Ritorno a Pellekinos
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About this ebook
L’autrice ha come punto di partenza sempre spunti di vita reale che, poi, trasfigura con fantasia e creatività.
La protagonista è una donna, Margherita, la quale, essendo dentro e fuori la storia, accompagna il lettore in un viaggio attraverso località e misteri e lo aiuta a svelarli, conducendolo per mano.
Pellekinos, nome dalle reminiscenze classiche, assume nel libro diversi significati e sta al lettore scoprirli per non rivelare in anticipo i fatti, togliendo, quindi, suspense e piacere alla lettura del romanzo.
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Ritorno a Pellekinos - Caterina Condoluci
RITORNO A PELLEKINOS
di Caterina Condoluci
Prima edizione: maggio 2017
Tutti i diritti riservati 2017 ©BERTONI EDITORE
Via Campo di Marte 9, 06124 - Perugia (PG)
Coordinamento editoriale: Jean-Luc Umberto Bertoni
Editing e impaginazione: Costanza Lindi
In copertina: opera grafica di Dino Nicoletti, 1977
Bertoni Editore
www.bertonieditore.com
info@bertonieditore.com
È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi
mezzo effettuata, compresa la copia non autorizzata.
Gli avvenimenti e i luoghi nella narrazione sono frutto della fantasia dell’autrice.
I personaggi e i loro nomi sono inventati, anche se verosimili.
Caterina Condoluci
Ritorno a
Pellekinos
A tutti quelli che amano e rispettano la vita
…La virtù non nasce dalle ricchezze,
ma… dalla virtù stessa nascono le ricchezze e tutti gli
altri beni per gli uomini, e in privato e in pubblico.
(Platone, Apologia di Socrate, 30°-B)
Tu dunque aumenti te stesso quando getti via le altre cose e l’Intero ti si fa presente quando le hai eliminate; ma a chi resta con le altre cose, esso non si manifesta.
(Plotino, VI 5 , 12)
1
PELLEKINOS
Non ritornava a Pellekinos da quando aveva vent’anni.
Ricordava la gente serena, dalla pelle scura per il sole rovente, che si adattava a una vita frugale e faticosa, quella che restava nel paese, perché molte persone lo lasciavano per cercare fortuna altrove.
Aveva un ricordo pulito di quel posto e degli abitanti, i quali vivevano con passione, bellezza e semplicità. Quan-do era lontana, ritornava spesso con l’immaginazione a Pellekinos, al suo modo genuino di vivere che lasciava calore, dovuto al senso profondo delle cose.
Margherita aveva sempre descritto con entusiasmo agli amici quella località del Mediterraneo dal mare scintillante, dove era stata tanti anni prima. Quel luogo era tra i ricordi più belli della sua infanzia e della sua giovinezza.
Era un paese con una chiesa, un ambulatorio medico, un cimitero, un castello in collina, un’osteria, dove gli uomini si riunivano per raccontarsi fatti di ordinaria quotidianità o coloriti dalla loro immaginazione, per passare il tempo, sorseggiando vino. Vi era da sempre un laboratorio artigianale, dove gustare la ricca e abbondante pasticceria del luogo: cannoli alla ricotta di pecora, paste enormi alla crema o al cioccolato, gelati, granite…
Le era stato riferito che l’antico castello, luogo nel passato di tante lotte vittoriose, era stato venduto a un giovane imprenditore nativo di Pellekinos ma emigrato in Svizzera da piccolo, assieme alla famiglia. Questi aveva realizzato all’interno uno spazio per congressi, due teatri, due ristoranti, tre bar e un raffinato centro benessere con piscina. Il posto era ormai diventato meta turistica di ricchi che vi si recavano con le loro eleganti donne.
Esternamente, comunque, manteneva l’originaria strut-tura.
Il pensiero del mare limpido le ricordò Mario.
Chissà come sta, si chiese Margherita, e andò con l’immaginazione indietro nel tempo, quando, ancora in quinta ginnasio durante una vacanza estiva, il giovane aveva iniziato a corteggiarla, seguendola e scrivendole poesie per dichiarare il suo amore. Le era rimasta impressa la sua tenacia, quando al mare poneva un lenzuolo bianco teso con quattro pali nella sabbia per ripararsi dal sole, aspettando che s’innamorasse di lui.
Lo chiamava Jimmy Fontana per la rassomiglianza notevole con il cantante. A lei sembrava un giovane come tanti. Per le sue amiche, invece, era speciale, poiché inteneriva il suo modo di fare.
Si distingueva in paese per il suo impegno sociale.
Frequentava con successo i corsi d’ingegneria all’uni-versità e prometteva una splendida carriera.
Un giorno, svoltando una stradina assieme alla sua amica Rosanna, dopo aver preso un gelato, se lo vide innanzi con fare deciso. Margherita si sentì trafitta dal suo sguardo intenso, con il cuore che batteva all’impazzata. Istintivamente avrebbe voluto cambiare strada ma Mario era lì, di fronte a lei e non riusciva a muoversi. Le porse una lettera, poi andò via.
Non si aspettava tale situazione!
Che intraprendenza, pensò.
Rimase qualche minuto immobile con la busta contenente la missiva in mano, poi ruppe il ghiaccio la sua amica, nel cui viso notò un improvviso e inspiegabile rossore: «Leggila, su! Cosa aspetti?».
Si sedettero su una panchina, all’ombra, per ripararsi dal sole. Rosanna si mise a scorrere le pagine di un libro che teneva in borsa, così non l’avrebbe messa in imbarazzo.
Tolse dalla busta la lettera e iniziò la lettura silenziosa:
Amore mio (se così posso chiamarti),
ho preferito scriverti, piuttosto che parlarti, per darti la possibilità di riflettere su ciò che leggerai e, anche, perché tu continui a sfuggirmi. Io ti amo, credimi, non è solo una frase la mia è qualcosa di più: la convinzione che tu sia la donna della mia vita, la persona con la quale io voglia vivere.
Non ti chiedo di rispondermi subito, ma di darmi la possibilità di frequentarti per dimostrarti quanto mi sei cara. Io ti conosco. Ti osservo da tanto: mi piace il tuo sorriso, la tua capacità di meravigliarti anche delle cose più piccole e apparentemente banali, la tua timidezza quando ti metti da parte per lasciare spazio alle amiche, la sensibilità e la capacità d’ascolto che riveli nel gruppo. E poi sei bella.
Ti chiedo solo di concedermi del tempo per frequentarmi e conoscermi, poi deciderai. Ma io non mi arrenderò: tu fai già parte della mia vita. Ti amo.
Mario
Certo, non si aspettava una cosa del genere! Deve essere impallidita, perché l’amica intervenne chiedendole: «Cosa ti succede? Stai bene?».
«Sì sì, tranquilla. Voglio tornare a casa, però. Ho bisogno di ritirarmi».
Rosanna capì il suo stato d’animo, l’accompagnò e la lasciò salutandola affettuosamente.
Rimasta sola, Margherita si mise ad andar su e giù per la sua stanza da letto. Lesse e rilesse la lettera più volte provando un misto di sentimenti e di emozioni nuovi che non sapeva decifrare. Continuò così per tutto il pomeriggio fino a sera. A cena disse ai familiari che soffriva di mal di testa e si ritirò nella sua camera. Era agitata e rimase così fino a notte fonda, senza prender sonno. Si girava e rigirava nel letto, ma non riusciva a fermare i pensieri che sembravano vorticare impazziti. Era impaurita.
Poi, improvvisamente, esplose l’irritazione, forse per difesa: «Come ha osato? Come si è permesso di scrivermi una lettera e sconvolgermi così? Chi si crede di essere?» pensava Margherita.
Risentita, lo evitò per tutta l’estate, mentre lui aspettava caparbiamente che lei cambiasse idea.
A settembre se ne andò e non lo rivide più.
Ma per tutta la vita, di tanto in tanto, le veniva in mente Jimmy Fontana, un giovane forte e dagli occhi teneri, con una luce luminosa nello sguardo come un abbraccio caloroso. Seppe, dopo tanti anni, che era diventato un ingegnere stimato e aveva moglie e due figli.
In realtà aveva avuto paura di un sentimento così forte ed era fuggita, a modo suo. Aveva quindici anni, in fondo, anche se era alta, ben formata e ne dimostrava di più.
Margherita raccontava agli amici di scogli con scorci di luce dorata, di un mare piatto, liscio come l’olio; del porticciolo, piccolo approdo estivo; del profumo di gelsomino, di cui odoravano le donne del posto, le quali ne raccoglievano i fiori; degli agrumeti, dei rumori e delle figure impalpabili che s’intuivano tra gli alberi, pur re-stando invisibili; dei momenti felici trascorsi in compa-gnia della gente semplice e di musicisti che allietavano le serate, spesso improvvisando concerti con i loro strumenti tradizionali, come il fischietto di canna o la lira oppure l’organetto e il tamburello che invitavano alla danza. Lei narrava anche di vicende atroci provocate dal mare e di come, a volte, esso sappia essere crudele; della gente del posto, molto generosa come pure vendicativa se non rispettata. Descriveva la popolazione nativa orgogliosa, attaccata al proprio paese, quasi facesse parte integrante del mare, della campagna, dello strepitio delle cicale con il loro frinire, fiera dei suoi antenati che avevano saputo difendere sempre la loro terra dagli attacchi dei Saraceni e di altri popoli, che aspiravano a possederla, senza esserci mai riusciti.
A proposito dei Saraceni le veniva spesso in mente una leggenda che sovente nelle serate estive Maria la santa, co-sì la chiamava la gente di Pellekinos per la sua bontà e per le sue capacità di aiutare la gente, raccontava a Margherita e alle sue amiche quando l’andavano a trovare.
La giovane non aveva mai saputo con precisione cosa facesse la donna. Alcune coetanee di Maria la santa le avevano riferito che possedeva un piccolo appezzamento di terreno con un uliveto che curava assieme al marito. Non aveva amiche e usciva poco, solamente per i doveri: a messa la domenica di prima mattina, qualche visita a un parente ammalato, alla bottega di generi alimentari in piazza per la spesa, un giorno sì e uno no.
Accanto alla casa di Maria la santa c’era un’abitazione modesta ma curata, completamente bianca.
Nella parte anteriore dell’abitazione c’era uno spazio libero, sufficientemente ampio da permettere a Mimmo di giocare, un bambino di sei anni che viveva lì con i genitori. Margherita era attratta dai suoi occhi dolci e malinconici, decisi, con un’espressione già da grande.
Ogni volta che si recava da Maria la santa s’intratteneva un po’ con lui, il quale ormai l’aspettava e, vedendola, le regalava un sorriso. Poi le faceva vedere le piantine con le quali faceva esperimenti, giocando in giardino.
Indossava, solitamente, una tutina azzurra con una camicia leggera a quadri, a volte a maniche lunghe.
La mamma, una signora giovane e indaffarata, si affacciava per controllare e per assicurarsi che il figlio indossasse il cappello a falde larghe per proteggerlo dal sole cocente.
La donna salutava con simpatia Margherita ed era contenta che s’intrattenesse un po’ con il bambino, poiché spesso restava solo. Questi le chiedeva di parlargli della sua città al nord e rimaneva attento e curioso quando la giovane raccontava aneddoti o descriveva Venezia, cosa che lo faceva spaziare con l’immaginazione.
Il papà, un giorno, gli regalò un flauto doppio di canna, realizzato da lui stesso, come molti facevano a Pellekinos.
Il piccolo Mimmo lo apprezzò molto e lo portava sempre con sé. Da allora quando Margherita, passando dalla sua casa, si soffermava a salutarlo, lo vedeva per terra, seduto sulle ginocchia, intento a soffiare nelle canne del flauto, nel tentativo di farne uscire delle note.
Margherita ascoltò i suoni iniziali dei suoi tentativi a lungo monotoni, finché un giorno, mentre si avvicinava alla sua casa, la sorprese una melodia toccante: Mimmo c’era riuscito! Aveva fatto suo lo strumento che ormai sapeva suonare.
Quel giorno l’accolse con un sorriso radioso.
Poi il bambino fu mandato dagli zii per trascorrere con i cuginetti un periodo dell’estate e non lo vide più.
Si portò con sé il ricordo di quel suono delicato che l’accompagnò a lungo nella sua vita.
Margherita e le sue amiche continuavano ad andare da Maria la santa, alla quale si rivolgevano per chiedere qualche consiglio, per risanare una piccola ferita o per guarire un mal di pancia insistente, una scottatura oppure per alleviare i disturbi delle mestruazioni. Maria la santa le ospitava sorridente e aveva sempre il rimedio a tutto.
Era veramente incredibile!
Raccoglieva e selezionava lei stessa piante medicinali, di cui conosceva alla perfezione sia il nome sia le caratteristiche salutari, le metteva a essiccare, quindi le conservava ordinatamente in un vecchio mobile a cassetti.
Le ragazze aspettavano con trepidazione il momento in cui lei apriva il tiretto giusto per consegnare le erbe che servivano. La sua casa sembrava una vera e propria erboristeria.
La donna non voleva niente in cambio delle sue tisane o impacchi, e se le portavano qualche pensierino, rimaneva sorpresa, lo accettava con garbo ma diceva che il regalo più bello che potessero farle era dedicarle un po’ di tempo, perché le piaceva ascoltarle.
In verità sapeva capirle e trovare il consiglio giusto a ogni circostanza. Ripeteva spesso alle ragazze che dovevano essere consapevoli della forza di essere donne, le spingeva ad avere e a coltivare sogni e a non ascoltare chi attentava alla loro