Sei tu la mia principessa?
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Sei tu la mia principessa? - Roberta Bianchessi
Greta
Prologo
Mi chiamo Rebecca Sforza, Becca per gli amici, e ho 16 anni. Abito in una zona residenziale di Bergamo, in un appartamento che papà e mamma acquistarono grazie ai risparmi della nonna Elvira, morta sull’uscio di casa nostra il giorno dell’inaugurazione. Un ictus fulminante.
C’è ancora una sua fotografia appesa nel corridoio tra le miriade di cornici che conservano i nostri ricordi più belli. O meglio, le memorie della bella famiglia che siamo stati fino a sei anni fa.
Quando i miei genitori decisero di separarsi il nostro bel quadretto familiare andò in pezzi e in quello sfacelo trascinarono anche me, la loro unica figlia, quella che papà chiama la sua principessa.
Non avevo riconosciuto i segnali di quel loro malessere, forse iniziato il giorno in cui lo zio Luca mi riaccompagnò a casa dopo la corsa campestre. Avrei dovuto capire che le lacrime sul viso della mamma non erano causate dalla rottura del piatto di porcellana blu, quello stesso piatto con la graziosa casetta nel bosco che lei gli aveva regalato per il loro matrimonio. Papà aveva uno sguardo risentito mentre si chinava a raccogliere i cocci disseminati ai loro piedi, ma non sprecò parole di biasimo.
Le lunghe ciocche ondulate erano sfuggite dal mollettone con cui mia madre le aveva appuntate, conferendole un’aria trasandata così diversa da quella a cui ero abituata.
Zio Luca aveva incrociato la mortificazione nei suoi occhi e, sollevandomi scherzoso, ci aveva piroettati nella mia stanza chiudendosi la porta alle spalle, quasi a volermi catapultare lontano dal principio della nostra fine. Inutilmente.
Contro tutte le mie previsioni, mia madre si presentò dall’avvocato La Torre al terzo piano del nostro condominio e mise nero su bianco la sua volontà di separarsi.
Ricordo ancora l’enorme valigia di papà nel corridoio, era così ingombrante che non riuscivo ad aggrapparmi a lui frusciando contro quella che, fino a due mesi prima, aveva contenuto il necessario per la nostra vacanza in Trentino. Sì, perché proprio in Trentino avevano smesso di parlarsi e litigare.
Io ero stata troppo occupata a strapazzare il grosso soriano della padrona di casa per rendermi conto che qualcosa non andava, certa che la mia famiglia non sarebbe naufragata proprio come quella della mia amica Lina.
Lina… quella ragazzina minuta, col viso pieno di lentiggini e una cascata di riccioli biondi. Me la ricordo ancora ferma sulla soglia della nostra classe indecisa se entrare o scappare via.
Visto che non si decideva ho deciso io per entrambe, le ho afferrato il braccio e le ho sorriso.
- C’è un posto libero accanto a me.
E lei si era lasciata guidare abbozzando persino un sorriso mesto. Da quel giorno siamo state inseparabili, più che sorelle.
Un giorno, mentre dividevamo la merenda che mia madre aveva appena fatto in tempo a comprare al panificio sotto casa, lei si era sciolta in un pianto dirotto. All’inizio pensai che il dolce le avesse fatto male, ma non era uno dei falliti tentativi di mamma in cucina, quindi le accarezzai piano la testa come a volte faceva papà per calmarmi. Così, tra le lacrime, mi raccontò che suo padre se n’era andato e lei e sua madre si erano trasferite dalla nonna. Lo vedeva raramente, giusto il tempo fissato dal giudice per i loro incontri settimanali.
Me ne parlò ancora, ogni volta con sempre minore tristezza, quasi che il dolore iniziale si fosse prosciugato lasciando solo il vuoto della sua mancanza.
E l’immagine del Trentino mi balenò alla mente. Ci rivedevo a passeggiare lungo gli stretti sentieri, se mi sforzo un poco riesco a incrociare lo sguardo preoccupato di papà e quello nervoso e scostante di mia madre, l’Esaurita!
Non c’erano state liti in quei giorni ma un diffuso malessere e un mutismo che nemmeno al gioco del silenzio sarebbe apparso più azzeccato.
Dimenticati quei giorni di vacanza il rientro aveva scatenato quello che alla fine portò alla rottura definitiva. Prima dell’inizio della scuola mio padre se n’era andato.
Appena si era chiusa la porta alle sue spalle mia madre aveva sospirato e si era rifugiata in camera dove la sentii sommessamente piangere.
Questo era stato il loro regalo per il mio decimo compleanno!
Avrei voluto essere abbracciata, rassicurata che il mio mondo non sarebbe andato in pezzi come il piatto di porcellana blu e invece…
Scostando la porta l’avevo vista per la prima volta com’era realmente, senza la maschera di perfezione che si era cucita addosso. Mi ero seduta davanti a lei e l’avevo osservata cercando la donna forte e autoritaria che era, invece mi ritrovai di fronte la sua fragilità. Le avevo accarezzato la testa, lei si era immobilizzata fissandomi con gli occhi pieni di lacrime.
- Non ti lascio – le avevo sussurrato con tale dolcezza che mi abbracciò facendomi amare quel suo odore di pulito, per me troppo neutro di ricordi.
Così, a dispetto del mio ruolo di figlia, la cullai ripetendole che avremmo rimesso insieme i cocci delle nostre vite.
Capitolo 1
In questi anni non posso dire di essermi trovata male perché riuscivo ad avere sempre il doppio di tutto. Doppie vacanze, doppi regali e doppie coccole.
Ero diventata brava a contendermi l’affetto dell’uno e dell’altra. Festeggiai il mio compleanno due volte ogni anno e raddoppiai le mie vacanze. Mia madre mi trascinava al mare, mentre mio padre si occupò della mia istruzione scorazzandomi in giro per l’Italia, la Spagna e il Portogallo.
La bilancia del mio affetto oscillava quindi inesorabilmente verso papà che sapeva assecondare la mia curiosità. Sono quindi stata una principessa vezzeggiata e coccolata, fino a tre mesi fa… quando il nostro ménage familiare ha subito un improvviso scossone spezzando l’equilibrio che si era tanto faticosamente instaurato nella nostra famiglia divisa.
- Stai rientrando? Com’è stata la conferenza? – arrotolo una lunga ciocca di capelli attorno all’indice mentre avvicino il telefono all’orecchio.
Papà è rimasto a Lecco per una settimana intera e, occupato com’era con la preparazione della conferenza, ci siamo sentiti pochissimo. Lui è un famoso nutrizionista e spesso viene chiamato come relatore a convegni medici.
Mi risponde con una buffa risata strozzata, me lo immagino mentre sorride, gli si tirano appena le labbra e i suoi occhi assumono una tonalità più carica e dolce.
- Hai fatto la brava? – domanda ridacchiando. – Tua madre mi ha detto che non sei voluta andare alla gita estiva.
- Non volevo che tornassi e non mi trovassi a casa – replico risentita per quel suo tono canzonatorio.
- Che dolce che sei, raccontamela giusta monella, hai litigato ancora con qualche ragazzino della tua squadra?
In questo momento strangolerei volentieri mia madre.
- Uffa, sei davvero antipatico… dicevo sul serio.
- Allora sono davvero un padre fortunato – conclude smorzando un po’ i toni – sai Becca, ho conosciuto una persona alla conferenza.
- Una donna? – domando quasi senza pensarci.
- Una donna – conferma pacato – è una dietologa.
Il mio cervello si scollega temporaneamente, non ho ancora metabolizzato il significato di questa affermazione che una morsa mi stringe lo stomaco e tutta l’allegria di un attimo prima si dissolve come neve al