Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Novelle per un anno
Novelle per un anno
Novelle per un anno
Ebook2,988 pages45 hours

Novelle per un anno

Rating: 4.5 out of 5 stars

4.5/5

()

Read preview

About this ebook

A cura di Sergio Campailla
Edizione integrale

Nelle Novelle per un anno, che Pirandello iniziò a raccogliere in volume nel 1922, lo sguardo penetrante dello scrittore agrigentino si annida nel grigiore della normalità, nell’esistenza quotidiana, squarcia le cortine del perbenismo, frantuma le rigide maschere che nascondono i veri, incerti lineamenti, si muove in una varietà multiforme di ambienti, sonda le profondità della psiche, incrina le false certezze. E libero, imprevedibile come la vita, mosso dal suo particolare umorismo, trascrive, senza aderire a moduli esterni, la sofferenza dell’individuo destituito di ogni orgoglio, in conflitto con se stesso e con gli altri, disorientato da una sorte sempre mutevole.
Sono contenute nel volume le raccolte: Scialle nero; La vita nuda; La rallegrata; L’uomo solo; La mosca; In silenzio; Tutt’e tre; Dal naso al cielo; Donna Mimma; Il vecchio Dio; La giara; Il viaggio; Candelora; Berecche e la guerra; Una giornata.


Luigi Pirandello

nato ad Agrigento nel 1867, si laureò in filologia a Bonn nel 1891. Iniziò la sua attività letteraria e teatrale quando Capuana lo introdusse nel mondo culturale romano. Dal 1897 al 1922 si dedicò all’insegnamento. Nel 1934 gli fu assegnato il premio Nobel per la letteratura. Morì a Roma nel 1936. Di Luigi Pirandello la Newton Compton ha pubblicato molte opere in volumi singoli e i volumi unici I romanzi, le novelle e il teatro; Tutti i romanzi e Novelle per un anno.
LanguageItaliano
Release dateDec 16, 2013
ISBN9788854140394
Author

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello (1867-1936) was an Italian playwright, novelist, and poet. Born to a wealthy Sicilian family in the village of Cobh, Pirandello was raised in a household dedicated to the Garibaldian cause of Risorgimento. Educated at home as a child, he wrote his first tragedy at twelve before entering high school in Palermo, where he excelled in his studies and read the poets of nineteenth century Italy. After a tumultuous period at the University of Rome, Pirandello transferred to Bonn, where he immersed himself in the works of the German romantics. He began publishing his poems, plays, novels, and stories in earnest, appearing in some of Italy’s leading literary magazines and having his works staged in Rome. Six Characters in Search of an Author (1921), an experimental absurdist drama, was viciously opposed by an outraged audience on its opening night, but has since been recognized as an essential text of Italian modernist literature. During this time, Pirandello was struggling to care for his wife Antonietta, whose deteriorating mental health forced him to place her in an asylum by 1919. In 1924, Pirandello joined the National Fascist Party, and was soon aided by Mussolini in becoming the owner and director of the Teatro d’Arte di Roma. Although his identity as a Fascist was always tenuous, he never outright abandoned the party. Despite this, he maintained the admiration of readers and critics worldwide, and was awarded the 1934 Nobel Prize for Literature.

Read more from Luigi Pirandello

Related to Novelle per un anno

Titles in the series (100)

View More

Related ebooks

Classics For You

View More

Related articles

Reviews for Novelle per un anno

Rating: 4.3958335 out of 5 stars
4.5/5

24 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Novelle per un anno - Luigi Pirandello

    372

    Prima edizione ebook: maggio 2012

    © 2011 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-4039-4

    www.newtoncompton.com

    Edizione digitale a cura di geco srl

    Luigi Pirandello

    Novelle per un anno

    Scialle nero, La vita nuda, La rallegrata, L’uomo solo, La mosca, Il silenzio, Tutt’e tre, Dal naso al cielo, Donna Mimma, Il vecchio Dio, La giara, Il viaggio, Candelora, Berecche e la guerra, Una giornata

    A cura di Sergio Campailla

    Edizioni integrali

    Il figlio del Caos

    Nascita:

    «... Io dunque son figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco Kaos...».

    Così Pirandello costruisce la sua leggenda personale, il suo mito di scrittore che risponde a un destino. Doveva nascere a Girgenti, ma in quel periodo, anno 1867, mese di giugno, il colera mieteva vittime con una larga falce. La madre, per trovare ricovero agli assalti della malattia, si rifugiò in un casale di proprietà della famiglia, non remoto dalla città, collocato su un altopiano di argille, affacciato sul mare africano, di un aspro azzurro, in prossimità ormai di Porto Empedocle. Il nome: Càvusu, cioè, in dialetto locale, Caos. Anche il bosco appartiene a una geografia reale e insieme simbolica. Il bosco è sacro, luogo di iniziazione, labirinto originale. Luigi Pirandello, dunque, come figlio del Caos, una specie di Neverland metafisico, una carta anagrafica di indefinibile prestigio, che esercita una profonda suggestione nella ricerca di un’identità, impossibile. In altra occasione l’autore rammenta il tempo fatale della nascita: dice di essere caduto come una lucciola nella notte, sotto un gran pino solitario, nella campagna popolata da antichi ulivi saraceni. Racconta di esser nato prematuro, dato che la madre aveva sofferto di uno spavento, prodotto dalla grave epidemia. Prematuro e senza aiuto, perché lo zio, recatosi a cercare il soccorso di una contadina, era tornato troppo tardi. Quell’anno erano morti in tanti a causa del colera, e uno con immunità, a riparazione, invece nasceva. Implicito ma profondo il sentimento della morte in agguato, la precarietà di un risarcimento.

    Il colera, in Italia e in particolare nel Meridione e in Sicilia, era di casa, come la peste. E il suo apparire costeggia la letteratura, e talvolta sembra che la generi. Si intende che i tempi sono malvagi e che quella nascita in controtendenza è, se non un oscuro peccato, almeno un pesante fardello. Morte: «

    Mie ultime volontà da rispettare.

    I. Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiere, non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni.

    II. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso.

    III. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta.

    IV. Bruciatemi. E il mio corpo, appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui».

    Queste le disposizioni testamentarie per un evento che si verificò nel 1936, due anni dopo il conferimento del premio Nobel, che ne aveva consacrato ufficialmente la statura mondiale. Colpiscono in queste righe l’ascetismo, il rifiuto delle convenzioni, l’accettazione di un ciclo, che si è aperto e che si chiude. Si è aperto e si chiuderà nella campagna siciliana, a Girgenti: con la dispersione delle ceneri, contro la norma cristiana e cattolica dell’inumazione della salma, quindi con un tributo di restituzione integrale al Caos; oppure, se necessario, raccolte in un’urna murata dentro una rozza pietra, alla maniera greca.

    Impressiona l’insistenza sulla nudità, il platonismo dell’anima ormai in versione nichilistica. A ben guardare, all’interno di questa mitologia tra nascita e morte si consuma la parabola di Pirandello, uno scrittore che ha dedicato migliaia e migliaia di pagine per dar voce a una missione di cui si sentiva portatore, una parabola che realizza una sua circolarità pur nella divaricazione dei termini estremi. Altrove, nella Berlino negli anni Trenta, conversando con un perplesso Ejzenstejn, in questa rigenerazione da leggenda dell’artista ha tentato persino la scorciatoia di una filologia fantastica sul suo cognome: Pirandello, ossia, secondo un’etimologia greca di palese forzatura, che però rimane un sintomo interessante, Angelo di fuoco, con riferimento a un’energia purificatrice e distruttrice e, di nuovo, ritorno al Caos.

    Non siamo fuori dell’opera. Siamo invece nella placenta. Si tenga conto che gli altri scrittori siciliani, Capuana, Verga, De Roberto, i predecessori assurti a fama, non dispongono delle risorse di questa leggenda dell’artista, che Pirandello alimenta, pur mantenendosi alieno da ogni spettacolarità alla D’Annunzio, il coetaneo e concorrente diretto. Pirandello non si trova in posizione di capostipite, ma vanta una differenza radicale. Palermo, luogo storico del potere, è stata capitale europea con la Corte di Federico II e con la poesia trobadorica siciliana. Catania diventa miracolosamente capitale letteraria nel secondo Ottocento grazie al drappello verista. Girgenti è lontana da entrambe queste realtà, è isolata da tutto, vive del fasto greco dei suoi straordinari templi dorici e di un carico negativo della contemporaneità, una morsa che la attanaglia.

    Un’indagine psicanalitica, che per difetto ed elusione delle testimonianze sarebbe spericolata, ci fornirebbe informazioni non estrinseche e non retoriche sul rapporto di tutti questi scrittori con la famiglia, e in particolare sulle difficoltà incontrate da ciascuno di essi col padre, nella dipendenza gerarchica. Nel caso di Pirandello possediamo qualche dato più esplicito. Secondo il biografo Gaspare Giudice, il padre di Luigi, Stefano, fu di princìpi antiborbonici e risorgimentali, come del resto il ramo della moglie Ricci Gramitto, un garibaldino sì, ma un garibaldino alla Bixio, quel Bixio che a Bronte entra in chiesa a cavallo e non esita ad abbattere la giumenta che gli nitrisce sotto gli sproni. Più o meno, è quello stesso personaggio che osa sparare contro la campana molesta, in polemica contro la propaganda dei preti nella novella La Madonnina. Sempre secondo Giudice, per il suo lavoro nella gestione della zolfara Stefano si scontrò con un mafioso di turno, che lo voleva taglieggiare: un tale Cola Camizzi. Si noti per inciso che nella novella L’altro figlio il bestiale capo brigante che terrorizza le campagne in Sicilia, dopo che Garibaldi ha svuotato le carceri, e che uccide il marito della protagonista, si chiama appunto, per memoria e forse per vendetta, Cola Camizzi. Ma, in questo intrico, rimane il sospetto che l’oscuro dell’altro figlio sia intimamente collegato al dramma, alla favola del Figlio cambiato.

    Quella dello scrittore, Pirandello e non solo, è una storia ideale da figlio cambiato. Ecco la Sicilia di Pirandello: Girgenti bianca e allucinata sulla collina, i templi in fila sul crinale, la voragine della zolfara. Un altro mondo, rispetto a quello dei catanesi. Il mare sullo sfondo è quello azzurro degli dèi, ma la zolfara chiama alla Sicilia dell’interno, al dramma della condizione dei minatori, all’inferno di una nuova fase storica, quella industriale, e sia pure di un’industria quanto mai povera, e delle prime rivendicazioni operaie. Verga si è affacciato sul burrone della cava una volta soltanto e ne è scaturito il capolavoro di Rosso Malpelo. Ma per Pirandello la zolfara è una culla, una scuola di vita, la sorgente del sostentamento economico. Se non coltivasse il suo mito alternativo, Pirandello finirebbe come il genitore, dominato dalla tutela ferrea dei personali interessi economici. Luigi ricava il suo profitto, lo sviluppo concreto del suo futuro, dai proventi della zolfara, ma è abbastanza sensibile per capire che non può che schierarsi dall’altra parte. Se no, non sarebbe lo scrittore che è e che diventa. Ovviamente, è uno scrittore dissociato, in rotta col padre padrone e con se stesso. Si vedano novelle come Il «fumo», Ciàula scopre la luna e naturalmente la rappresentazione di questa problematica storica nel romanzo I vecchi e i giovani. La zolfara da questo momento acquista nobiltà letteraria, è l’Università in cui, su quella scia, si formano numerosi scrittori siciliani del Novecento.

    Proprio l’Università introduce un’altra differenza nel caso Pirandello. All’inizio, l’evasione si rende praticabile attraverso lo studio. Il giovane si iscrive prima all’Università di Palermo, poi decide di lasciare l’isola, passa a quella di Roma; quindi, dopo un contrasto con l’autorità accademica, va a studiare a Bonn, dove si laureerà con una tesi di filologia romanza, in lingua tedesca, ma dedicata significativamente ai suoni e agli sviluppi di suoni del dialetto materno di Girgenti.

    L’incontro con il mondo tedesco è decisivo. È una tappa fondamentale del processo di conoscenza di se stesso. Una fuga, primo tempo di un viaggio che ha, sull’altra corsia, il ritorno. Pirandello fuggirà continuamente, ma tornerà sempre, con il corpo e soprattutto nello spirito. Il mondo tedesco è l’altro da sé, il Nord, il mito del Nord. Una pattuglia di scrittori siciliani si è mostrata sensibile a questo fascino. De Roberto lo ha teorizzato nel dramma della sua controfigura nell’Ermanno Raeli, anticipando il dualismo tra linea paterna e linea materna del principe di Salina nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Ma si pensi almeno a un autore come Rosso di San Secondo, cresciuto sotto l’ala di Pirandello, e a Borgese.

    La Germania e la sua cultura accreditano un bisogno d’ordine nel magma del furore isolano, nello stesso tempo contribuiscono a un allargamento degli orizzonti, mettono a contatto con la filosofia tedesca ma anche con le correnti dell’irrazionalismo e dell’avanguardia sullo scorcio del secolo: mentre in Italia vige il classicismo umanistico a egemonia cattolica. Prima di partire alla volta di Bonn esplora a Girgenti, su incarico del suo professore dell’Università romana, il filologo Ernesto Monaci, la biblioteca Lucchesi-Palli, alla ricerca di antichi manoscritti. Il resoconto che di quel tentativo fa, in una lettera al Monaci del 1899, ha punte esilaranti: i manoscritti per la verità ci sono, di qualche interesse, ma conservati in una maniera pietosa. Al suo primo ingresso in biblioteca incontra, seduti a un tavolo polveroso, cinque preti della vicina cattedrale e tre carabinieri dell’attigua caserma, tutti intenti non a compulsare volumi ma a «divorare un’insalata di cocomeri e pomidori». Il bibliotecario è uno di questa compagnia, per il quale il giovane studioso è «una bestia rara e insieme molesta». Infatti quei libri nel loro lungo sonno non conoscono di solito altri visitatori che i topi e gli scarafaggi... Si ricordi che la morte e resurrezione di Mattia Pascal avvengono analogamente in biblioteca, tra libri e topi.

    È in gioco il rapporto con la propria cultura, gloriosa ma decaduta. Un passaggio su cui non si rifletterà mai abbastanza. Verga è arrivato sino a Milano, Capuana e De Roberto hanno preferito stazionare a Roma, Pirandello si spinge da battistrada sino a Bonn. Studente e innamorato, percepisce il suo disagio esistenziale. Per un certo periodo un modello di identificazione diventa il coltissimo Goethe, con le sue tempeste giovanili e con la visione universalistica della maturità. Goethe è sceso al Sud, si è esaltato della Sicilia e l’ha giudicata «la chiave di tutto»; ha concepito nel suo lungo viaggio italiano le Elegie romane. Pirandello prontamente le traduce in tedesco e, per perfezionare il parallelismo, concepisce a sua volta le Elegie renane. Un confronto audace, che ai suoi predecessori non sarebbe mai venuto in testa.

    La frequentazione e la laurea a Bonn con una tesi scritta in lingua tedesca attestano già da sole la dimensione intellettuale e colta, superiore allo standard, conseguita da Pirandello. Non si dimentichi che, rientrato in Italia, dopo la tragedia dell’allagamento della zolfara, troverà i mezzi di sopravvivenza nell’insegnamento universitario; sicuramente un vestito che gli sta stretto, ma senza questa piattaforma e questo bagaglio sarebbe impensabile la stesura del trattato sull’Umorismo e la sperimentazione della sua opera, in specie degli ultimi romanzi e del suo teatro.

    Quale opera debba nascere, all’inizio e per molto tempo, nemmeno l’interessato avrebbe potuto pronosticarlo. Parte da lontano, dal retroterra della versificazione poetica, quella più nobilitata dalla tradizione del canone letterario italiano e quella più vicina all’urgenza sentimentale dell’autobiografia. Ed esordisce con due raccolte di versi, Mal giocondo e Pasqua di Gea, che rivelano non un talento poetico, che anzi è francamente scarso, ma una miscela di sentimenti e di idee, una situazione di conflitto, un bisogno tormentoso di venir fuori da un bozzolo. Che è ancora una condizione generica da piccolo intellettuale di provincia.

    Invece lo scrittore prende davvero il volo, sviluppa il culto della ricerca nel laboratorio alchimistico, ritrova il percorso a lui congeniale, per concorso sfavorevole ma scatenante dei fatti biografici e storici, per quello che alla fine, pur analizzabile nelle componenti genetiche, rimane pur sempre un miracolo. Pirandello, superata l’impasse, dà vita a una produzione letteraria sterminata, un labirinto dell’invenzione creativa, senza limitazione dei generi istituzionali: nel romanzo, nella novellistica, nel teatro.

    Un fiume in piena scorre tra argini cedevoli, un demone detta le parole per un’ispirazione che non dà tregua, ai limiti della coazione. La vita diventa una rincorsa della scrittura, che la rappresenta, la decifra, la sostituisce. Il dramma pirandelliano è in prima istanza questa oscura ossessione, per cui o si vive o si racconta la vita, in un racconto tendenzialmente infinitesimale, che lascia tuttavia teso e depresso. Si aggiunga all’opera letteraria, di proporzioni quanto mai ampie, il complemento del ricchissimo epistolario, che ha un compito più immediato di rispecchiamento della cronaca e quasi provvede alla saldatura dei vuoti residui.

    È chiaro che i modelli e la concorrenza hanno importanza. Ma in questo senso i maestri veristi, ormai fuori stagione, sono un riferimento orgoglioso, da cui prendere distanza per rivendicare una genealogia ma anche un’originalità. Si veda in questo senso il discorso tenuto nel 1920 al Teatro Bellini di Catania in occasione dell’ottantesimo compleanno di Verga, poi replicato con varianti alla Reale Accademia d’Italia nel 1931. È qui che Pirandello, nella circostanza ufficiale, cerca una collocazione storico-letteraria e disegna il tracciato di due linee fondamentali, due famiglie spirituali: da una parte gli scrittori che puntano a uno stile di cose, dall’altra quelli che aderiscono invece a uno stile di parole. La distinzione è approssimativa, e non senza equivoci, ma funzionale. Nel primo campo ci sono gli autori sodali e corregionali che ormai conosciamo, nell’altro, al di là dei falsi schermi, uno soprattutto, nella contemporaneità: Gabriele D’Annunzio, il letterato della competizione in atto, lo scrittore di successo irresistibile, nell’arte e nella società. È lui il bersaglio diretto della polemica pirandelliana, il vincente rispetto a cui è difficilissimo acquisire e conservare una postazione. Diverso il caso di Benedetto Croce, non meno prestigioso e ingombrante con il suo idealismo classicistico, teorico di un sistema che cade a pezzi ma che non lascia spazi, architetto di un canone con inclusioni ed esclusioni che vorrebbero essere definitive.

    Pirandello tiene in fastidio le scuole, tutte quante, e affronta la sua avventura da irriducibile solitario, con l’esperienza di chi si è formato nella sperduta Girgenti ma si è guadagnato la strada per Bonn. Ha la sua vocazione artistica, che è l’ultima eredità religiosa di una fede altrimenti perduta. Ha desiderio di novità e un paese alle spalle, da cui è fuggito, ma che letterariamente scopre essere una risorsa preziosa, una miniera con vene inesauribili.

    Nel romanzo, incoraggiato dal generoso Capuana, esordisce con L’esclusa, che stenta a pubblicare, ma che gli trasmette la certezza di un salto di qualità rispetto al velleitarismo delle adolescenziali e giovanili prove poetiche, che lo mette in corsa in un territorio aperto e avvincente. In fin dei conti, mentre la lirica è illustre e laureata, permane la nebulosa del grande romanzo che, con l’eccezione unica dei Promessi Sposi, ancora manca alla prosa della nuova Italia. Dopo l’intermezzo del Turno, nel progetto romanzesco, ormai nella dimensione e nella temperatura fredda e calda dell’umorismo, è con Il fu Mattia Pascal che l’autore realizza l’opera in grado di fare la differenza. Il personaggio Pascal, marito infelice e suicida virtuale, parte dalla domestica Miragno e arriva all’altro mondo, con un viaggio di andata e ritorno. C’è un prima e un dopo, ma niente sarà più come prima. È una trovata geniale, che solleverà un ampio dibattito pubblico e darà una proporzionata notorietà al suo autore. Il problema di fondo è il rapporto con il passato, con la Sicilia, con se stessi. Pirandello se la prende con la sua eredità di pregiudizi e credenze decrepite. Una galleria interminabile di novelle, da coprire il calendario di un anno e la vita stessa, secondo la tradizione orientale delle Mille e una notte, mette a fuoco lo spettacolo di un’esistenza irragionevole, sotto un cielo di carta, disabitato dai numi. La novella La sagra del Signore della Nave è una requisitoria contro la superstizione della religione, contro la violenza di un sacro dissacrato. Il romanzo I vecchi e i giovani, in un recupero delle strutture narrative ottocentesche, fa un bilancio ambizioso delle attese e dei risultati di un Risorgimento tradito, di una Sicilia arcaica e feudale, di una Roma inetta e corrotta.

    Custode di una famiglia che, secondo la definizione di Giovanni Macchia, è una stanza della tortura, Pirandello diventa un esploratore degli abissi della personalità, raccogliendo ed esaltando una sua attitudine segreta. Senza gli strumenti di Freud, in anni che pur lo avrebbero permesso, realizza con i mezzi della letteratura e della lingua un’inchiesta prodigiosa sul tema dell’identità.

    Con Il fu Mattia Pascal ha visitato l’altro mondo, alla frontiera ha consultato gli spiriti, guarda a questo «mondaccio» con scetticismo e con un cannocchiale rovesciato che lo rimpicciolisce. Nella novella Lontano ha sperimentato non la condizione dell’isolano che va al Nord, ma dell’uomo del Nord, in questo caso un norvegese, che approda e prova a trattenersi in Sicilia, ma non vi resiste, perché la sente estranea. È una controprova utile per una prospettiva del distacco, del lontano da dove. Nel 1932 il critico Emilio Cecchi medita l’idea di ricavare un film dalla trama di questa novella e commette l’imprudenza di desumere dall’argomento una valutazione negativa della cultura meridionale e siciliana. Pirandello replica risentito: «Tutt’altro! Non era, né poteva essere nelle mie intenzioni, di rappresentar barbara o di civiltà inferiore la Sicilia. Altra vita, altro sangue, altra natura, altri costumi, altri bisogni, altra sensibilità, altri sentimenti. È tutto qui».

    Avevate capito male. Come dirà più tardi il principe di Salina al funzionario piemontese Chevalley, i siciliani sono in sonno, per colpa del sole e per ragioni storiche, ma rappresentano il sale della terra. Comunque, solo lui ha il diritto di criticarli, con una critica che è una forma rovesciata di adesione viscerale.

    Ma Pirandello ci mette una nota impossibile all’aristocratico Tomasi di Lampedusa: come viene fuori anche dal brano citato, la passione per l’altro, per l’identità e dunque per l’alterità. Per l’altro, per l’alienato, per l’alienato sino a divenire alieno, per lo straniero a questa terra; di cui il prototipo è Mattia Pascal, il filosofo matto di filosofia, il morto redivivo.

    Il diverso e il suo segreto, attraverso il meccanismo del rovesciamento, una delle leve predilette. Le ragioni degli altri, così difficili da ascoltare, murati come siamo nella cella delle nostre fragili convinzioni. Una galleria di personaggi diversi è illustrata dalla lente pirandelliana: Ciàula il mentecatto nella novella che ne porta il nome, Chiarchiaro lo iettatore nella Patente, l’ebreo in Un Goj, il pazzo: il pazzo vero, il pazzo a intermittenza, il pazzo creduto o anche simulato.

    Girgenti e dintorni, dintorni che si dilatano senza confini, è una vasta clinica, dove i personaggi, protagonisti o comparse, sceneggiano una rappresentazione assurda dell’esistenza. Lo scrittore si accorge che la sua sfortuna maggiore è la sua fortuna inquietante, che la moglie, Maria Antonietta Portulano, un’altra lucciola caduta nella campagna girgentana, è la sua Musa angosciosa, la statua vivente, la Medusa inguardabile, che lo opprime e da cui pur impara cose proibite. Non è un infortunio e basta. Pirandello non è Scott Fitzgerald davanti alla schizofrenica moglie Zelda. Qui non ci sono trasgressioni, sprechi, mondanità. Tutto invece è cupo e disperato.

    Per sua natura riservato, si accanisce a pubblicizzare questa malattia, che è una vergogna. Con Ugo Ojetti nel 1914 si confessa: «La pazzia di mia moglie sono io». È lecito affermare che buona parte della sua opera, da un certo momento in avanti, è la conclamazione di un’ingiustizia, e forse di una nemesi, che lo ha toccato, di una sorta di morbo che minaccia la sua salute individuale ma anche quella collettiva, che spalanca la verità sulla debolezza delle fondamenta dell’edificio sociale.

    Il teatro, sbocco naturale dell’ispirazione drammatica pirandelliana, nella matrice dialettale e nella rielaborazione colta e sofisticata, è questa piazza pubblica, un palcoscenico reale ma soprattutto simbolico, in cui l’autore esasperato porta il suo problema alla discussione, con una richiesta ossessiva, per un confronto inesausto delle parti, per una resa dei conti.

    La rivoluzione dei Sei personaggi in cerca d’autore nel 1921 e del successivo teatro nel teatro, canalizza quest’energia entro un nuovo alveo, identificando a livello internazionale un marchio d’autore, e quasi un brevetto. Cambia, nell’Italia e nell’Europa uscite dal disastro di una guerra mondiale, la relazione consensuale tra l’autore, i personaggi e il pubblico; lo scrittore rilancia, a partire dalla memoria degli archetipi della tragedia greca e dalla fonte calda del coro di Sofocle e di Euripide, di cui si sente erede, la sua scommessa costruttiva e distruttiva. Ormai anziano, lui che si è sentito sempre vecchio, come se quella nascita in tempo di colera lo avesse intaccato, riprova tutti i percorsi del labirinto, in una nuova stagione creativa.

    Trova il coraggio anche di sostituire la sua Musa: alla moglie l’attrice Marta Abba, l’allieva che si anima sulla scena, che incarna le sue aspirazioni di Pigmalione, che rinfocola le istanze del desiderio e del rimorso. La sua opera diventa un’infinita logomachia, la palestra dove un ragionatore lucidissimo, dotato di maschere e in tenzone con sosia e cloni, demistifica ogni base razionale, sino al delirio, al crollo degli specchi, alla scissione della personalità. Lo smascheramento della forma si riproduce in nuove forme. Nuovo Gorgia, Pirandello si prolunga nel pirandellismo, il rischio e il vizio annidati nella sua struttura mentale.

    Dopo Il fu Mattia Pascal, dopo i Sei personaggi in cerca d’autore, nelle tappe dell’inchiesta di un grande inquisitore, dopo il reality show dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore, è il romanzo antiromanzo di Uno, nessuno e centomila il libro che chiude una tormentatissima vicenda, in un esemplare epilogo negativo. Che lascia sbalordito lo stesso autore, come dimostra il sussulto surreale del teatro del mito nella Nuova colonia, in Lazzaro e nei Giganti della montagna.

    Pirandello ottiene gli allori del premio Nobel quando ormai è un viaggiatore senza valigia e senza illusioni. Li ottiene in pieno fascismo, un regime a cui ha dato la sua plateale adesione, addirittura dopo il delitto Matteotti, lui che ha una produzione artistica che più antifascista non si potrebbe immaginare. E non c’è bisogno della novella C’è qualcuno che ride per trovare il segno scoperto di questa contestazione.

    Nella cultura italiana assurge a un ruolo di icona, parallelo a Svevo, nel superamento di una soglia. E certo non sarà l’Alfieri a contendergli lo spazio del teatro, che peraltro va restringendosi per tutti. Ma l’avanguardia di questo autore acquista una valenza europea e internazionale, accanto ad autori come Proust, Joyce, Kafka, Musil, Pessoa, gli interpreti dello statuto della crisi nella modernità. Chi da noi con la sua intensità si è interrogato, in maniera sostanziale e formale, sui nodi e sui fantasmi della contemporaneità quali il suicidio, la follia, le finzioni della rappresentazione sociale, la dissoluzione della personalità? La parabola di questo figlio del Caos, di questo angelo e demone col suo messaggio nichilistico, nel confluire di elementi originari e ultra-intellettuali, nell’assunzione continua di maschere, mi pare che possa sostenerne un’ultima, che appartiene alla civiltà postmoderna.

    SERGIO CAMPAILLA

    Luigi Pirandello, la vita e l’opera

    Luigi Pirandello nasce il 28 giugno 1867, nei pressi di Girgenti (Agrigento), nella tenuta paterna denominata Caos. Il padre Stefano appartiene a una ricca famiglia di commercianti di zolfo, la madre Caterina Ricci-Gramitto a una famiglia della borghesia girgentana. In entrambi i rami, intensa è la memoria antiborbonica e risorgimentale.

    Riceve l’istruzione elementare in casa e qui ascolta affascinato le favole e le leggende che gli racconta la vecchia serva Maria Stella. A soli dodici anni scrive la prima tragedia, andata perduta. Il padre vuole che si iscriva alle scuole tecniche ma poi Luigi, attratto dagli studi umanistici, ottiene di frequentare il ginnasio.

    Nel 1880 la famiglia si trasferisce a Palermo; qui Luigi compie gli studi liceali, compone le prime poesie e s’innamora della cugina Lina. Mentre il rapporto con il padre va logorandosi, la famiglia di Lina per avallare le nozze pretende che Luigi lasci gli studi e si dedichi al commercio dello zolfo. Per questo motivo nel 1886, durante le vacanze, Luigi segue il padre nelle zolfare. Il matrimonio tuttavia viene rimandato e Pirandello può iscriversi all’università di Palermo, alle Facoltà di Legge e di Lettere. L’ateneo palermitano vede in quegli anni il sorgere del movimento che sfocerà nei Fasci siciliani; Pirandello non vi partecipa attivamente ma è in rapporti di amicizia con alcuni dei futuri dirigenti.

    Nel 1887 sceglie definitivamente la Facoltà di Lettere e per continuare gli studi si trasferisce a Roma. La decadenza degli ideali risorgimentali che sperimenta in questa città gli detta i versi amari della prima raccolta di poesie, Mal giocondo (1889). Per un contrasto con un professore di latino, è costretto a lasciare l’università di Roma e si reca a Bonn, dove rimarrà due anni (1889-1891), di fervida vita culturale. Nel marzo del 1891 si laurea in Filologia romanza con una tesi sul dialetto di Girgenti: Suoni e sviluppi di suono della parlata di Girgenti.

    Nella primavera del 1891 torna in Italia e a Milano pubblica il poemetto Pasqua di Gea, dedicato a Jenny Schulz Lander, una ragazza tedesca con la quale a Bonn ha intrecciato una relazione.

    Dopo un breve soggiorno in Sicilia, durante il quale il matrimonio con la cugina già seriamente compromesso va a monte, ritorna a Roma, dove stringe amicizia con un folto gruppo di scrittori e giornalisti. Fondamentale l’incontro con Luigi Capuana, che lo spinge a dedicarsi alla narrativa. Scrive nel 1893 Marta Ajala, che pubblicherà nel 1901 con il titolo L’esclusa. Nello stesso anno detta all’amico Pio Spezi un Frammento d’autobiografia che sarà poi pubblicato nel 1933. Nel 1894 pubblica la prima raccolta di novelle, Amori senza amore. Il 1894 è anche l’anno del matrimonio: sposa una ragazza timida e chiusa, di buona famiglia girgentana, Maria Antonietta Portulano. Sin dall’inizio la donna mostra di non comprendere la vocazione artistica del marito, ma i primi anni di convivenza sono comunque abbastanza sereni: nel 1895 nasce Stefano, nel 1897 Lietta, nel 1899 Fausto. Pirandello intensifica intanto la collaborazione a giornali e a riviste, come «La Critica» e la « Tavola rotonda» su cui pubblica nel 1895 la prima parte dei Dialoghi tra il Gran Me e il piccolo me. Nel 1897 accetta l’incarico di insegnante di lingua italiana all’Istituto Superiore di Magistero di Roma, e sul «Marzocco», con cui ha iniziato a collaborare nel 1896, pubblica qualche altra pagina dei Dialoghi. Nel 1898 con Italo Carlo Falbo e Ugo Fleres fonda il settimanale «Ariel» su cui pubblica l’atto unico L’epilogo (poi intitolato La morsa) e alcune novelle (La scelta, Se...). Nel 1900 pubblica sul «Marzocco» alcune delle novelle più celebri (Lumie di Sicilia, La paura del sonno), nel 1901 la raccolta di poesie Zampogna e, a puntate sulla «Tribuna», il romanzo L’esclusa. Nel 1902 raccoglie in volume alcune novelle già apparse in riviste e giornali: esce la prima serie di Beffe della morte e della vita (la seconda serie uscirà nel 1903) e Quando ero matto... Sempre nel 1902 è pubblicato il secondo romanzo, Il turno.

    Nel 1903, alla notizia dell’allagamento della miniera di Aragona, nella quale il padre Stefano ha investito anche la dote di Maria Antonietta, questa rimane semiparalizzata e il suo equilibrio ne rimarrà profondamente e irrimediabilmente alterato. Pirandello, per quanto scosso, si preoccupa di porre riparo alla difficile situazione: impartisce lezioni d’italiano e di tedesco e chiede alle riviste alle quali prima ha ceduto gratuitamente i suoi scritti il compenso per la propria collaborazione. Sulla «Nuova Antologia» diretta da G. Cena appare nel 1904 a puntate il romanzo che Pirandello va scrivendo nottetempo, mentre veglia la moglie malata, dopo una giornata di lavoro: Il fu Mattia Pascal. Da subito un grande successo, è tradotto nel 1905 in tedesco, e apre a Pirandello la strada della notorietà, consentendogli di cambiare casa editrice. Presso Treves nel 1906 escono le novelle della raccolta Erma bifronte. Nel 1908 pubblica un volume di saggi intitolato Arte e scienza e l’importante saggio L’umorismo. Nel 1909 viene pubblicata a puntate la prima parte del romanzo I vecchi e i giovani che ripercorre la storia del fallimento e della repressione dei Fasci siciliani. Sempre nel 1909, inizia la collaborazione con un giornale prestigioso come il «Corriere della Sera» (vi scriverà fino all’8 dicembre 1936), su cui pubblica le novelle Mondo di carta, La giara e, nel 1910, Non è una cosa seria e Pensaci, Giacomino! Lo scrittore è ormai famoso, ma la sua vita privata è avvelenata dai sospetti di Antonietta che, guarita dalla paresi, lo ossessiona con la sua gelosia.

    Nel 1910 Pirandello, che a causa di dilazioni e promesse non mantenute di attori e capocomici circa la rappresentazione dell’atto unico L’epilogo (scritto nel 1892 e pubblicato nel 1898) ha allentato i suoi rapporti con il mondo del teatro, si lascia convincere da Nino Martoglio, attore e regista suo conterraneo, a trarre un atto unico dalla novella Lumie di Sicilia che lo stesso Martoglio recita per il Teatro minimo insieme con il «disgraziato» L’epilogo, diventato ora La morsa.

    Nel 1911, mentre continua la pubblicazione di novelle (La patente, La tragedia di un personaggio), esce il quarto romanzo, Suo marito, ripubblicato postumo nel 1941, completamente rivisto nei primi quattro capitoli, con il titolo Giustino Roncella nato Boggiòlo. L’autore durante la sua vita non ripubblicherà questo romanzo per motivi di riservatezza: nell’opera, infatti, c’è un implicito riferimento alla scrittrice Grazia Deledda. Nel 1912 stampa il suo ultimo volume di versi Fuori di chiave. Il lavoro che in questi anni lo assorbe maggiormente è quello di prosatore: tra il ’13 e il ’14 sono pubblicate, tra le altre, le novelle La vendetta del cane, Quando s’è capito il giuoco, Il treno ha fischiato, Filo d’aria, Berecche e la guerra.

    Nel 1915 escono le raccolte di novelle La trappola e Erba del nostro orto. Sempre nel ’15 sulla «Nuova Antologia» è pubblicato a puntate il romanzo Si gira..., poi ripubblicato nel 1925 con il titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Nel 1916 l’attore Angelo Musco recita con successo la commedia in tre atti che lo scrittore ha ricavato dalla novella Pensaci, Giacomino! (nel testo siciliano) e la commedia «campestre» Liolà («l’opera mia più fresca e viva») pure in siciliano. Nel 1917 esce la raccolta di novelle E domani lunedì, ma l’anno è contrassegnato soprattutto da importanti rappresentazioni teatrali: Così è (se vi pare), ’A birritta cu’ i ciancianeddi e Il piacere dell’onestà. Il lavoro teatrale, pur non soffocando del tutto la produzione di novelle (nel 1918 è pubblicata la raccolta Un cavallo nella luna), assorbe sempre di più lo scrittore: sono messe in scena nel ’18 le commedie Ma non è una cosa seria e Il giuoco delle parti.

    Nel 1919 Maria Antonietta viene fatta internare in una clinica sulla via Nomentana: non ne uscirà più.

    Il 1920 è l’anno di commedie comeTutto per bene; Come prima, meglio di prima; La signora Morli, una e due. Sempre in questo anno l’autore abbandona la casa editrice Treves e affida all’editore Bemporad la pubblicazione delle sue opere. Nel 1921 la Compagnia di Dario Niccodemi mette in scena al Valle di Roma Sei personaggi in cerca d’autore. È un insuccesso clamoroso: l’autore che è presente alla rappresentazione deve imboccare un’uscita laterale per fuggire le grida e l’ira della folla ostile. Lo stesso dramma, però, a Milano ottiene un grandissimo consenso. Nel ’22 sempre a Milano viene rappresentato l’Enrico IV interpretato da Ruggero Ruggeri: è un trionfale successo. Ormai la fama dello scrittore varca i confini dell’Italia: i Sei personaggi sono rappresentati in lingua inglese a Londra e a New York. Ma le rappresentazioni continuano anche in Italia: a Roma si mette in scena Vestire gli ignudi. Sempre nel ’22 Pirandello lascia l’insegnamento. Nel ’23 trae dalla novella La morte addosso l’atto unico L’uomo dal fiore in bocca, che è messo in scena da Anton Giulio Bragaglia. Dopo una strepitosa prima a Parigi, il «dramma da fare» è rappresentato nelle maggiori città d’Europa.

    Nel 1924 viene rappresentato il secondo dei «drammi da fare», Ciascuno a suo modo, che ripropone la storia della donna fatale, presente nel romanzo Si gira... Nel ’25 Pirandello ha l’occasione di compiere un’esperienza diretta del mondo teatrale, assumendo la direzione artistica del Teatro d’Arte di Roma, fondato dal Gruppo degli Undici, tra cui figurano Orio Vergani, Massimo Bontempelli e il figlio dello scrittore Stefano. La prima attrice della compagnia è la giovane Marta Abba, che sarà amata da Pirandello, divenendo la sua ispiratrice. Le tournées toccano le più importanti città d’Europa rendendo sempre più noto il repertorio pirandelliano. Tra il ’25 e il ’26 esce a puntate sulla «Fiera letteraria» l’ultimo romanzo Uno, nessuno e centomila, che è stato a lungo sulla scrivania dello scrittore. Per la musa vivente Marta Abba lo scrittore compone: Diana e la Tuda (1926), L’amica delle mogli(1927), Come tu mi vuoi (1929) e infine Trovarsi (1932).

    La Compagnia del Teatro d’Arte, ritornata in Italia dopo una tournéein Argentina e in Brasile (1927), mette in scena il «mito» in tre atti La nuova colonia (1928), che appariva come dramma scritto da Silvia Roncella nel romanzo Suo marito. Nell’agosto la compagnia si scioglie e Pirandello si reca in «esilio» a Berlino; qui segue con interesse (ma non condivide del tutto) le proposte dei registi espressionisti come Max Reinhardt, Erwin Piscator e Leopold Jessner. Nasce allora, basato sui rapporti tra opera scritta e realtà teatrale, il terzo «dramma da fare» Questa sera si recita a soggetto. Quando la commedia viene rappresentata a Berlino (1930), al terzo atto gli spettatori insorgono trasformando il teatro in una vera e propria bolgia.

    Intanto nel 1929 è nominato Accademico d’Italia (aveva chiesto l’iscrizione al partito fascista nel ’24); sempre nel ’29 è rappresentato il secondo «mito» Lazzaro ed è pubblicato l’atto unico Sogno (ma forse no). In questo anno lo scrittore lascia Bemporad e affida la pubblicazione delle sue opere a Mondadori, suo definitivo editore. Nel 1931 pubblica la novella Soffio e, con il titolo I fantasmi, il primo atto del terzo e ultimo «mito» I giganti della montagna, che rimarrà incompiuto (lo scrittore si fermerà al secondo atto, 1934).

    Nel 1934 scrive il dramma Non si sa come; sotto la sua regia, viene messa in scena al Teatro Argentina di Roma La figlia di Iorio di D’Annunzio. Sempre nel ’34 gli viene conferito il premio Nobel.

    In questi ultimi anni della sua vita Pirandello ritorna al silenzioso spazio della narrativa, scrivendo alcune suggestive novelle: Di sera, un geranio (1934), Il chiodo e Una giornata (1936). Pirandello non ha ancora ultimato il mito-testamento I giganti della montagna, quando la morte lo coglie nella sua casa di via Bosio, a Roma, il 10 dicembre 1936.

    Celebri le sue ultime volontà. Nel 1946, primo decennale della morte, le sue ceneri, raccolte dentro un vaso greco, sono trasferite ad Agrigento.

    Bibliografia essenziale

    Si veda ora la monumentale edizione di Luigi Pirandello, I romanzi, le novelle e il teatro, a cura di SERGIO CAMPAILLA, Roma, Newton Compton, 2009, pp. 3600. Di Campailla si vedano l’introduzione generale al volume e tutte le introduzioni alle singole sezioni e opere.

    Per una bibliografia più completa si rinvia ad A. Barbina, Bibliografia della critica pirandelliana (1889-1961), in «Pubblicazioni dell’Istituto di studi pirandelliani», Firenze, Le Monnier, 1967 e per il successivo decennio (1962-1971), alla rassegna di G. Marchi, Dieci anni di critica pirandelliana, in «Quaderni dell’Istituto di studi pirandelliani», n. 1, Roma, Carocci, 1973.

    Si rimanda inoltre alla bibliografia di C. Donati, Bibliografia della critica pirandelliana (1962-1981), Firenze, Editrice la Ginestra, 1986 e alle più recenti: Bibliografia pirandelliana. Atti di Convegni e articoli di riviste sull’opera e la figura di Luigi Pirandello (1937-1995), a cura di L. Tardino, Agrigento, BibliotecaMuseo Luigi Pirandello, 1996 e Bibliografia pirandelliana, 1936-1996: 60 anni di studi critici in atti di convegni, cataloghi di mostre e raccolte di saggi dedicati al drammaturgo agrigentino, a cura di C.A. Iacono, Palermo, Regione Sicilia, 2000.

    Infine si veda la rassegna di C. Di Lieto, Rassegna di studi pirandelliani (2000-2004), in «Riscontri», 2004, n. 4, pp. 74-85.

    B. CROCE, L’umorismo di Luigi Pirandello, in «La Critica», maggio 1909, pp. 219-223; poi in Conversazioni critiche, I, Bari, Laterza, 1929.

    G. A. BORGESE, Saggi di letteratura e di cultura contemporanea, in La vita e il libro, Torino, Bocca, 1910; poi in La vita e il libro, Bologna, Zanichelli, 1923-1928.

    P. M. ROSSO DI SAN SECONDO, Luigi Pirandello, in «Nuova Antologia», Roma, 1 febbraio 1916, pp. 390-443.

    A. TILGHER, Il teatro dello specchio, in «La Stampa», Torino, 18 agosto 1920.

    A. TILGHER, in Voci del tempo, Profili di letterati e filosofi contemporanei, Roma, Libreria di Scienze e Lettere, 1921, pp. 78-88.

    S. A. CHIMENZ, Il teatro di L. Pirandello, in «Nuova Antologia», Roma 1 febbraio 1921, pp. 258-263.

    S. D’AMICO, Pirandello e la critica, in «L’Idea nazionale», Roma, 29 ottobre 1921.

    A. TILGHER, Studi sul teatro contemporaneo, Roma, Libreria di Scienze e Lettere, 1922, pp. 91-108 e pp. 157-218.

    P. GOBETTI, Opera critica, Parte Seconda, Teatro, letteratura, storia, Torino, Edizioni del Baretti, 1927.

    I. SICILIANO, Il teatro di Pirandello, ovvero dei fasti dell’artificio, Torino, Bocca, 1929.

    F. V. NARDELLI, L’uomo segreto, vita e croci di L. Pirandello, Milano, Mondatori, 1932.

    S. D’AMICO, Il teatro italiano, Milano, Treves, 1932, pp. 100-138.

    A. JANNER, Pirandello novelliere, in «Rassegna nazionale», Roma, giugno 1932, pp. 405-419.

    L. CREMANTE, Pirandello novelliere, Firenze, La Nuova Italia, 1935, pp. 278-282 e 315-317.

    B. CROCE, Luigi Pirandello, in «La Critica», Bari, 20 gennaio 1935, pp. 20-33. Ripubblicato in Letteratura della nuova Italia, vi, Bari, Laterza, 1940.

    S. D’AMICO, Venti personaggi in cerca di Pirandello, in «La Lettura», Milano, 1 marzo 1935, pp. 209-213.

    G. VIGORELLI, Interpretazione di L. Pirandello, in «Vita e Pensiero», Milano, ottobre 1935.

    U. APOLLONIO, Luigi Pirandello, in Romanzieri e novellieri d’Italia nel secolo XX, I, Roma, Stanze del Libro, 1936.

    A. D’ANDREA, Pirandello novelliere, in «Leonardo», Firenze, settembre 1937, pp. 279-289.

    M. BONTEMPELLI, Luigi Pirandello, in M. Lo Vecchio Musti, Bibliografia di Pirandello, Milano, Mondadori, 1937.

    B. TECCHI, Passaggio dalle forme narrative al teatro, in «Rivista italiana del dramma», Roma 15 luglio 1937, pp. 1-12.

    E. TONELLI, Il teatro di Luigi Pirandello, in «Rivista italiana del dramma», Roma, 15 gennaio 1937, pp. 5-22.

    F. PASINI, Pirandello nell’arte e nella vita, Padova, Stediv, 1937.

    L. BACCOLO, Luigi Pirandello, Genova, Emiliano degli Orfini, 1938, Milano, Bocca, 1948.

    M. LO VECCHIO MUSTI, L’opera di L. Pirandello, Torino, Paravia, 1939.

    P. PANCRAZI, L’altro Pirandello, in Scrittori italiani del Novecento, Bari, Laterza, 1939.

    A. DI PIETRO, L. Pirandello, Milano, Vita e Pensiero, 1941.

    M. ALICATA, I romanzi di Pirandello, in «Primato», Roma, IIV, 1941.

    M. SANSONE, Critica e poetica di L. Pirandello, in «Antico e Nuovo», Bari, a. I, 1945.

    A. MORAVIA, Pirandello, in «Fiera Letteraria», Roma, 12 dicembre 1946.

    A. JANNER, Luigi Pirandello, Firenze, La Nuova Italia, 1948.

    A. GRAMSCI, Letteratura e vita e nazionale, Torino, Einaudi, 1950.

    G. PETRONIO, Pirandello novelliere e la crisi del realismo, Lucca, Edizioni Lucentia, 1950.

    G. DEBENEDETTI, Saggi critici, Milano, Mondadori, 1955, pp. 272-294.

    U. APOLLONIO, Letteratura dei contemporanei, Brescia, La Scuola Editrice, 1957, pp. 517-523 e 541-547.

    V. FAZIO ALLMAYER, Il problema Pirandello, in «Belfagor», Firenze, 31 gennaio 1957, pp. 18-34.

    C. SALINARI, Lineamenti del mondo ideale di L. Pirandello, in «Società», Roma, giugno 1957, pp. 425-462.

    B. TECCHI, Officina segreta, CaltanissettaRoma, S. Sciascia, 1957.

    G. B. ANGIOLETTI, Luigi Pirandello, narratore e drammaturgo, Torino, eri, 1958.

    L. FERRANTE, Pirandello, Firenze, Parenti, 1958.

    L. RUSSO, I narratori (1850-1957), Firenze, Principato, 1958, pp. 244-254.

    L. RUSSO, Pirandello e la provincia metafisica, in «Belfagor», Firenze, XV, 1960, pp. 389-401.

    C. SALINARI, Miti e coscienza del decadentismo italiano, Milano, Feltrinelli, 1960, pp. 249-284.

    L. SCIASCIA, Pirandello e la Sicilia, CaltanissettaRoma 1961; nuova ediz. Milano,Adelphi, 1996.

    B. TECCHI, Incontri con i romantici tedeschi, in «Radiocorriere», Roma, 1925 novembre 1961.

    A. LEONE DE CASTRIS, Storia di Pirandello, Bari, Laterza, 1962.

    C. GIUDICE, Luigi Pirandello, Torino, utet, 1963.

    G. ANDERSSON, Arte e teoria, studi sulla poetica del giovane Pirandello, Stockholm, Almqvist e Wiksell, 1966.

    M. POMILIO, La formazione criticoestetica di Pirandello, Napoli, Liguori, 1966.

    AA.VV., Atti del Congresso internazionale di studi pirandelliani (Venezia, Fondazione Cini, 25 ottobre 1961), Firenze, Le Monnier, 1967.

    A.BORLENGHI, Pirandello o dell’ambiguità, Padova, r.a.d.a.r., 1968.

    A. PAGLIARO, Il realismo dialettico di L. Pirandello, in «Il Veltro», febbr.apr. 1968.

    G. MACCHIA, Luigi Pirandello, in Storia della Letteratura italiana, IX, Il Novecento, Milano, Garzanti, 1969.

    C. VICENTINI, L’estetica di Luigi Pirandello, Milano, Mursia, 1970.

    L. LUGNANI, Pirandello. Letteratura e teatro, Firenze, La Nuova Italia, 1970.

    U. BOSCO, Pirandello fra Ottocento e Novecento, in «Il cannocchiale», 1971, n. 3.

    G. DEBENEDETTI, Il romanzo del Novecento, Milano, Garzanti, 1971.

    R. ALONGE, Pirandello tra realismo e mistificazione, Napoli, Guida, 1972.

    J.M. GARDAIR, Pirandello. Fantasmes et logique du double, Paris, Larousse, 1972 (traduz. italiana: Pirandello e il suo doppio, Roma, Edizioni Abete, 1977).

    R. BARRILLI, La linea SvevoPirandello, Milano, Mursia, 1972.

    G. MACCHIA, Introduzione a Pirandello narratore, in L. Pirandello, Tutti i romanzi, I, Milano, Mondadori, 1973.

    A. LEONE DE CASTRIS, Il decadentismo italiano. Svevo, Pirandello, D’Annunzio, Bari, De Donato, 1974.

    S. MONTI, Pirandello, Palermo, Palumbo, 1974.

    F. VIRDIA, Pirandello, Milano, Mursia, 1975.

    AA.VV., Il romanzo di Luigi Pirandello, Palermo, Palumbo, 1976.

    S. COSTA, Luigi Pirandello, Firenze, La Nuova Italia, 1978.

    E. FERRAIO, L’occhio di Mattia Pascal. Poetica e estetica in Pirandello, Roma, Bulzoni, 1978.

    AA.VV., Luigi Pirandello e la crisi della ragione, in Letteratura italiana «900», Milano, Marzorati, 1979, pp. 2159-2301.

    G. CORSINOVI, Pirandello e l’espressionismo, Genova, Tilgher, 1979. Pirandello Martoglio, carteggio inedito a cura di S. Zuppulla Muscarà, Milano, Pan Editrice, 1980.

    C. DONATI, La solitudine allo specchio: Luigi Pirandello, Roma, Lucarini, 1980.

    G. MACCHIA, Pirandello o la stanza della tortura, Milano, Mondadori, 1981.

    F. ZANGRILLI, L’arte novellistica di Pirandello, Ravenna, Longo, 1983.

    A. BARBINA, Ariel. Storia di una rivista pirandelliana, Roma, Bulzoni, 1984.

    S. CAMPAILLA, Mal di luna e d’altro, Roma, Bonacci, 1986.

    R. BARRILLI, Pirandello, una rivoluzione culturale, Milano, Mursia, 1986.

    S. ZAPPULLA MUSCARÀ e E. ZAPPULLA, Pirandello e il teatro siciliano, Catania, Maimone, 1986.

    G. MAZZACURATI, Pirandello nel romanzo europeo, Bologna, Il Mulino, 1987.

    R. SCRIVANO, La vocazione contesa. Note su Pirandello e il teatro, Roma, Bulzoni, 1987.

    W. KRYSINSKI, Il paradigma inquieto: Pirandello e lo spazio comparativo della modernità, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1988.

    M. ARGENZIANO MAGGI, Il relativo e l’assoluto, Napoli, Federico e Ardia, 1988.

    F. ANGELINI, Teatro e spettacolo nel primo Novecento, Bari, Laterza, 1988.

    AA.VV., Lo strappo nel cielo di carta. Introduzione alla lettura del Fu Mattia Pascal, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1988.

    L. SCIASCIA, La biblioteca di Mattia Pascal, in Id., Fatti diversi di storia letteraria e civile, Palermo, Sellerio, 1989, pp. 94-101.

    L. SCIASCIA, Alfabeto pirandelliano, Milano, Adelphi, 1989.

    U. MARTIOLI, L’officina segreta di Pirandello, RomaBari, Laterza, 1989.

    S. MICHELI, Pirandello e il cinema, Roma, Bulzoni, 1989.

    AA.VV., La persona nell’opera di Luigi Pirandello, Atti del Convegno internazionale (Agrigento 1989), Milano, Mursia, 1990.

    F. ANGELINI, Serafino e la tigre. Pirandello tra scrittura, teatro e cinema, Venezia, Marsilio, 1990.

    G. PULLINI, Pirandello e il teatro del Novecento, Modena, Mucchi, 1990.

    AA.VV., Pirandello e l’oltre, Atti del Convegno internazionale (Agrigento 1990), Milano, Mursia, 1991.

    F. CALLARI, Pirandello e il cinema. Con una raccolta completa degli scritti teorici e creativi, Venezia, Marsilio, 1991.

    N. BORSELLINO, Ritratto e immagini di Pirandello, RomaBari, Laterza, 1991.

    R. LUPERINI, Introduzione a Pirandello, RomaBari, Laterza, 1992.

    F. D’INTINO, L’antro della bestia. Le «Novelle per un anno» di Luigi Pirandello, Caltanissetta, Sciascia, 1992.

    L. MARTINELLI, Lo specchio magico. Immagini del femminile in Luigi Pirandello, Bari, Dedalo, 1992.

    C. VICENTINI, Pirandello. Il disagio del teatro, Venezia, Marsilio, 1993.

    E. GHIDETTI, Malattia, coscienza e destino. Per una mitografia del decadentismo, Firenze, La Nuova Italia, 1993.

    M.A. GRIGNANI, Retoriche pirandelliane, Napoli, Liguori, 1993.

    AA.VV.., Pirandello e il teatro, Atti del XXIX Convegno internazionale (Agrigento 14 dicembre 1992), Milano, Mursia, 1993.

    C. DONATI, Il sogno e la ragione. Saggi pirandelliani, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1993.

    S. RAFFAELLI, Il cinema nella lingua di Pirandello, Roma, Bulzoni, 1993.

    S. ZAPPULLA MUSCARÀ, Introduzione a L. Pirandello, Tutto il teatro in dialetto, Milano, Bompiani, 1993.

    D. BUDOR, La Sicile de Pirandello: l’oliver sarrasin et la cendre, in «Critique», XLIX, 1993, fasc. 553-554, pp. 397-408.

    P. D. GIOVANELLI, Dicendo che hanno un corpo. Saggi pirandelliani, Modena, Mucchi, 1994.

    A. SICA, Pirandello: l’attore entro le righe, Agrigento, Centro Nazionale Studi pirandelliani, 1994.

    F. ZANGRILLI, Lo specchio e la maschera. Il paesaggio in Pirandello, Napoli, Cassetto, 1994.

    S. CAMPAILLA, Chi è goj, in «Libri e Riviste d’Italia», 47, 1995, n. 547-550, pp. 409-414; poi in S. Campailla, Controcodice, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001, pp. 123-130.

    F. ZANGRILLI, Pirandello e i classici, Fiesole, Cadmo, 1995.

    P. CAPPELLO, Come leggere Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello, Milano, Mursia, 1995.

    M.L. AGUIRRE D’AMICO, Vivere con Pirandello, Milano, Mondadori, 1995.

    G. PARADISO, Pirandello psicoanalitico, Catania, epc, 1995.

    M.L. PATRUNO, Verismo e umorismo: poetiche in antitesi, RomaBari, Laterza, 1996. I libri in maschera: Luigi Pirandello e le biblioteche, Catalogo della mostra tenuta a Roma nel 1996, Roma, De Luca, 1996.

    F. PUGLISI, Le nuove correnti di estetica: con al centro Pirandello, Roma, Bulzoni, 1996.

    AA.VV., Intorno a Pirandello, a cura di Rino Caputo e Francesca Guercio, Roma, Euroma, 1996.

    R. CAPUTO, Il piccolo padreterno: saggi di lettura dell’opera di Pirandello, Roma, Euroma, 1996.

    M. CANTELMO, L’abito, il corpo, la carta del cielo: saggi su Pirandello, Lecce, Manni, 1996.

    L. PIRANDELLO, Taccuino segreto, a cura e con un saggio di A. Andreoli, Milano, Mondadori, 1997.

    G. PATRIZI, Pirandello e l’umorismo, Roma, Lithos, 1997. L’isola che ride. Teoria, poetica e retoriche dell’umorismo pirandelliano, a cura di M. Cantelmo, Roma, Bulzoni, 1997.

    R. ALONGE, Madri, baldracche, amanti: la figura femminile nel teatro di Pirandello, Genova, Costa & Nolan, 1997.

    R. ALONGE, Luigi Pirandello, RomaBari, Laterza, 1997.

    G. CORSINOVI, Il corpo e la sua ombra. Studi pirandelliani, Foggia, Bastogi, 1997.

    G. DEBENEDETTI, Il personaggiouomo, Milano, Garzanti, 1998.

    C. DONATI, Luigi Pirandello nella storia della critica, Fossombrone, Metauro, 1998.

    G. MAZZACURATI, Stagioni dell’Apocalisse: Verga, Pirandello, Svevo, Torino, Einaudi, 1998.

    M. MANOTTA, Luigi Pirandello, Milano, Bruno Mondadori, 1998.

    F. BRUNI, Luigi Pirandello: l’arte e il decadentismo, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1998.

    E. CATALANO, Delitti innocenti: la scena pirandelliana tra veleni ed emblemi femminili, Roma Bari, Laterza, 1998.

    R. LUPERINI, Pirandello, RomaBari, Laterza, 1999.

    AA.VV., Pirandello e le avanguardie, Atti del Convegno internazionale (Agrigento 1998), Agrigento, Centro Nazionale Studi pirandelliani, 1999.

    AA.VV., Pirandello e la fede, Atti del Convegno internazionale (Agrigento 25 dicembre 2000), Agrigento, Centro Nazionale Studi pirandelliani, 2000.

    A. CAMILLERI, Biografia del figlio cambiato, Milano, Rizzoli, 2000.

    E. PROVIDENTI, Pirandello impolitico: dal radicalismo al fascismo, Roma, Salerno Editrice, 2000.

    R. PUPINO, Pirandello: maschere e fantasmi, Roma, Salerno Editrice, 2000.

    P. GUARAGNELLA, Il matto e il povero: temi e figure in Pirandello, Sbarbaro, Vittorini, Bari, Dedalo, 2000.

    L. Pirandello. Biografia per immagini. Testi di R. Marsili Antonetti e F. Pierangeli, immagini di S. Nicoletta Tesé, Cavallermaggiore, Gribaudo, 2001.

    U. MARIANI, La creazione del vero: il maggior teatro di Pirandello, Fiesole, Cadmo, 2001.

    R. PUPINO, La maschera e il nome: interventi su Pirandello, Napoli, Liguori, 2001.

    M. GANERI, Pirandello romanziere, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2001.

    F. ZANGRILLI, Il bestiario di Pirandello, Fossombrone, Metauro, 2001.

    U. ARTIOLI, Pirandello allegorico: i fantasmi dell’immaginario cristiano, RomaBari, Laterza, 2001.

    G. BÀRBERI SQUAROTTI, Il pipistrello e il teatro, in «Ariel», 2001, n. 12, pp. 75-92.

    J.M. GARDAIR, J.M.G. legge il Fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, Fossombrone, Metauro, 2001.

    P. GUARAGNELLA, Luigi Pirandello e la cultura dell’umorismo, Lecce, Pensa Multimedia, 2001.

    G. BÀRBERI SQUAROTTI, La sfida di Serafino Gubbio operatore, in «Studi Novecenteschi», XXXI, 2001, n. 61, pp. 83-110.

    A. BARBINA, Taccuino pirandelliano, in «Ariel», XVI, 2001, n. 3, pp. 219-225.

    A. LEONE DE CASTRIS, Pirandello e la civiltà europea, Venezia, Marsilio, 2001.

    F. ZANGRILLI, Pirandello: le maschere del vecchio Dio, Padova, Messaggero, 2002.

    AA.VV., Pirandello e Napoli, Atti del Convegno (Napoli, dicembre 2000), a cura di G. Resta, Roma, Salerno, 2002.

    AA.VV., Luoghi e paesaggi nella narrativa di Pirandello, Atti del Convegno (Roma, 1921 dicembre 2001), a cura di G. Resta, Roma, Salerno, 2002.

    P. CASELLA, L’umorismo di Pirandello. Ragioni intra e intertestuali, Firenze, Cadmo, 2002.

    Interviste a Pirandello. «Parole da dire, uomo, agli altri uomini», a cura di I. Pupo, pref. di N. Borsellino, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002.

    I. CROTTI, In viaggio con Mattia (Pascal): da Milano a Roma, andata e ritorno, in «La Rassegna della Letteratura Italiana», cvi, 2002, n. 1, pp. 76-95.

    U. ARTIOLI, Suo marito e il tema della doppia creazione, in «Angelo di fuoco», 2002, n. 2, pp. 5-11.

    F. MALARA, Suo marito, un carrefour teatrale ed esistenziale, in «Angelo di fuoco», 2002, n. 1, pp. 24-27.

    AA.VV., Trilogia del teatro nel teatro: Pirandello e il linguaggio della scena, Agrigento, Centro Nazionale Studi pirandelliani, 2002.

    C. VICENTINI, Umorismo and plays unpleasant, in «Pirandello Studies», 2002, n. 2, pp. 7-20.

    E. GHIDETTI, I luoghi di Mattia Pascal, in «La Rassegna della Letteratura italiana», 2002, n. 2, pp. 419-430.

    U. DOTTI, Romanzo e società. D’Annunzio-Pirandello-Svevo, in «Giornale storico della letteratura italiana», 2002, n. 585, pp. 1-42.

    R. CAVALLUZZI, Pirandello: la soglia del nulla, Bari, Dedalo, 2003.

    F. NICOLOSI, Pirandello e l’oltre, Roma, Carabba, 2003.

    C. O’RAWE, Authors, Text and Pretexts: Pirandello’s Uno, nessuno, centomila as Romanzo Testamento, in «Italian Studies», LVIII, 2003, pp. 133-149.

    G. SCOGNAMIGLIO, Per il capolavoro ripassi domani: studi sull’ultima narrativa pirandelliana, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2004.

    F. PIERANGELI, Indagini e sospetti, Palermo, L’Epos, 2004.

    R. ALONGE, Donne terrifiche e fragili maschi, Roma-Bari, Laterza, 2004.

    G. GENCO, La dimensione scenica delle novelle di Pirandello, ovvero la genesi dell’ontologia del personaggio, in «Rivista di Letteratura italiana», 2004, n. 1, pp. 79-102.

    C.S. NOBILI, Pirandello: guida al Fu Mattia Pascal, Roma, Carocci, 2004.

    B. PORCELLI, La prima narrativa pirandelliana: Amori senza amore, L’esclusa, Il turno, in «Rassegna Europea di Letteratura Italiana», XXIII, 2004, pp. 43-63.

    A.R. PUPINO, Il nome di un luogo senza vedute. Napoli nell’opera di Pirandello, in Id., Notizie del Reame, Napoli, Liguori, 2004.

    I. PUPO, Demoni di carta. Pirandello lettore di Dostoevskij, in «Angelo di fuoco», n.s., III, 2004, n. 5, pp. 57-107.

    Il figlio prigioniero. Carteggio fra Luigi e Stefano Pirandello durante la guerra 1915-1918, a cura di A. Pirandello, Milano, Mondadori, 2005.

    R. SALSANO, Pirandello: scrittura e alterità, Firenze, Cesati, 2005.

    M. GUGLIELMINETTI, Pirandello, Roma, Salerno, 2006.

    F. ZANGRILLI, Pirandello presenza varia e perenne, Pesaro, Metauro, 2007.

    L. e S. PIRANDELLO, Nel tempo della lontananza, 1919-1936, a cura di S. Zappulla Muscarà, Caltanissetta-Roma, S. Sciascia Editore, 2008.

    F. ZANGRILLI, Pirandello postmoderno?, Firenze, Polistampa, 2008.

    E. PROVIDENTI, Nuove archeologie. Pirandello e altri scritti, Firenze, Polistampa, 2009.

    S. CAMPAILLA, Il figlio del Caos, Introduzione generale a L. Pirandello, I romanzi, le novelle e il teatro, Roma, Newton Compton, 2009.

    F. LA PORTA, Pirandello in un lungo sorso, in «Left», 7 maggio 2010.

    R. SALSANO, Pirandello: romanzi, novelle, teatro raccolti in un volume, in «Critica letteraria», XXXIX, 152/2011, pp. 593-604.

    F. ZANGRILLI, La tavola mascherata, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 2011.

    R. SALSANO, Occorrenze e palinsesti insulari in Pirandello, in «Pirandelliana», 5, 2011, pp. 69-78.

    S.C.

    Novelle per un anno

    Introduzione

    Pirandello come autore a vita. Sciascia, considerandolo quasi una chiave universale di ingresso, ha scritto un Alfabeto pirandelliano, stilando delle voci essenziali, dalla A alla Z. Naturalmente non esistono chiavi universali, e Sciascia, tentato a leggere la realtà con le lenti dell’illustre corregionale e quasi compaesano, esprimeva un mito della sua formazione culturale. Se ne può comunque ricavare una suggestione. Pirandello, come pochi altri scrittori, proprio lui che ha affermato che la vita o la si vive o la si racconta, ha cercato di far coincidere vita e racconto, si è impegnato in un raccontare continuo, a coprire tendenzialmente quasi tutti tutti gli spazi dell’esistenza, perché alla fine la vita, quella che rimane e ha un senso e un valore, che cosa altro è se non racconto della vita?

    Non è dunque soltanto questione di una vena inesauribile, di una capacità quasi ascetica di lavoro. Il problema è quello di una visione, e di una vocazione, che la accende. Man mano che il materiale si accumulava, si ponevano problemi di organizzazione strutturale, ed editoriale. Come presentarlo al pubblico, senza provocare uno smarrimento?

    I romanzi sono sette. Ma le novelle danno l’impressione di non finire mai, come le tessere di un mosaico enorme e tuttavia aperto. Pirandello valutò l’opportunità di varie soluzioni, in rapporto allo scorrimento e alla durata temporale. Per notti, esisteva il precedente di Shahrazàd e delle Mille e una notte, un’eredità della tradizione araba che avrebbe potuto assumere da siciliano orgoglioso. In fin dei conti, Shahrazàd racconta per non morire e, a questo scopo, l’ideale sarebbe stato scrivere delle Novelle per sempre. La distribuzione per giornate apparteneva alla novellistica occidentale, a cominciare dal Decamerone. Optò per la formula Novelle per un anno, progettando di scandire la raccolta complessiva in dodici volumi, di trenta novelle ciascuno, ma l’editore preferì spezzare in ventiquattro, per evitare forse l’impressione del troppo pieno e guadagnare invece il vantaggio di una liberalità diffusa.

    Insomma, nel vasto territorio della produzione novellistica pirandelliana si possono seguire delle piste, privilegiare dei criteri, ma ogni tentativo di schematizzare all’interno presenta il difetto di fermare, nella trama dei rapporti, ciò che invece si pone come fluido. L’opera sta lì intera e, come la Bibbia consultata magicamente dai personaggi di Jorge Amado, si presta ad essere letta, anzi interpellata, volta per volta, con la casualità creativa dell’occasione.

    Pirandello compose il suo primo racconto nel 1884, a diciassette anni. Si intitola Capannetta ed è assolutamente senza pretese, ma fa da battistrada con larghissimo margine alla successiva produzione novellistica e dà perciò un segnale genetico. Si tratta infatti di un bozzetto rusticano, sul tema della classica fuitina di due giovani innamorati, che – guarda caso – si chiamano Màlia e Jeli. Un omaggio in contemporanea a Capuana e a Verga. Di qui, infatti, si parte. Beato lo scrittore che ha un paese da raccontare. E Pirandello questo paese lo ha, eccome. Un paese, la Sicilia, che è un’isola e un mondo; e in termini più circoscritti, Girgenti e la sua cintura territoriale, talora coperta o allusa da coordinate di una geografia fantastica. Questa è la matrice che impronta l’identità e fornisce persino un senso all’operazione della scrittura. Pirandello è immerso in quella profondità, attraversa fondali della storia e dell’esistenza, a un certo punto si scopre ricco di un bagaglio di valore incalcolabile. La Sicilia è questo immenso giacimento mitico e storico, a cui attinge per esperienza diretta, e poi per privilegio della memoria, collettiva e individuale. E anche quando ne sarà lontano, la cassaforte si renderà accessibile alla sua chiave, nel ciclo dei ritorni personali oppure anche dei racconti degli amici e dei consulenti, guardiani del recinto magico, come il Colapisci della leggenda. Succede per questa via che Girgenti, afflitta da molti mali, si riscatta su altro piano, con una testimonianza artistica strepitosa; e anche dopo Pirandello, per generosità della fonte e per effetto di trascinamento, lungo l’intero Novecento, ribattezzata Agrigento, da luogo marginale e depresso, a tutt’oggi fanalino di coda nelle classifiche nazionali del reddito pro capite, assurge con la sua tradizione sempre rinnovata a vera e propria capitale letteraria. E questo è un miracolo della letteratura.

    Per l’ingresso nel labirinto della novellistica di Pirandello può essere utile portare in superficie un suo sentimento fondamentale, legato all’educazione religiosa. Girgenti affonda sotto il controllo di un antico regime bianco, un paese di corvi, cioè – come scrive polemicamente nei Vecchi e i giovani – di preti. Nella novella La Madonnina viene raccontata simbolicamente una conversione, ma una conversione dolorosa, al contrario. La famiglia di Guiduccio vanta tradizioni risorgimentali, il padre è laico, e anzi anticlericale. Un giorno, irritato dal suono delle campane arriva addirittura a spararvi contro, danneggiandone una e sollevando l’indignazione popolare. Il padre Fiorica vorrebbe riportare al gregge la pecorella smarrita, e soprattutto la pecorella giovane, Guiduccio appunto, che è sensibile al richiamo e in effetti potrebbe seguire una strada alternativa a quella del sacrilego genitore. A questo scopo il sacerdote, per zelo e buona propaganda, trucca una riffa e fa in modo che il fanciullo risulti il vincitore di una Madonnina di cera custodita in una campana di cristallo che, secondo il rito, verrà trasferita tra manifestazioni di festa dall’altare alla casa del fortunato. Senonché Guiduccio aveva ceduto le sue polizzine ad altri più bisognosi e non può per conseguenza esser stato sorteggiato senza un imbroglio evidente. Il disinganno è troppo forte e il rifiuto irrimediabile: Guiduccio diserterà per sempre la chiesa.

    Novelletta, come è facile intuire, su cui è impossibile costruire una dimostrazione, ma, nella sua debolezza, pur indicativa di un percorso autobiografico. Ci racconta con discrezione di un richiamo infantile, persino di un possibile destino diverso ma, nel concreto, di una delusione storica, insuperabile. Dentro la cultura italiana è la scelta di un isolamento e di un contrasto nei confronti delle istituzioni. Nella Madonnina la polemica è ancora limitata ai ministri del culto, ma la ferita si allarga e sanguina. Pirandello vive tutte le fasi del dubbio tra volontà di emancipazione, rinuncia e sconfitta, umana e troppo umana. Nell’Avemaria di Bobbio il confine tra filosofia, fede, superstizione si presenta strettissimo e mobile. Basta un mal di denti a riaprire la crisi, in un senso o in quello diametralmente opposto. Con altri grandi artisti e filosofi del suo tempo, lo scrittore soffre una condizione di orfanità, un negativo storico, che presuppone e reclama un positivo mitico, all’origine. Nelle pagine di Il vecchio Dio sono espressi liricamente questa nostalgia e questo bisogno di un conforto superiore, in un’epoca dei lumi che sembra aver risolto ogni problema. Mentre la solitudine dell’uomo viene ancor più sanzionata. Il signor Aurelio è un vecchio che è tornato bambino, e in chiesa ci entra, e vi sogna la stagione d’oro delle sue antiche illusioni. Ma il sagrestano lo caccia.

    Non c’è dunque nessuna arroganza, semmai una dignità e un desiderio di coerenza per se stessi. Ma ci si muove in un terreno minato. Pirandello non esita a sfogare la sua indignazione contro il mercato degli ideali, contro l’asservimento degli interessi e delle coscienze. Nella Lega disciolta la protesta è così radicale che il personaggio esasperato decide di passare il guado, abbandona la cristianità e si consegna addirittura al campo nemico, facendosi musulmano. Ma soprattutto nel Signore della Nave Pirandello, descrivendo una festa popolare, formula una condanna impressionante contro la barbarie di una cultura superstiziosa, contro l’ipocrisia di una società che in nome della religione e del sacro celebra la violenza. E qui l’antinomia è drastica, tra ragione presunta e bestialità, tra uomo e porco, tra l’uomo che si degrada e l’animale sacrificato che si innalza. E l’ultima novella su questa materia, se non ci si fa fuorviare dalle prescrizioni del genere letterario, è il lapidario testamento dello scrittore, quella sua decisione di escludere funerali solenni e pubblici,e invece di essere ridotto a cenere, da conservarsi possibilmente in un’urna greca dentro un sasso della campagna siciliana. Certo, non evangelicamente una buona novella, ma un messaggio in conclusione, che illumina retrospettivamente sullo spirito tormentato di una ricerca.

    La ricognizione in area siciliana si colloca a vario livello. Una tematica storico-sociale che trova in Pirandello un testimone di prima mano, anche per ragioni strettamente biografiche, è quella che costeggia la zolfara. Nell’economia agraria del latifondo, a struttura ancora medievale, la miniera introduce una novità sconvolgente. In un’isola riarsa dal

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1