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Dark Graffiti
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Ebook288 pages4 hours

Dark Graffiti

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Thriller - racconti (214 pagine) - Dieci graffiti, dieci autori, dieci storie


Dark Graffiti è un antologia di racconti che variano dal giallo classico al thriller, dal noir all’hard boiled. Storie di strada, di periferia, di pulsioni morbose, in cui la parola rimane incisa come i graffiti a cui le storie si ispirano.

Con racconti di Andrea Carlo Cappi, Scilla Bonfiglioli, Laura Scaramozzino, Andrea Franco, Luca Di Gialleonardo, Barbara Bottalico, Darko Bay, Elisa Bertini, Kenji Albani, Antonio Tenisci.


Kenji Albani: nato a Varese il 13 novembre 1990 (è italiano nonostante il nome giapponese). Segnalato al concorso Giulio Perrone Editore nel 2008, ha poi pubblicato una ventina di racconti fra riviste letterarie locali e piattaforme online. Inoltre, ha pubblicato una quindicina di articoli di vario genere (dallo sportivo al culturale, passando per la paleontologia) su siti e riviste specializzati. Al momento studia all'Università degli Studi dell'Insubria di Varese, facoltà scienze della comunicazione, e nel settembre 2018 si è diplomato come sceneggiatore di fumetti alla Scuola del Fumetto di Milano.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateMay 12, 2020
ISBN9788825412239
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    Dark Graffiti - Kenji Albani

    9788825408416

    Eightball

    Andrea Carlo Cappi

    Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964), vive tra l'Italia e la Spagna. Autore di una cinquantina di volumi tra narrativa e saggistica, ha scritto romanzi originali con Martin Mystère (Premio Italia 2018, Premio Atlantide 2019) e con Diabolik & Eva Kant. Oltre alla saga horror-erotica Danse Macabre e alla serie noir Black, pubblica i romanzi di Agente Nightshade per Segretissimo Mondadori, sotto il nome François Torrent. Da Delos Digital sono in uscita suoi episodi nella collana Spy Game.

    Foto di Andrea Carlo Cappi

    Un fascista è

    un liberale spaventato.

    Juan Madrid

    1

    Magaluf, Maiorca (Spagna), 16 ottobre 2019

    Illuminata dal cellulare, l'enorme sfera squarcia il metallo. Per un attimo Emilio si aspetta di sentirla rimbalzare rumorosamente sull'asfalto, per poi rotolare verso di lui come in un film di Indiana Jones.

    Ma la sfera – una grande palla nera da biliardo con un cerchio bianco su cui spicca il numero otto – rimane dov'è, dipinta a spray sulla saracinesca. È l'unico vero esempio di street art in quella specie di cortile buio e deserto. Segnate da graffiti indecifrabili, a sinistra e a destra ci sono altre saracinesche: negozi stritolati dalla crisi, intrappolati in un centro commerciale fantasma. Dietro c'è un edificio degli anni Settanta, il periodo del boom del turismo e del crepuscolo di un regime che Emilio, per sua fortuna, non ha mai visto. È nato a Madrid nel 1975, lo stesso anno in cui il dittatore Francisco Franco è morto – come si suol dire – nel proprio letto.

    Non sa esattamente dove sia stato portato. Non conosce la zona e ha visto solo un cartello stradale che indicava Magaluf. L'individuo che l'accompagnava in macchina non gli ha detto una parola, né quando ha controllato che Emilio non avesse addosso armi o microfoni, né durante la circa mezz'ora di tragitto da Palma, né quando lo ha fatto scendere davanti alla saracinesca con la palla da biliardo.

    Non c'è nessuno intorno. Emilio si affretta a scattare una fotografia con il cellulare, seleziona Condividi, poi l'icona di Messenger e il nome su un profilo di Facebook: Hopalong Swinger. Invio. Dopodiché si affretta a far sparire il messaggio fuori campo inviando una serie di cuori e baci, uno alla volta, e a eliminare la foto dalla galleria. Solo allora spegne il cellulare, lo ripone nella tasca della giacca e bussa sulla lamiera.

    La saracinesca si solleva, lasciando comparire un tipo con lunghi capelli neri raccolti a coda di cavallo. Robuste braccia tatuate spuntano da una canottiera nera con un logo tipo Jack Daniel's, su cui si legge Bad Guy's Colombia Coke.

    Scritto sull'etichetta pensa Emilio.

    – E allora? – chiede Bad Guy.

    – Emilio Serra García – si presenta il nuovo arrivato, usando il nome del personaggio che sta interpretando: il top manager della Serrvisa, immaginaria compagnia internazionale con interessi a Panama, con un ufficio fittizio a Madrid.

    Fa un passo avanti a un cenno di Bad Guy, che richiude la saracinesca subito dopo. Dentro le luci sono accese. Forse la corrente elettrica è allacciata abusivamente da qualche parte, ma di sicuro sarebbe l'attività meno illegale che si svolge là dentro.

    Emilio si guarda intorno mentre Bad Guy lo perquisisce, togliendogli il cellulare. Il tipo conosce il suo mestiere: smonta l'apparecchio e toglie la batteria. D'ora in poi il telefono non sarà più rintracciabile. Per fortuna l'autista non è stato altrettanto solerte.

    Questo non è un box. È un bar vero e proprio, anche se privo di insegna e chiuso al pubblico. Sono rimasti il bancone, la parete a specchio con le bottiglie sugli scaffali, un biliardo e un paio di tavolini; uno occupato da un paio di altri latinos tatuati, l'altro da una figura indistinta nell'angolo più oscuro del locale. Su un televisore scorrono le immagini in diretta da Barcellona, in cui i manifestanti indipendentisti stanno incendiano auto e cassonetti. Bad Guy va dietro il bancone ad asciugare bicchieri con uno strofinaccio, come un vero barista.

    – Buonasera – dice Emilio, rivolto all'uomo alto e brizzolato che sta giocando da solo al biliardo: Luís Formigosa. È lui che è venuto a incontrare.

    L'uomo guarda Emilio e appoggia un'estremità della stecca sul pavimento. – Una partita?

    – Perché no?

    Formigosa recupera le palle dalle buche, colloca al suo posto quella bianca e riordina le altre nel triangolo. – A lei.

    Emilio prende una stecca dai supporti sul lato del tavolo. Forse dovrebbe passare il gessetto sulla punta come ha visto fare nei film, ma lascia perdere e si appoggia al tavolo. Più o meno conosce le regole: biliardo americano, o per meglio dire eightball, anche se si gioca con sedici biglie. Metà sono a colore pieno, le altre rigate. La prima che finisce in buca segna la serie che il giocatore dovrà completare, per poi terminare con la palla numero otto. Emilio tira quella bianca nel mucchio, sparpagliando le altre. Una di quelle rigate rotola casualmente in una buca.

    – La sua proposta? – chiede Formigosa.

    – Molto semplice. – Emilio gira intorno al tavolo. Tocca ancora a lui e ha visto una palla con una riga rossa in prossimità di una buca. – Affidate i contanti alla nostra società. Noi li trasferiamo a Panama, trattenendo il venti per cento.

    – So che avete affari, laggiù, ma non sono sicuro che Panama sia il luogo adatto per i miei soldi – obietta Formigosa. A dispetto della manovalanza latina, è nato a Malaga. Ha cominciato come contrabbandiere di tabacco via Gibilterra, ma da una decina di anni è passato alla cocaina colombiana. La merce che transita dalle sue mani viene distribuita in Spagna e in Italia, il che comporta una grande quantità di euro da riciclare. La Serrvisa si è offerta di risolvergli il problema.

    – Molto meglio di dove ha tenuto i suoi soldi sinora. Andorra non è più conveniente. – Emilio colpisce con troppa forza la palla bianca, che urta una di quelle dell'avversario, cambia la propria traiettoria e perde energia, arrivando a sfiorare appena il bersaglio. Scuote il capo.

    L'altro solleva la propria stecca, nota che il tiro di Emilio gli ha spostato la palla sette in una posizione favorevole e la spara in una buca centrale con un colpo netto e preciso. – Il venti per cento, dice?

    – Né il venti né il dieci – tuona una voce.

    Un uomo è uscito dall'angolo buio. Potrebbe avere tra i cinquanta e i sessant'anni, stempiato, corpulento, arrogante. Ora che lo vede alla luce, Emilio ha la spiacevole sensazione di sapere chi è. Non capisce cosa ci faccia qui, in ogni caso non gli piace affatto.

    – Non esiste nessuna Serrvisa – ribadisce l'uomo. – Questo è uno sbirro. Della Policía Judicial.

    I due latinos al tavolo spostano le sedie, pronti a intervenire. Con la coda dell'occhio Emilio vede che il colombiano con lo strofinaccio sta passando dall'altra parte del bancone.

    – Ne sei sicuro? – domanda Formigosa.

    – Lo conosco – afferma l'uomo apparso dal buio. – Sai perché Andorra non è più conveniente? Perché lui e i suoi colleghi della Judicial tengono d'occhio le banche, sperando di scoprire trasferimenti illeciti dei politici della Generalitat catalana. Il mese scorso hanno cercato di scoprire da dove vengono i miei finanziamenti. Ma adesso stanno cercando di attirare te in una trappola.

    – Deve avermi scambiato per qualcun altro… – comincia Emilio, cercando di mantenere la calma.

    Formigosa fa un cenno a qualcuno alle sue spalle.

    Qualcosa di umido cinge il collo dell'agente della Judicial, che si porta le mani alla gola, cercando di allentare la stretta. Le dita afferrano invano la tela spugnosa e bagnata, mentre il mondo si annerisce, come inglobato da un'enorme palla numero otto.

    2

    Lungomare di Magaluf, 20 ottobre 2019

    Helena Cleo Vizard ha ventiquattro anni, un tesserino dell'AISE, e la giornata libera. Le sue trasferte dall'Italia sono piuttosto frequenti dall'inizio dell'anno: viene spesso a Maiorca per lavorare con la cosiddetta Sezione D, un gruppo non ufficiale di funzionari e free-lance di vari servizi segreti che ha sede sull'isola. Ma oggi hanno tutti altro per la testa e lei ha deciso che era inutile restare tutto il giorno rinchiusa nell'open space davanti a un pc.

    Cammina senza fretta sul lungomare di Magaluf. C'è il sole, il che non è scontato data la frequenza dei recenti allarmi meteo. Oggi sembra ancora estate, nonostante la stagione volga al termine, ci sia poca gente in spiaggia e molti bar si apprestino a chiudere fino alla primavera prossima.

    Però c'è sempre Black.

    Helena non è mai propensa a uscire con i colleghi, ma lui non rientra al cento per cento nella categoria: fa il detective privato, anche se in nero e senza licenza, tollerato dalle autorità locali perché ogni tanto dà loro una mano; allo stesso modo, collabora di quando in quando con la Sezione D. Black è solo lo pseudonimo che ha assunto perché, a suo dire, è più adatto a un investigatore: il vero nome in realtà è Toni Porcell. È mezzo afroamericano e mezzo maiorchino. Nel corso dell'estate tra loro due è maturato un interesse reciproco, che per ora non va oltre l'amicizia.

    C'è un bar in fondo al lungomare, si chiama El Ultimo Paraiso. Toni ci va sempre verso mezzogiorno, lo considera il proprio ufficio. Infatti Helena lo avvista a uno dei tavolini: baffi e basette anni Settanta, sigaro Don Julián in mano, un paio di jeans e una T-shirt nera di Agents of SHIELD che gli delinea i pettorali. Davanti a sé ha un boccale di birra e un posacenere cui è appoggiato un cellulare, orizzontale, come se stesse guardando un video. Alza gli occhi, la vede e si alza per scambiare un paio di baci sulle guance.

    Helena si siede. Sente uscire voci dal cellulare sul tavolino, sembra una telecronaca. – Ci sono partite al giovedì a quest'ora? – chiede.

    – Non lo so, non seguo il calcio – risponde Toni. – Sto seguendo la diretta dell'esumazione di Franco.

    – La trasmettono in tv?

    – È un fatto importante, per questo Paese.

    Lei annuisce. Sono giorni strani in Spagna: mancano tre settimane alle elezioni anticipate del dieci novembre; a Barcellona gli indipendentisti sono in rivolta per le condanne ai leader della tentata secessione del 2017, emesse pochi giorni fa; e intanto, dopo anni che se ne discute, proprio oggi la bara del dittatore viene dissepolta dalla tomba nel sacrario della Guerra Civile fuori Madrid, per essere trasferita in una cappella di famiglia. Sul piccolo schermo del cellulare si vede gente che agita bandiere e alza il braccio nel saluto fascista.

    Uno dei proprietari del bar arriva al tavolo con un'altra caraffa di birra, come se avesse letto nel pensiero di Helena.

    – Come mai questa bella sorpresa? – chiede Toni, chiudendo la app del notiziario sul cellulare.

    – Oggi niente ufficio. Ho idea che volessero tutti vedere la diretta.

    Toni inarca un sopracciglio mentre guarda verso il lungomare.

    – Cosa c'è? – chiede lei.

    – Qualche problema, immagino.

    Helena si volta. Un uomo biondo e magro sui quarantacinque anni, camicia azzurra a maniche lunghe rimboccate e pantaloni grigio scuro. sta entrando nei confini del bar e si dirige verso di loro.

    – Ti presento il tenente Alfonso Yañez della Guardia Civil – dice Toni. – Lei è Helena… una mia collega italiana. Puoi parlare liberamente.

    Il tenente in borghese guarda Helena in modo curioso e lei si chiede se sia perché la trovi carina, o perché è stata definita collega, oppure perché è italiana e nera. D'altra parte anche Toni è spagnolo e nero, quindi Helena suppone che valga una delle prime due ragioni.

    – Che cosa succede? – chiede Black.

    – Un morto, tanto per cambiare – risponde Yañez. – Un poliziotto, questa volta.

    3

    El Ultimo Paraiso, un attimo dopo

    Prima che il tenente abbia il tempo di parlare, arriva una caraffa anche per lui.

    – Grazie, Juan.

    – Qui lo staff ha i riflessi pronti – commenta la ragazza.

    – Non per niente, prima di diventare barista, Juan pensava di arruolarsi nella Guardia Civil – dice Yañez. Beve un sorso di birra e si rivolge a Toni Black. – Hai mai sentito parlare di Luís Formigosa?

    – No.

    – È un narcotrafficante di Malaga. Anni fa è stato in galera per contrabbando di sigarette, ma da quando si è dato alla cocaina riesce a mantenere un'apparenza rispettabile. La Judicial spera di incastrarlo almeno per riciclaggio di denaro sporco, ma finora non ha ottenuto nulla neanche su questo versante. Ha cercato di lanciargli un'esca, mettendolo in contatto con il finto manager di una società inesistente con sede a Madrid. In realtà si trattava di un agente di nome Emilio Vargas, che è riuscito ad avere un appuntamento con Formigosa in persona la sera del sedici, qui sull'isola. L'intenzione era di proporre al boss di ripulire i soldi a Panama, farglieli tirare fuori e arrestarlo al momento della consegna. Solo che la notte dell'incontro Vargas è scomparso.

    – Aveva addosso un microfono? – domanda Helena. – Chiedo scusa. Curiosità professionale.

    Yañez le dà un'altra occhiata. Oltre a essere molto bella, la ragazza sembra sveglia. Del resto Black ha spesso contatti preziosi a livello internazionale. – No – risponde il tenente. – Vargas era pulito e disarmato, in modo da non bruciare la copertura. Per la stessa ragione, quando l'auto mandata da Formigosa lo ha raccolto in avenida Suárez, nessuno lo ha seguito. Per comunicare con i colleghi scriveva via messenger a un finto profilo porno di Facebook, intestato a una sedicente Hopalong Swinger.

    – Hopalong Swinger? – gli fa eco Black. – Le chiederò l'amicizia.

    – L'agente è riuscito a inviare una foto, poi il suo cellulare è diventato inattivo. L'ultimo segnale viene da questa zona, del resto i tempi corrispondono con il tragitto da Palma a Magaluf. – Il tenente estrae un telefono dalla tasca e lo appoggia sul tavolino, in modo che Helena e Black possano vederla entrambi. – La foto è questa.

    – Una palla da biliardo – dice lei. – Numero otto.

    – Dipinta su una saracinesca – aggiunge il detective.

    – L'hai mai vista? – gli chiede Yañez.

    Black scuote il capo. – Puoi inoltrarmi la foto?

    Il tenente riprende in mano il cellulare. – Immagino che Vargas cercasse di indicare il luogo in cui lo hanno portato e non avesse molto tempo. Non è andata a finire bene: la Guardia Civil ha trovato un'auto bruciata con un cadavere nel bagagliaio, in aperta campagna, dalle parti di Santany. La macchina era rubata e il corpo è stato identificato come quello di Vargas. Per qualche ragione, è saltata la sua copertura.

    – Una talpa alla Policía Judicial? – domanda Helena.

    – Non credo. La copertura è stata preparata con molta cautela e in assoluta segretezza. Era tutto perfetto: esisteva persino una falsa sede a Madrid, con agenti della Judicial che ci lavoravano e rispondevano al telefono e alle e-mail. Un gruppo ristretto e fidato, al di fuori del quale nessuno era a conoscenza dell'operazione. Sono stato informato solo dopo il ritrovamento del corpo, dato che Vargas è sparito in questa zona.

    La foto è arrivata sul telefono di Toni, che la ingrandisce. Yañez vede che si sofferma su un dettaglio.

    – Forse riesco a sapere chi l'ha dipinto. Ti chiamo appena scopro qualcosa.

    – Grazie – dice il tenente. Con Black ha imparato che è inutile fare domande. È sufficiente aspettare i risultati.

    4

    Poco lontano, nel tardo pomeriggio

    – La Mala non ha troppa simpatie per la Guardia Civil – spiega Toni Black. – Credo che abbia avuto una brutta esperienza negli ultimi anni della dittatura.

    – La Mala? – chiede Helena. – Non vuol dire la cattiva?

    – Sta per La Malagueña. Era il suo nome di battaglia quando militava in un gruppo antifranchista. – Per parecchio tempo, lui stesso non ha saputo come si chiamasse davvero. Solo di recente la donna gli ha detto che il suo nome è Caridad González Gutierrez. Il che gli fa venire in mente una curiosità non ancora soddisfatta. – A proposito… perché nella Sezione D ti chiamano Cleo?

    – Viene da Cleopatra, un'agente segreta dei film anni Settanta.

    Lui ride. – Cleopatra Jones?

    – Sì, proprio lei.

    Toni ricorda bene l'attrice che la interpretava, la modella Tamara Dobson: un metro e ottantotto, quasi due metri con la pettinatura afro. – Però non le somigli molto.

    – Più bassa? – si lamenta lei, che non arriva al metro e settanta.

    – Più bella – si lascia sfuggire Toni. In effetti trova molto attraente la piccola Cleo. La candiderebbe volentieri a donna della sua vita, ma per qualche ragione prova un istinto protettivo nei suoi confronti, forse perché Helena è più giovane di lui di sedici anni. Assurdo, se considera che la ragazza ha già affrontato missioni pericolose in Libia e in Kenya, cavandosela benissimo da sola.

    – Questo qualche anno fa era un salón de juegos – racconta lui. – Poi La Mala si è stancata di vedere pensionati che consumavano i risparmi al videopoker.

    Si fermano davanti a un locale la cui insegna dice Bar La Malagueña. Sulla saracinesca, sollevata per un terzo, sono dipinti una chitarra, una scarpa con tacco a spillo e un teschio decorato in stile Dia de los Muertos messicano.

    – Guarda. – Toni le mostra sul suo cellulare il dettaglio ingrandito della foto della palla nera. Nell'angolo in basso a destra c'è uno scarabocchio. – La firma dell'autore, qui e… qui. – Indica la saracinesca del bar.

    – Complimenti per lo spirito di osservazione – commenta lei.

    – Sul mio profilo Instagram posto spesso foto di street art. – Toni bussa sulla lamiera.

    – Apro alle nove! – protesta dall'interno una voce femminile.

    – Sono Black.

    La saracinesca si solleva e compare una donna dai capelli biondi. Potrebbe avere sessanta-sessantacinque anni, ma li porta con disinvoltura in tank top e short. – Sei in buona compagnia, vedo – dice, con una sigaretta che pende dall'angolo della bocca. Tende la mano alla ragazza. – Caridad – si presenta.

    – Helena.

    La Mala li fa entrare, poi chiude la porta con il cartello Cerrado verso l'esterno. Il locale è affrescato con altri murales di gusto messicano, come del resto è messicana la canzone da cui la proprietaria ha preso il nome. – Birra? – propone lei. E alla risposta affermativa dei due ospiti, riempie due caraffe. – Cosa ci fate qui fuori orario? Siete venuti a festeggiare l'esumazione del bastardo? Allora mi faccio una birra pure io.

    – Vorremmo sapere chi ti ha dipinto il locale – le domanda Black.

    – Hector, un ragazzo del Salvador. Bravo, non vi pare?

    – E dove possiamo trovarlo, Hector?

    – Devo avere il numero sul cellulare. – Tira fuori l'apparecchio dalla tasca degli short. – Aspetta… non è che finisce nei guai? Ha dipinto qualcosa dove non doveva?

    – No, no – la rassicura Toni. – Abbiamo visto una foto di un suo lavoro e vorremmo sapere dov'è.

    La Mala continua a fissarlo, sospettosa.

    – È per un'indagine, sì. Ma lui non c'entra niente.

    La donna gli dà il numero. – Se non risponde, non farci caso. È normale.

    Toni prova a chiamare Hector. Infatti non risponde.

    – Tiene sempre la suoneria a zero – spiega La Mala. – Di giorno perché dorme, di notte perché non vuole distrazioni mentre dipinge. Però puoi provare stasera dopo le undici vicino al Polideportivo. Sta lavorando a un mural lungo la strada.

    – Alle undici sono di turno – rammenta Toni. Sino a fine mese la notte fa il buttafuori a El Palacio, un locale su calle Punta Ballena.

    – Posso andare io a parlargli – propone Helena. – Dov'è questo Polideportivo?

    – La accompagno io – si offre La Mala. – Ormai i clienti sono pochi. Mario, il mio barista, se la può cavare da solo.

    5

    Vicino al Polideportivo, 23.25

    – Sei socia di Toni Black? – domanda La Mala, mentre svoltano su Carrer Miño.

    – No. Ma abbiamo lavorato insieme a un'indagine.

    – Da dove vieni? Non riesco a indovinare l'accento.

    – Italia.

    – Sei una poliziotta? – Caridad non ha un buon rapporto con le forze dell'ordine. Malgrado quarant'anni di democrazia, ancora oggi continua a vedere gli sbirri come potenziali nemici, torturatori, e assassini. Per questo, quando ha avuto problemi, si è rivolta a Black.

    – Non proprio – risponde la ragazza. – Sono anch'io un po'… ai margini della legge, come Toni.

    Caridad è soddisfatta della risposta. D'altra parte Helena le è sembrata

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