Capitani coraggiosi
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Edizione integrale
I capitani coraggiosi sono i marinai dei pescherecci impegnati nelle stagioni di pesca tra i ghiacci dell’Islanda e i banchi di Terranova, nel tempestoso Atlantico del nord. È gente abituata a una vita aspra e a una fatica durissima. Un ragazzo miliardario e viziato, Harvey, caduto in mare da un transatlantico, viene miracolosamente raccolto da uno di questi pescherecci, la We’re Here. A bordo non credono ai racconti della sua vita ricca e agiata, e così Harvey condividerà per una stagione l’esistenza difficile e rude dei pescatori, tra i quali trova, ascoltatore attento e partecipe, Dan, figlio del comandante e suo coetaneo. Le settimane in mare, tra avventure, sfide e pericoli, forgiano un’amicizia profonda tra i due ragazzi e trasformano Harvey in un uomo che, dopo quest’esperienza, saprà per sempre distinguere i valori positivi che determinano il carattere e la vita di una persona.
«Harvey fu gettato a terra dallo sbalzo della goletta, al brusco gonfiarsi del fiocco e della vela di trinchetto perché l’ancora fu strappata di colpo e issata, quando già la barca era in movimento. Un genere di manovra alla quale si ricorre di rado, solo quando si tratta di vita o di morte...»
Rudyard J. Kipling
Joseph Rudyard Kipling nacque a Bombay nel 1865. Fu ricondotto in Inghilterra per studiare: da questo periodo terribile della sua vita uscì minato nella salute, piegato nel corpo e nello spirito. Tornato in India nel 1882, divenne redattore della «Civil and Military Gazette» e cominciò a pubblicare liriche e racconti. Ben presto divenne lo scrittore più amato e popolare del suo tempo, oltre che il meglio pagato. Nel 1889 tornò in Inghilterra, e nel 1907 gli venne conferito il premio Nobel per la Letteratura. Morì nel 1936. Di Rudyard Kipling la Newton Compton ha pubblicato Poesie; I libri della Jungla; Kim; Capitani coraggiosi; Tutte le storie di Puck il folletto e il volume I grandi romanzi, racconti e poesie.
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Capitani coraggiosi - Rudyard J. Kipling
201
Titolo originale: Captains Courageous
Traduzione di Anna Maria Speckel
Prima edizione ebook: maggio 2012
© 1995 Newton Compton editori s.r.l.
© 2006 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-4192-6
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Gag srl
Rudyard Kipling
Capitani coraggiosi
Introduzione di Gianluigi Melega
Edizione integrale
Newton Compton editori
Introduzione
Ci sono tanti modi, in letteratura, per fare la rivoluzione. Per noi, lettori nati e vissuti nel Novecento, i rivoluzionari del libro sono stati o i grandi innovatori linguistici, come Joyce o Marinetti, o i grandi esploratori della psiche dopo l’avvento di Freud, come Proust o Musil.
Ma per chi era nato e vissuto cent’anni prima di noi (il pubblico per cui scriveva Rudyard Kipling, nato nel 1865 a Lahore, in quel vicereame britannico che era allora l’india, morto nel 1936, nell’Inghilterra ancora imperiale di cui era stato, politicamente, uno degli alfieri letterari) le rivoluzioni in letteratura si misuravano con metri ben diversi.
Sui contenuti, per esempio: con i quadri di vita borghese di Balzac o i sogni di individualismo romantico ed eroico di Foscolo, Byron o Hugo. Dopo la rivoluzione del 1789 e la Restaurazione in Europa, erano i tempi dei moti di popolo contro i troni, contro le occupazioni di eserciti stranieri, contro chi voleva a ogni costo bloccare la spinta delle masse verso la promozione sociale e il benessere economico.
La rivoluzione dei contenuti in letteratura faceva camminare di pari passo uomini e personaggi come Garibaldi e il giovane Werther, Marx e Fabrizio Del Dongo, Darwin e Anna Karenina, tutti ribelli, tutti combattenti, tutti sognatori, chi contro i cannoni, chi contro i capitalisti sfruttatori, chi contro le ceppaie delle cellule sociali e familiari ereditate dai secoli precedenti.
Una delle caratteristiche meno studiate di questa trasformazione epocale, per quel che attiene alla letteratura, fu la promozione al ruolo di protagonisti di esseri umani che fino ad allora gli autori non avevano ritenuto degni di figurare come personaggi principali delle loro opere.
Come in pittura alle dame e ai cicisbei di Watteau o di Longhi succedono i mangiatori di patate di Van Gogh o il Quarto Stato in marcia di Pelizza da Volpedo, così tra i protagonisti dei romanzi compaiono per la prima volta nei secoli dei negri, delle donne, dei bambini, dei «miserabili». Grandi blocchi di Untermenschen si affrancano dalla condizione di subalternità nella vita e in letteratura e irrompono da protagonisti sulle scene della realtà e della fantasia.
La guerra civile americana cancella la schiavitù dal mondo dei bianchi ricchi. Ma Abraham Lincoln, che pur l’ha voluta e vinta con formidabile fermezza morale, attribuisce il merito della vittoria a Harriet Elizabeth Beecher Stowe, «una piccola donna» che dieci anni prima della guerra ha commosso il mondo con la saga triste ed eroica di uno schiavo, La capanna dello Zio Tom. È la letteratura ad affrancare gli schiavi prima dei fucili.
Una di queste categorie di neo-emancipati è rappresentata dai bambini o dai ragazzi meno che adolescenti. La radice di questa loro nuova dignità si può forse trovare nel mito del buon selvaggio di Jean-Jacques Rousseau. L’uomopiù vicino al momento dell’origine, come appunto sono il selvaggio e il bambino, è un eroe buono, è positivo, non è contaminato da una società che inquina i valori, è un modello in cui ci si può felicemente e appassionatamente immedesimare.
Fioriscono così nell’Ottocento i romanzi di grande successo popolare (molti dei quali pubblicati a puntate sulle riviste del tempo, con tirature pari ai più celebri bestseller di oggi) che hanno per protagonisti bambini o ragazzi: Gavroche, David Copperfield, Oliver Twist, la scolaresca di Cuore, Tom Sawyer e Huckleberry Finn, Humphrey Duncombe (Incompreso,) e il piccolo Remigio (Senza famiglia) diventano i portatori di sogni delle generazioni future, l’immagine di ciò che si è stati e non si vuole più essere, il seme umano di ogni futura società migliore.
In questo quadro, il caso di Kipling è esemplare e al tempo stesso paradossale. Kipling è un colonialista figlio di colonialisti (erano gli anni in cui esserlo, per gli europei, era una virtù). Suo padre è un intellettuale-funzionario inglese, messo da Sua Maestà a fare il conservatore del museo di Lahore. L’immenso subcontinente indiano, i suoi tesori artistici e le sue ricchezze sono stati conquistati dai reggimenti e dalle compagnie commerciali britanniche e Kipling dedica al profondo e inspiegabile legame che si instaura tra dominatori e dominati romanzi e poesie che ne trasfigurano la sostanza. Alle miserie e alle infamie della realtà Kipling sovrappone il mito dell’epopea eroica, del patto di sangue tra esseri diversi che, anziché combattersi fra loro come sarebbe logico, vivono e muoiono insieme andando a sottomettere chi non vuole essere come loro.
È l’epopea di Gunga Din, l’intrepido portatore d’acqua indiano che si lancia nel folto della battaglia per portare ai morenti un sorso d’acqua, e muore a sua volta accanto ai commilitoni, bianchi inglesi o «cepays» indiani che siano.
Politicamente e socialmente parlando, Kipling è affascinato dal cosmopolitismo e dalle dimensioni planetarie dell’impero della regina Vittoria. L’immenso incrocio delle razze, delle religioni, delle credenze popolari governato dalle leggi inglesi lo lascia ammirato, come un architetto davanti all’armonia del Partenone.
Quello che oggi possono essere per noi le multicolori figurette dei fumetti di Hugo Pratt, con i loro turbanti, le uose, le giubbe rosse, le fasce mollettiere, le cravatte regimental, i nastrini di medaglie sul petto, le cornamuse all’Equatore, per Kipling sono carne e sangue della vita quotidiana.
Kipling ha fatto una scelta: dalle brughiere scozzesi alla giungla del Bengala, dai ghiacci del Canada alle foreste della Guyana, da Hong Kong alle Falklands, la giustizia sociale deve venire seconda, dopo il grande equilibrio dell’ordine politico mondiale così come lo intendono i compassati reggitori dell’impero britannico.
Ma come ogni grande talento di razza Kipling non può limitarsi ad accettare per le proprie creazioni fantastiche l’insieme di nozioni e di valori che si è trovato a suggere col latte materno e in cui pur si riconosce. Così il nucleo della sua opera è un continuo esperimento sui confini degli uomini e dei valori, confini intesi sia in senso geografico sia in senso etnografico, di potenzialità dell’uomo.
Da qui la funzione «rivoluzionaria» che in molti scritti di Kipling è affidata ai ragazzi: sono loro gli esploratori del nuovo, coloro che sfidano le regole precostituite, i portatori di utopie per il futuro. Per lo scrittore Kipling, così psicologicamente ingessato nella tradizione britannica, questi «alter ego» ragazzi diventano lo strumento per poter fantasticare come si potrebbe lecitamente essere altrimenti che inappuntabili sudditi della Regina, educati a Eton e a Sandhurst (l’accademia militare), vestiti a Savile Row, usi a parlare con leggero balbettio, caratteristico vezzo di molti esponenti dell’establishment britannico.
Kipling inventa Mowgli, il protagonista del Libro della Jungla e del Secondo libro della Jungla. È l’ultimo decennio dell’Ottocento. Si tratta, dice, di «un cucciolo di uomo», abbandonato in un mondo ancora intatto, all’indomani della creazione, un mondo in cui tutti gli altri esseri viventi appartengono (prima della sorpresa dell’ultimo capitolo) alle altre specie animali. Mowgli è Adamo bambino. Deve inventare la propria vita, il proprio futuro, per sé e per i suoi discendenti. Kipling propone ai suoi lettori un ’ipotesi di società nuova: un c ’era una volta... come se si potesse ricominciare daccapo la storia dell’uomo.
Mowgli vive in un mondo in cui si può sperimentare quali comportamenti possono imporre sentimenti come l’amore, la pietà, la solidarietà, l’amicizia, l’odio, l’astuzia, la malvagità e così via, senza che questi comportamenti diventino aperte contestazioni della legittimità e della bontà del sistema politico esistente tra gli umani. A segnare il passaggio del tempo e il mutare delle concezioni politiche si pensi alla profonda differenza, a questo proposito, di un romanzo scritto appena treni’anni dopo da un altro inglese approdato dalle stesse parti, Passaggio in India, di E. M. Forster, in cui i «colonialisti» inglesi si confrontano con i miti, i riti e la cultura indiana, con i fermenti della ribelle politica nazionale, finendo col concludere che dominatori e dominati, anziché proporsi di vivere, combattere e morire insieme, sono e restano profondamente diversi, o addirittura reciprocamente ostili.
Torniamo a Kipling. I due Libri della Jungla sono del 1894 e 1895. Forse è il loro straordinario successo a far scattare nello scrittore la molla dell’attenzione al mondo degli adolescenti, come mondo nuovo da esplorare nelle sue possibilità politiche e sociali. Capitani coraggiosi è del 1897. Ma per capirne quel che a me pare il suo senso profondo è forse meglio parlare del romanzo che seguirà subito dopo, Kim, pubblicato nel 1901.
Kim ha per protagonista un ragazzo di sangue misto, figlio di padre irlandese soldato della Regina, morto in combattimento, e di una donna indiana. Viene «adottato» dal reggimento del padre, che si prende cura della sua educazione, un ’educazione all’inglese. Adolescente meraviglioso, capace di confondersi con i discoli della suburra e di impadronirsi dei segreti dell’amministrazione britannica con l’istinto di un animale e l’intelligenza di un inventore, Kim riunisce in sé i doni naturali di tutte le razze dell’impero, e finisce col trascendere ciascuna di esse. Questo «homo novus» è in sé rivoluzionario: lui, ibrido incrocio di razze e di culture mostra di essere più sagace di un inglese bianco, più comprensivo di uno hindi bruno, più capace di sfiorare le grandi intuizioni sulla vita e sulla morte di un «saddhu» giallo o di un lama tibetano.
È prerogativa dell’adolescenza di non avere colpe, altro che quelle che si annunciano con l’età adulta. Per questo gli adolescenti di Kipling si fanno perdonare tutto, e in particolare l’irrealistica cornice di vita entro cui si muovono. Kipling compone dei teoremi umani in cui i cattivi sono pessimi, i buoni sono ottimi, e i loro comportamenti sono linee rette che congiungono tra loro gli sviluppi delle storie. E, per inciso, forse proprio per questa semplicità vicina al semplicismo, capace di parlare a tutti i cuori, facile a essere intesa sotto il sole di tutti i continenti, a Kipling verrà assegnato, poco dopo l’uscita di Kim, nel 1907, il premio Nobel per la letteratura. Capitani coraggiosi è un teorema perfetto, elementare. Pubblicato nel 1897 permette di capire l’evoluzione dello scrittore, è l’anello di congiunzione tra i Libri della Jungla e Kim, tra la fiaba e il possibile futuro multirazziale, e in questo senso universale, dell’uomo.
Capitani coraggiosi è un mondo ancora tutto di bianchi, ma uomini di frontiera, destinati a guadagnarsi da vivere diversamente dagli altri, inseguendo banchi di pesce per mesi e mesi, tra i pericoli dei ghiacci e delle tempeste dell’Atlantico del Nord, tra l’Islanda, le Azzorre e Terranova.
Il racconto, in realtà, è un affascinante manuale di educazione: romanticamente intenso da leggere, capace di travestire la favola da ritratto realistico, abilissimo nel suggerire a ogni lettore la possibilità di immedesimarsi in un ‘avventura in cui si impara ad avere coraggio, ma non se ne fa quasi mai uso.
Un ricco adolescente viziato, che sta già cominciando a macchiarsi dei peccati dell ’età adulta (è maleducato a tavola! fuma sigari per darsi arie!) cade in mare da un transatlantico su cui sta compiendo una crociera di piacere. Viene miracolosamente raccolto da un peschereccio, la We’re Here (Siam qui), impegnato in una stagione di pesca al merluzzo.
Il naufrago, Harvey, cerca di convincere il capitano del peschereccio a riportarlo a terra, descrivendo le ricchezze del padre (trenta milioni di dollari! del 1900!), il suo modo di vivere, parlandogli della forte ricompensa che gli farebbe avere.
Il capitano e i suoi uomini pensano che Harvey sia un mitomane, un po’ squilibrato, e non gli danno per nulla retta. Volgere la prua e tornare in porto sarebbe per loro una catastrofe economica. Devono lavorare duro e battere la concorrenza. Quindi Harvey starà con loro, si guadagnerà il pane lavorando come loro e soltanto quando la stiva sarà piena di merluzzi salati la We’re Here tornerà nel New England e Harvey potrà sbarcare.
Ma a bordo non ci sono soltanto adulti. C’è anche Dan, il figlio del comandante, un ragazzo che ha l’età di Harvey. Tra i due coetanei scatta l’alleanza istintiva della generazione più giovane contro quella degli anziani. Dan è l’unico a credere a Harvey. Dan ha dovuto imbarcarsi giovanissimo, per cominciare a guadagnarsi da vivere come tutti i maschi del suo mondo di pescatori. Ma lui è ancora capace di sognare: davanti alla vita dura che pure già lo impegna e che accetta senza smancerie, i racconti di Harvey sono la sua razione di fantasia, di gioco. Credere nella verità di una possibile favola diventa il legame tra i due ragazzi, un legame che la fatica, gli incidenti, le gioie, i pericoli, le sfide della stagione di pesca faranno diventare unico e ineguagliabile.
È una delle poche «rivoluzioni» accettabili per l’imperialista e uomo d’ordine Kipling: quella dell’adolescenza contro l’età adulta.
Ma gli adolescenti «rivoluzionari» dovranno soltanto rinnovare il sangue della società costituita, senza stravolgerla o rovesciarla.
Harvey, il miliardario viziato, impara ad attribuire alla fatica e al lavoro dell’uomo un valore primario, altissimo. Le gerarchie nella società sono determinate dal lavoro, dal coraggio, dalle capacità: in una parola, dai valori «buoni». E come tali vanno accettate.
Dan impara da Harvey che il susseguirsi delle generazioni può giustificare nei figli, proprio perché vivranno più a lungo nel futuro, un senso affettuoso di superiorità e di diversità verso i padri: scalando la montagna del tempo, da un punto più alto vedranno un paesaggio diverso e più lontano.
Kipling adopera un «trucco» narrativo che fa la fortuna del libro non solo tra i giovani, ma anche tra i lettori di ogni età. Attraverso tutto il romanzo i due adolescenti protagonisti dividono tra loro, e loro soltanto, il «segreto» della verità di ciò che dice Harvey, e si ripromettono la grande gioia di far restare di stucco, una volta tornati a terra, i personaggi adulti.
Naturalmente anche i lettori sanno che ciò che Harvey dice è vero. Così si sentono partecipi del «segreto» e delle aspettative di vittoria e di rivincita sulla vita che esso promette. Anche i lettori vogliono arrivare a terra il più presto possibile, superata ogni traversia. Sarà una grande giornata. Si dimostrerà coi fatti che i giovani, «noi giovani», hanno ragione. Che i miliardari esistono e che si può essere dei loro. Che a volte, contro ogni ragionevole scetticismo, «noi giovani» dobbiamo credere anche alla fantasia.
E infatti nell’ultimo capitolo tutto questo avviene. Ma...
Ma accade che, una volta ristabilita per tutti la verità su chi sia veramente Harvey e sui costosi giocattoli della sua esistenza da figlio di miliardari, i due ragazzi (e tutti coloro che si sono immedesimati in loro) si accorgono che quelle montagne di dollari, quelle ville dai rubinetti d’oro, quelle carrozze fuoriserie progenitrici delle Ferrari non valgono le sfide tra pescatori a chi riempirà per primo la stiva di merluzzi, né il benessere fisico e mentale che viene dalla fatica marinara, né soprattutto il legame di lealtà e di eguaglianza che nessuno può comprare, e che ci si può guadagnare soltanto vivendo secondo i valori e i sentimenti «buoni», dividendoli con altri, superando insieme a loro le difficoltà di una natura severa e imparziale.
È questa la rivoluzione degli adolescenti di Kipling. Gli uomini, sì, possono essere definiti uguali tra loro. Ma quell’uguaglianza, miliardari o pescatori che siano, se la guadagneranno soltanto con le risposte che sapranno dare agli ostacoli della vita.
GIANLUIGI MELEGA
Rudyard Kipling: la vita e le opere
Rudyard Kipling è nato a Bombay nel 1865 ed è morto a Londra nel 1936. Nel 1907 gli è stato assegnato il premio Nobel per la letteratura. Il suo nome è legato all’idea dell’uomo eroico, la cui ideologia è la «religione dell’azione». Per Kipling, infatti, l’uomo deve sapersi fare strumento dello sviluppo della vita in tutte le sue forme, fisiche e ideali, e per ottenere questo deve essere pronto anche al sacrificio di se stesso.
Da questa impostazione stoica derivano l’esaltazione del soldato britannico e la valutazione positiva dell’imperialismo colonialistico. Kipling sostiene che il «compito dell’uomo bianco» consiste nel prendere l’iniziativa di supremazia sul resto del genere umano avendo come fine la realizzazione del progresso universale. Una concezione forte, tutt’altro che pietistica, e criticata per le venature di un certo razzismo, che l’autore però non considera negativamente come tale. Certo è che questa concezione forte consente allo scrittore di esprimersi con uno stile forte, che gli è da tutti riconosciuto.
Dopo aver trascorso la prima infanzia in India, dove nacque, figlio di un funzionario governativo, Kipling, nel 1871, fu mandato in Inghilterra per intraprendere gli studi. Nel 1878 entrò in un College destinato ai figli degli ufficiali e funzionari governativi: un ambiente rigido che lascerà un’impronta decisiva sul suo carattere. È proprio a questo periodo che successivamente saranno ispirati i racconti Beebe, pecora nera (Baa, baa, Black Sheep, 1888), Wee Willie Winkie (1888) e Stalky e Soci (Stalky & Co., 1899). Torna in India nel 1882, come giornalista, ed elabora i temi che costituiranno il bagaglio principale della sua opera: il rapporto tra i dominatori bianchi e la popolazione indigena, la funzione civilizzatrice dell’uomo bianco e la memoria della millenaria civiltà indiana.
È questa impostazione che darà contenuto alle prime opere significative, Tre soldati (Soldiers Three) e Racconti delle colline (Plain Tales from thè Hills) del 1888. Nel 1889 Kipling ritorna in patria. Comincia così il periodo più fecondo, quello delle opere maggiori. Ottiene la popolarità con le Ballate di caserma (Barrack- Room Ballads, 1892), una serie di composizioni poetiche. Scrive la Luce che si spegne (The Light that Failed, 1891), un libro non molto significativo, ma raggiunge i massimi risultati con i due Libri della Jungla e con Kim.
Il libro della Jungla (The Jungle Book, 1894) e Il secondo libro della Jungla (The Second Jungle Book, 1895) narrano la singolare vicenda di un bimbo, Mowgli, smarrito nella foresta indiana, che viene amorosamente allevato da una lupa fra i suoi lupacchiotti. Col passare degli anni Mowgli riesce a imporre la propria personalità di uomo in quella società di animali che lo aveva accolto; acquistando coscienza di sé, abbandona la famiglia adottiva e torna fra gli uomini. La storia di Mowgli rappresenta il primato della ragione e della legge sugli impulsi esistenziali. Sono i motivi che riappaiono anche in Kim, l’altro capolavoro.
Di grande successo, anche se si tratta di opere minori, sono Capitani coraggiosi (Captains Courageous, 1897), le storie di ambiente medievale Puck delle colline (Puck of Pook’s Hill, 1906), le fantasiose Storie proprio così (Just So Stories for Little Children, 1902), dedicate all’infanzia. Non va naturalmente dimenticata la sua ricca produzione poetica. Dopo le già citate Ballate di caserma, compaiono le raccolte I sette mari (The Seven Seas, 1896), e Le cinque nazioni (The Five Nations, 1903).
OPERE
Romanzi
The Light that Failed, London 1891.
The