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Jana di Motta (Jannah az-Zahrah Fiore di paradiso )
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Jana di Motta (Jannah az-Zahrah Fiore di paradiso )

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Mite ancella o losca carceriera? Vittima innocente o subdola aguzzina?
Quali segreti custodisce la leggenda di Jana di Motta? Ciò che vi leggiamo corrisponde effettivamente alla realtà dei fatti? Quale enigma lega la sua vita a quella del Conte Bernardo Cabrera?
Esiste davvero una diversa chiave di lettura per spiegare la sua vicenda? Qualcuno voleva che il suo caso rimanesse insoluto per sempre? Chi aveva interesse a fare di lei una figura maledetta? La controversa storia mai raccontata di un’eroina del nostro passato, sorprendentemente ancora attuale ai giorni nostri.
LanguageItaliano
Release dateMay 6, 2020
ISBN9788855128773
Jana di Motta (Jannah az-Zahrah Fiore di paradiso )

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    Jana di Motta (Jannah az-Zahrah Fiore di paradiso ) - Salvatore Calanna

    Salvatore Calanna

    Jana di Motta

    (Jannah az-Zahrah, Fiore di paradiso)

    Copyright© 2020 Edizioni del Faro

    Gruppo Editoriale Tangram Srl

    Via dei Casai, 6 – 38123 Trento

    www.edizionidelfaro.it

    info@edizionidelfaro.it

    Prima edizione digitale: maggio 2020

    ISBN 978-88-6537-232-6 (Print)

    ISBN 978-88-5512-877-3 (ePub)

    ISBN 978-88-5512-878-0 (mobi)

    http://www.edizionidelfaro.it/

    https://www.facebook.com/edizionidelfaro

    https://twitter.com/EdizionidelFaro

    http://www.linkedin.com/company/edizioni-del-faro

    Il libro

    Mite ancella o losca carceriera? Vittima innocente o subdola aguzzina?

    Quali segreti custodisce la leggenda di Jana di Motta? Ciò che vi leggiamo corrisponde effettivamente alla realtà dei fatti? Quale enigma lega la sua vita a quella del Conte Bernardo Cabrera?

    Esiste davvero una diversa chiave di lettura per spiegare la sua vicenda? Qualcuno voleva che il suo caso rimanesse insoluto per sempre? Chi aveva interesse a fare di lei una figura maledetta? La controversa storia mai raccontata di un’eroina del nostro passato, sorprendentemente ancora attuale ai giorni nostri.

    XV secolo, Sicilia

    Il misterioso caso di Jana di Motta

    Da centinaia d’anni la storica beffa patita dal Conte catalano Bernardo Cabrera, prigioniero nel dongione normanno di Motta S. Anastasia, fa parte della tradizione locale.

    Mai nessuno, tuttavia, ha sentito il bisogno d’indagare a fondo sui fatti legati a quel remoto accadimento. Mai prima d’ora si era cercato di far luce sul contesto sociale che ha fatto da substrato alla vicenda. Mai nessuno, con rigore razionale nella ricostruzione dei fatti, ha avuto l’interesse di scavare nel profondo di quei lontani eventi per approfondirli, superando la loro apparente semplicità.

    In definitiva, sulla vicenda di Jana l’immaginario collettivo è rimasto fermo alla sua leggenda. La sua misteriosa e sfuggente storia è rimasta una pagina vuota, il suo vissuto si è disperso nelle nebbie del tempo. I miti, le leggende, però, celano sempre tra le loro pieghe briciole di vita, verità nascoste che, scovate dall’autore tra le righe della leggenda, l’hanno indotto a raccontarla, quasi a reinventarla, intessendo, attraverso il canone del romanzo storico, una tenera storia d’amore che rielabora, in maniera del tutto originale, quel lontano fatto leggendario.

    L’autore

    Salvatore Calanna, nato a Padova ma cresciuto all’ombra dell’Etna, cullato dal mare Ionio e baciato dal sole del Sud, è fortissimamente legato a Motta Sant’Anastasia sua terra d’adozione. Innamorato folle del suo paese, della sua storia, della bellezza delle sue contrade, della passionalità della sua gente, del folclore, dei profumi e sapori, si è rivelato un attento cultore delle tradizioni locali. Nel dicembre 2006 ha presentato presso la Scuola Media Statale G. D’Annunzio di Motta Sant’Anastasia la raccolta di nove racconti natalizi dal titolo I racconti della novena con la prefazione curata dal Preside dott. Silvio Galeano. Nel dicembre 2010, presso la locale biblioteca, ha presentato la raccolta di poesie Opunzie e Olivastri con la prefazione curata dal Prof. Giuseppe Condorelli. Nell’aprile 2014, col patrocinio dell’Istituto Comprensivo Statale G. D’Annunzio, ha presentato nel dongione di Motta, il romanzo storico Jana di Motta con la prefazione curata dalla Prof.ssa Luisa Spampinato. Ha in preparazione l’antefatto del romanzo storico Jana di Motta dal titolo Maimone e la bambina.

    Un popolo che ignora il proprio passato

    non saprà mai nulla del proprio presente.

    Indro Montanelli

    Jana di Motta

    (Jannah az-Zahrah, Fiore di paradiso)
    Prefazione

    Tutto quel che so fare, è tener viva la memoria di questa storia: basterà?

    È questo l’interrogativo cruciale con il quale mi sono voluta confrontare nel predispormi a leggere Jana di Motta di Salvatore Calanna.

    Quale può essere il contributo dell’autore e mio personale, al fine di nutrire generazioni che devono costruire il loro futuro? Quale significato dare all’opera? Quale lo scopo? Come consegnare ai posteri la nostra contemporaneità? Può esistere un’eredità da tramandare di generazione in generazione, senza un passato? Certamente no! Quale allora la soluzione?

    Leggendo mi sono accorta che forse il rimedio c’è. La risposta si chiama radicamento, che è il modo più efficace per affermare la propria identità e il proprio senso di appartenenza. E ne parlava già Simone Weil nel 1949, quando scriveva, nella Francia stravolta dall’orrore della guerra, il suo capolavoro filosofico intitolato "La prima radice".

    Tutti gli esseri umani sono radicati in qualcosa. Dopo la nostra prima esperienza di radicamento nel grembo materno, ci si continua a radicare attraverso la famiglia, gli affetti, le amicizie, il lavoro, la società in cui ciascuno di noi vive. Non possiamo né dobbiamo dimenticarlo! Ecco perché l’originale ricostruzione della storica beffa patita dal Conte Bernardo Cabrera, prigioniero nel Dongione Normanno di Motta S. Anastasia, rientra in questo percorso e si qualifica come un magnifico e originale contributo al radicamento di ciascuno di noi in una storia comune, condivisa.

    Attraverso la rilettura della leggenda di Jana di Motta, l’autore ha avuto modo di indagare a fondo sui fatti legati a quella vicenda, sui giochi di potere sottesi a quella beffa e sulle reali ragioni che indussero l’ancella di Bianca di Navarra a portare a termine quel suo gesto. Partendo da un artifizio letterario collocato all’interno della sua ricerca storica nell’archivio della biblioteca del monastero benedettino di Montserrat in Spagna, l’autore vi ha costruito intorno una vicenda di fantasia anche se solidamente radicata in eventi storici come la comprovata lotta per il Vicariato in Sicilia tra Bianca di Navarra e Bernardo IV Conte di Cabrera, e la prigionia di quest’ultimo all’interno del dongione di Motta. Egli inoltre ha avuto la curiosità di capire l’indole più intima della protagonista e, per quanto le sue vicende personali non siano documentabili, ha razionalmente ipotizzato che dietro al personaggio Jana si possa celare una donna vera, vitale, ricca di fascino, realmente esistita, che all’epoca dei fatti tra passioni ricatti e vendette ha fatto parlare di sé. Struggente inoltre la sua suggestiva e tenera storia d’amore; un pregevole lavoro di ricamo intessuto tra le pieghe mitiche e leggendarie di questo personaggio che gli ha consentito di mettere a nudo, nel bene e nel male, l’anima di tutti i protagonisti della vicenda.

    A distanza di secoli la sua feconda creatività, pur tra massicce dosi di fantasia frammista a scaglie di verità, ci propone una rivisitazione di quel lontano accadimento, che oltre ad aiutarci a capire i luoghi e ad amarli, ci restituisce un’immagine del tutto inedita dell’eroina mottese, della quale egli ha saputo cogliere in modo fantastico ma credibile la personalità, sorprendentemente ancora attuale ai giorni nostri. Forte quindi, attraverso Jana di Motta, è l’operazione che possiamo compiere per recuperare una delle nostre tante radici, che è insieme umana e affettiva. Esistenziale e storica. Perché storico è il tempo degli uomini e definirlo entro altre forme di pensiero, prescindendo da quelle spazio-temporali, è impossibile.

    È grazie al bagaglio di tradizioni scritte e orali di ogni epoca, compresa la nostra, che ci si radica e ci si riconosce in una comunità caratterizzata da una sua peculiare identità di cui oggi ci ritroviamo i detentori. Se vogliamo spingerci avanti fiduciosi nel futuro, dobbiamo avere saldi punti di riferimento nella nostra storia passata e nella memoria collettiva di quanti ci hanno preceduto. Operazione da fare non per guardare nostalgicamente indietro, al passato, ma grazie a esso, per costruire il nostro futuro basandolo sulle solide fondamenta del nostro retaggio storico-culturale. Solo attraverso la valorizzazione di questo retaggio riusciremo a trasmettere l’amore e l’attaccamento alla nostra terra, due virtù che per una comunità hanno una valenza altissima costituendone un patrimonio di incommensurabile valore. Siamo nani sulle spalle di giganti.

    Il recupero della memoria storica e collettiva di un popolo si muove quindi di pari passo con l’attenzione ai contesti locali e territoriali dove si sono svolti i fatti. E allora i miti, le leggende, le fonti orali, la tradizione e i documenti storici, tutto entra a far parte della cultura di quel popolo e dell’identità della sua gente. Le radici di un uomo, oltre che nella sua storia personale e familiare, sono in quella locale e territoriale. Infine, nella memoria collettiva dei suoi connazionali. La Storia, pertanto, stabilisce un legame selettivo e critico con il passato, rinvigorendo il presente e infondendo speranza operativa nel futuro. Il recupero dei valori della tradizione fissa l’identità dell’individuo, favorendo quel processo di auto-riconoscimento all’interno di un gruppo sociale di cui egli sente di far parte. Il senso di appartenenza sviluppa quindi il radicamento. E nei giovani contemporanei questo bisogno di appartenenza è assai forte. Contribuisce altresì alla costruzione di un mondo significativo, ricco di senso, perché pregnante di contenuti e di valori universali per tutta l’umanità. Combattere lo sradicamento contemporaneo con la cultura storica e costruire reti di relazioni significative e significanti è pertanto un obiettivo di prim’ordine.

    Questo lo scopo e la terapia, tecnica di salvezza utilizzabile per colmare il vuoto di valori in cui rischiamo di precipitare. Portiamo fiumi di acqua viva a innaffiare quell’arido deserto di senso, di cui parlava Heidegger, che un po’ tutti abbiamo paura di scorgere davanti ai nostri increduli occhi.

    Luisa Spampinato

    Istituto Comprensivo Statale G. D’Annunzio

    Motta Sant’Anastasia (CT)

    Premessa

    La parola leggenda, il cui significato nella lingua latina è cose degne d’essere lette, indica qualsiasi racconto alla cui base c’è un fatto storico realmente accaduto. La leggenda appartiene alla tradizione scritta e orale di tutti i popoli e di solito viene tramandata per celebrare fatti o personaggi fondamentali per la storia di una comunità.

    Tra le tante storie che la nostra terra, crocevia di miti e leggende millenarie, ci propone, quella di Jana di Motta è senza dubbio tra le poche in grado di provocare grande suggestione e profonda emozione, in uno scenario complessivo davvero unico nel suo genere. I nostri avi, vissuti all’interno di una realtà chiusa e rurale, nel tentativo di colmare i vuoti storici lasciati dal tempo nella vicenda di Jana, l’hanno arricchita di quei particolari fantastici, a volte anche distorti, che l’hanno trasformata in una leggenda. Non è raro, quindi, quando si scrive di vicende lontane, di credenze popolari, attraversare, ora in un senso ora nell’altro, il sottile confine che separa la storia dalla leggenda, la realtà dalla finzione.

    Un confine così rischioso e così facile da varcare che anch’io, nello scrivere di Jana di Motta, non ho potuto fare a meno d’attraversarlo per recuperare la memoria mancante sulla vera natura della protagonista mottese, e con l’intento d’amplificare l’eco di quelle lontane vicende, che da generazioni segnano la memoria dei mottesi.

    La leggenda di Jana, entrata indelebilmente nell’immaginario popolare, trova pure un appiglio storico in una filastrocca di discussa interpretazione che da sempre esercita un grande fascino, specie tra i bambini.

    Per motivi che la storia non ha registrato, quest’antica filastrocca riporta tra i suoi versi labili e criptiche tracce di controversa spiegazione (Rigina Spagnola, Palermu, Missina), frammiste a reconditi riferimenti simbolici mutuati dalla natura e dal quotidiano contadino (palummi, jaddu, jaddina). Proprio l’enigmaticità del testo, peraltro privo d’ogni riferimento diretto al nome di Jana, mi ha stimolato a far emergere la vicenda storica sottesa. Anche se nulla di certo si può affermare, non è inverosimile supporre che i presupposti della leggenda di Jana si nascondano tra le pieghe della filastrocca, nelle diverse versioni pervenuteci. I suoi versi, infatti, pur fornendo pochi dettagli d’un fatto reale ormai sfocato dal tempo, se esaminati senza pregiudizi, ossia con la sola preoccupazione di decifrarli, rendono ragionevole un loro collegamento con la storia di Jana, svelando un possibile scenario non lontano dalla verità.

    Spinguli, spinguli, marittina Spinguli, Spinguli, s’arrimina

    ’na puletta di Regina, Supra u lettu da rigina,

    rigina spagnola Rigina Spagnola:

    tirittuppiti e nesci fora. Tiritàppiti, nesci fora!

    Fora quaranta Fora quaranta,

    tuttu lu munnu canta Tuttu lu munnu canta,

    canta lu jaddu Canta lu jaddu

    appisu alla finestra appinnutu a la finestra

    ccu tri palummi ntesta: ccu tri palummi ‘ntesta:

    Jaddu, jaddina Jaddu, jaddina,

    Palermu e Missina. Palermu e Missina.

    È davvero troppo fantasioso ritenere che na puletta di Regina sia in realtà Bianca di Navarra, donna giovane e notoriamente bellissima, almeno quanto allora erano considerate le polene delle navi, che di solito raffiguravano figure di belle e giovani donne? È arrischiato identificare in Bianca di Navarra la rigina spagnola visto che anche lei lo era?

    È illogico supporre che l’uomo che s’arrimina supra u lettu da rigina sia in realtà il conte Bernardo Cabrera che la notte del 19 gennaio 1412 tentò, inutilmente, di sorprendere Bianca a palazzo Steri in Palermo? È paradossale ipotizzare che nesci fora si riferisca al tentativo di fuga del Cabrera dal dongione di Motta? È irragionevole ritenere che la frase canta lu jaddu appisu alla finestra faccia specifico riferimento alla beffa a cui fu sottoposto da Jana, lo stesso conte Cabrera?

    È infondato identificare in Jaddu, jaddina i due protagonisti/antagonisti della disputa sul vicariato in Sicilia, rispettivamente il conte Cabrera e la regina Bianca? Sono ipotesi condivisibili le mie? Forse…

    Una cosa è certa; le ho formulate attingendo ai confusi resoconti dei cronisti dell’epoca che molto spesso, di questo lontano accadimento, hanno dato versioni romanzate e contraddittorie sia nella descrizione dei fatti che nella cronologia degli stessi. Quando ciò è accaduto, ho sempre soggettivamente optato per la fonte che ritenevo più autorevole e più condivisa.

    In questa mia opera di fantasia, pertanto, la storia emerge soltanto dai luoghi, dai tempi e da alcuni eventi i cui protagonisti sono storicamente e filologicamente accertati.

    Nella fattispecie emerge dall’ambientazione della vicenda nella Sicilia aragonese del XV secolo, da personaggi come la regina Bianca I di Navarra, l’ammiraglio Sancho Ruyz de Lihori e altri, e infine dall’evento storicamente incontrovertibile, della carcerazione a Motta del conte di Modica, Bernardo Cabrera, nel quale s’innesta, come perno del racconto, la vicenda di Jana di Motta e la sua leggenda.

    Per consentire una corretta lettura del romanzo, occorre primariamente tener presente che i fatti legati a tutti i personaggi li faccio iniziare a partire dal 14 luglio 1411 e li concludo il 29 dicembre 1412, in un contesto storico che ho cercato di ricostruire in maniera più coerente possibile con le loro personali vicende. Per superare poi una lettura partigiana degli eventi, profondamente intrisi di passioni e di forti emozioni, ho ritenuto necessario non solo tener conto del particolare momento storico in cui si è svolta la vicenda, ma anche far luce sui perché delle lotte intestine che hanno determinato i tragici fatti narrati.

    Si tratta praticamente di chiarire le premesse e i fattori che contornano l’episodio della prigionia a Motta del conte Cabrera che tutto sommato, pur rimanendo un particolare importante, resta pur sempre un particolare all’interno della più complessa vicenda legata alla successione e alla reggenza del regno di Sicilia. Se si vuole comprendere realmente quello che è accaduto, serve ricomporre il quadro senza cadere in letture semplicistiche o partigiane che tendono ad accreditare la ragione da una parte e il torto dall’altra.

    Di seguito i fatti storici che portarono alla vicenda di Jana di Motta.

    È un momento particolarmente complesso e per certi aspetti molto confuso il XV secolo, il cui primo decennio prende atto di ciò che nel secolo precedente è accaduto e continua ad accadere in Sicilia. L’isola è contesa e divisa da guerre di parte che, come onde di assestamento di una nuova geopolitica europea, si abbattono su popolazioni inermi già provate da guerre, lutti, tasse, carestie e pestilenze d’ogni genere nel secolo precedente.

    Alla morte di re Martino I di Sicilia detto Il giovane, non essendo stato ancora risolto il nodo della successione aragonese sul trono di Sicilia per mancanza di eredi diretti e legittimi, la sua seconda moglie, Bianca I di Navarra, fu confermata dal suocero quale vicaria del regno.

    Quando, il 31 maggio 1410 muore a Barcellona anche re Martino Il Vecchio, con la successione al potere non ancora definita, si viene a creare in Sicilia un periodo d’anarchia che spinge l’influente Gran Giustiziere conte Bernardo Cabrera a dichiararsi legittimo reggente del regno, così come aveva fatto nel 1377 il Gran Giustiziere del regno, Artale I Alagona.

    La regina Bianca si trova pertanto a dover gestire, da sola, una complessa situazione giuridico/dinastica difficile da dirimere in quanto entrambi i Martino, prima il marito poi il suocero, erano deceduti senza lasciare legittimi eredi diretti. Il Cabrera, abile stratega, uomo scaltro e crudele, deciso a far valere il peso delle sue argomentazioni giuridiche, spalleggiato da una parte dei baroni, cercò in tutti i modi di sostituirsi a Bianca vicaria del regno e, non riuscendoci, tentò anche di sposarla pur di fregiarsi del titolo regale di re di Trinacria. A tale intento si oppose Bianca, donna dotata d’una forza d’animo e una determinazione fuori dal comune, che al diritto vantato dal Gran Giustiziere Cabrera oppose la legittimità del suo potere esercitato come vicaria del re della corona d’Aragona.

    Si vennero così a creare due fazioni contrapposte: una capeggiata dal Cabrera comprendente soprattutto feudatari catalani e aragonesi, l’altra capeggiata dall’ammiraglio Sancho Ruyz de Lihori comprendente buona parte delle città demaniali e di feudatari latini e catalani fedeli a Bianca, primariamente motivati dall’amore e dalla devozione che il popolo siciliano nutriva nei suoi confronti. Il Cabrera, dopo aver rivendicato in un documento del 24 giugno 1411 il diritto dei Gran giustizieri a rappresentare l’autorità regia nel periodo di vacanza del regno, intensificò la belligeranza contro la fazione opposta, ottenendo all’inizio un discreto successo militare, con la conquista di gran parte dell’isola.

    Bianca, non doma, girando instancabilmente per tutto il regno, anticipa e controbatte ogni mossa del Cabrera, riuscendo a riconquistare quasi tutte le città occupate dal nemico e a motivare le forze rimaste a lei fedeli. Nell’agosto del 1412 questa guerra fratricida si concluse a Palermo con la definitiva sconfitta del Cabrera, per opera delle truppe di Sancho Ruyz de Lihori. Fatto prigioniero in un agguato nei dintorni della città di Palermo, il Cabrera venne immediatamente condotto a Motta e rinchiuso in una cisterna vuota, scavata all’interno del dongione del castello, dove subirà angherie e umiliazioni d’ogni genere.

    Giunti a questo punto, la storia ufficiale cede il passo alla leggenda di Jana di Motta così come, attraverso i secoli, ci è stata tramandata dai nostri padri che, nel tempo, le hanno fatto acquisire una tale notorietà da farne la protagonista assoluta della vicenda, laddove figure storiche ben più importanti di lei vi appaiono solo come dei comprimari.

    Nota dell’autore sulla leggenda di Jana

    Lo scrittore Tommaso Maria Soldati, teologo domenicano, nella sua opera in due tomi di circa 700 pagine ciascuno, comparsa anonima nel 1794, dal titolo Confutazione degli errori e calunnie contro la Chiesa e la sovranità sparse in due libelli intitolati l’uno, Discorso Istorico-Politico dell’origine, del progresso, e della decadenza del potere de’ chierici su le signorie temporali con un ristretto dell’istoria delle Due Sicilie, l’altro, Riflessioni sul Discorso istorico-politico & c. Dialogo del signor Censorini italiano col signor Ramour francese, conservato nella biblioteca dell’abbazia spagnola di Montserrat, nella nota 11, a pag. 604, del capitolo VI, del TOMO I., dichiara:

    Non abbiamo una Istoria esatta di quei tempi, e forse mai l’avremo, essendo periti, o tenendosi per gelosia occulti moltissimi documenti necessari per illustrarla.

    Tenendo nella debita considerazione una tale affermazione che in parte giustifica una certa storiografia romantica, e partendo da cronache dell’epoca sulle quali vi è pochissima bibliografia, mi sono riproposto d’accendere un lumino sulla vicenda di Jana, allo scopo di gettare una luce diversa su eventi passati, oscuri e fuggenti, su lotte e meccanismi del potere poco chiari. Nel regno di Sicilia, infatti, il XV secolo è stato così zeppo di eventi romanzeschi, che non è difficile scambiare per storia il romanzo e viceversa.

    Che cosa conosciamo di Jana di Motta? Quanto c’è di storia e quanto di fantasia nella sua leggenda? Ciò che vi leggiamo corrisponde davvero alla realtà dei fatti? Nel tempo, nella narrazione emotiva del popolo mottese, la sua vicenda si è certamente arricchita di particolari incredibili e chiaramente mitici, tali da rendere davvero difficile qualsiasi ricostruzione univoca dell’episodio che l’ha vista protagonista e dei retroscena che esso nasconde. Esistono quindi eventi storici che, condensando in un unicum storia, mito e leggenda, celano più di quanto qualsiasi approccio razionale possa far immaginare.

    Che la storia di Jana ci sia stata raccontata come una leggenda della quale ci sono pervenute numerose e diverse versioni, tutte caratterizzate da piccole varianti, a Motta lo sanno tutti, ma nessuno sino a ora si è avvicinato alla vera natura di Jana e a quanto è realmente accaduto a Motta in quella lontana estate del 1412. Che i fatti che la riguardano si siano svolti esattamente come ipotizzo nel romanzo è, ovviamente, tutt’altro che certo, infatti molti dei fatti da me narrati non sono mai accaduti, altri invece sì, mentre altri ancora sarebbero potuti accadere. Per comprendere meglio questo concetto, bisogna riflettere sulla nostra esperienza umana nei suoi aspetti più profondi. Alcune situazioni legate alle vicende degli esseri umani sono difficili da vedere, approfondire, toccare con mano, servendosi del metodo storico. Basti pensare, per esempio, all’amore tra due persone. Nonostante l’insondabilità del mistero che si cela in ogni cuore umano, tale sentimento, quando fiorisce tra due persone, è qualcosa di molto reale, qualcosa che fa parte della loro storia.

    Ma è da considerare storico? Discernibile? Valutabile? Certo ci sono segni reali di questo sentimento, tracce visibili, momenti concreti ma… queste tracce, questi segni, questi momenti, sono in sé ambigui, difficili da riportare con assoluta imparzialità e, in quanto tali, si è costretti a interpretarli facendo riferimento alle analoghe vicende che ciascuno di noi sperimenta in prima persona nel proprio vissuto quotidiano.

    Ecco allora l’opportunità di distinguere tra ciò che è storico e ciò che è reale. Se la vicenda di Jana non è un fatto storico nel senso scientifico del termine, è tuttavia reale avendo lasciato indizi concreti che restano l’unico mezzo valido a mia disposizione per tentare di fornire una chiave di lettura dei fatti narrati e di dare risposte ragionevoli a tutte le domande che legittimamente sorgono sulla vicenda e sulla sua persona.

    In questa ricerca d’indizi il mio riferimento non sarà dunque un documento storico su di lei, che non esiste (compreso l’espediente narrativo del ritrovamento del documento, citato nel prologo), ma solo una leggenda nella quale rintracciare quelle briciole di verità nascoste che mi consentiranno di trarre congetture, riflessioni e spunti che, pur non essendo storici, siano almeno plausibili, capaci cioè di far emergere concretamente un personaggio molto discusso ma potenzialmente vero, come appunto ritengo essere quello di Jana. Il romanzo ha come perno e prende spunto da un evento storico realmente accaduto nella seconda metà del 1412, all’interno del dongione di Motta dove lo sconfitto conte Bernardo Cabrera fu portato e rinchiuso da prigioniero, subendovi angherie e vessazioni d’ogni genere.

    A questo punto la storia ufficiale cede il passo alla leggenda di Jana di Motta che io ritengo necessiti di un’attenta lettura alla ricerca d’indizi, che ne spieghino e ne giustifichino la nascita e ci dicano anche il perché, dai cronisti dell’epoca, tale onore fu accordato proprio a lei, una popolana mottese, laddove solitamente tale privilegio viene concesso e riservato, con molta parsimonia, a figure ben più importanti di una semplice popolana. A mio parere, sono proprio gli stessi elementi contenuti nella leggenda a far luce su di lei e a darci risposte che riscattano e valorizzano la sua persona e, di riflesso, la nostra memoria collettiva. Nel romanzo, infatti, è centrale l’approfondimento del suo mondo, del suo modo di pensare, del suo temperamento, dei suoi valori, tutte cose che hanno contraddistinto e impregnato i fatti dei quali è stata protagonista. Ricerca che, portata avanti con un puntiglioso e ben ponderato esame del testo della leggenda, con una scrupolosa disamina del suo operato e con un’approfondita

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