Il dono dei cefiri e l'estorsione
By Paolo Piras
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Il dono dei cefiri e l'estorsione - Paolo Piras
figli.
Presentazione
Il romanzo regala emozioni intense, grazie all’autore ch’è in grado con la propria fantasia di disorientare e stupire il lettore, con il potere dei protagonisti che riescono a: salvare delle persone da morte sicura, sbrogliare situazioni complesse, a riflettere sui fatti, a creare delle messinscene a fin di bene e capaci di divulgare con le loro descrizioni, i sentimenti che aprono il cuore e la vivacità all’intera narrazione, che fan ben sperare a molti lettori di leggere il continuo.
Serena
SINOSSI
È sabato mattina 26 giugno 1971, Angelo e Cinzia proprietari di una tenuta, passeggiano assieme alla figlia Fiorenza di dieci anni seduti sul calesse trainato dal cavallo Modesto, nella bassa costa a poca distanza dal mare, mentre l’altro figlio Pierpaolo di dodici anni, è in groppa al cavallo bianco Focoso che trotterella a pochi passi dal calesse. All’improvviso una mosca cavallina pizzica Focoso, che per il dolore fa uno scatto fulmineo senza freno sbuffando dalle froge, finché a limite del precipizio non s’è bloccato di colpo, catapultando Pierpaolo giù in mare tra i flutti.
Purtroppo le ricerche di due giorni e due notti, fate dai carabinieri con i sommozzatori e la guardia costiera, sono state vane: nonostante i loro impegno assiduo.
Ma al quinto giorno, sul far della sera, inaspettatamente i tocchi del battacchio al portoncino della fattoria non hanno smesso fino a che la domestica non ha aperto; e visto ch’era Pierpaolo stava per svenire.
Dopo abbracci e baci con i famigliari, ancora increduli che fosse vivo, Pierpaolo ha cominciato a rivelare che sott’acqua s’è sentito risucchiare da un vortice in una cavità, trascinato in una grotta che sprofonda sotto il mare e risale nelle viscere della montagna.
Neanche la bellezza delle stalagmiti e stalattiti e il riverbero della luce, che attraversa i sifoni sottomarini, superano lo stupore dell’incontro con i cefiri: i loro corpi senza peli sono lisci e talmente perfetti che evidenziano tutti i muscoli, e quando arrivano al culmine dello sviluppo, raggiungono all’incirca l’altezza di un metro e ottanta: i maschi hanno la testa di delfino bianca e gli occhi verdi, mentre le femmine ce l’hanno rosa chiaro e gli occhi celesti.
Ma quel ch’è più sorprendente è che rimangono così per un millennio, fino a che non diventano degli spiriti chiamati cefidelfi i maschi, e le femmine cefidelfie, che vedono tutto ciò che li circonda a centinaia di metri, anche attraverso le pareti o qualsiasi altra cosa, inoltre se vogliono farsi notare, hanno il potere di irraggiarsi.
A quel punto ha tenuto segreto che i cefiri gli hanno fatto il dono di una potenza fuori dal normale, con l’incarico di salvare cose e persone in pericolo e oltre a ciò, si è preso anche l’incarico (sempre con riservatezza), di riuscire a porre fine all’estorsione di due milioni di lire al mese che subisce il padre.
CAPITOLO 1
In quella domenica piovosa del 22 settembre 1968, Cinzia essendo in pensiero per il marito che andò a caccia, guardava il viale attraverso i vetri di una finestra della fattoria. D’un tratto sentì una schioppettata che squarciò l’aria e in un subito delle urla di dolore: che provenivano da una zona collinosa ricca di vegetazione mediterranea e di selvaggina.
Da quel momento, Cinzia si preoccupò non poco, sapendo che il marito era proprio in quella zona: a tal punto che dopo un quarto d’ora, decise di andare a chiedere la collaborazione del fattore e dello stalliere, per uscire insieme a cercare il marito… Nel mentre che stava per scostarsi dalla finestra; intravide con la coda dell’occhio il calesse trainato dal cavallo chiamato Modesto, che trotterellava sul viale guidato dal marito fino a che non si fermò di fronte all’ingresso della fattoria e aprì il portoncino. Di lì a poco, Cinzia corse subito dal marito e mentre lo abbracciò scoppiò in lacrime di gioia. Poi, guancia contro guancia, gli chiese: «Caro, tutto a posto?»
«Sì mia cara, tutto a posto… Cinzia, l’hai sentita la schioppettata e quelle urla di dolore?»
«Sì, e non ti dico quant’ero preoccupata, fino a che non t’ho visto, sano e salvo… A proposito, sai cosa è successo?»
«No, non so niente. Comunque se è successo qualcosa di molto grave, domani senz’altro ci sarà l’articolo sul L’UNIONE SARDA… Mia cara, visto che il tempo tende a peggiorare, e per di più siamo anche un po’ scossi per quanto abbiamo sentito, credo che sia meglio rientrare nella nostra abitazione di Quartu Sant’Elena… Se non altro finiremo di passare questa domenica con i nostri due amati figli, anziché starsene qui da soli e con questo tempaccio… Che mi dici, va bene per te?»
«Ma certo caro, anch’io preferisco rientrare.»
«Ascolta Cinzia, nel frattempo che io riporto Modesto nella scuderia, tu prepara le cose che dobbiamo riportare a casa e mettile nel cofano dell’auto; così non appena torno, ce ne andremo subito.»
L’indomani mattina, il marito uscì di buon’ora per comperare il giornale e quando rientrò, disse alla moglie, mentre approntava la colazione per il figlio di nove anni: «Cara, sul giornale c’è l’articolo di ciò che abbiamo sentito ieri… In sintesi c’è scritto che un cacciatore di Cagliari è stato colpito sul viso per puro caso da pallini vaganti, che gli hanno sfregiato le guance e l’occhio sinistro, a tal punto che a quell’occhio non ci vedrà più… Questa sì ch’è scalogna, poveraccio.»
«Certo che adesso saranno cavoli amari, per il cacciatore che gli ha sparato.»
«A quanto pare mia cara, il cacciatore ferito ha testimoniato ai medici dell’ospedale che non sa chi è stato a conciarlo in quel modo… Ora pensiamo alle cose che dobbiamo fare quest’oggi.»
A quel punto Cinzia pensò: non so perché, ma ho l’impressione che Angelo si tiene segreto qualcosa di molto grave.
Questa famiglia, come tante altre di quel tempo, a Quartu Sant’Elena era considerata facoltosa: poiché aveva una vinicola… e fuori dalla città, in località di Geremeas, tra le montagne e le colline confinanti con delle spiagge bagnate dal mare, aveva una grande tenuta piena di alberi, sia ornamentali sia da frutto; mentre nelle parti non coltivate, risaltava la macchia mediterranea che sprigionava odori profumati che mescolandosi con la brezza del mare diventavano più gradevoli. Essendoci una sorgente sul monte, l’acqua non mancava mai, sia per abbeverare il bestiame sia per le persone che ci lavoravano sia per il fattore con la moglie e i loro quattro figli che abitavano in una porzione della fattoria: dato che l’altra porzione doveva essere sempre libera in qualsiasi momento per i coniugi e proprietari della tenuta, Angelo e Cinzia e i due figli Pierpaolo e Fiorenza: che di solito soggiornavano soltanto ogni settimana, dal venerdì sera all’alba del lunedì.
Pierpaolo era del 1959 e aveva gli occhi vivaci con il viso gioviale, alto un metro e cinquanta con un fisico slanciato e i capelli ondulati castani. Mentre Fiorenza era del 1961 e aveva gli occhi lucenti e il visino carino, alta un metro e quaranta con un fisico aggraziato e i capelli lisci castani.
Ogni volta Angelo, per scaricarsi le cinquanta ore trascorse nell’ufficio della sua vinicola, faceva un’escursione nella sua tenuta in groppa a un cavallo... e poiché notò, che tutte le volte che prese con sé il figlio Pierpaolo si divertiva tanto a cavalcare, l’insegnò a comunicare con il cavallo e stare bene in sella.
D’allora: ogni volta che andavano nella tenuta, il sabato all’alba uscivano insieme ognuno con il suo cavallo a farsi la passeggiata. Fino a che, il venerdì del 25 giugno 1971, quando arrivarono nella fattoria, Pierpaolo disse al padre: «Se me lo consenti, domani vorrei provare a cavalcare il bel cavallo bianco chiamato Focoso.»
Gli rispose: «Figliolo, hai soltanto dodici anni e stare in sella a quel cavallo è un po’ rischioso per te..., visto che più delle volte è imprevedibile e impulsivo; tanto è vero, che l’abbiamo messo il nome Focoso, proprio per questo motivo.»
Visto che il figlio ci rimase un po’ male, gli disse: «Suvvia! Non abbatterti così Pierpaolo... Se mi prometti che non ti distrarrai neppure un attimo, te lo farò cavalcare... Va bene?»
Rispose: «Grazie babbo, vedrai che non succederà niente, perché mi impegnerò al massimo.»
Intanto all’imbrunire, lo stalliere, bussò con il battacchio al solido portoncino della fattoria... Nel sentir la cadenza di quei tocchi inconfondibili, la domestica disse con la voce squillante: «Entra, entra Gesualdo! Il portoncino è socchiuso, accomodati nel solito posto... Dottor Angelo!... Dottor Angelo! Giù nel salottino c’è Gesualdo che l’aspetta.»
Rispose. «Un attimo e vengo Lia… Intanto, comincia a offrirgli i salatini con l’aperitivo.»
Dopo quattro minuti, Angelo scese dal piano superiore e andò da Gesualdo, che subito salutò: «Ciao Gesualdo, tutto a posto?»
Rispose con entusiasmo: «Buonasera dottor Angelo, tutto a posto, grazie... e lei e i suoi famigliari?»
Ribadì sorridente: «Tutti bene, grazie.»
Allora gli chiese: «Dottore, domani all’alba, debbo sellare Generoso e Modesto?»
Rispose: «No Gesualdo, domani per mio figliolo Pierpaolo, devi sellare il caparbio Focoso, per me il mio preferito Generoso... e verso le otto metti i finimenti a Modesto e lo imbrigli al calesse; così, anche mia moglie e mia figlia Fiorenza si faranno un giro nella tenuta: giacché sono più di due mesi che non si fanno una passeggiata.»
Gli chiese con tono scettico: «Mi scusi dottore se m’impiccio su cose che non mi riguardano, ma lei crede che suo figlio sia all’altezza di stare in sella a Focoso?»
Rispose: «Per come ti conosco e per l’affetto che provi per me e i miei famigliari, questa tua domanda me l’aspettavo e ti dico subito che ho tentato a dissuaderlo di cavalcare Focoso, ma visto che ci tiene tanto, ho ceduto alla sua richiesta, pur sapendo che ciò è molto rischioso. Debbo soltanto sperare che non gli succeda niente, perché se gli accadrebbe qualcosa..., vivrei con il rimorso fino a che resterò in vita.»
Al che gli disse: «Sia sereno dottore, farò tutto ciò che mi ha ordinato... Buonanotte! A domani.»
Dopo che l’accompagnò al portoncino, rispose nel mentre che lo chiudeva: «Buonanotte Gesualdo..., buonanotte!»
Prima che il sole sorgesse, Pierpaolo per quant’era trepidante si svegliò e non vedeva l’ora di cavalcare il possente cavallo bianco; tant’è che s’alzò dal letto prima degli altri... e mentre passava nel disimpegno per andare in bagno a lavarsi, urtò apposta una sedia per far sì che il rumore svegliasse suo padre.
Quando il gallo incominciò a cantare: Pierpaolo era nella sua cameretta già pronto per uscire e, assorto in pensieri, guardava attraverso il vetro della finestra il viale zebrato dalle ombre degli alberi, per effetto del sole radioso ancora basso.
Nel mentre, dalla stanza dei genitori si percepivano dei rumori, che facevano intuire che il padre si era alzato; come si percepivano giù in cucina, quelli che faceva la domestica, mentre apparecchiava il tavolo per fare la colazione.
Seppure era tentato di scendere in cucina per anticipare i tempi: per rispetto nei confronti del padre, rimase nella sua cameretta aspettando che fosse il padre a chiamarlo per fare la colazione insieme.
Quando finirono di mangiare; s’apprestarono a uscire per prendere i cavalli dalla scuderia: che trovarono già ben puliti e sellati, pronti a cavalcarli, tenuti alle briglie da Gesualdo, che dopo il reciproco saluto, augurò ai due cavalieri di fare una buona passeggiata. E così, dopo fate le ultime raccomandazioni i due cavalieri si misero in groppa ai cavalli e si avviarono trotterellando.
Il viso di Pierpaolo esprimeva una gioia immensa, perché si sentiva importante come un principe, in groppa a un cavallo bianco così bello e vigoroso... e anche il padre era felice vedendo il figlio che gioiva e per come sapeva stare bene in sella.
Dopo che salirono nei percorsi dei declivi; Angelo nel veder il suo orologio che indicava le otto, decise di rientrare nella bassa costa per incontrare la moglie Cinzia e la figlia Fiorenza: dato che ci teneva tanto a stare insieme con Cinzia a fare una passeggiata con il calesse trainato dal cavallo Modesto in mezzo alla macchia mediterranea vicino al mare e respirare quell’aria piena di svariati profumi.
Quando s’incontrarono, Angelo si sedette a fianco di Cinzia, e mentre il cavallo andava al trotto, parlavano e ridevano, per le battute che dicevano. Sfortunatamente però, la gaiezza si trasformò in afflizione: perché una mosca cavallina pizzicò il cavallo di Pierpaolo; tant’è che per il dolore, il cavallo all’improvviso scattò fulmineo senza freno sbuffando dalle froge, fino a che, all’estremità del precipizio non si bloccò di colpo, facendo così catapultare Pierpaolo giù in mare tra i flutti.
Quand’anche i suoi genitori e la sorellina arrivarono sul posto; si misero a camminare sull’orlo, sperando di vedere Pierpaolo, ma nel momento in cui non lo videro sul punto dove cadde, presi dallo sconforto gridarono come pazzi attirando l’attenzione a dei pescatori che tiravano le reti sopra il natante: che poi ributtarono subito in mare per poter cercare il povero disperso.
Nel frattempo, arrivarono i carabinieri con i sommozzatori e la guardia costiera; ma nonostante i loro impegno assiduo per due giorni e due notti, non trovando il corpicino di Pierpaolo abbandonarono le ricerche.
Intanto, erano passati già quattro giorni da quel dì che Pierpaolo cadde in mare, e i famigliari per quant’erano afflitti, soggiornavano ancora nella fattoria.
Ma al quinto giorno, sul far della sera, all’improvviso i tocchi del battacchio al portoncino non smisero fino a che la domestica non s’accostò indignata e disse: «Chi è che bussa così intemperante?»
Rispose: «Sono Pierpaolo.»
Gli disse: «Non so chi tu sia..., ma ciò è molto deplorevole in questo momento triste e doloroso, simulare la voce di Pierpaolo; perciò, se vuoi che io apra questa porta, ti prego di dirmi chi sei realmente.»
Al che, le disse: «Per favore Lia apri la porta… Dimmi cosa debbo fare per tranquillizzarti, che sono veramente Pierpaolo.»
A quel punto urlò: «Oh mio Dio!... Dottor Angelo! Dottor Angelo! Dietro al portoncino c’è uno che..., che afferma di essere suo figlio Pierpaolo. La prego, controlli lei, perché io..., io sto per svenire.»
Nel sentire quelle parole, Angelo e la moglie Cinzia, pensarono che Lia stesse impazzendo... e dato che erano nella camera matrimoniale del primo piano, aprirono la finestra e s’affacciarono per vedere chi c’era realmente di fronte al portoncino. In quell’istante il ragazzino, nel sentir la finestra stridere sui cardini, si voltò all’insù mostrando il suo viso ai genitori, che non appena lo videro, con grande stupore esclamarono: «Oh Dio!… È vero è vero! È nostro figliolo!»
La tristezza si trasformò in un tripudio quasi folle... e prima che Pierpaolo raccontasse la conveniente avventura, con immensa gioia si guardarono con gli occhi lucidi e si abbracciarono.
Quando riuscirono a calmarsi; Pierpaolo incominciò a rivelare quant’era stato fortunato a uscirne sano e salvo da una situazione così pericolosa: «Dopo che il cavallo mi ha catapultato facendomi fare un tuffo di venti metri sui flutti del mare; mi son sentito risucchiato da un vortice in una cavità che m’ha trascinato in una grotta enorme per metà piena d’acqua, che sprofonda sotto il mare e risale nelle viscere della montagna, impreziosita da stalagmiti e stalattiti che riverberano il barlume di luce, che entra attraverso i sifoni sottomarini: proprio stamattina, ho potuto ammirar questa bellezza, mentre m’incamminavo all’uscita per rientrare in casa.»
In quel momento, Fiorenza l’interruppe e gli domandò: «Ma non hai visto altre bellezze durante i quattro giorni trascorsi in quella grotta?»
Rispose: «Altroché se ne ho visto!... Quando mi son trovato a fior d’acqua nella grotta, ero frastornato e senza fiato.
Dopo che mi son ripreso, avevo capito che ero solo e anche di non sapere, se dalla grotta si poteva uscire all’esterno; tant’è che pur essendo in preda alla paura, quando ho visto di fronte un rialzo, ho pensato che era un punto per togliermi i vestiti e gli stivali per riposarmi e guardare tutto quel che potevo scrutare... e così mi son messo a nuotare fino al rialzo, da dove ho notato le altre sale, antri e fessure sprizzare acqua dolce e acqua calda: dato che l’ho vista fumante e in quel momento ho capito perché la temperatura è così mite.
Visto ciò, mi son messo a riflettere per trovare la soluzione migliore al momento difficoltoso, ma purtroppo, nella mia mente non avevo neanche un filino di luce per risolvere il problema, considerando che ogni apertura poteva essere quella giusta o quella sbagliata; perciò, soltanto la dea bendata, ossia la fortuna, poteva aiutarmi a uscirne fuori. Quindi, a quel punto, visto che non potevo fare altro, sono andato a vedere il tutto da vicino: nel primo antro non sono neppure entrato, perché senza avere una torcia è impossibile per quanto è tenebroso; dopo mi sono addentrato in una sala appena illuminata da una fievole luce; tant’è che son scivolato in acqua e in quel momento delle ostriche grandissime si sono semiaperte, emettendo dall’interno dei bellissimi raggi fulgenti, illuminando così, anche tutta l’acqua, mettendo in mostra sul fondale e sulle pareti una miriade di colori e tutto ciò che c’è: come le gorgonie violacee, gialle, rossastre, bianche e rosse; spugne azzurre e di altri colori, stelle marine, cavallucci marini, pesci variopinti e alghe di ogni forma e di vari colori, come lo stesso le piante con delle bacche e di frutti succulenti.
Visto che la sala è imponente e illuminata; con uno slancio son saltato fuor dall’acqua, per andare a esplorare le altre sale comunicanti, sperando di sentir qualche spiffero d’aria, che m’indicasse l’uscita.
Quando sono entrato nella seconda sala ho visto delle alghe, della frutta e delle bacche già essiccate e ammonticchiate, come quelle che avevo visto sotto l’acqua..., allora ho pensato: accidenti! Qui ci abita della gente, mi auguro che non siano in molti e malvagi. Tant’è che seppure non sentivo lo scalpiccio di passi, avevo l’impressione di essere pedinato; ma poiché ero stanco e avevo fame, mi sono messo a mangiare della frutta secca, che per quanto è buona, ne ho mangiato fino a saziarmi; poi, mi sono adagiato in un angolo in penombra e mi sono addormentato fino all’indomani.
Domenica mattina, quando mi sono svegliato, non vedendo le pareti della mia cameretta e ricordandomi l’intricata situazione, mi sono nuovamente rattristato; però, senza perdermi d’animo mi sono recato nella terza sala, piena di stalattiti con delle gemme incastonate, di ruscelli, di laghetti e strette fessure, che zampillavano acqua calda e fredda: che per tanta bellezza e per il dolce profumo delle erbe che si spandeva in tutto l’ambiente, non ho resistito a non farmi il bagno.
Dopo di che, mi sono recato nella quarta sala, dove nel veder tutte le pareti e la volta rivestita di lapislazzuli e di frammenti d’oro, son rimasto incantato; dato che mi ricordava il cielo in una notte stellata. A quel punto, sono tornato indietro nella seconda sala per mangiare la frutta secca e dopo nella sala stellata
per dormire fino all’indomani.
Lunedì mi sono svegliato di soprassalto, perché a un passo da me, m’è parso di vedere una strana creatura; ma visto che non c’era nessuno, ho pensato che in quel momento stavo sognando. Dopo di che, mi sono incamminato nella quinta sala, sperando di trovare qualche uscita, che non ho trovato; ma per quanto ho potuto vedere, credo che in tutto il mondo non esista una meraviglia superiore a quella immensa sala, piena di oggetti di gran valore.»
Allora il padre, per verificare se Pierpaolo era in grado di descrivere bene ciò che aveva visto lo stuzzicò dicendo: «Ma dai Pierpaolo, non esagerare! Ora come ora, non puoi valutare che quella sala è la migliore, dato che come tutti noi, anche tu non hai ancora visto tutte le bellezze del mondo.»
Rispose aggrottando la fronte: «Questo è vero; però, se riuscirò a descrivere tutto ciò che ho visto al punto di farvelo immaginare, credo che mi dareste ragione.»
Ribadì il padre: «Va bene rincomincia..., siamo tutt’orecchi.»
Al che, disse: «Immaginatevi una sala lunga più di due chilometri, larga quasi seicento metri e alta in certi punti anche sessanta metri, suddivisa dagli imponenti stalagmiti decorati con diamanti in ben dodici navate, colme di stalattiti di diverse forme e di grandezze, che riflettono splendidi colori, come: l’azzurro, il rosa, il porpora, il giallo-oro, il fucsia, il grigio-turchese, il blu e l’arancione... e questo, grazie alla ricca e straordinaria raffinatezza delle decorazioni realizzate con frammenti d’oro, diamanti, zaffiri, perle, opali, rubini, smeraldi, turchesi, ametiste, topazi e altre gemme; come lo stesso, sono le pareti ai lati, dove si aprono degli antri con sporgenze e cavità di ogni forma, colme d’oro con pietre preziose: corone, scettri, braccialetti, catenine, anelli, orecchini, calici, ampolle, caraffe, altri oggetti e degli altri antri con zampilli, ruscelli, cascate e dei laghetti a specchio, che riflettono tutto ciò che sta intorno; che come per magia, impreziosiscono tutto il complesso radioso per il suo meraviglioso splendore.»
Tutti rimasero stupiti e nello stesso tempo increduli, che esistesse d’avvero una meraviglia del genere; tant’è che il padre, prima gli fece i complimenti e poi per avere la conferma che Pierpaolo dicesse la verità, disse: «Ma di chi sarà tutto quel tesoro? E come mai non l’hanno mai trovato? E tu Pierpaolo..., come mai non hai preso nulla?... Eppure bastava prenderne due manciate di quei diamanti per diventare molto ricco, lo sai?... O preferisci che andiamo insieme bene equipaggiati, per prenderne tanti, ora che conosci il posto e sai come arrivarci?»
Allora Fiorenza tutta euforica esclamò: «Che bello! Che bello!... Così anch’io, potrò ammirare tutte quelle grotte meravigliose.»
Dato che Pierpaolo non poteva accontentare i suoi cari, disse loro: «Mi dispiace e mi rincresce moltissimo deludervi... e giuro che mi sarebbe piaciuto riandarci con voi, ma purtroppo non è possibile, sia per me sia per voi e per tutti quelli che vorrebbero andarci passando dai pertugi che ci sono nella terra; poiché si può entrare soltanto dal fondo del mare, come è accaduto a me per casualità, nel momento che s’è aperto il sifone che c’è sott’acqua: però, con l’eccezione che a me, d’ora in poi mi faranno entrare, se dovessi trovarmi in circostanze pericolose. Tanto è vero, se ciò dovesse accadere: per avvisarli della mia presenza, dovrei soffiare questa piccola conchiglia sott’acqua (che m’hanno donato e che terrò sempre infilata nella mia catenina che porto al collo), in quella zona del mare dove emette dei suoni soavi, che solamente loro sentirebbero per farmi entrare.»
Non appena che Pierpaolo concluse; Cinzia preoccupatissima guardò il marito Angelo, per quel che sentì dire dal figlio e poi gli disse: «Figliolo, non sarà meglio che ora vai a riposarti e ci racconti tutto domani mattina?... Sai, quando una persona è molto stanca, senza accorgersene può raccontare anche delle fandonie... Non è vero Angelo?»
Rispose Angelo: «Certo che può capitare, specialmente dopo un’avventura del genere.»
Pierpaolo capì subito che i suoi genitori non credettero a quel che raccontò, inoltre pensò, che credevano che stesse impazzendo; tant’è per non contraddirli, salutò e andò nella sua cameretta a riposarsi.
L’indomani mattina, dopo essersi ben lavati e profumati, si sedettero tutti insieme a fare colazione... e visto che Pierpaolo era serio e non riprese a raccontare la sua avventura, il padre gli chiese: «Pierpaolo, cos’è che non va?... Non hai riposato bene?»
Gli rispose: «Sì che ho riposato bene!... Ho dormito come un ghiro e mi sento benissimo!»
A quel punto la mamma gli disse: «Sono molto contenta figliolo che tu abbia ricuperato le forze; così, puoi finire di raccontarci ciò che t’è successo, se ora ne hai voglia.»
Aggrottando la fronte rispose: «Finirò di raccontarvi tutto, se non penserete che io sia pazzo, perché capisco quanto sia difficile per voi credere ciò che vi ho raccontato e quel che vi racconterò. Comunque se non ci credete, fate finta che sia una fiaba e che tutto ciò sia frutto della mia fantasia.»
Dopo che Angelo e Cinzia lo rassicurarono che il suo ragionamento era più che sensato, ricominciò il racconto: «Pur essendo affascinato dallo splendore della quinta sala, l’ansia di trovare l’uscita s’intensificava, a tal punto che sono andato nella sesta sala, dove l’ambiente grosso modo è simile alla quinta sala: tranne che nelle sporgenze degli antri, non ci sono oggetti d’oro ma, sculture in bronzo, in alabastro e in ceramica antichissime, statue varie, vasi, anfore, coppe, vassoi, urne a forma di papera, buccheri e anche monete di varie epoche... e oltre a ciò, al centro della sala, troneggia un tavolo tondo e un centinaio di scanni, ricoperti di pregiati mosaici splendenti.
Dopo che ho ammirato la sala, mi son messo a cercare per ore qualche passaggio per rivedere il cielo, che purtroppo non ho travato; al che, preso dalla stanchezza, mi sono sdraiato vicino all’ingresso di un antro, dove delle cascatelle e dei zampilli, emettono dei suoni melodiosi, che m’hanno fatto addormentare fino a martedì mattina.
Mentre stavo aprendo gli occhi, ho intravisto di fronte delle creature strane; come quelle che ho sognato lunedì; tanto è vero, che per paura, ho richiuso gli occhi pensando che poteva essere un’allucinazione... e quando stavo per riaprirli, ho sentito una voce delicata: Tranquillo, non ti faremo del male (come dite voi esseri umani)... Adesso apri gli occhi e facci un bel sorriso.
Quando ho aperto gli occhi: loro sorridevano, mentre io non sono stato capace di sorridere, perché non appena ho notato quelli esseri, son rimasto impietrito e ho cominciato a sentire il cuore che mi pulsava velocissimo; ma quando mi sono reso conto della loro benevolenza, anch’io ho fatto un bel sorriso. Dopo di che, m’hanno fatto accomodare con loro, attorno allo splendido tavolo tondo; ove argomentano diligentemente per risolvere qualsiasi problema.»
All’improvviso, Fiorenza s’alzò e disse un po’ seccata: «Ora basta!... O riveli come son fatti questi esseri o me ne vado a studiare..., visto che mi stai facendo innervosire.»
Allora la mamma le disse: «Rilassati e stai calma Fiorenza, ora Pierpaolo ci spiegherà come son fatti, le loro origini e per quale motivo vivono sotto il mare in quelle grotte sfarzose.»
Dopo un lungo sospiro, Pierpaolo ricominciò: «Millenni e millenni addietro, la oceanina Cefira, generata dai titani Oceano e Teti, si fu accoppiata con un bellissimo delfino (visto che i titani che le ronzavano intorno erano molto brutti); ma quando partorì restò sconcertata, vedendo che il figlio aveva la testa di delfino e il corpo simile a quello di un essere umano molto più piccolo rispetto alla testa; tant’è che l’abbandonò in mezzo al mare, nel momento in cui Rea, sorella e moglie del titano Crono, le chiese la cortesia di allattare il figlioletto Poseidone (che poi diventò il dio del mare).
Nel frattempo una coppia di delfini; quando videro in fondo al mare il piccolo abbandonato, gli diedero assistenza e protezione come un proprio figlio, finché non diventò un bellissimo giovane.
Un giorno mentre spaziava sul fondale per raccogliere delle alghe per nutrirsi, notò una cavità un po’ particolare, che per curiosità s’infilò dentro per esplorarla. Quando vide tutte quelle grotte bellissime e comunicanti, decise di farne la sua dimora, giacché poteva camminare.
D’allora: non appena vedeva delle imbarcazioni naufragate con dei gioielli e altro di prezioso, li portava nella sua dimora per abbellirla. Così iniziò a decorare le grotte con le pietre preziose, con il pensiero di fare una bella figura: se un dì avesse trovato una buona e bella giovine, per unirsi e creare una famiglia.
Purtroppo, dopo anni di ricerca non vide un essere simile a esso; allora preso dallo sconforto andò dai delfini che l’avevano cresciuto, per sapere dove dimoravano i suoi simili; ma quando sentì, che era l’unico al mondo e il perché: disse ai delfini che pur essendo ricco e bello, era sgradevole e insignificante, non poter accoppiarsi e vivere insieme ad altri suoi simili.
Visto che ci teneva tanto a crearsi una famiglia, i delfini che l’adottarono, gli consigliarono di provare ad accoppiarsi come fece la sua madre Cefira. E poiché non c’erano altre soluzioni, iniziò ad accoppiarsi con tante delfine, fino a che non nacquero tre femminucce e due maschietti simili a esso e che nell’età adulta misero al mondo dei figli... e i figli dei loro figli fecero altrettanto, fino a che, si creò il popolo chiamato Cefiro (che al tempo lo chiamò così, per ricordare e onorare le sue origini).
Quando arrivano al culmine dello sviluppo, raggiungono all’incirca l’altezza di un metro e ottanta: i maschi hanno la testa bianca e gli occhi verdi, mentre le femmine ce l’hanno rosa chiaro e gli occhi celesti. La forma della bocca assomiglia molto a quella del delfino tursiope, perché assume un’espressione sorridente. I loro corpi senza peli sono lisci e talmente perfetti che evidenziano tutti i muscoli; ma quel ch’è più sorprendente è che rimangono così per un millennio, fino a che non diventano degli spiriti chiamati cefidelfi i maschi e le femmine cefidelfie, che vedono tutto ciò che li circonda a centinaia di metri, anche attraverso le pareti o qualsiasi altra cosa, inoltre se vogliono farsi notare, hanno il potere di irraggiarsi.
Se pensiamo che esistono da millenni e millenni, la popolazione non è tanta, dato che sono appena ventimila... e questo perché diventano adulti quando superano i cent’anni e la femmina partorisce soltanto una volta e poi non conoscono cosa sia il male, le malattie, i dolori e l’infortuni, perché se cadono anche da molto in alto, non si fanno niente: considerando che sono elastici e agili più dei gatti… e se dovessero trovarsi in difficoltà, ci sono i cefidelfi o le cefidelfie a soccorrerli.
Mangiano pochissimo e una volta al giorno i cibi che ho visto e mangiato anch’io; però, dormono moltissimo, perché non hanno come noi tanti impegni e orari da rispettare; tanto è vero, che il poco lavoro che fanno, lo trasformano in competizione, come tutti gli altri sport che fanno per divertirsi; anche per il motivo che non vogliono che circolino soldi…, seppure sono ricchissimi.
Oramai sono più di un millennio, che non escono più da quelle miriade di grotte per paura di farsi notare: perché se l’uomo scoprisse dove vivono, stravolgerebbe il loro modo di vivere; tant’è che prima uscivano e avevano anche l’intenzione di vivere insieme a noi esseri umani, ma visto che da sempre viviamo in modo folle e scorretto, riscontrarono che era molto meglio rimanere nelle grotte.
Comunque, dopo che hanno finito di argomentare sul mio comportamento, uno s’è alzato dallo scanno e m’ha detto: Caro Pierpaolo, visto che sei una persona dabbene..., noi tutti ti saremo grati, se tu restassi qui a vivere, perché crediamo che sarebbe molto conveniente, sia per noi sia per te. Noi t’insegneremo come si può vivere sempre felice, visto che per voi umani è molto difficile esserlo… e poi tutto quel che vedi diventerà anche tuo, oltre a ciò, quando diventerai adulto, accoppiandoti con la cefirina che amerai, vivrai un millennio come noi... Diciamo che il tuo corpo diventerà in tutto e per tutto come il nostro, tranne la tua testa che resterà la stessa. Così, si creerebbe un’altra specie che vivrebbe insieme a noi... Che ne dici, t’aggrada la nostra proposta?
Dopo di che, ho risposto con riverenza: "Io sono molto onorato della vostra proposta e vi ringrazio immensamente... e se debbo essere sincero mi farebbe molto piacere vivere qui con voi,