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Salmodiando con Petrarca - Saggio
Salmodiando con Petrarca - Saggio
Salmodiando con Petrarca - Saggio
Ebook109 pages1 hour

Salmodiando con Petrarca - Saggio

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Il breve salterio petrarchesco, a carattere prettamente penitenziale, esprime in nuce la vita interiore del Poeta, profondamente segnata, forse in maniera particolarmente esagerata ed esasperata, da continue confessioni e richieste di perdono, onde evitare le pene dell’Inferno. Nei versi che compongono i sette salmi è dominante l’aspetto dell’amore misericordioso di Dio sempre pronto a proteggere i suoi figli dalle insidie del tentatore. Salmodiando con Petrarca s’impara a meditare e a pregare.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateApr 22, 2020
ISBN9788831667548
Salmodiando con Petrarca - Saggio

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    Salmodiando con Petrarca - Saggio - Pietrino Pischedda

    633/1941.

    PREFAZIONE

      Il ti­to­lo di que­sto mio sag­gio, Sal­mo­dian­do con Pe­trar­ca, do­vreb­be già, a pri­mo ac­chi­to, ren­de­re cu­rio­so il Let­to­re e con­dur­lo all’in­ter­no dell’ope­ra per esplo­rar­ne il con­te­nu­to.

      Quan­to al con­te­nu­to, pre­ci­so su­bi­to che non in­ten­do en­tra­re as­so­lu­ta­men­te nei det­ta­gli, ap­prez­za­bi­li ma spes­so an­che no­io­si, re­la­ti­vi al­la da­ta, al luo­go di com­po­si­zio­ne e al ti­to­lo ori­gi­na­rio del te­sto in que­stio­ne. Il­lu­stri pe­trar­chi­sti han­no già fat­to que­sto la­vo­ro di in­da­gi­ne e non è quin­di ne­ces­sa­rio che io mi so­vrap­pon­ga al­le lo­ro be­ne­me­ri­te ri­cer­che.

      Ciò che a me in­te­res­sa mag­gior­men­te è il da­to spi­ri­tua­le del Pe­trar­ca, il suo vis­su­to cle­ri­ca­le e quin­di la sua pre­ghie­ra espres­sa in ver­si sul­la scia dei sal­mi da­vi­di­ci.

      Ogni sal­mo ha la sua va­len­za e io cer­co di im­me­de­si­mar­mi nell’oran­te re­ci­tan­do­ne i ver­set­ti e cer­can­do di in­ter­pre­tar­ne lo spi­ri­to.

      Che que­sti sal­mi ab­bia­no ca­rat­te­re pe­ni­ten­zia­le lo si de­du­ce man ma­no che si scor­re su cia­scu­no dei ver­set­ti che li com­pon­go­no.

      Ri­man­go per­ples­so ri­guar­do all’ac­cen­tua­zio­ne, ta­lo­ra esa­ge­ra­ta, dei to­ni con cui il Pe­trar­ca espri­me la sua con­tri­zio­ne per le col­pe com­mes­se. Può - mi chie­do - aver il No­stro com­mes­so tan­ti gra­vi pec­ca­ti da uscir­ne tra­mor­ti­to e  chie­de­re per­do­no a Dio in ma­nie­ra co­sì pla­tea­le? Cre­do, pe­rò, che egli si pro­pon­ga co­me exem­plum di pe­ni­ten­te, di uo­mo che, con tut­te le de­bo­lez­ze pro­prie dell’es­se­re uma­no, ogni gior­no de­ve rap­por­tar­si con l’Al­tis­si­mo e chie­de­re  per­do­no per le of­fe­se ar­re­ca­te a Lui e al­la co­mu­ni­tà.

      Leg­gen­do i sal­mi pe­ni­ten­zia­li del Pe­trar­ca, pos­sia­mo pen­sa­re a un cri­stia­no umi­le e pen­ti­to, sul­le or­me di Ago­sti­no, il qua­le con­si­de­ra l’uo­mo in­ca­pa­ce di sal­var­si se non è sor­ret­to dal­la gra­zia di­vi­na.

      Cer­ta­men­te il ve­sco­vo di Ip­po­na, con la sua con­ver­sio­ne e la sua vi­ta di fe­de, è un mo­nu­men­to esem­pla­re di vi­ta cri­stia­na, che gioi­sce del­la pre­sen­za di Dio una vol­ta li­be­ro dal pec­ca­to. Sia nel­la vi­ta del san­to che in quel­la del poe­ta c’è la pre­sen­za di una don­na. Si trat­ta di una don­na, per en­tram­bi, che non ap­pa­re fi­si­ca­men­te ma che di­ven­ta su­biec­tum / obiec­tum pec­ca­ti.

      Che la don­na sia sog­get­to / og­get­to di pec­ca­to non è un da­to di di­scus­sio­ne ti­pi­co del Me­dioe­vo, ma è spes­so un mo­ti­vo, an­ti­co quan­to il mon­do, per in­col­par­la del tra­via­men­to dell’uo­mo ver­so la per­di­zio­ne. Ep­pu­re il Pe­trar­ca non ci dà mai una rap­pre­sen­ta­zio­ne del­la don­na in que­sto sen­so. L’esal­ta­zio­ne su­pre­ma del­la don­na si ha nel­la ce­le­bra­zio­ne so­len­ne di Ma­ria nel­la Can­zo­ne Ver­gi­ne bel­la, che di sol ve­sti­ta, an­che se nel­la stes­sa chie­de al­la Ma­don­na di es­se­re li­be­ra­to dall’amo­re ter­re­no per Lau­ra. 

      Mi chie­do di qua­li pec­ca­ti pos­sa es­ser­si mac­chia­to il poe­ta, di qua­li gra­vi pec­ca­ti, so­prat­tut­to, pos­sa sen­tir­si col­pe­vo­le.

      Ec­co al­lo­ra il mio sin­to­niz­zar­mi e rap­por­tar­mi con l’uo­mo Pe­trar­ca, pie­no di mi­se­rie uma­ne, non sce­vro da de­bo­lez­ze e quin­di in­cli­ne al pec­ca­to del­la car­ne, dell’or­go­glio, del­la se­te di glo­ria, ecc.

      Non pos­so pe­rò pen­sa­re che nel­la men­te del No­stro co­vas­se l’odio ver­so chic­ches­sia, quan­do nei suoi sal­mi par­la di ne­mi­ci. For­se ci so­no sta­ti ne­mi­ci che pos­so­no aver avu­to dell’in­vi­dia per le sue glo­rie di poe­ta, co­me an­che dei ne­mi­ci all’in­ter­no del­la Cu­ria avi­gno­ne­se per i ten­ta­ti­vi di con­vin­ci­men­to del poe­ta di ri­por­ta­re il pa­pa­to a Ro­ma.

        Il ne­mi­co nu­me­ro uno, co­mun­que, è da con­si­de­ra­re sem­pre il dia­vo­lo, che si ser­ve di tut­ti i mez­zi per por­ta­re l’uo­mo al­la ro­vi­na.

      La rui­na di cui par­la il Pe­trar­ca è l’In­fer­no, di cui egli av­ver­te l’or­ro­re per via del­la man­can­za del­la pre­sen­za di Dio in eter­no.

      Il ti­mo­re dell’In­fer­no mi sem­bra piut­to­sto ac­cen­tua­to nell’ani­mo del poe­ta ed è quin­di com­prensi­bi­le la sua ri­chie­sta a Dio di aiu­to e di per­do­no, on­de evi­ta­re la dan­na­zio­ne eter­na.

      Il suo rap­por­to con Dio, ol­tre che re­ve­ren­zia­le, è con­fi­den­zia­le, ami­ca­le, fi­lia­le. Sot­to le ali di Dio si sen­te al si­cu­ro, non può te­me­re al­cun ma­le.

      Il set­ti­mo e ul­ti­mo sal­mo chiu­de in bel­lez­za, ri­vol­gen­do­si a Ge­sù Cri­sto, per­ché nel­la sua mi­se­ri­cor­dia lo rial­zi dal­lo sta­to di pro­stra­zio­ne do­vu­to ai pec­ca­ti del­la vi­ta pas­sa­ta e lo so­sten­ga con la sua gra­zia per sem­pre.

      Que­sto viag­gio vir­tua­le, all’in­se­gna del­la pe­ni­ten­za, com­piu­to in­sie­me al poe­ta, mi ha con­vin­to che la sua uma­ni­tà, fat­ta di umil­tà e di am­mis­sio­ne del­le pro­prie de­bo­lez­ze, è mo­ti­vo per me di in­ci­ta­men­to per as­su­me­re un com­por­ta­men­to di vi­ta si­mi­le al suo.

      N. B. Te­sto di ri­fe­ri­men­to: Fran­ce­sco Pe­trar­ca – ope­ra om­nia -  psal­mi pe­ni­ten­tia­les – let­te­ra­tu­ra: di­gi­lan­der.li­be­ro.it

    Pietrino Pi­sched­da

    PSALMUS I

    1.      Heu mi­chi mi­se­ro, quia ira­tum ad­ver­sum me con­sti­tui Re­demp­to­rem meum, et le­gem suam con­tu­ma­ci­ter ne­gle­xi.

      C’è un dif­fu­so sen­so di col­pa nell’ani­mo del poe­ta, an­che se di or­di­na­ria am­mi­ni­stra­zio­ne, co­me del re­sto si può ri­scon­tra­re in qua­lun­que uo­mo sog­get­to al­la fra­gi­lità tra­smes­sa dai pro­ge­ni­to­ri.

      Il fat­to è che a Pe­trar­ca, da­ta la sua po­si­zio­ne di cle­ri­cus e da­ta la fre­quen­ta­zio­ne del­la Cu­ria avi­gno­ne­se, ogni mi­ni­mo pas­so fal­so pe­sa co­me un ma­ci­gno nel suo vo­ler es­se­re un cri­stia­no esem­pla­re.

      Il suo sta­to di po­vertà in­te­rio­re, do­vu­to al­la tra­scu­ra­tez­za del­la Leg­ge fa sca­te­na­re l’ira di­vi­na. Un qua­dro quan­to mai fo­sco, que­sto, in cui il mi­se­ro ap­pa­re soc­com­ben­te sen­za al­cu­na pro­spet­ti­va di re­den­zio­ne. Nei suoi mo­men­ti di so­li­tu­di­ne, spes­so vo­lu­ti, il poe­ta im­ma­gi­na di es­se­re giun­to al dies irae, al co­spet­to di un Dio se­ve­ro e ir­re­mo­vi­bi­le.

    2.      Iter rec­tum spon­te de­se­rui et per in­via lon­ge la­te­que cir­cum­ac­tus sum.

      La con­fes­sio­ne si fa un po’ più aper­ta, dal­la qua­le si evin­co­no due ele­men­ti, ben­ché non an­co­ra ben spe­ci­fi­ca­ti: l’ab­ban­do­no del­la ret­ta via e, di con­se­guen­za, la sban­da­ta. Tut­to ciò non av­vie­ne ca­sual­men­te o per sba­da­tag­gi­ne, ma spon­te, con­sa­pe­vol­men­te, di pro­pria ini­zia­ti­va. Il No­stro pe­ni­ten­te la­scia la stra­da giu­sta per per­der­si in ter­re­ni im­pra­ti­ca­bi­li e pe­ri­co­lo­si. Il ri­chia­mo al­la sel­va oscu­ra e al­la di­rit­ta via dan­te­sche mi pa­re ov­vio o per lo me­no opi­na­bi­le, co­me an­che al suo men­to­re quan­to mai au­to­re­vo­le, Ago­sti­no, il qua­le, in fat­to di con­fes­sio­ne del­le pro­prie col­pe­vo­lez­ze, è pa­le­se­men­te schiet­to.

    3.      Aspe­ra que­li­bet et inac­ces­sa pe­ne­tra­vi; et ubi­que la­bor et an­gu­stie.

      Qua­li sia­no sta­ti i luo­ghi aspri e inac­ces­si­bi­li nei qua­li è en­tra­to il poe­ta non è da­to sa­pe­re. Cer­ta­men­te si trat­ta di una me­ta­fo­ra, che ri­spec­chia la sel­va oscu­ra dan­te­sca e quin­di lo sta­to di pec­ca­to, cui ogni uo­mo va in­con­tro. Mi pia­ce sot­to­li­nea­re que­sta con­sa­pe­vo­lez­za, for­se esa­ge­ra­ta, del poe­ta nel sen­tir­si pe­ren­ne­men­te in col­pa, fi­no ad an­gu­stiar­lo e a pro­var­lo in ma­nie­ra se­ria.

      C’è chi non si cu­ra del pro­prio sta­to spi­ri­tua­le e chi, in­ve­ce, av­ver­te con­ti­nua­men­te la pro­pria κένωσις, il pro­prio vuo­to spi­ri­tua­le, che vor­reb­be riem­pi­re e col­ma­re di be­ni di gra­zia du­ra­tu­ri.

    4.      Unus aut al­ter ex gre­gi­bus bru­to­rum, et in­ter lu­stra fe­ra­rum ha­bi­ta­tio mea.

      Il pec­ca­to fa as­so­mi­glia­re più al­la be­stia che all’uo­mo, che è sta­to crea­to a im­ma­gi­ne di Dio. È ta­le il di­sor­di­ne pro­cu­ra­to dal­lo sta­to pec­ca­mi­no­so che l’uo­mo a un cer­to pun­to, in un mo­men­to di re­si­pi­scen­za, si sen­te co­me un ver­me na­sco­sto sot­to ter­ra o co­me una be­stia che, per pau­ra di es­se­re sbra­na­ta da al­tre bel­ve più for­ti di lei, vi­ve rin­ta­na­ta. Ri­tor­na il te­ma del na­scon­di­men­to a cui si è

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