Il boia di Stalin: Vita di Lavrentij Berija
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Book preview
Il boia di Stalin - Riccardo Luciani
Riccardo Luciani
Il boia di Stalin
Vita di Lavrentij Berija
Il boia di Stalin
Riccardo Luciani
© Idrovolante Edizioni
All rights reserved
Director: Roberto Alfatti Appetiti
Editor-in-chief: Daniele Dell’Orco
1A edizione – marzo 2020
www.idrovolanteedizioni.it
idrovolante.edizioni@gmail.com
introduzione
L’uscita nelle sale cinematografiche di un film grottesco sugli ultimi giorni di Stalin¹ e sulla feroce lotta per la successione ha inaspettatamente riportato alla luce il clima di incertezza, misto a sentimenti contrastanti di paura e liberazione, che seguì gli ultimi giorni di vita del dittatore sovietico e le prospettive di successione alla guida dell’Unione Sovietica.
Questo lavoro, in concomitanza del sessantacinquesimo anniversario della morte del vožd’, ha riproposto quei tumultuosi giorni vissuti dai massimi dirigenti dell’Unione Sovietica e dal mondo intero.
In particolare questo saggio pretende di focalizzare la figura di Lavrentij Berija, il potente titolare dell’MVD², che lavorò a stretto contatto con Stalin dal 1938 al 1953, data della morte di entrambi.
Analizzare la figura di Berija significa, di rimando, capire gli stati d’animo, le azioni e le intenzioni di Stalin, di cui Berija fu feroce esecutore di ordini, tanto che il vožd’, durante i lavori della Conferenza di Yalta, lo presentò a Roosevelt con l’appellativo di Il nostro Himmler
. Nelle sue memorie Nikita Chruščëv, Primo segretario del PCUS dal 1953 e poi Presidente del Consiglio dei Ministri dell’URSS dal 1958 al 1964, raccontando ai suoi biografi gli ultimi mesi di vita di Iosif Stalin raccontò la paranoia che affliggeva quest’ultimo.
Per colmare parzialmente questo senso di solitudine egli amava organizzare presso la sua dacia lunghe cene, dove le questioni di Stato o di Partito avevano un carattere marginale mentre era dedicato ampio spazio alla goliardia e alle bevute di alcolici.
Stalin si compiaceva nell’organizzare una gara a chi beveva di più, costringeva i commensali a ballare oppure li sottoponeva a scherzi che lo divertivano, come quello di mettere un pomodoro sopra la sedia del commensale mentre questi si accingeva a sedersi a tavola.
Questo è un aspetto senz’altro nascosto e ironico del carattere di Stalin, tuttavia anche in quei momenti prettamente privati, egli mostrava tutta la sua diffidenza nei confronti della ristretta cerchia di amici e compagni di partito.
Stalin è stato un dittatore totalmente privo di affetto, incapace di amare i propri figli e di presenziare al funerale della madre, diffidente a tal punto da non lasciare nessun erede alla guida dell’Unione Sovietica.
L’infanzia dura, segnata da tragici eventi come la morte del padre alcolizzato e la lunga detenzione in luoghi ameni che ne minarono per sempre sia il fisico che il carattere, il dittatore, per paura di essere avvelenato, non assaggiava nessuna pietanza per primo, costringendo uno dei commensali a farlo al posto suo.
Solo a Lavrentij Berija non veniva mai richiesto di testare i cibi per conto del vožd’, anzi addirittura a lui, grande appassionato di cucina georgiana tanto da portare sempre nel taschino della giacca un peperoncino locale, veniva permesso di portarsi il cibo dalla sua dacia, in particolare la bottarga, formaggi e la mamalyga, un pudding di mais.
Di rimando Berija, che non amava l’alcol, per compiacere Stalin beveva in sua presenza contribuendo al clima allegro che caratterizzava quelle nottate.
Interessante a questo riguardo la testimonianza di Molotov, tessera numero cinque del Partito, che durante alcuni colloqui con il suo poeta-interlocutore Felix Cuev, così racconta quelle serate: Lui (Berija ndr) beveva, ma solo per compiacere Stalin. Era un ottimo organizzatore, ma era un uomo malvagio e spietato. Con Malenkov e Chruščëv facevano una bella cricca. Tutti e tre non amavano bere, ma lo facevano per compiacere il capo. Vorosilov era invece un intenditore. Ci offriva sempre la vodka al pepe. Stalin non beveva molto, ma faceva bere. Gli piaceva che la gente parlasse liberamente per verificarne l’onestà. Lui era sempre moderato, ma, quando alzava il gomito, diventava molto allegro e metteva della musica. Amava molto le canzoni popolari russe e quelle georgiane. Aveva degli ottimi dischi
.³
Berija oltretutto era l’unico dirigente che non veniva fatto oggetto di scherzi e che si poteva liberamente appellare al dittatore chiamandolo amichevolmente Koba, vecchio nome di battaglia del rivoluzionario Stalin, risalente al 1913, quando la Rivoluzione d’ottobre era solo un miraggio. Koba come il nome del protagonista di un romanzo di Aleksandr Kazbegi, il parricida, nemico degli oppressori russi, modello che prese ad esempio non disdegnando affatto, per tutta la sua vita, di essere appellato in questa maniera dalle persone a lui più vicine.
Di origini georgiane come il dittatore sovietico, Lavrentij Berija era stato, tra i vari incarichi, il potentissimo capo dell’NKVD⁴, l’uomo che si era occupato della Sicurezza di tutta l’Unione Sovietica e aveva piazzato spie in tutto il mondo all’interno delle ambasciate sovietiche, e rimasto tristemente famoso per la durezza dei suoi metodi repressivi fatti di interrogatori spietati, deportazioni e liquidazioni sommarie.
Nessuno avrebbe mai immaginato che di lì a nemmeno un anno, quell’uomo, da cui dipendeva la vita di milioni di persone, cadesse vittima delle trame che lui stesso aveva contribuito a creare.
La figura di Lavrentij Berija venne, pochi mesi dopo la morte di Stalin, rimossa ufficialmente da parte del regime, tanto che la Bol’šaja sovetskaja ėnciklopedija, l’enciclopedia di Stato sovietica che tanto ne aveva esaltato la figura, fu costretta a inviare agli abbonati una voce relativa allo stretto di Bering
da apporre sopra la voce Berija
e, per le edizioni successive, si vide costretta a eliminare completamente la voce del politico georgiano.⁵
Come ha potuto una figura di primo piano, capace di sopravvivere alla diffidenza e alla schizofrenia di Stalin, sparire dalla vita politica e dalla storia dell’Unione Sovietica?
Arrestato e condannato a morte con l’accusa di essere una spia al soldo degli agenti occidentali, traditore degli ideali bolscevichi, giudicato sessualmente perverso e accusato di decine di stupri (molti dei quali con vittime), Berija ha subito dopo la sua morte una vera e propria damnatio memoriae.
A Tbilisi, capitale della Georgia, la piazza principale a lui intitolata, dopo il suo arresto fu immediatamente ribattezzata Piazza Lenin, così come la via principale della città che divenne via Kalinin; tutta l’iconografia relativa all’ex delfino di Stalin venne rimossa dal Paese, così come qualsiasi attività da lui svolta per conto del governo e del Partito.
Al giornalista Ilario Fiore, corrispondente da Mosca per la RAI, che si era recato al paese natìo di Berija per un reportage sul ventennale della morte, si presentò una situazione surreale dove i cittadini si mostravano del tutto diffidenti nei confronti di chiunque chiedesse, in quel piccolo villaggio, di quell’ex cittadino illustre. Addirittura, vedendo un piedistallo abbandonato, ricoperto di vegetazione incolta e senza più la statua sovrapposta, un contadino disse mentendo che si trattava di una vecchia statua di Lenin portata in seguito all’interno del museo cittadino di Sukhumi.
L’accesso ai documenti segreti dopo il crollo dell’Unione Sovietica ha permesso agli storici di fare luce su questa controversa figura, feroce esecutore degli ordini di Stalin e dopo la morte di quest’ultimo promotore di alcune riforme che finirono però per accelerarne la caduta.
Ragion di Stato o serio pentimento riguardo la politica staliniana di cui fu fiero sostenitore non sappiamo dirlo, fatto sta che quelle riforme avrebbero potuto, con trent’anni di anticipo, mutare il corso dell’Unione Sovietica. Tuttavia non sono bastati il crollo dell’URSS e l’inizio di una politica liberale nel Paese per riabilitare la figura di Berija, infatti a una richiesta ufficiale di revisione del processo da parte dei familiari, la Divisione Militare della Corte Suprema Russa il 29 maggio del 2000 si oppose fermamente, lasciando così invariate le accuse contro di lui mossegli in passato e che ne avevano provocato la condanna a morte.
Basandoci sulle testimonianze dei protagonisti dell’epoca, difficili da reperire in quanto molti alti dirigenti sovietici non lasciarono memoriali e quei pochi esistenti risultano spesso faziosi, analizzando documenti inediti, accessibili solo dopo la caduta dell’URSS, il lavoro è stato un tentativo di sintesi nella ricostruzione storica di un personaggio complesso che ha inciso profondamente e in maniera drammatica nella storia dell’Unione Sovietica.
1 Morto Stalin, se ne fa un altro, regia di Armando Iannucci, 2017.
2 Equivalente al Ministero degli Interni.
3 F. Cuev, Conversazioni con Molotov, Associazione Culturale Cleomene III, 2004, p.170.
4 Narodnyj kommissariat vnutrennych del (Commissariato del popolo agli interni).
5 Nell’anno 1952 la stessa Enciclopedia aveva dedicato più di due pagine al commissario Lavrentij Beria, arrivando a descrivere il periodo in cui Berija prese parte alla Prima guerra mondiale come un periodo di intensa attività sul fronte romeno nel genio idrotecnico dell’Armata Rossa
, nonostante Berija avesse combattuto