La luna dei teschi
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La luna dei teschi - Robert E. Howard
66
Robert E. Howard
La luna dei teschi
Edizione integrale
Titoli originali: Solomon Kane here coming; The moon of Skulls
Traduzione di Gianni Pilo
Prima edizione ebook: luglio 2012
© 1994 Finedim s.r.l., Compagnia del Fantastico
© 2012 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 9788854145122
www.newtoncompton.com
Progetto grafico: Sebastiano Barcaroli
Immagine di copertina: © Jussi Santaniemi/iStockphoto
La luna dei teschi
1. L’uomo che cerca
Sulla terra si stagliava una grande ombra nera, che spezzava la fiamma rossa del tramonto. All’uomo che percorreva faticosamente il sentiero della giungla sembrò un simbolo di morte e d’orrore, una minaccia terribile e incombente, come l’ombra di un assassino nascosto che si proietti sul muro per la luce di una candela.
Eppure era solo l’ombra di un picco che si ergeva di fronte a lui, il primo bastione delle rupi verso le quali si stava dirigendo. Si fermò per un momento ai piedi di quella scarpata, e guardò verso l’alto, dove la cima si stagliava contro il tramonto del sole. Avrebbe potuto giurare di aver intravisto qualcosa che si muoveva là, sulla cima. Si parò gli occhi dal sole con una mano, ma non riuscì a sincerarsene, perché il riverbero era accecante. Era un uomo che era corso a nascondersi? Un uomo, oppure… ?
Alzò le spalle e sì piegò per esaminare il tortuoso sentiero che conduceva oltre la sommità della scarpata. A prima vista sembrava che soltanto una capra di montagna potesse percorrerlo ma, esaminandolo meglio, si notavano un certo numero di appigli scavati nella roccia. Sarebbe stata un’impresa che avrebbe impegnato al massimo le sue energie, ma non aveva certo percorso mille miglia per fermarsi proprio allora.
Posò a terra la grossa borsa che portava su una spalla e l’ingombrante moschetto. Tenne solo la lunga spada, il pugnale e una delle pistole. Si legò queste armi sulle spalle e, senza nemmeno volgere uno sguardo verso il sentiero che aveva percorso e sul quale cominciava a calare l’oscurità, cominciò la lunga ascesa.
Era un uomo alto, dalle braccia lunghe e dai muscoli di acciaio, eppure fu costretto a fermarsi più volte a riposare mentre si arrampicava, aggrappato come una formica alla ripida parete della scarpata. La notte calò in fretta, e la cima sopra di lui divenne un’ombra indistinta. Fu costretto a cercare a tastoni le anfrattuosità che gli servivano da precario appiglio.
Sotto di lui cominciarono a levarsi i suoni notturni della giungla tropicale, eppure gli sembrò che persino quei rumori fossero attutiti, come se le grandi colline nere che sovrastavano il paesaggio avessero imprigionalo in un incantesimo di silenzio e di timore anche le creature della giungla.
Continuò la sua faticosa salita. Ora la sua strada era resa più difficile da una convessità della parete, proprio sotto la cima. La tensione e la fatica divennero insopportabili. Più volte la sua mano scivolò, e rischiò di precipitare, salvandosi solo per un pelo. Ma ogni fibra del suo corpo snello e compatto era perfettamente coordinata, e le sue dita erano come artigli d’acciaio, dotati di una presa simile a una morsa. La sua avanzata si fece sempre più lenta, ma egli perseverò finché vide la cima della scarpata che spezzava il cielo stellato appena una mezza dozzina di metri sopra la sua testa.
Mentre guardava verso l’alto, una massa indistinta apparve sul bordo, lo oltrepassò e cadde verso di lui provocando un grande spostamento d’aria. La pelle gli si accapponò, e si appiattì contro la parete di roccia. Accusò quindi un forte colpo a una spalla che, sebbene fosse stato solo di striscio, gli fece quasi perdere l’equilibrio. Lottò disperatamente per non mollare la presa, e nel frattempo udì uno schianto fra le rocce più in basso.
Con la fronte imperlata di sudore freddo, guardò verso l’alto. Chi, o che cosa aveva fatto cadere quel masso dalla cima della scarpata? Lui era un uomo coraggioso, e su molti campi di battaglia molte ossa potevano testimoniarlo, ma il pensiero di morire come una pecora, indifeso e senza possibilità di opporre resistenza, gli fece gelare il sangue.
Poi la paura fu soppiantata da un’ondata di rabbia, e ricominciò ad arrampicarsi veloce, senza pensare al pericolo. Il secondo masso, che pure si aspettava, non venne, e non vide alcun essere vivente quando alla fine ebbe raggiunta la cima e balzò in piedi, con la splendente spada sguainata.
L’uomo si trovava su una specie di altipiano che si trasformava, circa mezzo miglio più avanti, in un paesaggio frastagliato e collinoso. La scarpata che aveva appena finito di scalare, sporgeva dal’gruppo di colline come un promontorio scuro, che proiettava la sua ombra sul mare di foglie più in basso, che ora si era fatto buio e misterioso nella notte tropicale.
Lì il silenzio era sovrano assoluto. Non c’era brezza che agitasse le cupe profondità che si era lasciato alle spalle e, fra i radi cespugli che popolavano l’altipiano, non si udivano passi. Eppure, quel masso che aveva quasi fatto precipitare lo scalatore non poteva esser caduto per caso.
Quali esseri si aggiravano fra quelle colline desolate? La notte tropicale avvolse il viaggiatore solitario come un pesante velo attraversato solo dalla luce pallida e maligna delle stelle gialle. I vapori della vegetazione marcia della giungla sorsero attorno a lui prendendo la forma di una fitta nebbia. Con viso spavaldo, si allontanò dalla scarpata e affrontò l’altipiano, la spada in una mano e la pistola nell’altra.
L’aria stessa dava la sgradevole impressione che qualcuno lo stesse guardando. Nulla interruppe il silenzio, all’infuori del fruscio che seguiva i passi felini dello sconosciuto fra l’erba alta, eppure l’uomo avvertì che davanti, dietro, e attorno a lui, aleggiavano degli esseri viventi.
Se fosse un uomo o una bestia a seguirlo lui non lo sapeva, e nemmeno gliene importava troppo, poiché era pronto a combattere chiunque gli sbarrasse la strada, uomo o demone che fosse. Di tanto in tanto si fermava, guardandosi attorno con aria di sfida, ma il suo sguardo non incontrava nulla all’infuori della sterpaglia, che somigliava a un ammasso di fantasmi bassi e scuri che circondavano la sua strada. Tutto si confondeva nell’oscurità calda e densa che persino le rosse stelle sembravano avere difficoltà a penetrare.
Infine giunse presso un luogo in cui l’altipiano cominciava a salire, e là vide un gruppo d’alberi che si stagliavano fra le altre ombre più piccole. Si avvicinò con circospezione, poi si fermò, e il suo sguardo, abituandosi a poco a poco all’oscurità, distinse una vaga forma fra i tronchi scuri, che non era uno di essi. Esitò: la sagoma non avanzava, né fuggiva. Rimaneva in attesa, suggerendo una forma di minaccioso silenzio. L’orrore aleggiava intorno a quel gruppo di alberi.
Lo sconosciuto avanzò con prudenza, con la spada sguainata. Si avvicinò ancora di più, sforzandosi di capire se l’altro facesse qualche gesto minaccioso. Stabilì che la sagoma era umana, ma era sconcertato dalla sua totale assenza di movimento. Poi il motivo risultò evidente: era il cadavere di un uomo nero, che era tenuto eretto fra quegli alberi dalle lance che ne trafiggevano il corpo e lo avevano inchiodato ai tronchi. Aveva un braccio teso di fronte a sé, tenuto in posizione su un ramo da un pugnale che ne attraversava il polso. Il dito indice era teso, come se il cadavere indicasse rigidamente la direzione dalla quale veniva lo sconosciuto.
Il significato era evidente; quell’insegna macabra e muta non poteva avere che una interpretazione: più oltre c’era la morte. L’uomo che si trovava di fronte a quel lugubre avvertimento rideva raramente, ma ora si permise il lusso di un sorriso sarcastico. Mille miglia per terra e per mare, un viaggio per l’oceano e nella giungla… e ora si aspettavano – chiunque fossero – che sarebbe tornato indietro a causa di qualche trucco di quel genere…
Resistette alla tentazione di salutare il cadavere poiché sarebbe stato poco decoroso, e si avviò con baldanza attraverso il gruppo di alberi. Quasi si aspettava di essere attaccato alle spalle, oppure di essere l’oggetto di un’imboscata.
Ma non accadde nulla di tutto ciò e, quando uscì dal boschetto, si trovò ai piedi di una salita scoscesa, la prima di una serie.
Cominciò a salire con perseveranza, e non si curò nemmeno di pensare quanto potessero apparire strane, ad un uomo intelligente, le azioni che stava compiendo.
Un uomo normale avrebbe bivaccato ai piedi della salita, ed avrebbe atteso il mattino per tentare la scalata. Ma lui non era un uomo normale. Una volta intravisto l’obiettivo, seguiva la via più corta che vi conduceva, senza pensare agli ostacoli, sia di giorno che di notte. Quello che deve esser fatto, deve esser fatto. Al crepuscolo era giunto ai confini del regno della paura, ed invaderne il cuore di notte gli sembrava solo una naturale conseguenza.
Mentre si arrampicava per i declivi cosparsi di massi, sorse la luna che ammantò tutto con le sue illusioni e, sotto la nuova luce, le colline frastagliate all’orizzonte assunsero l’aspetto delle nere torri di un castello abitato da un Mago.
Teneva lo sguardo fisso sul sentiero approssimativo che stava seguendo, poiché non sapeva quando sarebbe venuto giù un altro masso. Si aspettava attacchi di qualunque genere e, naturalmente, ciò che avvenne fu proprio quello che meno si aspettava.
All’improvviso, un uomo uscì da dietro una grande roccia; era un gigante d’ebano che si stagliava sotto la luce della luna, con una lunga lancia in mano che risplendeva