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Come conoscere e combattere la depressione
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Come conoscere e combattere la depressione
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Come conoscere e combattere la depressione

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About this ebook

La malattia del secolo
Comprenderla e curarla si può

La depressione è un disturbo che può manifestarsi in diverse forme e momenti nella vita delle persone, inducendo una perdita della capacità di provare piacere e dell’energia necessaria ad affrontare la vita.
Una condizione di sofferenza che, se protratta a lungo, può arrivare a dare il desiderio di togliersi la vita. Milioni di persone al mondo subiscono le conseguenze di questo disturbo dell’umore. Alcuni convivono con la depressione cronicamente, altri ne sono vittime in modo ricorrente, spesso senza riuscire a comprenderne il motivo. Ma qual è l’origine della depressione? Quali sono i danni che può provocare a livello personale, relazionale, sociale e lavorativo? E soprattutto, è ancora un tabù sociale tanto da indurci a non parlarne? Come si può aiutare un nostro amico e familiare a farsi curare?
In questo libro sono esposti in modo chiaro e semplice i diversi e più importanti fattori biologici, psicologici e sociali che contribuiscono alla nascita di questo disagio e che consentono di comprendere e rispondere nel modo più adeguato alle diverse forme di depressione.

Milioni di persone nel mondo sono afflitte dalla depressione

Un libro utilissimo che è già un primo fondamentale passo per conoscere e sconfiggere questo male oscuro.


Elena Barbàra
medico psichiatra e psicoterapeuta con formazione sistemico-relazionale, si è occupata di disturbi del comportamento alimentare, psicosomatica, disturbi di personalità, psicosi e tossicodipendenze. Attualmente lavora per il Dipartimento Dipendenze della ASL di Milano. Per la Newton Compton ha pubblicato 101 cose che devi sapere per combattere l’insonnia e Come conoscere e combattere la depressione.
LanguageItaliano
Release dateDec 16, 2013
ISBN9788854149205
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    Come conoscere e combattere la depressione - Elena Barbàra

    PARTE PRIMA

    ALTERAZIONI DELL’UMORE:

    DAL BLU AL PROFONDO BLU

    DEPRESSIONE,

    LA MALATTIA DEL SECOLO

    Perché tutti sono felici tranne me? Cosa mi sta succedendo, io non ce la faccio più. Tutti si divertono, io non ci riesco. Sono sano, ho una famiglia, ma nonostante ciò non sono felice. Vorrei poter provare una bella sensazione, condividere i sentimenti che forse ho…

    Quanto è diffusa la depressione?

    La depressione è un disturbo della sfera psichica divenuto solo recentemente noto a gran parte della popolazione, ma vecchio come il mondo. Fino a pochi anni fa con la terribile e indefinita locuzione esaurimento nervoso si intendevano diverse e varie alterazioni psichiatriche. Fonte di sofferenza, disagio e vergogna per le famiglie colpite, spesso venivano nascoste o portate all’attenzione di esorcisti o maghi prima di consultare il medico. D’altra parte, prima che venissero sintetizzate molecole antidepressive efficaci, le cure psichiatriche erano non solo di dubbia efficacia, ma a volte di scarsa civiltà. La diffusione di efficaci farmaci antidepressivi ha consentito lo sviluppo di un modello della depressione come disfunzione organica e la nascita della psichiatria come disciplina medica a sé stante, che riguardava non più solo gli alienati, ma anche le persone comuni, che venivano curate nel loro territorio di appartenenza e non più segregate in manicomio. Parallelamente la nascita di numerose teorie psicologiche sulla natura dei disturbi psichici ha consentito una visione della depressione come disagio esistenziale associato a eventi di vita precoci o attuali. Questa emancipazione ha reso possibile la formazione di una cultura della depressione che rende il fenomeno centro di dibattiti e attenzione da parte dei servizi sanitari e l’oggetto di discussione e scambio tra comuni cittadini colpiti dal fenomeno. L’isolamento e la vergogna delle famiglie con un membro colpito da esaurimento sembra ormai appartenere sempre più al passato e finalmente le persone depresse possono essere considerate con dignità e accedere a cure efficaci e gratuite. I dati sulla diffusione della depressione sono impressionanti. A quanto risulta dal recente studio mondiale effettuato dall’Organizzazione mondiale della sanità la patologia colpisce nel mondo 121 milioni di persone. Questo disagio è notevole causa di disabilità, poiché influisce negativamente sulle capacità lavorative, sullo stato di salute generale e sulle relazioni di chi ne soffre, oltre a essere una delle principali cause delle morti per suicidio. I dati che riguardano questo drammatico evento sono altrettanto sconcertanti, infatti le morti ogni anno sono 800.000 e riguardano, in oltre la metà dei casi, persone tra i quindici e i quarantaquattro anni, rappresentando una delle più frequenti cause di decesso in queste fasce d’età. È previsto che nel 2020 la depressione sarà la più diffusa al mondo tra le malattie mentali e, in generale, la seconda malattia più diffusa dopo le patologie cardiovascolari.

    Chi colpisce la depressione?

    La depressione è un disagio trasversale che colpisce tutte le classi sociali, tutte le etnie, tutte le fasce d’età, in tutte le epoche. Alcuni fattori di rischio predispongono maggiormente allo sviluppo di disturbi di area depressiva, ad esempio la presenza di disturbi dell’umore nei famigliari, condizioni di svantaggio sociale, storie infantili di abbandono, lutto, traumi non elaborati ecc. Le donne sono più colpite rispetto agli uomini, anche se alcuni autori ritengono che i criteri diagnostici attualmente utilizzati per la depressione tendano a sottostimare il fenomeno maschile, poiché riguarderebbero manifestazioni del disagio culturalmente associate al femminile. La perdita del partner, sia essa dovuta a morte, divorzio o separazione, è uno dei fattori scatenanti più comuni.

    La depressione è un problema che riguarda la nostra epoca e i Paesi ricchi?

    La depressione è un male che colpisce con manifestazioni in parte diverse, influenzate dalla cultura sociale di appartenenza. Nella nostra epoca il disturbo è noto, molte più persone sono informate della sua esistenza e addestrate a riconoscerne i sintomi, tende quindi a essere avvertito e diagnosticato maggiormente. Alcuni aspetti del consumismo certamente possono indurre vissuti di vuoto e di insoddisfazione, ma ancora di più le difficili condizioni di vita dei Paesi in via di sviluppo possono favorire sentimenti di sconfitta e impotenza. Non bisogna dunque confondere le cause scatenanti con il disturbo: a parità di condizioni frustranti, che siano connesse ad aspetti patogeni della società consumista, o alle difficoltà di vita delle società in via di sviluppo, non tutti si ammalano di depressione. Il disturbo ha una genesi complessa che si innesta su una condizione di vulnerabilità psicologica e biologica. Di certo le condizioni di vita possono avere un effetto sfavorevole sia sull’espressione dei geni coinvolti nella depressione, sia come fattori stressanti in grado di scatenare eventi depressivi.

    L’UMORE

    Perché l’umore può cambiare senza ragione apparente? Perché di punto in bianco ci si può sentire tristi, spenti e plumbei, senza che sia accaduto qualcosa di preciso? Quali sono le cause (chimiche, psicologiche, esterne) degli oscillamenti nell’umore? Cos’è che può condurre una persona a un inequivocabile malumore, anche senza cause apparenti?

    Che cos’è l’umore?

    L’umore è una funzione psichica complessa che conferisce una tonalità affettiva alla nostra esperienza soggettiva. La depressione è una sindrome, ovvero un insieme di sintomi che si presentano aggregati in modo più o meno costante, e fa parte di un più vasto gruppo di disturbi detti disturbi dell’umore.

    Da cosa dipende l’umore di una persona?

    L’umore dipende da aspetti genetici, temperamentali, dalla personalità, dal profilo psicologico, da moltissime condizioni ambientali, incluso il clima e la quantità di luce assorbita giornalmente, l’alimentazione, la qualità e la durata del riposo notturno, le condizioni di vita, lo stato metabolico e ormonale dell’organismo, le relazioni primarie e attuali e il tipo stesso di persone con le quali si passa il tempo, l’idea di sé e del mondo sviluppata nel corso dello sviluppo, la quantità di stress e frustrazioni o di soddisfazioni, insomma da moltissime variabili.

    Come può essere l’umore?

    L’umore può assumere diverse gradazioni tra la polarità alta dell’espansività, euforia e allegria e quella bassa della tristezza, depressione e disperazione, passando per stati di umore neutro o normale e stati di irritabilità, nervosismo e malumore detti disforici.

    L’umore depresso, così come quello euforico non corrisponde alle sindromi depressiva da un lato e a quella maniacale dall’altro. Infatti un isolato umore depresso può, ad esempio, essere fisiologicamente associato ad alcuni eventi, come un lutto o una separazione. Allo stesso modo un umore euforico può essere associato a una promozione, a una vincita o a una vittoria sportiva, senza costituire in alcun modo un evento patologico.

    La depressione e la mania sono invece sindromi, ovvero complessi di sintomi, che riguardano non solo l’umore, ma anche i processi di pensiero, il movimento, l’assetto neurobiologico ormonale e metabolico dell’organismo, l’alimentazione, il sonno e il desiderio sessuale. Il nostro modo di percepire noi stessi e la realtà può modificarsi anche drasticamente in accordo col nostro umore di fondo. Un umore normale non è perturbato da eventi di piccola entità e scarsamente significativi, è dunque tendenzialmente stabile e non è pervasivo, è un sottofondo che può essere neutro, triste o allegro, ma non così pesante da interferire con una corretta attività motoria, cognitiva e affettiva.

    Quali funzioni vengono condizionate dall’umore?

    L’attività motoria può essere profondamente influenzata dall’umore riducendosi quando l’umore è depresso (dalla perdita di energie e voglia di compiere le attività quotidiane, fino alla catatonia caratterizzata da un blocco motorio completo) e aumentando quando l’umore è elevato (iperattività fino all’agitazione psicomotoria). Allo stesso modo i processi cognitivi, ovvero le funzioni di pensiero astratto, come la cognizione di noi stessi e della realtà, le valutazioni che il nostro cervello compie costantemente e automaticamente, possono risentire drammaticamente delle alterazioni dell’umore. Un umore sulle polarità espansive produrrà infatti valutazioni ottimistiche e positive, mentre un umore basso produce un tipo di pensiero pessimistico e negativo. Queste modalità di pensiero possono assumere aspetti deliranti fortemente impregnati della tonalità affettiva di base in caso di alterazioni dell’umore particolarmente gravi. Ad esempio i deliri mistici in corso di episodi maniacali, nei quali la percezione di sé è a tal punto elevata che si può perdere il contatto con la realtà e pensare di essere gli eletti da Dio; o sul polo opposto i deliri di rovina, nel corso dei quali la melancolia e i sensi di colpa possono diventare tali da indurre a ritenersi responsabili di guerre e tragedie.

    Che cos’è l’affettività?

    L’affettività è una funzione psichica che regola le reazioni agli eventi e il comportamento derivante e rappresenta l’atteggiamento psicomotorio globale che emerge dalle condizioni emotive sottostanti. L’affettività è il risultato della complessa interazione tra le emozioni – ovvero stati psicofisici che nascono come risposta ad eventi salienti (paura, rabbia, gioia, dolore, disgusto) – la tonalità dell’umore che accompagna l’emozione stessa, il sentimento – ovvero la spiegazione logico-cognitiva dello stato emotivo – e il comportamento che ne risulta. Ad esempio un bambino dal temperamento introverso che si troverà in presenza di estranei potrà avere una reazione emotiva di paura, che vivrà come un sentimento di inibizione e timidezza e avrà conseguentemente comportamenti difensivi e ritirati. L’affettività di un simile bambino sarà inibita ed esprimerà un umore triste derivante da un’emozione di paura. Sui nostri stati affettivi possiamo avere un controllo più o meno efficace a seconda delle caratteristiche di temperamento, personalità e l’apprendimento nel corso delle relazioni precoci. L’umore normale è relativamente stabile, questo è possibile quando il soggetto ha appreso la capacità di regolare i propri stati affettivi all’interno di relazioni primarie nel corso delle quali ha sperimentato sicurezza. In caso contrario il soggetto tenderà a subire i propri stati affettivi con scarse capacità di controllo su di essi e a sviluppare disturbi dell’affettività.

    TRISTEZZA O DEPRESSIONE?

    DAL BLU AL PROFONDO BLU

    Ma c’è differenza tra depressione e tristezza? Lo so, può sembrare ovvia e banale la domanda, ma in realtà me lo sono chiesta spesso: ma qual è il confine tra le due cose? Come faccio a sapere se ho la tristezza cronica o la depressione?

    Che differenza c’è tra tristezza e depressione?

    Gli anglosassoni utilizzano l’espressione to feel blue, sentirsi blu, per rappresentare uno stato di malinconia, di sottile tristezza. Da questa espressione deriva il nome del genere musicale blues, nato nella comunità afroamericana dopo la fine della schiavitù, ai tempi della segregazione razziale. I testi blues narravano di storie intime e struggenti, di solitudine e di dolori dell’anima. La psichiatria ha preso in prestito questa espressione per riferirsi ad alcune lievi e comuni alterazioni dell’umore, come il maternity blues, ovvero il sentimento di vuoto e infelicità provato da molte donne nel periodo immediatamente successivo al parto o il winter blues, la malinconia che coglie molte persone all’arrivo dell’inverno e all’accorciarsi delle giornate e delle ore di luce. Questi disturbi assomigliano al comune sentire, alla qualità di tristezza che ogni essere umano necessariamente prova nel corso della propria vita. Sono stati definiti utilizzando un modo di dire appartenente al linguaggio colloquiale, proprio per rimarcare la qualità sfumata e non pervasiva di queste condizioni dell’umore. La tristezza è uno stato emotivo, ovvero uno stato fisiologico e psicologico associato a una tonalità affettiva. L’emozione si attiva in seguito a un evento scatenante, solitamente perdite, sconfitte, rimproveri e disapprovazione e orienta le nostre scelte e azioni successive. L’umore triste è transitorio e non interferisce con il nostro benessere psicologico e funzionamento sociale, lavorativo e affettivo. La depressione è invece una sindrome, ovvero un complesso di sintomi. Tra i sintomi depressivi è spesso (ma non sempre!) incluso uno stato di tristezza, a questa si associano alcuni sintomi psichici altamente disturbanti (sensi di colpa, sentimento di inadeguatezza, perdita di interesse, incapacità a provare piacere) e alcuni sintomi somatici (mancanza di energie, calo del desiderio sessuale) di impatto decisamente negativo per la sopravvivenza della specie e per l’adattamento dell’individuo. Chi soffre di depressione si sente bloccato, incapace di affrontare la vita, perde l’appetito e il sonno e può giungere a stati di prostrazione a volte molto gravi, a volte tali persino da richiedere il ricovero o indurre a tentare il suicidio. Insomma, la differenza tra tristezza e depressione, tra blu e profondo blu, è sostanziale. Mentre la tristezza è una condizione psicologica normale e utile a migliorare l’adattamento all’ambiente e ad affrontare lo stress, la depressione è una patologia che rientra tra i disturbi dell’umore e come tale deve essere trattata. Vedremo più avanti, per rispondere esaustivamente al quesito del forum, come si può interpretare una condizione di tristezza cronica in assenza di altri sintomi depressivi.

    A che serve la tristezza?

    La tristezza appartiene alla gamma delle emozioni umane. Si tratta cioè di uno stato psicofisico comunemente presente nell’esperienza di chiunque che ha un preciso significato biologico ed evolutivo. La tristezza è infatti indotta da eventi spiacevoli e ci permette di catalogare le esperienze che la generano come indesiderate e di agire in modo tale da evitare che si ripetano. Si pensi ad esempio alla tristezza prodotta in un bimbo da un rimprovero della sua mamma per il classico dito nella presa della corrente. Il rimprovero servirà per indurre il bambino a non ripetere ciò che ha fatto arrabbiare e dispiacere la mamma, apprenderà dunque, attraverso il sentimento di tristezza prodotto in lui dal rimprovero, che il dito nella presa della corrente è un’azione sfavorevole al suo benessere psicologico. In seguito, quando svilupperà le capacità logiche, potrà comprendere anche che si tratta di un’azione pericolosa. Secondo un’altra teoria la tristezza servirebbe a poter fare il punto della situazione, sarebbe dunque un segnale che qualcosa non va come dovrebbe e ci permetterebbe di correggere alcuni comportamenti che ci stanno danneggiando. Si pensi al dolore psichico che accompagna la crisi di una relazione o al sentimento di infelicità che si prova quando si fa un lavoro poco gratificante. È proprio la tristezza il segnale che ci induce al cambiamento di una situazione spiacevole o non più desiderabile. È stato anche ipotizzato che la tristezza serva a segnalare agli altri membri della comunità uno stato di bisogno, sollecitando un intervento di aiuto e protezione. Pensiamo alla reazione che ci suscita la visione di un volto triste: accende immediatamente in noi l’istinto di protezione, un antico istinto cooperativo volto al sostegno dei membri più vulnerabili del branco. Dunque la tristezza non solo non è un fatto patologico, ma è al contrario uno stato emotivo utile che si è sviluppato e conservato nella nostra storia evolutiva poiché favorisce la sopravvivenza della specie.

    LA DIMENSIONE DEPRESSIVA

    È difficile razionalizzare il groviglio di problemi che abita nella mia mente. Sono come sabbie mobili che mi stanno inghiottendo o, per dirla con Sylvia Plath, è come se stessi all’interno di una campana di vetro che mi opprime e mi impedisce di vivere. Ormai è da circa tre anni che sono bloccata in questa situazione e ho la sensazione di aver perso le redini della mia vita o che qualcuno la stia vivendo al posto mio. Ho quasi venticinque anni e mi sento vecchia e senza futuro, piena di rimpianti. Non riesco ad accettarmi nella mia mediocrità fisica e intellettuale, nella mia passività e fragilità. Sono in perenne lotta con me stessa. Da questo scaturisce ovviamente una forte insicurezza e un senso di inadeguatezza, che non mi fa di certo brillare nel rapporto con il mondo esterno.

    Che cosa hanno in comune le diverse forme di depressione?

    Per dimensione depressiva s’intende l’insieme delle manifestazioni di alterazione dell’umore che dalla normalità conducono alle diverse espressioni patologiche relative alla sfera della depressione. La tristezza, il temperamento depressivo, alcuni disturbi di personalità fondati su una visione depressiva di sé e della realtà, la distimia – il cronico sentimento depressivo – e le forme depressive maggiori fino a quelle psicotiche, vertono infatti intorno ad alcuni nuclei centrali di significato, i nuclei depressivi. La tristezza, lo sconforto o il sentimento di paralisi e incapacità ad affrontare la realtà che sostengono la sofferenza psichica nelle forme patologiche nascono infatti da reazioni a eventi reali o simbolici di perdita o di sconfitta. Eventi che richiamano questi cardini concettuali possono attivare un pensiero depressivo fondato su una visione negativa di sé di inettitudine, indegnità e colpa, pessimismo per il futuro e concezione della realtà come inaffrontabile e soverchiante. La dimensione depressiva riguarda dunque le diverse modalità con le quali si manifestano sentimenti di schiacciamento, impotenza, incapacità di modificare la realtà, mancanza di prospettive, irreversibilità.

    In che modo la depressione influisce sulla salute mentale?

    I disturbi depressivi dell’umore interferiscono in vario grado con l’espressione delle potenzialità personali e l’adattamento all’ambiente, producendo, nei casi più gravi, una vera e propria disabilità. Il sentimento depressivo può essere caratterizzato da tristezza o sostituito da vissuti di vuoto, noia, mancanza di progettualità, mancanza di autostima e riconoscimento delle proprie potenzialità, apatia, assenza di ambizioni. La dimensione depressiva è la dimensione del blocco, del ristagno, della mancanza di prospettive. In questa dimensione si possono attivare comportamenti ripetitivi, immutabili, che tendono a occupare il tempo vuoto del soggetto, come le dipendenze o i disturbi del comportamento alimentare. Molti sintomi comportamentali hanno la loro matrice nel sentimento di impotenza, nell’idea di non poter avere un’incisività sul presente e un futuro nel quale potersi affermare, nell’incapacità di adattamento alle richieste sociali, sentite come eccessive rispetto alle proprie capacità. In queste condizioni la ricerca di piacere e gratificazione immediate possono rappresentare un tentativo di sottrarsi alla condizione di dolore psichico.

    Perché la depressione riguarda spesso periodi di transizione?

    Questo sentimento di inadeguatezza e impotenza può sorgere più facilmente in fasi di transizione tra epoche della vita, quando è richiesto di dimostrare le proprie abilità tramite il corretto adattamento alle nuove richieste ambientali. I soggetti che non si sentono efficaci, capaci tendono a ristagnare, perdere tempo a subire la realtà non sentendosene mai padroni, non avendo mai un sentimento di controllo su di essa. La persona depressa vive un tempo vuoto di significato, privo di prospettive, di speranze e del quale non si sente padrona.

    Perché la perdita induce depressione?

    Per garantire la sopravvivenza dei cuccioli esiste un repertorio innato di emozioni e comportamenti istintivi che favoriscono l’accudimento e la ricerca di vicinanza reciproca tra adulti e piccoli. La disponibilità affettiva dell’adulto significativo produce benessere e gioia nei piccoli e favorisce la ricerca di vicinanza e così la nutrizione e la protezione dei cuccioli. Al contrario la mancata disponibilità dell’adulto deputato alla protezione, nutrizione e accudimento genera nel piccolo sentimenti di disperazione, mancanza, perdita e comportamenti che tendono a richiamare le cure, come il pianto, poiché il piccolo, in assenza di un adulto, non ha possibilità di sopravvivenza. Questo sistema istintivo che guida le relazioni tra piccoli e adulti, prevalentemente la madre, è detto sistema dell’attaccamento. Un attaccamento sicuro è l’esito di un rapporto tra genitori e figlio che garantisce tranquillità nel piccolo, la fiducia in sé e i comportamenti attivi di esplorazione. Un simile bambino anche in caso di allontanamento fisico del genitore non svilupperà sentimenti di disperazione, poiché ha avuto esperienze di rapporti di cura affidabili e costanti. I soggetti che tendono a sviluppare depressione spesso hanno invece sperimentato scarsa disponibilità affettiva da parte degli adulti significativi. Ad esempio, assenze prolungate o morte di uno o entrambi i genitori non compensate da relazioni sostitutive sicure e tranquillizzanti; genitori attenti ai bisogni materiali del figlio, ma non a quelli emotivi; atteggiamenti distanzianti nei genitori e modalità educative basate su punizioni fisiche, o privazione dell’affetto in caso di errore; genitori malati fisicamente o psicologicamente che hanno indotto il bambino a raggiungere una precoce autonomia all’interno di una relazione nella quale i ruoli sono capovolti e il bambino si trova a dover accudire il proprio genitore, possono essere alla base di vulnerabilità depressiva al tema della perdita. Tutte queste condizioni inducono da una parte sentimenti di disperazione e di indegnità per aver suscitato la repulsione nell’adulto, e dall’altra un senso di precarietà, bisogno e minaccia. Questi sentimenti possono essere rievocati da eventi reali o simbolici nei quali si rinnova la perdita che riattivano il sistema dell’attaccamento che governa le relazioni intime ed è caratterizzato, in questi soggetti, da una specifica vulnerabilità depressiva.

    In che modo una sconfitta reale o simbolica può indurre uno stato depressivo?

    Tra gli eventi scatenanti l’insorgenza dell’episodio depressivo accanto a lutti e separazioni, eventi che causano una perdita affettiva, si osservano spesso insuccessi lavorativi, perdite del ruolo sociale, o fallimenti economici, condizioni di sconfitta sociale o disfatta. Il comportamento delle persone depresse ha delle analogie con alcuni atteggiamenti propri degli animali sconfitti in una competizione. Ad esempio tra i primati l’animale vinto dichiara la sottomissione attraverso la postura ingobbita, il capo chino, le spalle curvate in avanti, il rallentamento motorio, mentre il vincitore della contesa ha i muscoli tonici e tesi, le spalle allargate, il capo eretto. L’istinto alla competizione tra pari è innato e il repertorio di comportamenti e affetti relativo a questo istinto si chiama sistema agonistico e si attiva in condizioni di competizione e confronto. La sconfitta genera sentimenti di dolore, vergogna e umiliazione, mentre vincere una contesa, anche simbolica, produce piacere, soddisfazione e orgoglio. Il sentimento di sconfitta attiva nei soggetti predisposti alla depressione un’idea di perdita, che rappresenta, come già esposto, il nucleo concettuale del disturbo depressivo. Infatti il giudizio negativo che chi è depresso ha di sé verte sui difetti, sull’indesiderabilità e l’inadeguatezza che lo renderebbero disprezzabile e deprecabile agli occhi degli altri, facendogli perdere l’affetto o la considerazione di essi. Questa connessione tra sconfitta e perdita dell’affetto dell’altro significativo è appresa dai soggetti depressi in contesti di crescita nei quali la vicinanza affettiva viene subordinata ad alcune prestazioni del bambino, che in caso di fallimento rispetto alle aspettative, non riceve conforto, ma viene abbandonato a se stesso, distanziato o umiliato. Da adulti questi soggetti cercheranno di guadagnarsi la vicinanza e l’affetto degli altri attraverso la ricerca di successo sociale e vivranno una perdita del ruolo come la perdita dell’affetto, reagendo con vissuti depressivi di vario grado

    Che cos’è il dolore mentale?

    Le diverse condizioni che fanno parte della dimensione depressiva sono caratterizzate dalla presenza di una condizione di dolore mentale.

    Il dolore mentale è un’emozione spiacevole, a volte opprimente, associata alla percezione di un dispiacere passato o attuale o che prospetta una sofferenza futura. La mente e si attiva per cercar di realizzare il massimo di benessere e il minimo di malessere all’interno dell’ambiente in cui il soggetto vive. Il dolore mentale sarà dunque un potente stimolo alla ricerca di sollievo, un forte motivatore verso comportamenti che tendono a sottrarsi dal malessere o a ricercare il piacere. Il piacere è un’emozione legata al rilascio di alcuni neurotrasmettitori ed è in genere associato alle attività che favoriscono la sopravvivenza della’individuo e della specie, come l’accudimento, l’alimentazione, l’accoppiamento ecc. Il dolore, la paura, il disgusto e le altre emozioni percepite con dispiacere e disagio sono al contrario dei potenti inibitori verso comportamenti svantaggiosi alla sopravvivenza. Ad esempio un cucciolo lontano dalla propria madre e una mamma lontana dal suo piccolo, proveranno dolore e disperazione, mentre il contatto produrrà gratificazione e piacere. Questo favorirà l’accudimento necessario per la crescita e la protezione dei piccoli. Nel corso delle relazioni primarie si apprende come alcune situazioni sono fonte di piacere ed altre di dolore, l’intera struttura di personalità tenderà alla minimizzazione del disagio e a perseguire il benessere, anche in casi nei quali si ha l’impressione che le persone siano autodistruttive, in realtà si può rintracciare invece un tentativo di alleviare stati di dolore psichico attraverso la ricerca di sollievo. Ad esempio il consumo di sostanze stupefacenti rappresenta in molti casi un tentativo di curare condizioni di dolore psichico o di incapacità a provare piacere. Le droghe infatti attivano i circuiti cerebrali responsabili della sensazione di gratificazione. Persino chi tende a prodursi tagli sul corpo in condizioni di particolare angoscia descrive questa azione come un modo per alleviare, attraverso la sofferenza corporea, il dolore psichico. Lo stesso suicidio è l’estremo tentativo di liberarsi dal dolore, messo in atto da chi non è in grado di vederne la fine. Il dolore mentale può manifestarsi in diverse forme. Il dolore mentale depressivo, è la specifica emozione corrispondente all’esperienza di perdita di qualche cosa di buono. In alcuni casi la perdita è così precoce da creare un’immagine di sé danneggiata, specie quando le relazioni primarie sono segnate da eventi di perdita, traumi o maltrattamenti l’individuo può sperimentare una condizione di estrema vulnerabilità al dolore psichico, proprio per la permanenza di un bisogno primario insoddisfatto, una sorta di vuoto, di assenza fondante. L’umiliazione è un dolore mentale connesso al percepirsi o all’essere percepito come privo di valore, spregevole, soprattutto per incapacità, ipotetica o reale.

    La vergogna, che è lo specifico dolore mentale connesso alla percezione di non corrispondere alle aspettative, proprie o altrui. La colpa corrisponde alla percezione di proprie responsabilità nell’aver procurato un danno a sé o ad altri, o di aver trasgredito a un ordine.

    La paura corrisponde alla percezione di un pericolo, l’ansia alla percezione di un pericolo non individuato o di un pericolo che non si sa come affrontare. L’angoscia corrisponde alla percezione di non avere via d’uscita da una situazione dolorosa o pericolosa. Se dunque il dolore, nelle sue diverse manifestazioni e nei suoi diversi significati attuali e pregressi, ha una funzione protettiva, può anche divenire lo stato mentale prevalente, come avviene nella dimensione depressiva inducendo una paralisi o tentativi di evasione e fuga da esso.

    LE DIVERSE FACCE DELLA

    DEPRESSIONE

    Personalmente, penso che esistano quattro tipi di depressione.

    - Depressione che nasce dalla solitudine.

    - Depressione che nasce dall’instabilità emotiva.

    - Depressione che nasce dal pessimismo.

    - Depressione che nasce dalla sfiducia negli altri.

    E per voi? Quanti tipi ne esistono?

    Cosa si intende per depressione?

    Si può parlare di depressione riferendosi allo stato affettivo specifico di calo dell’umore. In questo caso la depressione è un sintomo. Si può intendere invece, per depressione una costellazione di più sintomi, e dunque una sindrome o, ancora, ci si può riferire a una malattia specifica, ovvero disturbo affettivo. La depressione può essere un fenomeno acuto che si manifesta come una rottura rispetto alla normalità o avere a che fare con la struttura psichica del soggetto, col suo modo di essere, col suo temperamento o personalità e in questo caso rappresentare un tratto cronico del suo carattere. A seconda del tipo di depressione e delle sue manifestazioni cliniche si effettuano diverse diagnosi che indirizzano verso diversi tipi di terapie.

    Esistono diverse manifestazioni depressive?

    La depressione tipica o melanconica è caratterizzata da una riduzione del tono dell’umore con rallentamento del flusso di pensiero, verbale e motorio, insonnia e perdita dell’appetito, mentre quella detta atipica si manifesta al contrario con aumento dell’appetito e delle ore di sonno accanto al calo dell’umore. Nella depressione ansiosa in aggiunta ai sintomi tipici c’è ansia intensa, anche somatizzata (tachicardia, difficoltà respiratorie, panico), mentre in quella agitata i sintomi depressivi sono associati a forte irrequietezza e agitazione motoria e del comportamento e spesso anche gravi sintomi vegetativi (nausea, ipertensione, tachicardia). La depressione rallentata (o stuporosa) è una condizione di grave rallentamento motorio e del pensiero, riduzione delle capacità di memoria e attenzione. Chi ne è affetto tende a non riuscire a spostare il pensiero dalla sua condizione depressiva. Alcuni autori parlano di depressione fredda quando la caratteristica principale dello stato d’animo è il sentimento di perdita della sensibilità emotiva, incapacità a provare piacere, sentimenti di estraneità verso gli altri e le comuni attività. La depressione può associarsi a sintomi psicotici con deliri sintonici allo stato depressivo (di rovina, di povertà, di punizione divina, di malattie incurabili, di putrefazione o scomparsa degli organi interni, di trasformazione fisica) con o senza allucinazioni (voci che proferiscono minacce, insulti o che istigano all’omicidio o al suicidio). Per depressione anancastica si intende uno stato depressivo dell’umore accompagnato da ossessioni, pensieri fissi e indesiderati che creano disagio o ansia. Nelle depressioni con disturbi cognitivi si osservano marcati deficit delle funzioni intellettive, e in quella confusa è presente uno stato confusionale con disorientamento spazio-temporale. Questo tipo di depressioni possono avere a che fare con la presenza di concomitanti quadri di intossicazione, disturbi neurologici o altre condizioni mediche generali. Alcuni autori parlano di depressione mascherata quando i sintomi affettivi sono scarsi e c’è una prevalente sintomatologia caratterizzata da alterazione delle capacità di concentrazione e memoria, disturbi somatici o comportamentali. Si tratta in genere di soggetti con scarse capacità di espressione affettiva, tendenza al pragmatismo, possono manifestare difficoltà di concentrazione e memoria, apatia, dolore cronico che non risponde alla terapia antidolorifica, comportamenti impulsivi (abuso di sostanze, aggressività, tendenza agli incidenti, comportamenti bulimici, condotte autolesionistiche e di suicidio). In questi casi anziché sentimenti di tristezza vengono riportati noia, apatia, disinteresse e disturbi fisici. Anche i disturbi del comportamento e l’ipocondria nell’anziano possono rappresentare forme depressive mascherate. Al di là degli specifici quadri sintomatici, in generale si tende a identificare due categorie principali: le depressioni inibite, con prevalenza di sintomi di inibizione, rallentamento e chiusura e depressioni agitate, dominate da sintomi d’ansia e agitazione. Questi due tipi di depressioni sembrano corrispondere a quadri neurofisiologici diversi e mostrano anche differenti risposte alle terapie farmacologiche e alle psicoterapie.

    Principali varianti depressive

    Depressione melanconica: forma classica

    Depressione atipica: iperfagia, ipersonnia

    Depressione ansiosa: associata ad ansia

    Depressione agitata: irrequietezza motoria e comportamentale

    Depressione rallentata: rallentamento psicomotorio fino allo stupore

    Depressione fredda: sentimento di perdita delle emozioni

    Depressione psicotica: deliri e allucinazioni a contenuto di indegnità, miseria, catastrofe

    Depressione anancastica: ideazione ossessiva

    Depressione con disturbi cognitivi: deficit di memoria, concentrazione, confusione

    Depressione mascherata: assenza di tristezza, somatizzazioni

    Le sindromi depressive si differenziano anche per la causa scatenante?

    Per disturbi dell’adattamento o depressione reattiva si intende un disturbo che consegue a un evento psicologico o sociale scatenante, come un lutto, una separazione, un trauma, un fallimento. Frequentemente si accompagna ad ansia (disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso). Si possono inserire in questa categoria le depressioni da stress lavorativo o famigliare, quelle da lutto, alcune depressioni che si manifestano nel post partum. Il disturbo distimico anche detto depressione nevrotica, è caratterizzato da una presenza cronica di sintomi depressivi più o meno attenuati e legati a problemi relazionali e della personalità. La depressione maggiore o depressione endogena ha una maggior componente biologica e genetica, può essere caratterizzata da soli episodi depressivi maggiori che si presentano singolarmente o ripetuti oppure alternati a episodi di mania (disturbi bipolari). Può presentarsi con sintomi psicotici, (deliri e allucinazioni). La depressione secondaria è la conseguenza di altre malattie o degli effetti di sostanze assunte dall’esterno.

    Depressione endogena

    Depressione psicogena

    Depressione reattiva

    Depressione secondari

    Che differenza c’è tra depressione e disturbi dell’umore?

    Nelle classificazioni internazionali dei disturbi psichiatrici¹, i disturbi depressivi sono inseriti all’interno della più vasta sezione dei disturbi dell’umore. I disturbi dell’umore sono caratterizzati dal ripetersi nella storia di chi ne soffre di episodi di alterazione dell’umore, distinguibili in episodio depressivo maggiore, caratterizzato da flessione del tono dell’umore accompagnato da altri sintomi caratteristici psichici e fisici, episodio maniacale, caratterizzato invece da esaltazione dell’umore, episodio ipomaniacale, con elevazione dell’umore, ma di entità minore ed episodio misto, caratterizzato da elementi depressivi e maniacali presenti contemporaneamente. I disturbi dell’umore sono definiti dal susseguirsi di episodi di alterazione dell’umore. Episodi depressivi maggiori che si ripetono definiscono un disturbo depressivo maggiore, mentre l’esistenza di sintomi depressivi cronici caratterizza il disturbo distimico. I disturbi bipolari sono caratterizzati dall’alternarsi di episodi depressivi maggiori ed episodi maniacali, ipomaniacali o misti. I

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