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Hatanot
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Hatanot

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About this ebook

Unico sopravvissuto a un disastro aereo, Norman Angoli cerca di sopravvivere su un isola deserta fino a quando,in una misteriosa grotta, scopre un antico segreto celato per secoli. Un segreto che accomuna due mondi lo trascinerà tra mille imprevisti,forze ostili, misteriosi animali e le intricate parole di un'antichissima profezia che s'intrecceranno con il suo destino cercando di ostacolare il suo rimpatrio.

Riuscirà un ragazzo a salvare un pianeta e fare ritorno a casa?
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateApr 29, 2020
ISBN9788831670456
Hatanot

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    Hatanot - Ruben Gualà

    muore

    Prefazione

    ‹‹Mio signore!›› esclamò il giovane legionario barcollando sul ponte di legno della nave in balia delle onde, ‹‹La nave non reggerà ancora per molto, stiamo imbarcando acqua e rischiamo di perire nelle braccia di Neptunus. Laggiù c’è un’isola, gli uomini ti chiedono di lasciar naufragare lì la nave e se gli Dei saranno d’accordo, alcuni di noi riusciranno a sopravvivere. Ormai son settimane che navighiamo e le provviste son finite, sull’isola sicuramente ci sarà qualcosa da mangiare e poi di questo passo periremo in mare. Quell’isola, mio signore, è la nostra unica speranza!››. Cassius annuì e ordinò di virare la nave. In genere non si lasciava ordinare dai suoi sottoposti ma quello di Glario era un consiglio più che intelligente.

    Il ponte rischiava di disgregarsi sotto i loro piedi da un momento all’altro per via delle sollecitazioni del mare. Ogni scricchiolio poteva essere la firma della loro condanna a morte. Dallo stretto di Gibilterra si erano avventurati oltre, costeggiando l’Africa. Una tempesta li aveva allontanati dalla terraferma e ora erano settimane che navigavano senza sapere dove andassero. Dopo la burrasca avevano navigato con il mare calmo o leggermente mosso per miglia e miglia, senza vedere nient’altro che una distesa d’acqua salata. Era molto difficile capire dove si trovassero.

    Il centurione si trovò con gli uomini e alcune schiave nella stiva quando a un tratto, scoppiò nuovamente l’ira del mare che da due giorni ormai li teneva tra la vita e la morte. Nessuno mangiava né dormiva da quando il mare era in tumulto. Le pesanti e minacciose nubi grigie oscuravano sia il sole sia le stelle, per Cassius stare al timone era ancora più difficile.

    Per alleggerire la nave, il centurione aveva ordinato di buttare fuori bordo tutta l’attrezzatura superflua e di ritirare a bordo la scialuppa di salvataggio che si trainavano dietro. Per riuscirci i marinai faticarono molto giacché la piccola imbarcazione tra le onde aveva imbarcato acqua.

    Sulla nave regnava il terrore da circa due giorni.

    Tra pioggia, freddo, vento gelido, mal di mare e la paura di perire, mangiare era qualcosa fuori discussione. Cassius sperava solo di poter sopravvivere così da poter tornare da sua moglie e i suoi cinque figli: due femminucce e tre maschietti.

    Il primo, Agrippinus, era già abbastanza grande da badare alla famiglia in sua assenza, gli altri lo sarebbero stati tra qualche anno. Era fiero di loro e soprattutto di sua moglie, svolgeva tutti i suoi compiti da brava moglie e cittadina romana, le era sempre stata fedele e in più, stava crescendo i suoi bambini in maniera impeccabile. Ogni volta che tornava a casa dopo le sue lunghe assenze, si rendeva conto di quanto facesse. Non vedeva l’ora di rivederla, gli mancava davvero tanto!

    Ovviamente la stessa cosa valeva per i suoi uomini, quasi tutti avevano a casa una moglie e dei figli ad aspettare il loro ritorno e quasi tutti sentivano la loro mancanza.

    Quando la nave fu abbastanza vicina alla costa tanto da sembrare di poterla afferrare allungando un braccio fuoribordo, gli uomini della IV centuria della coorte e gli schiavi, sia uomini sia donne, erano già sul ponte, pronti a gettarsi in mare e raggiungere la costa a nuoto. Per alleggerirsi i militari si erano tolte le armature lasciando al fianco solo le spade. Giacché avevano tolto le catene agli schiavi, decisero che era meglio non abbandonare le armi, temevano una rivolta. Le donne forse erano innocue ma gli uomini no. In genere per assicurarsi che gli schiavi non scappassero li avrebbero uccisi prima che scendessero dalla nave ma questa volta, Cassius, decise di aspettare e vedere come si sarebbero comportati, infondo quella era un’isola minuscola… Dove sarebbero mai potuti fuggire?

    Quando la nave cozzò contro la barriera corallina, stramazzarono tutti a terra. Non si aspettavano di incagliarsi così presto.

    Non c’era tempo per le spiegazioni, l’unica cosa da fare era mettersi in salvo e mettere in salvo chi non sapeva nuotare o aveva difficoltà a farlo.

    Mentre la prua era rimasta incagliata tra le rocce e l’impeto delle onde avevano cominciato a sfracassare la nave a poppa, l’equipaggio e tutti coloro che erano sulla nave si erano già lanciati in mare, combattendo con le onde tra la vita e la morte per raggiungere quell’agognata spiaggia fatta di quella sabbia tanto fina quanto chiara che aveva un dolce e quasi irraggiungibile gusto di vita.

    Come giunsero sulla battigia i superstiti si rannicchiarono tutti insieme in un luogo in parte riparato dalle piante e cercarono di accendere un piccolo fuoco dove riscaldarsi. Si addormentarono lì, solo il giorno dopo contarono i morti. Quattro riposavano in pace sul bagnasciuga risputati fuori dal mare durante la notte, gli altri sei che mancavano all’appello furono dati per dispersi, probabilmente erano stati divorati dagli squali. La maggior parte comunque si era salvata.

    Cassius aveva da subito ripreso il controllo della situazione ordinando ad alcuni schiavi di seppellire i morti e ad altri di raccogliere delle pietre dal fiume che scorreva lì vicino e accatastarle sulla spiaggia, in seguito ci avrebbero fatto delle piccole dimore. Lui e Glario avrebbero pensato a procurarsi della legna da ardere per segnalare la loro presenza se qualche nave sarebbe passata di lì. L’avrebbero dovuta mettere su un punto alto e chiaramente visibile. Dopo aver preso abbastanza legna si erano fermati in un punto in cui si vedevano chiaramente due alture prive di arbusti. Stavano valutando quale altura fosse la migliore per creare il loro piccolo faro quando il decurione Caecilianus Licilus a capo della turma che supportava la fanteria interruppe la conversazione tra il centurione e Glario cadendo ai loro piedi.

    Gli occhi sbarrati, le mani tremanti, il fiato corto di un uomo che ha fatto una lunga ed estenuante corsa... Cassius temeva che Caecilianus avesse scoperto qualche pericolosa minaccia per loro e per tutti gli altri superstiti.

    ‹‹Mio signore, nel sottobosco, poco più a Nord da questo punto c’è una grotta la cui apertura è segnata con disegni circolari verdi che curvano verso il loro interno. Questi simboli sono posti sui lati e sulla sommità dei pilastri di pietra che ne formano l’entrata. Le pietre vi sono poste come gli stipiti di una porta a formare un’entrata rettangolare. Pensammo fosse fatta da mani umane e che fosse un luogo ospitale così, io e tre dei miei uomini, vi siamo penetrati per vedere se il luogo era adatto per passar la notte e se era abbastanza ampio da ospitare tutte le anime sopravvissute al naufragio. Mio signore, adesso ascoltatemi attentamente, quello che abbiamo visto va di là dalla nostra immaginazione. Molto probabilmente non mi credereste ma non ho testimoni con me per confermarglielo… Venite a vedere voi stesso, credo di aver trovato il passaggio per le terre degli dei!››.

    All’esclamazione dell’ufficiale, Cassius non riuscì a trattenere una secca risata che punse nel cuore di Caecilianus più di una fustigazione in piazza. ‹‹Sei andato a bussare alle porte degli Dei con tre uomini e non hai qualcuno che ti testimoni… Cos’è, uno scherzo?›› enfatizzò il centurione con un pizzico di sarcasmo.

    ‹‹Mi deve credere mio signore, gli uomini che erano con me hanno varcato il confine, solo io son tornato indietro. Forse gli dei hanno voluto che naufragassimo qui per condurci nel loro mondo››. Stressato dalla situazione e sentendosi preso in giro da uno dei suoi sottoposti, il centurione romano esplose in tutta la sua ira sguainando il gladio verso Caecilianus mentre gli sputava in faccia le sue parole. ‹‹Dei? Dei? Quali dei? Io ho portato la nave a naufragare su quest’isola ed io ho salvato la vita a tutti voi, ancora una volta io, sto prendendo le decisioni che vi permetteranno di sopravvivere in mezzo al nulla e ancora di nuovo io, sto costruendo un faro, così che se qualcuno di passaggio ci veda ci possa prendere e ricondurre a Roma. E tu? Che fai? Vaghi per l’isola? Che cos’è che hai visto di così glorioso Caecilianus, una rupe scavata nella roccia durante la tua inutile passeggiata nel bosco? Il naufragio ti ha fatto impazzire o stai solo cercando di ledere il rispetto che i miei uomini hanno di me facendo vedere che sono un uomo che crede a ogni cosa che ode? Ah, no! Tu hai preparato un’imboscata per me così quando verrò lì, tu e i tre che ti sei portato dietro mi assalirete, non è forse così? Lo so che non ti sono mai piaciuto. Ti ricordo inoltre che siamo nel nulla e da come puoi vedere tu stesso, gli dei ci hanno voltato la faccia!››.

    Cassius era rosso in volto e aveva ancora il respiro affannato dopo tanto sfogo, ma il decurione non si fece intimidire. Aspettò qualche attimo, poi riprese a parlare lentamente e rispettosamente verso il centurione, comunque non minimizzò la sua notizia né cercò di tornare sui suoi passi. ‹‹Rinfodera la spada Cassius›› disse posando la sua mano sulla punta dell’arma ancora rivolta verso di lui, ‹‹non son venuto a far guerra ma pace. Tu hai condotto la nave qui e noi tutti te ne siamo grati ma quello che dico non è falsità. Io ti rispetto, non è vero che non mi sei mai piaciuto. Mi ritengo un uomo fortunato a essere sotto il tuo comando e non mi sognerei mai di assalirti ma, se non mi credi, prendi con te degli uomini, i migliori che hai e seguimi, io ti condurrò con loro nel posto che ho visto. Se ho ragione, saprai che in futuro potrai nutrire più fiducia nelle mie parole, anche se sembrano quelle di un folle. Se le mie saranno state solo menzogne, mi farai uccidere››.

    La lama del gladius emise un suono metallico quando Cassius lo rinfoderò lasciandolo ciondolare dal fianco.

    ‹‹Ebbene sia››, disse in tono di sfida ‹‹Non ho bisogno di una scorta per riuscire a uccidere te e i tuoi tre uomini, verremo io e Glario. Avanti! Comincia a camminare… Sarà meglio per te che ci sia quello che hai detto››. Il sorriso che spuntò sotto la barba di Caecilianus fu come quello di un bambino, sincero, tranquillo, senza ipocrisia. Era la felicità di poter dimostrare al suo superiore che lui non mentiva, la gioia di poter condividere quella scoperta con tutti e la soddisfazione di sapere che da lì in avanti Cassius lo avrebbe ritenuto quasi sicuramente l’uomo più affidabile dell’esercito; O almeno così sperava.

    La vegetazione era cresciuta a dismisura su quel puntino di terra in mezzo al blu. Proseguire non era facile fra rami, tronchi caduti ed erba alta ma almeno il terreno era piuttosto pianeggiante. Proseguirono faticosamente per circa cinque stadium prima di arrivare di fronte a una parete rocciosa che saliva diritta verso il cielo. Su quel fianco della montagna vi era una stradina di roccia che saliva in diagonale lungo la parete per circa due actus. Era abbastanza larga perché ci passassero tre persone una accanto all’altra, nel salire però, Glario e Cassius rimasero indietro formando una specie di formazione triangolare. Alla fine del percorso roccioso i tre uomini si trovarono di fronte all’entrata descritta di Caecilianus. Due travi rettangolari di pietra poste ai lati dell’entrata della spelonca ne reggevano una terza posta sulla loro sommità. Tutte quante al loro centro raffiguravano un’aspirale verde. Il colore era così acceso che sarebbe stato visibile anche da due stadium di distanza.

    Caecilianus si fermò davanti all’entrata e fece scorrere il suo sguardo tra Cassius e Glario. Quando fu sicuro di avere la loro attenzione informò: ‹‹Eccoci, questo è il posto. Dobbiamo entrare nella caverna, statemi vicini e fate attenzione a dove mettete i piedi, mi raccomando››. Il centurione e il legionario si scambiarono uno sguardo di approvazione poi annuirono, per far capire al decurione che lo avrebbero ascoltato.

    La caverna era molto buia e il forte odore di ammoniaca dovuto all’urina dei pipistrelli era nauseabondo ma, nonostante tutto, i militari avanzarono. Cercarono di non far rumore per non svegliare le centinaia di creature appollaiate sul soffitto, non erano in grado di vederle ma tutti sapevano che erano lì. A un tratto il decurione cascò sulle sue ginocchia incominciando a tastare il pavimento bagnaticcio della spelonca con le mani nude, sapeva che quell’umidità era dovuta all’urina e agli escrementi di quelle bestiole ma in quel momento la cosa non aveva alcuna importanza. ‹‹Dev’essere qui›› sussurrò, ‹‹dev’essere per forza da qualche parte qui››. I due soldati aspettarono per un po’ mentre Caecilianus gattonava qua e la per la caverna e fu proprio quando Cassius si era incominciato a stufare e posò la mano sull’elsa del gladius che il decurione esclamò con aria piena di soddisfazione: ‹‹Eccolo! L’ho trovato! Venite a vedere, presto!››. All’esclamazione del milite si udirono il battito di ali di due o tre pipistrelli che volarono via. ‹‹Cosa c’è lì?›› chiese incuriosito il centurione. ‹‹Fate un passo indietro e lo vedrete››.

    Caecilianus si alzò, posò il piede su una pietra che sporgeva dal pavimento e con la forza del peso del proprio corpo la fece rientrare nel sottosuolo.

    Il pavimento di roccia davanti a loro cominciò ad abbassarsi formando uno scivolo mostrando l’entrata di un corridoio sotterraneo contrassegnato con lo stesso simbolo verde che avevano visto all’entrata della grotta. Delle luci rossastre che arrivavano dal fondo del tunnel, illuminavano l’entrata e parti della grotta rendendo visibili parte delle centinaia di migliaia di pipistrelli appesi a testa in giù sul soffitto, ne erano molti di più di quelli che credevano. Lo sguardo di Glario e Cassius comunque, era catturato dall’entrata della grotta e dalla luce rossa che ne usciva fuori. Dal momento che la discesa era molto ripida e scivolosa il centurione si piegò sulle sue ginocchia e, tenendo una mano a terra cominciò a scendere.

    ‹‹Aspetta!›› esclamò il decurione con il braccio teso verso di lui come in segno di ammonimento, ‹‹Se scendi non fare passi in avanti oltre la discesa stessa altrimenti la botola si richiuderà e non potrai uscire, è stato così con i miei tre uomini, dissero che andavano lì e non li ho più visti tornare indietro››. Cassius si lasciò convincere. Annuendo rispose: ‹‹Va bene, mi fermerò davanti allo scivolo per guardare poi tornerò indietro››. Aspettò qualche secondo per vedere la reazione di Caecilianus alla sua proposta. Il decurione non aggiunse nient’altro e Cassius cominciò la sua discesa con molta cautela. Perse un sandalo lungo la discesa era già molto rovinato e i due lacci che ancora lo reggevano si staccarono dalla suola. Il milite non gli diede peso, pensava si sarebbe rotto molto prima.

    Quello era un posto molto ambiguo, tra sé e sé si disse che non aveva mai visto niente del genere in vita sua, quando arrivò infondo alla scivolosa discesa e guardò infondo al tunnel, balzò irto sui piedi e sgranò gli occhi, rimase ancora più sbalordito vedendo da dove proveniva quella strana luce.

    ‹‹Potente Giove!›› esclamò, ‹‹Questa veramente è la porta per il mondo degli dei››.

    Da sopra l’apertura del corridoio arrivò in contro risposta la voce di Caecilianus: ‹‹Anche i miei uomini hanno esclamato la stessa frase››. Per la prima volta da quando erano entrati nella spelonca anche Glario parlò: ‹‹Mio signore, che vedi?››

    ‹‹Una cosa spettacolare Glario. Infondo al tunnel c’è un cerchio rosso che vortica su sé stesso, non è fuoco ma ha i suoi stessi colori, solo molto più forti, come il rosso della lava. Non è acqua ma sembra liquida come essa. Non è trasparente, ma vedo cose di là del cerchio che non saprei descrivere, sembrano ombre volanti come se ci fossero uccelli giganti che ci passano di fronte. Una cosa del genere la possono aver creata solo gli dei, è ovvio che questo sia un passaggio per il loro mondo! Il problema è se rimarremo vivi toccando quell’acqua rossa roteante…››.

    ‹‹Tranquillo!›› l’interruzione del decurione fu istantanea, ‹‹Se gli dei ci hanno fatti approdare vivi su quest’isola e se ci hanno lasciato scoprire questo posto, è perché vogliono che andiamo oltre quella cosa››. Il centurione annuì in segno di approvazione. ‹‹Allora torneremo indietro, prenderemo tutto quello che riusciremo a recuperare dalla nave, visto che parte di essa è rimasta fuori dall’acqua. Le pietre e i materiali di costruzione che gli schiavi sono riusciti a prendere li accatasteremo all’inizio del bosco e poi riuniti tutti, soldati e schiavi, ci dirigeremo qui. Entreremo in tre gruppi, prima i soldati, poi gli schiavi e a chiudere la fila altri soldati, Il primo gruppo aspetterà il terzo, così saremo sicuri che gli schiavi, chiusi tra i due gruppi, non scapperanno››.

    ‹‹Sì signore!››.

    PARTE

    I

    Capitolo I

    Il cecchino

    Norman agguantò il suo borsone cilindrico verde oliva e lo posò sul tavolo della cucina del piccolo appartamentino nel centro di Milano. Abitava lì, in affitto da poco più di sei anni. Quanti ricordi in quelle quattro mura! Non ci pensava quasi mai ma in realtà era così. Quell’appartamento era una sorta di piccola scatola fatta di piccoli e grandi ricordi, situato al centro di una città fatta di tantissime altre piccole scatole di ricordi. Ricordi suoi e di altre persone. Alcune le conosceva di persona e molte altre no, a volte le sue storie s’intrecciavano con quelli degl’altri sia conosciuti che estranei e, quelle storie che non si erano ancora incontrate e intrecciate fra loro, avrebbero potuto farlo in futuro o forse no, era tutta una questione di probabilità, certe volte basta un soffio di vento per cambiare il futuro.

    L’orologio che pendeva sopra la porta, gli suggeriva che da lì a poco sarebbe arrivato Mario a prenderlo. Oggi per lui e la sua squadra era un giorno importante. I ragazzi della sua età e anche gli uomini un po’ più cresciuti, in genere, giocavano a calcio o a tennis ma non era così per lui e per i ragazzi del 17˚ gruppo incursori aquile gialle. Loro giocavano a Soft-air. In molti non avrebbero compreso né il gioco né coloro che ci giocavano, altri chiudevano la mente e non volevano comprendere, molti altri li screditavano e li guardavano di malocchio ma, dietro a quelle mimetiche, c’era molto di più di un semplice gioco… Era amicizia! Non un’amicizia come le altre, un’amicizia molto particolare e particolarmente forte. Quando eri lì a coprire con i colpi sparati dalla tua ASG il tuo compagno, mentre lui correva per arrivare dietro al riparo più vicino e disgraziatamente era colpito dall’avversario, ti si stringeva il cuore. Nessuno avrebbe potuto capire cosa significava a parte coloro che erano lì. Nessuno poteva comprendere l’attaccamento per quei boschi, che ormai le aquile gialle conoscevano come le loro tasche, quelle foreste, che ormai erano divenute la loro casa.

    Infondo, che cosa ne volevano sapere gli altri, che parlavano solo per sentito dire?

    Tutte quelle persone che gli sparlavano dietro cosa ne volevano sapere della tensione che si provava il giorno prima della partita, quando la notte non si riusciva a chiudere occhio? Che ne sapevano loro, di cosa si provava quando eri il primo ad avvistare il nemico e subito dopo udivi gli spari dei compagni che ti coprivano le spalle, mentre tentavi di avvicinarti all’obbiettivo da catturare? Che ne sapevano di come sale la tensione e come si trattiene il fiato quando si sta per premere il grilletto o dell’immensa delusione, quando sei colpito a un passo dal conquistare la bandiera nemica o, quando, l’ostaggio che stavi salvando è colpito a un passo dalla salvezza?  Soprattutto, che cosa ne volevano sapere loro delle congratulazioni, le strette di mano e gli abbracci sinceri, fatti con l’avversario a fine partita?

    Era solo un gioco ma, era un gioco che gli insegnava il valore della squadra, gli insegnava a sacrificarsi per i suoi compagni e, al contrario di quello che pensava la maggioranza, loro che giocavano a far quelle simulazioni tattiche che tanto ricordavano la guerra, erano i primi a odiarla.

    Si sapeva benissimo che tutte le persone che li chiamavano guerrafondai, paramilitari o fanatici della guerra, sarebbero stati i primi ad armarsi se qualche stato vicino avrebbe pestato i piedi al loro carissimo tricolore, anche semplicemente per una parola di troppo ma, se questo fosse davvero successo, Norman, Mario e tutti gli altri venti ragazzi del gruppo, avrebbero potuto fieramente dimostrare che chi era incline alla guerra non erano di certo loro e questa, per loro, sarebbe stata una bella rivincita. Le persone dovevano imparare a capire che loro giocavano, solo questo, nulla di più.

    Il telefono vibrando contro la coscia lo trascinò fuori dai suoi pensieri.

    Era Mario!

    Avvisava che sarebbe arrivato con dieci minuti di ritardo. Norman si alzò e si avvicinò alla macchinetta del caffè. Mentre attendeva che il bicchierino di plastica si colmasse del profumato liquido marrone,rileggeva le conversazioni fatte su whatsapp. I suoi occhi si fermarono involontariamente su un nome che fino a sei mesi prima per lui era stato molto più che importante: Giuditta Aglieri. 

    Ricordava benissimo i suoi capelli rossi, i suoi occhi verdi, la sua pelle chiara, la sua dolcezza, i suoi sorrisi. Rammentava benissimo tutte le cose che avevano fatto quando stavano insieme: Le uscite, i viaggi, la spiaggia, la montagna e poi l’estero, l’incontro con i suoi, le risate, i pianti di cui aveva asciugato le lacrime, i baci, gli abbracci… Tutto, ricordava tutto, anche l’ultima conversazione… Soprattutto l’ultima conversazione.

    Sei mesi prima Giuditta lo aveva lasciato per un altro, con cui si stava sentendo già un mese prima che si lasciassero.

    A lui aveva detto che lo lasciava perché voleva stare da sola e che la vita di coppia non faceva per lei ma Norman sapeva che non era così. Mario aveva visto una scena che lo incuriosì e senza dire nulla a nessuno cominciò a indagare sulla cosa e scoprì tutti gli imbrogli di Giuditta, lei lasciò Norman prima che Mario potesse avvisarlo ma tanto, anche che se lo avrebbe fatto cosa sarebbe cambiato? Si sarebbero lasciati lo stesso però, Norman era grato a Mario per quello che aveva fatto, almeno adesso sapeva la verità.

    Dieci minuti dopo il campanello di casa suonò annunciando l’arrivo del suo compagno. Norman andò ad aprirgli il portone e lo fece entrare. Il caffè nel bicchierino di plastica era già stato consumato ma il suo profumo aleggiava ancora nella piccola cucina.

    ‹‹A me il caffè no?›› chiese scherzosamente il trentenne dalla barbetta rossa sentendo il profumo del caffè alla nocciola.

    ‹‹Certo, ma… Non siamo con dieci minuti di ritardo?››.

    Mario scosse la testa. ‹‹No, gli altri mi hanno avvisato che arriveranno al punto d’incontro tra mezz’ora››.

    ‹‹Ah, e come mai?››.

    ‹‹Sinceramente non ho chiesto tanti dettagli. Gionatan ha detto che si fermava al negozio a prendere un pacco di pallini biodegradabili e le spolette di ricambio per le granate a deframmentazione, gli altri si fermavano a fare un aperitivo al bar››.

    ‹‹E la squadra avversaria?››.

    ‹‹Tranquillo, ho chiamato il capogruppo. Ha detto che ci aspetteranno senza problemi››.

    ‹‹Ah bene, allora…›› disse Norman sorridendo, ‹‹Caffè!››.

    Mario si era seduto a capo tavola aspettando che il suo amico gli porgesse il caffè quando il cellulare di Norman posato vicino a lui vibrò. Norman non gli disse nulla quando Mario prese il suo cellulare per controllare il messaggio, tanto tra di loro si raccontavano tutto e non avevano segreti.

    ‹‹Woh-woh-woh-wooooooh!›› esclamò Mario dopo aver letto l’SMS.

    ‹‹Chi è?›› chiese incuriosito il ragazzo porgendogli il caffè.

    ‹‹Beh è meglio che lo scopri da solo›› disse Mario porgendogli il cellulare, ‹‹secondo me, è matta!››.

    ‹‹Matta?›› il tono interrogativo e a sua volta sorpreso di Norman faceva presagire che non si aspettava nessun messaggio da nessuna figura femminile. In realtà gli unici messaggi che riceveva erano quelli dei suoi compagni di squadra. Quando guardò lo schermo sul suo volto quell’espressione accigliata scomparve e all’improvviso fu tutto più nitido e chiaro, doveva ammettere che non si fosse mai aspettato un messaggio da quella persona, soprattutto dopo tutto quel tempo.

    Messaggio da: Giuditta Aglieri

    Ciao Norman, sono Giuditta (non so se hai ancora in memoria il mio numero di cellulare) scusa il disturbo, sicuramente non ti aspettavi di sentirmi dopo circa sei mesi. Volevo solo dirti che penso di aver trovato l’uomo della mia vita, si chiama Franco ed è meraviglioso. Mi trovo benissimo insieme a lui stiamo pensando di sposarci, forse t’invitiamo. Stavamo pensando di fissare la data per l’anno prossimo. Ti terrò informato. Ah, un’ultima cosa… Questi ultimi giorni ti stavo pensando spesso, mi manchi tanto ultimamente, mi manca il nostro noi, mi dispiace molto che sia finita ma è andata così purtroppo, però non voglio tornare con te. Sono contenta che non sia andata e che ci siamo lasciati, altrimenti non avrei mai incontrato Franco. Tra l’altro è molto più bravo di te in molte cose, anche se a volte è un po’ freddo, tu non eri così era bello stare con te. Non che non mi

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