Il Lager di Hindenburg. La strage del 27 gennaio 1945
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Renzo Pellegrini fu catturato dai tedeschi l’8 settembre 1943 in Croazia e con i commilitoni fu caricato su carri bestiame piombati e portato al campo Stalag III di Kustrin, a nord di Francoforte sull'Oder. Poi il trasferimento al campo K1 di Auschwitz Birkenau e da qui, i primi di giugno del 1944, il passaggio all'Hermannschachtlager di Hindenburg, Stalag VIII B.
Il 5 ottobre del 1944 divenne, come gli altri italiani, un I.M.I. e gli fu attribuito lo status di internato che però lo rese del tutto indifeso, privato della “protezione dagli atti di violenza, dagli insulti, dalla curiosità”. Privato “del diritto alla personalità e all'onore”. Qualificato come fordermann, ovvero un minatore, alle dipendenze del complesso minerario Kronigenluisengrube, scese nei pozzi Ostfeld, Westfeld e Hermannschacht per raccogliere il carbone che serviva per rifornire le industrie tedesche.
Le baracche del campo erano allineate su una vasta depressione, nelle vicinanze di un pozzo minerario, e questo fu teatro dei combattimenti di fine gennaio 1945 quando il campo venne liberato dai soldati sovietici del 1.o Gruppo Ucraino del Generale Ivan Stepanovič Konev.
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Il Lager di Hindenburg. La strage del 27 gennaio 1945 - Renzo Pellegrini
edizioni
Copyright
© Copyright Argot edizioni
© Copyright Andrea Giannasi editore
Lucca, maggio 2020
1° edizione
Tutti i diritti sono riservati. Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633).
ISBN 978-88-32281-42-2
Medaglia d’oro al valor militare all’Internato ignoto
Militare fatto prigioniero o civile perseguitato per ragioni politiche o razziali, internato in campi di concentramento in condizioni di vita inumane, sottoposto a torture di ogni sorta, a lusinghe per convincerlo a collaborare con il nemico, non cedette mai, non ebbe incertezze, non scese a compromesso alcuno; per rimanere fedele all'onore di militare e di uomo, scelse eroicamente la terribile lenta agonia di fame, di stenti, di inenarrabili sofferenze fisiche e soprattutto morali. Mai vinto e sempre coraggiosamente determinato, non venne meno ai suoi doveri nella consapevolezza che solo così la sua Patria un giorno avrebbe riacquistato la propria dignità di nazione libera. A memoria di tutti gli internati il cui nome si è dissolto, ma il cui valore ancora oggi è esempio di redenzione per l'Italia.
Oscar Luigi Scalfaro
19 novembre 1997
Il valore della testimonianza
Una società sana è quella capace di stabilire un giusto equilibrio tra passato, presente e futuro, ma paradossalmente proprio la civiltà degli archivi elettronici e il mondo delle banche dati recidono le relazioni temporali tra gli eventi. Basta seguire i media: ciò di cui si smette di parlare per qualche giorno è come se non esistesse più.
É vero solo ciò che succede nel giorno presente.
La memoria oggettivata sembra rendere quasi superflua la memoria attiva, come chi si dimentica la tavola pitagorica, sostituita dalla calcolatrice tascabile. E proprio per questo è importante ricordare. Come andare controcorrente sotto il bombardamento multimediale. La memoria va alimentata. L’oblio, in termini sociali, deriva propria da una sottoalimentazione della memoria. Se non si alimenta si perde; qualitativamente più che quantitativamente.
É proprio per questo che ogni testimonianza assume un valore unico, certificabile, indiscutibile e patrimonio di tutti.
La storia vissuta, pur rimanendo sempre oggettiva, è sempre più vera di quella interpretata.
Questa testimonianza ci porta ad una particolare riflessione. Perché Renzo Pellegrini, dopo 45 anni, ha sentito il bisogno di tornare nei luoghi della tragedia?
Perché Renzo Pellegrini, tornato, ha sentito il bisogno di lasciare testimonianza scritta?
Ha temuto di non essere creduto? Ha avvertito un latente senso di colpa per non essere stato sufficientemente convincente? Anche un grande della letteratura italiana, Primo Levi, fece di questa testimonianza lo scopo della sua vita e dopo 45 anni si suicidò. Si era reso conto di non essere stato abbastanza efficace nel comunicare il senso dell’orrore che aveva caratterizzato la seconda Guerra Mondiale.
Renzo Pellegrini deve aver sentito la stessa disperazione. Ma noi non dobbiamo disperare, dobbiamo raccogliere il testimone e continuare a spronare la memoria mantenendola viva: contro la barbarie, sempre in agguato, per tutta l’umanità.
Col. Fausto Viola
Presidente Museo storico della Liberazione Lucca
N.B. Il Col. Viola ci ha lasciato e il Museo è stato chiuso nel 2019.
Questa prefazione era inserita nell’edizione precedente.
Internati militari italiani di Andrea Giannasi
Italienische Militär Internierte: IMI. Con questa sigla, inventata da Hitler per non far rientrare i soldati del Regio esercito tra i prigionieri di guerra, la Germania superò gli accordi della Convenzione di Ginevra del 1929, potendo usare gli italiani a proprio piacimento.
Dopo l’8 settembre del 1943 più di 800.000 militari, alcuni dopo aver opposto resistenza, furono disarmati e condotti nei campi di concentramento che furono quasi 250 sparsi in mezza Europa. Il numero maggiore ovviamente si trovava in Germania, ma gli italiani furono rinchiusi in campi anche in Polonia, Francia, Jugoslavia e Grecia.
Gli italiani erano considerati dai vertici nazisti come traditori o come venivano definiti all’epoca badogliani
. Ovvero militari