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La Rosa di Beltane
La Rosa di Beltane
La Rosa di Beltane
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La Rosa di Beltane

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About this ebook

Nel percorso iniziatico qui raccontato la sfida è quella di oltrepassare 12 porte, per uscirne rinnovati.

Vi sono dunque 12 tappe, che rimandano alle case dello Zodiaco, nelle quali si ha la possibilità di divenire più consapevoli di sé, con l'opportunità di ritrovare ciò che pareva perduto: l'amore, l'onore, la salvezza, la salute e qualche sogno rimasto chiuso in un cassetto.

È necessaria una certa resilienza, la capacità di rialzarsi e di imparare dalle esperienze, che ci conducono sempre ad apprendere lezioni importanti. D'altronde, trovare un tesoro, o salvare una fanciulla indifesa prigioniera di un drago o di uno stregone, non è cosa da poco! Allo stesso modo, un percorso di iniziazione ci conduce a prove non facili, che bisogna superare, per scoprire ciò che c'è di prezioso dentro di noi. Poi, man mano che si avanza, ci si libera dalle memorie disfunzionali, dai traumi e da quanto è tossico.

Il senso di questo libro? È quello d'ispirarti a gioire nella tua vita, di disfarti di ciò che la appesantisce e la intristisce, di onorare come sacro tutto ciò che sei e tutto ciò che di buono possiedi e ti circonda.

Oggi più che mai, tutti abbiamo bisogno di rinnovamento!
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateApr 17, 2020
ISBN9791220061971
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    La Rosa di Beltane - Claudia Mengoli

    prologo

    Con La Rosa di Beltane, voglio raccontare il mio percorso iniziatico, che alcuni definirebbero il viaggio dell’Eroe, dato che vi sono paure da affrontare, insidie da superare, qualità e valori da riscattare.

    Sono proprio le paure che ci bloccano o ci portano a retrocedere oppure ad accontentare coloro che ci sono accanto e che si sono fatti andare bene certi comportamenti o certe situazioni persino con rabbia. Di sicuro, ognuno di noi è fatto a modo suo e va rispettato. Ciascuno ha le sue memorie, situate nella mente inconscia a vari livelli – personale, genetico, storico –, e queste possono influenzare ciò che facciamo, sostenendo oppure ostacolando ciò che vogliamo realizzare. C’è però poi qualcosa di più potente di tutti i nostri timori ed è l’Amore, quello vero. In suo nome possiamo affrontare tutte le nostre paure e le insidie, possiamo guarire certe ferite, proprio con un percorso che porta dentro noi stessi, ripulendoci e rigenerandoci, e rendendoci pronti a donare il meglio a coloro che ci sono accanto.

    Nel contempo, è possibile renderci conto che tutti noi guardiamo il mondo secondo le nostre memorie. Allora, passo dopo passo, possiamo cambiare, proprio variando il nostro modo di osservare ciò che ci circonda. Di conseguenza, anche l’atteggiamento viene modificato un poco alla volta.

    Per proseguire il percorso di consapevolezza di sé, bisogna assecondare particolari energie che abbiamo dentro e che, a un certo punto della vita, si risvegliano potentemente per indurci a dare maggior risalto alle parti di noi rimaste inascoltate, talvolta perché vissute male, talvolta a causa di particolari ferite e credenze.

    Così, durante il percorso di conoscenza, a mano a mano che si avanza, si diviene più completi, potenti e saggi. L’intento è di integrare gli aspetti che sono necessari per essere completi, di elaborare ciò che prima pareva distante, incompreso, ferito e separato. Non basta riflettere né osservare, ma bisogna agire, dopo avere preso consapevolezza di essere noi gli artefici del nostro destino. Ciò serve per perseguire lo scopo della vita, nutrendo i bisogni, gratificando i desideri e dando il giusto valore alle proprie qualità.

    La Rosa è simbolo di purezza, regalità e bellezza ed è associata al cerchio, che riporta al continuo fluire della vita degli esseri viventi. Pertanto, essa fiorisce a mano a mano che procediamo sul nostro cammino, iniziato con lo scopo, seppur inconscio, di giungere alla trasformazione alchemica.

    Beltane, nel Druidismo, è una delle otto festività legate al ciclo delle stagioni, viene celebrata tuttora nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio e simboleggia l’integrazione dell’Amore Sacro con quello Profano, dell’unione tra il Maschile e il Femminile, della Terra con il Cielo. Ci ricorda di onorare la nostra vita per richiamare altra abbondanza e, con un grosso fuoco acceso al centro del cerchio, di alimentare le energie della Luce anche con la danza, il canto e l’allegria.

    Cercare di fare fiorire la rosa dentro di sé significa accedere alla conoscenza profonda che è in ciascuno di noi e rinvigorire la luce che abbiamo, a volte spenta o resa fievole dalla sofferenza o dai sentimenti negativi.

    Tutti infatti possiamo trasformare la nostra esistenza in modo più gioioso e trionfale.

    O Amata Saggezza, che si brama

    e che spesso non si conosce, confusa con la superbia;

    vengo a te con umiltà e grazia per esser condotta

    dove sorge e tramonta il Sole,

    nell’Alfa e nell’Omega, al Principio e alla Fine...

    O Vita Sacra, senza inizio e senza termine,

    tu che muti come la natura con le sue stagioni,

    mentre segui il corso come fa l’acqua di un fiume,

    che prima o poi giunge alla foce del mare per essere un tutt’uno.

    Tu, come il sole che sorge

    e cala quando va a riposo,

    conducimi a nuovi fiori, dopo che vi sarà stata

    la spogliazione d’autunno e che io sarò svestita

    di ciò che deve morire.

    Poiché l’anima bambina,

    non più ferita, bensì saggia,

    possa sentire la gioia nel cuore e riposare lieta

    col fiore dell’Amore...

    Or che è tempo di partire per un nuovo cammino,

    splendi sulla mia strada

    e conducimi dove già prima della mia venuta io ero,

    così che io ti possa incontrare

    ed essere una cosa sola con il mio Sé Superiore.

    introduzione

    La verità di ogni uomo

    è scritta nelle pagine del suo cuore,

    poiché è lì che dimora la sua divinità.

    (J. W. Goethe)

    Quando ero bambina, mi mettevo a osservare le rose che, nel giardino dei miei nonni, fiorivano su sette roseti; sette, come il numero di figli partoriti da mia nonna e le spade raffigurate nell’immagine della Madonna, simbolo della madre addolorata ma di grande fede, affissa sopra l’entrata della loro casa con la torre.

    Uno di quei roseti stava sul ciglio della strada e la sua posizione mi faceva supporre che fosse la pianta più trascurata, anche se nella Bibbia sta scritto «... gli ultimi saranno primi e i primi ultimi». Infatti, vi è sempre l’opportunità di riscattarsi e di trasformare ciò che è stato vissuto in modo sbagliato, cambiando così anche la visione di noi stessi e del mondo che ci circonda.

    Anche io dovevo cambiare qualcosa o, meglio, rimuovere le convinzioni boicottanti e castranti, come quella di dovere vivere di stenti, rinunce e sacrifici; idea di cui erano profondamente convinti i miei genitori, perennemente affaccendati a produrre e a sfornare pane con il loro duro lavoro. Da bambina, quando ero a casa da scuola, andavo spesso a trovarli per passare più tempo con loro. Mio padre faceva pagnotte, crescente, pizze e prodotti dolciari, avvalendosi della collaborazione di mio zio Giuseppe e di mia madre. Poi, lui cuoceva tutto nel forno, mentre sua moglie si occupava del negozio. Lì, lei si dedicava alla vendita e ascoltava le confidenze della gente, seppur con fretta, non essendo quello il luogo più adatto. Marito e moglie procedevano imperterriti senza badare alla stanchezza o a qualunque altra forma di disagio; a me sembrava che non lavorassero solo per guadagnare denaro, ma per una grande passione e un certo talento, che potevano esprimere liberamente nella loro professione.

    Mia madre sembrava in ansia costante ed era fin troppo presa dalle sue incombenze; le restava infatti ben poco tempo da dedicare a me, per abbracciarmi con la calma, la gentilezza e la delicatezza che avrei desiderato. Però lei cercava di non farmi mancare nulla, anche se correva come un treno che non fa fermate, se non quelle già prenotate, e che può addirittura travolgerti nella sua irrefrenabile corsa. Mia mamma rifiutava l’aiuto che le veniva offerto, convinta di dovere fare tutto da sola; come quella volta che volle andare a piedi da mia nonna, solo perché mio zio non sarebbe potuto venire a prenderci con l’auto al solito orario. Ci ritrovammo in strada, nell’oscurità della notte, senza che vi fosse qualcuno intorno, se non dei gatti e il maresciallo dei Carabinieri, che vigilava sul paese in sella alla sua vecchia bicicletta. Mia madre teneva me per mano e mio fratello in braccio e, a un certo punto, cadde. Verificò subito che non fosse accaduto nulla al suo piccolo e si rialzò velocemente per non perdere altro tempo!

    In quella circostanza, mi accorsi di avere di fronte una donna che voleva mostrarsi forte e orgogliosa – abituata a trattenere il pianto e a reprimere le emozioni –, fingendo che andasse tutto bene persino quando non era vero. Così, dalle cadute si rialzava come se nulla fosse, senza lamentarsi, per poi ricominciare la sua pazza corsa!

    Purtroppo, a volte, stanchezza, frustrazione e nervosismo la portavano a sfogarsi anche su di me: cambiavano i suoi atteggiamenti, le parole, lo sguardo... e io non la riconoscevo più. Per alcuni versi, assomigliava a mia nonna, con quel suo spirito indomabile e combattivo, predisposta a lottare contro le ingiustizie. Sembravano volere difendere loro stesse, nel difendere gli altri, forse perché non si erano sentite adeguatamente protette all’interno delle rispettive famiglie; ma quando la frustrazione eccedeva, per via delle emozioni trattenute troppo a lungo, non c’erano più gestione e controllo e la rabbia prendeva il sopravvento, come se i soprusi del passato fossero ancora presenti.

    Mio padre, pur apparendo come quello più controllato, era anche più misterioso e chiuso. Quando tentavo di aprire un dialogo, durante il quale trapelavano le mie emozioni, se ne andava per evitare il confronto. Allora ci rimanevo male, poiché mi faceva dubitare che mi volesse davvero bene. Avrei preferito che si avvicinasse desideroso di rendermi partecipe della sua conoscenza e che mi ascoltasse, poiché lo stimavo per il sapere che ostentava, per l’intelligenza, per la perspicacia e per la forte volontà che dimostrava nel portare avanti i suoi interessi. Apprezzavo la sua abilità nell’amministrare e pianificare ciò che riguardava l’impresa lavorativa, avviata con mia madre e suo fratello. Solo alcuni aspetti non mi piacevano di lui: il fatto che comunicasse poco con me e il suo modo di essere fin troppo autoritario, tanto che tutto ciò che diceva sembrava essere una sentenza!

    Un giorno, desiderosa di conoscerlo meglio, gli chiesi se avesse dei bei ricordi legati all’infanzia. Mi rispose che vi era sempre stato da lavorare, ripetendo una specie di mantra: «LAVORARE, LAVORARE, LAVORARE». Sembrava che non vi fosse stato mai altro di più importante e che si fosse sempre e solo occupato di assolvere gli impegni di lavoro.

    A tavola ricordava spesso a me e a mio fratello come lui e mia madre si stessero sacrificando per noi, quasi fosse una benedizione, al fine di assicurarci una certa tranquillità a livello materiale. Io avrei voluto altro, come ricevere più gesti d’affetto, ma sembrava non esserne capace.

    Ripeteva spesso: «Bisogna sopportare pur di lavorare!», «Chi dorme non piglia pesci!», «Chi si ferma è perduto!», «Fai del bene alla gente e loro ti ricambiano con dei calci nei denti». Allora non capivo perché lo dicesse, mentre oggi mi accorgo di quanto sarebbe stato importante riconoscere quelle sue convinzioni come idee disfunzionali, anche perché - le avevo fatte mie e andavano mutate.

    Di certo, avrei voluto che i miei genitori fossero più felici e rilassati mentre erano in mia presenza. Avrei voluto scorgerli mentre si baciavano e si stringevano l’un l’altra con grande affetto (anche se non è detto che non lo facessero in privato). Mi dispiaceva vederli fare a gara e battibeccare per chi fosse il migliore, coinvolti in inutili competizioni. Forse, a modo loro, volevano mostrarsi degni di essere amati per ricevere le attenzioni che erano loro mancate, ma io avrei voluto un altro esempio di amore coniugale, più romantico.

    Sarebbe stato però difficile vederlo realizzato, dato che quel comportamento non era stato vissuto nelle loro famiglie di origine. I genitori di mio padre erano contadini, impegnati tutto il giorno a lavorare nei campi; erano poco presenti in casa e, quando c’erano, non si scambiavano grandi gesti d’affetto, forse anche per pudore.

    La nonna paterna, diventata orfana di madre subito alla nascita e di padre all’età di undici anni, non faceva in tempo a occuparsi del figlio appena nato che già si trovava incinta di nuovo. Mi è stato raccontato che si ammalava di frequente tra un parto e l’altro e che aveva addirittura perso uno dei figli, l’anno dopo averlo partorito, per via della spagnola, una terribile malattia infettiva dell’epoca. Inoltre, talvolta il cibo a tavola non era abbastanza per sfamare tutti, così bisognava correre e gareggiare per mangiare, per non restare senza il dovuto nutrimento. Ecco perché era così importante per mio padre avere tutto il necessario a livello materiale: per vivere bene e avere tempo per quell’affetto e condivisione che anche a lui erano mancati.

    Come se non bastasse, quando mio padre aveva solo tre anni, la casa familiare venne occupata dai tedeschi. Era davvero difficile vivere in modo rilassato!

    Anche mia madre, quando trovava un momento per sfogarsi, si lamentava dei sacrifici fatti dalla sua famiglia. Con un poco di irruenza, mi raccontava che la nonna non era stata tanto dolce con lei, come invece lo era stata con me. L’aveva spesso sgridata, perfino quando andava in altalena! In quelle circostanze, probabilmente, l’aveva ripresa temendo che potesse cadere e farsi male. Però a mia madre tale comportamento sembrava ancora ingiusto ed eccessivo. Penso che me lo raccontasse per giustificare alcuni atteggiamenti nei miei riguardi, e per suggerirmi che neanche lei si era sentita desiderata e compresa dalla sua genitrice.

    Pure la casa della mia nonna materna era stata occupata dai tedeschi, durante la guerra, e uno di questi l’aveva molestata, anche se lei si era ribellata rischiando di venire uccisa!

    Com’è dunque possibile chiedere a dei genitori di rilassarsi, quando alle spalle c’è un certo vissuto?

    Da bambini assorbiamo come spugne quello che avviene attorno a noi, nella nostra casa, e le informazioni che ci passano i genitori e gli altri familiari. Per me, la presenza della nonna materna è stata fondamentale. Lei mi faceva sentire amata, mi sentivo capita e ascoltata. In sua compagnia, mi sentivo libera di fare cose inusuali e di scherzare senza temere di essere sgridata. Potevo entrare in casa sua scavalcando la finestra della cucina al piano terra, sicura che sarei stata accolta e coccolata. Talvolta, mi avvicinavo furtiva per sorprenderla mentre era china sulla vasca a fare il bucato. Ero certa che non mi avrebbe rimproverata e che, piuttosto, ci saremmo fatte una bella risata! Altre volte mi nascondevo dentro un armadio, chiuso da una porta a soffietto, per essere cercata e sentirmi desiderata. Sempre a casa della nonna, mi dilettavo a leggere i fotoromanzi di cui lei era appassionata; lo facevo stesa sul suo letto, lasciandomi coinvolgere da storie d’amore passionali e travolgenti, intrise di contrasti, tradimenti, gelosie, invidie e risentimenti. Avvertivo un che di familiare in quelle vicende poiché, in parte, sembravano rispecchiare le esperienze che la nonna aveva vissuto nel suo passato.

    Una sera, prima di addormentarci una accanto all’altra, mi raccontò infatti di quel che le era successo con il primo fidanzato: l’aveva buttata in un fosso, subito dopo avere saputo che aspettava un figlio! Inoltre, mi narrò delle aggressioni subite dal padre.

    Un giorno, volli chiederle per quale motivo non si fosse risposata, dal momento che era poco più che cinquantenne quando il nonno era deceduto. Lei amaramente mi rispose: «Perché mai avrei dovuto risposarmi? Per lavare i pantaloni a un altro uomo?».

    Al tempo, quella risposta mi colse di sorpresa e rimasi delusa, poiché non era ciò che mi sarei attesa. Ero piuttosto incline a sognare e a fantasticare una mia futura relazione sentimentale e non riuscivo a immaginarmi una vita senza amore e con un uomo da sposare.

    Di certo, avrei preferito sentirle dire altro, magari che aveva voluto restargli fedele poiché avevano vissuto una bella storia d’amore. Ma la nonna sembrava indispettita, dato che non si era sentita sufficientemente rispettata, amata e libera di essere se stessa in compagnia degli uomini della sua vita.

    In realtà mio nonno, con la sua gelosia, c’entrava solo in parte nell’insoddisfazione della nonna. Pure lui aveva il suo trascorso, con memorie che chiedevano comprensione e risoluzione, soprattutto quelle legate all’abbandono. Suo padre era stato trovato nella ruota degli esposti, lo strumento utilizzato all’epoca per lasciare i neonati non voluti, in quanto concepiti fuori dal matrimonio oppure abbandonati. Aveva inoltre perso la prima moglie quando lei era ancora molto giovane e si era ritrovato a crescere due figli da solo, fin quando decise di sposare mia nonna.

    Con un passato del genere, per i miei genitori aveva davvero senso credere e affermare che bisognasse essere forti piuttosto che vulnerabili e prede di inutili sentimentalismi. Notavo che loro tentavano di controllare ogni cosa, seguendo un programma ben definito che non lasciava spazio all’improvvisazione, forse con la speranza di evitare altre delusioni. Ma nessuno può evitare che accada ciò che deve accadere, anche se fa male o fa soffrire.

    Lo compresi il giorno in cui morì mia nonna materna. Avevo solo diciannove anni. Il mondo sembrò crollarmi addosso, quando mia madre mi disse che era deceduta. Corsi subito a chiudermi in camera per sfogare il pianto, con un dolore tremendo al petto. Ero anche arrabbiata, perché mia nonna non mi aveva ascoltata! Forse, se il giorno prima l’avesse fatto, chiamando l’ambulanza quando glielo avevo detto, sarebbe stata ancora viva. Mia madre mi raggiunse subito nella mia camera da letto, per consolarmi, ma fu rispedita indietro velocemente. Non volevo nessuno. Rifiutai istintivamente il suo atto gentile, come un cucciolo ferito in un mondo ostile. D’altronde, avevo ormai imparato da lei come ci si dovesse arrangiare a gestire le proprie emozioni e come bisognasse sapersela cavare da soli anche nelle peggiori situazioni! Poco dopo, ci provò pure mia zia Virginia, ma fu ugualmente rispedita indietro.

    La settimana seguente mi ritrovai con la febbre a quaranta: svenni e vidi il mio corpo steso sul pavimento. Mia madre stava china su di me e continuava a chiamarmi. È probabile che la mia anima fosse uscita dal corpo, per poi rientrarvi. Quella stessa settimana morì anche la mia cagna Zara, cresciuta con me fin da piccolina. Subii persino degli attacchi forti da una professoressa a scuola, prima dell’esame. Fu davvero un periodo duro da superare. Nel mentre, stavo frequentando un giovane uomo, Giancarlo, e pensavo di amarlo, anche se non mi sentivo sicura vicina a lui. Infatti, a seguito di diversi episodi distruttivi, stavo maturando l’idea di chiudere la storia.

    Una notte, addirittura, lui mi scaricò lungo l’argine di un fiume solo perché avevamo discusso. Mi abbandonò a venti chilometri da casa, andandosene con l’auto. Quando lo vidi tornar indietro per caricarmi, poco dopo, ero già decisa a lasciarlo, poiché l’aveva fatta troppo grossa! Giancarlo iniziò a dirmi che si sarebbe ucciso se l’avessi fatto. Si avviò verso il fiume per buttarsi e stava per farlo, quando ritirai ciò che avevo detto, mio malgrado.

    Cos’altro avrei potuto fare? Lasciarlo morire e sentirmi in colpa? È probabile che avvertissi in lui delle memorie che riportavano a un lontano passato e che, per questo, non fosse semplice staccarsi. Quando morì mia nonna, Giancarlo si dimostrò preoccupato di essere abbandonato, adottando atteggiamenti possessivi e gelosi che rimandavano ai comportamenti del mio nonno materno. C’era pure l’influenza negativa di una fattucchiera, che frequentavamo entrambi e insisteva affinché lui mi sposasse. Così, il decesso di mia nonna, giunto del tutto inaspettato, si rivelò una casualità importante, perché rese la sua casa disponibile per la nostra convivenza. Peraltro, il fatto che fosse venuta a mancare lei, il mio punto di riferimento, mi aveva destabilizzata.

    Ero sicuramente inesperta, ingenua e presa da illusioni fin troppo romantiche; vi erano però anche delle memorie nell’inconscio che mi riconducevano a un grande amore sacrificato. Forse è per questo che sentivo un estremo bisogno di affetto: dovevo colmare certe carenze e guarire delle ferite, al punto di farmi bastare quel poco che mi veniva dato. Addirittura, giunsi a pensare che la mia vita fosse finita!

    Dopo un periodo molto travagliato, una mattina mi svegliai pensando che non dovevo più vivere come un cadavere ambulante. Decisi di separarmi da quell’uomo insicuro, geloso, aggressivo e persino violento, in alcune situazioni. Allora la fattucchiera non poté nulla, poiché avevo ormai scoperto l’inganno e non aveva più controllo su di me.

    Tutta l’esperienza dolorosa che avevo vissuto doveva servirmi! Soprattutto, doveva essere trasformata affinché restassero solo gli insegnamenti. Scoprii quanto sia difficile vedere la realtà delle cose quando si è troppo condizionati dalle memorie inconsce e dalle proprie convinzioni o dai traumi dei nostri avi. Si può essere confusi e maggiormente manipolabili quando si è troppo sensibili e con una bassa autostima. Per questo è estremamente importante affidarsi a qualcuno che sia esperto, degno di fiducia e con una coscienza elevata e illuminata, qualora vi sia il bisogno di chiarire i propri sentimenti, elaborare certi traumi e ripulirsi dai drammi.

    Solo con il passare del tempo mi sarei resa conto che molti dei miei problemi erano iniziati nel momento in cui avevo conosciuto quella fattucchiera. Era stata una cliente del forno a presentarla a mia madre e lei ne aveva parlato a me, dato che sapeva quanto fossi innamorata di un ragazzo della mia scuola. Forse, c’entrava anche negli strani atteggiamenti fin troppo possessivi e fuori di testa di Giancarlo. Quell’esperienza, comunque, mi è servita per comprendere come si debba fare attenzione a sedicenti cartomanti o maghi, a coloro che si dicono pronti ad aiutarti, ma che in realtà hanno a cuore soltanto il proprio profitto e non il bene dell’altro. Possono causare problemi e creare dipendenze per mantenere il controllo. Alcuni fanno addirittura magia nera ed è più difficile uscirne.

    A ogni modo, in seguito conobbi Carlo e pensai di poter realizzare

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