e ancora più anziano del signor Enward. Portava un cappello a tesa floscia, un lungo tabarro e dei guanti voluminosi e informi. Attorno al collo spiccava un’enorme sciarpa gialla e aveva delle scarpe grosse, col tacco quadrato, e un ombrello ostinatamente agganciato al braccio nonostante la neve avesse ripreso a cadere fitta.
– Purtroppo la mia macchina si è guastata a un chilometro da qui – esordì lo sconosciuto con fare gentile, quasi volesse scusarsi. Era ovvio che ancora non aveva visto il fagotto in mezzo alla strada. – Sbaglio o anche voi vi siete venuti a trovare nella medesima situazione? – riprese il nuovo arrivato. – Ero... ero, per così dire, impreparato alle condizioni della strada. È stato davvero imperdonabile da parte mia...
– Avete incrociato il poliziotto? – domandò il signor Enward.
Chiunque fosse quello sconosciuto, qualsiasi fossero il suo temperamento e le sue intenzioni, era opportuno che sapesse che c’era un poliziotto nei paraggi.
– Quale poliziotto? – L’uomo dal cappello floscio sembrò sorpreso. – No, non ho incrociato nessun poliziotto. Considerata la velocità della mia macchina ad ogni buon conto, era praticamente impossibile raggiungere qualcuno...
– Veniva verso di noi... a cavallo... un poliziotto a cavallo – spiegò il signor Enward rapidamente. – Ha detto che sarebbe tornato presto. Io mi chiamo Enward... sono avvocato... della Enward, Caterham & Enward.
Sentì che adesso poteva lasciarsi andare.
– Piacere – mormorò l’altro. – Comunque ci siamo già incontrati. Mi chiamo Reeder... R, doppia E, D, E, R.
Il signor Enward fece un passo in avanti.
– Siete proprio il famoso investigatore? Ecco perché mi sembrava d’avervi già visto... guardate!
Si tolse dalla visuale e quell’ammasso sul terreno emerse dall’ombra. L’avvocato si esibì in un gesto drammatico. Il signor Reeder avanzò lentamente, si chinò accanto al cadavere, estrasse una torcia elettrica dalla tasca e gliela puntò sulla faccia. Per diverso tempo restò lì, assorbito nell’osservazione, senza manifestare reazione alcuna.
– Hmm... – fece rialzandosi e ripulendosi il ginocchio dalla neve.