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Vespro: chi l’amava, chi la odiava,in un altalena di frastornati sentimenti
Vespro: chi l’amava, chi la odiava,in un altalena di frastornati sentimenti
Vespro: chi l’amava, chi la odiava,in un altalena di frastornati sentimenti
Ebook460 pages6 hours

Vespro: chi l’amava, chi la odiava,in un altalena di frastornati sentimenti

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About this ebook

Sotto la dominazione dell’Impero portoghese, il Brasil di metà ottocento vive la sua pagina più triste: quella della schiavitù.
La storia è quella di sette poeti che vivono ai margini della società, sfidano i nobili, liberano nel cuore della notte gli schiavi, fanno da tramite tra il popolo, che li ama, e i potenti. Sono sette menti incandescenti, ognuno con il proprio carattere, ma tutti saldi nella stessa inclinazione: la giustizia a qualsiasi costo!
Questo romanzo è una dichiarazione all'amore non corrisposto... dimostrando che non sempre i buoni sentimenti sono augurabili, che l’amore può essere nemico, la bontà una colpa e la cattiveria una qualità.
Un pugno di scrittori abolizionisti guidati dall’antieroina Vespro - che porta in sé il segreto d’essere lei stessa una schiava fuggiasca dalla pelle chiara - sfidano i potenti come "Cavalieri del Mantello Nero". Il loro settimanale “Le Sentinelle” si schiera apertamente contro gli imperialisti, provocando l’ammirazione e l’odio di coloro che non possiedono la loro audacia. Soltanto l'arrivo di un giovane nobile, Andrea Peri, detentore del potere sulla sorte di un’isola potrà redimere Vespro, una donna che si veste da uomo, fa smodato uso di oppio, tracanna senza moderazione, salta nel letto di uomini e donne senza distinzione e con l’aiuto dei suoi prodi fa saltare per aria le navi negriere sporcandosi le mani con il sangue degli oppressori.
Vespro non è preparata per affrontare un nuovo nemico: l’amore.
LanguageItaliano
PublisherFersen Byron
Release dateApr 1, 2020
ISBN9788835808466
Vespro: chi l’amava, chi la odiava,in un altalena di frastornati sentimenti

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    Vespro - Fersen Byron

    Capitolo Uno

    Mondi Guerreggianti

    Bosco Serenò 1832.

    Ella strisciò fino al bagno con fatica persa in quei passi lenti, tentennanti, con la testa che girovagava come una gran trottola impazzita e con gli occhi verdimenti spenti che s’arrestavano in tutte le direzioni.

    Povero poeta idealista dal cuore arido e sempre fuori posto!

    Vespro fissò Weisse, l’alano ed egli la guardò. Sembravano intendersi, ma fu soltanto il miraggio del vino che ancora teneva in ostaggio il suo fisico infiacchito. Ella ancora non era compiutamente sveglia, aveva la mente confusa e annebbiata dalla sbronza.

    Voltandosi verso lo specchio senza individuar il volto stordito lì riflesso non riuscì a credere che fosse suo quel viso ostile e quasi deforme. Le labbra sussultavano, l’esteriorità era lacrimevole e le mani stringevano il lavabo per non farla precipitare a terra.

    Con lentezza decise di far ritorno all’accogliente stanza da letto per aspettare che finisse la giornata e mentre si reggeva contro le mura, i piedi nudi calpestavano i fogli scribacchiati sparsi al suolo.

    Il sonno era discosto e mentre era coricata pacatamente i ricordi si fecero vivi nella sua mente ingarbugliata e sprezzante del pericolo.

    Il poeta s’era inebriato come ormai faceva da sempre. Mancante agli occhi indiscreti la giovane donna poco femminile di trent’anni permise ancora una volta che il vino spegnesse ogni sfumatura della sua indole permalosa, accendendo tutta l’estasiante gagliardia.

    Ella sapeva bene che i romanzieri possedevano debolezze e tendenza all’esasperazione, perciò era normale che si desse il lusso di abbandonarsi al vino. Ma Vespro non era una molesta ubriacona maldestra benché lo facessero credere la sua figura trasandata, i pochi fedelissimi amici e il rifiuto categorico d’aver una vita sociale ammissibile.

    Era la solitudine a sottomettere il suo intimo fino a spingerla verso vie oscure, bicchieri che si svuotavano e si riempivano con frenesia, l’oppio che ingannava la sua mente fertile e, amori mercenari di uomini e donne che sostenevano una conferma passionale sempre più biasimevole!

    Vespro, o come diamine la vogliamo scoprire, era colei che sfuggiva alla nobiltà senza lamentarsi, perché nella lagnanza c’era mancanza di vigore ed ella era semplicemente il dirupo contro la quale molti s’infrangevano!

    Con queste riflessioni poco lusinghiere ella scivolò lentamente nel sonno quasi senza accorgersene, stretta ai corpi nudi delle due donne che ore prima aveva con impazienza ubriacamente amato e che ora giacevano accanto a sé. Corpi stanchi e compiaciuti, spoglie energicamente bramate dalla sua passione vitale e insaziabile.

    Non esisteva pensiero più buio o percezione meno crudele, ma tutta la sua vita si riduceva a quello!

    Con il calar del sole e l’arrivo delle prime stelle, Vespro si svegliò. Era lugubre, pigra, ma per buona sorte la testa non le faceva male. Seduta sulla punta del letto prese la camicia celeste ch’era a terra mentre si guardava attorno. Cosa inseguiva ella? Nulla! Forse sé stessa o ciò che perdurava della propria malinconica esistenza!

    Laddove si perdevano i valori e nascevano gli ideali, là ella s’incontrava!

    «Dove andate, amore?» domandò la giovane donna avvolgendola con le sue braccia e regalando soffici baci alle sue spalle marchiate dalle scudisciate dei negrieri di quand’era ancora una schiava.

    Pochi conoscevano questo suo segreto.

    «Riposate ancora, Nini! Riposate!» esortò Vespro con un filo di voce passando le mani fra i capelli e senza voltarsi per guardare Antonia Vital, Marchesa d’Angra dos Reis di appena diciannove anni.

    Vespro s’alzò dal letto e Weisse la seguì.

    Nel salotto degli spessi muri color panna e quadri dipinti con accanimento, ammobiliato soltanto con un vecchio sofà tre posti dalla fodera rovinata e un lungo tavolo che usava come scrittoio, sembrava che fosse scoppiata una battaglia. Le bocce vuote erano dimenticate al suolo e i fogli scritti con impeto riposavano in disordine, alcuni erano finiti a terra macchiandosi di gocce di vino. Ella si ricordò allora ch’avrebbe voluto scrivere qualche pagina dei due saggi che stava stendendo contemporaneamente, ‘Anima e Cor’ e ‘Rose De Brito’, ma l’oppio e il vino furono più trascinanti e rilevanti della sua ispirazione.

    Ella era Vespro e quella riprovevole realtà era soltanto sua!

    Inaspettatamente un giovane uomo, alto, flessuoso, d’elegante aspetto dentro gli abiti color foschia, entrò nel soggiorno sbattendo dietro di sé, la porta. La presenza così amata, la voce accondiscendente e rude non poteva essere di nessun altro all’infuori d’egli. Ecco l’alleato di tutte le ore, suo fratello d’armi, il fedele e indisciplinato Moris, porto sicuro del suo mondo privo di garbo.

    «Non siete ancora pronta!» esclamò egli con l’aria scossa mentre appoggiava sul tavolo il pesante mantello e il cappello a cilindro. S’avvicinò e posò sulla sua olivastra guancia un bacio caloroso e assorbito da gran passione.

    Egli l’amava in segreto!

    «Fratello mio, siete proprio Voi o sono ancora addormentata nella mia discutibile ebbrezza?» interrogò Vespro accarezzando la riccia e folta chioma nera. Si lasciò cadere pesantemente sul sofà e Moris rimase in piedi dinanzi ad essa scrutando il suo intorpidimento.

    «Non mi sbagliavo! Sapevo che avevate scordato il nostro impegno per quest’oggi!»

    «E bene, ricordatemi Voi. Dunque?»

    «Soltanto Voi potevate dimenticare il ballo per il debutto in società di Carola Fernandas a Tauà, nipote del Conte Guilherme e nonché cugina della nostra sostenitrice Deborah.»

    «Spiegata la mia dimenticanza. Conosco questa Carola?»

    «No! Però conoscete Deborah e sapete che vi desidera al debutto della cugina. La vostra smemoratezza suonerà imperdonabile! Sarà un’offesa personale alla nostra amica.»

    «E volete che m’importi? Sono certa che Deborah perdonerà la mia assenza. Tanto sappiamo entrambi che il suo interesse siete Voi e non me!»

    «Ma è fatto saputo ch’io senza di Voi non vado da nessuna parte!»

    «Andate! Non dovete far tardi con gli altri a causa mia.» proferì Vespro gesticolando senza volontà e mantenendo gli occhi sigillati. Era stanca.

    «Oh no! Non intendo andarmene senza di Voi, cattivo spiritello mio! Non pretenderete ch’io vada ad annoiarmi da solo!» espresse Moris con un sorriso lucente che mostrava la nitidezza del suo animo prodigo e innamorato.

    Vespro spalancò gli occhi per riflettere, tenendo sull’amico lo sguardo infiacchito. Il musicista prese posto accanto alla prosatrice, attendendo una risposta. Dopo un breve minuto nel quale ella considerò sostenendo ancora la mente in movimento, decise.

    «Poeti vagabondi, ribelli vaganti tra signori rispettabili che tra noi sono vittime di scherno. Mi avete convinta, forse! Parlatemi di questa Carola. E chissà, mi convincerete del tutto!»

    «Deborah mi assicurò ch’ella non si perde in civetteria e si occupa di vecchi scritti

    nella biblioteca di Mauà. Voi amate le persone di aguzza intelligenza.»

    «Finalmente una fanciulla che sembra contrastare l’analfabetismo emozionale di questa società isolana. Va bene Moris, andiamo a vedere cosa riserva a noi questo benedetto ballo!» sussurrò Vespro esibendo un sorriso sarcastico. La sua capacità di trasformazione era eccezionale.

    «Andate a prepararvi!» esultò egli con l’impazienza di sempre. La sua allegria però sparì appena schizzarono dalla porta della stanza da letto la discinta Cremilda Zuamba, formosa mulatta ex schiava, misera meretrice del basso bordo della città già quarantenne che divideva il letto della romanziera con la Marchesina portoghese dai capelli rossi alla sponda della decadenza, Antonia Vital; invocata affettuosamente da Vespro semplicemente Nini.

    «Dovete uscire, Vespro? Avevate detto che saremo rimaste insieme. Chi è questa Carola che vi attende?» chiese Antonia visibilmente ingelosita. Era indispettita!

    «Ho un impegno Nini e credo che ne abbiate anche Voi. Il Barone Laercio Juarez e famiglia sarà presente in questo ballo e di conseguenza anche Voi che siete sua ospite.»

    «L’ora avanza. Non perdiamo tempo!» proferì Moris con percepibile irritazione. Egli s’alzò e recandosi alla finestra, accese un sigaro. Nascose villanamente dietro il fumo che affollò la stanza, la sua gelosia crescente.

    «Pretendo che andiate via! Cremilda, i vostri réis sono sul comodino. Vado a prepararmi!»

    E dicendo ciò Vespro s’alzò, baciò con delicatezza Antonia sulle labbra e s’affrettò ad abbandonare il salotto andando verso il comodo bagno. Ella sapeva che la sua richiesta sarebbe stata prontamente soddisfatta. Ormai tutti intendevano il suo modo diretto e trascurato di decidere le cose, liberandosi delle situazioni, misconoscendo tutto e tutti. Lei aveva sempre l’ultima parola nelle questioni di suo interesse, aspra, ingiuriosa e che a tempo debito faceva affiorare una donna gelida.

    Moris osservò con delizia le due donne che si guardavano con rammarico. Nini si dispiaceva perché amava Vespro con lealtà mentre il rincrescimento di Cremilda riguardava i soldi che sarebbero andati persi se non veniva ricondotta a letto.

    «Non la conoscete affatto. Andate via!» mormorò lui sorridendo con irrisione, burlandosi delle due donne.

    Egli attraversò il corridoio che portava alla zona notte, s’avvicinò alla porta del bagno ch’era schiusa e rimase a guardare l’amata senza occultare la sua disapprovazione. Moris la scrutava sdraiata sulla rotonda vasca di legno e con tanti pensieri che gremivano il suo cuore sovversivo.

    Vespro era adagiata di spalla con le braccia che sfioravano il pavimento, ma lo specchio astutamente messo dinanzi alla vasca permetteva che vedesse l’amico accostato alla porta. Il suo sguardo era bruciante e la sua voce mansuetamente tirannica ruppe il silenzio del bagno poco illuminato.

    «Ditemelo e basta, Moris! Conosco questo sguardo! Parlate, dunque, o mi lasciate in pace!»

    «Ancora vi stanno dietro queste due? La nobile Nini è promessa in matrimonio e Voi sapete bene con chi. Luis Juarez vi odia e non aspetta altro che l’opportunità per rendere le nostre esistenze un inferno ancora più accentuato. Perché l’incontrate?»

    «Non conoscete per caso la mia indole propensa alla discordia? Non posseggo pensieri per gli escrementi blasonati di quest’isola. Non temo nessuno!» confessò Vespro sorridendo mentre si mordicchiava le labbra in segno di sfrontatezza. In Moris non c’era la volontà di beffarsi, bensì un’immensa preoccupazione motivata dalla sconsideratezza della confidente.

    «Non ascoltate ragione! E la cortigiana? Se non è per opporvi con tutti i mezzi alla società conformista che vi condanna da sempre allora perché continuate a richiamarla nel vostro letto?»

    «Non dovete darvi pensieri per me. In cambio d’un misero compenso la meretrice mi delizia con la sua esperienza e non desidero privare il mio ego di tale conoscenza. Quanto a Nini ella è un altro discorso, non è una cortigiana ed è incombenza che m’appartiene.»

    «Non mi sono mai fidato di Cremilda che si diletta anche con quei farabutti arruolati nella Guardia Nazionale. Si concede ai nostri nemici!»

    «Ella possiede soltanto un amico: il denaro! I nostri nemici non sono anche i suoi!»

    «Se ben pagata quella ruffiana venderebbe anche la madre! Ma nemmeno la fragile Antonia m’ispira fiducia. Un po’ di prudenza non può che esservi utile.»

    «Diligenza? È ciò che mi state chiedendo? No! Voglio invece restare negligente in eterno! Rogne, le voglio tutte per me in questa poca virtù che mi rende sciolta da compromessi. La prudenza mi renderebbe un poeta a metà, una romanziera deturpata. E mi rifiuto di essere altro che un idealista attendibile, sincero e libero. Lo sapete già!» aggiunse ella. Dinanzi a quella risposta tanto veritiera quanto intimamente irriguardosa Moris si trovò privo di argomenti e non poté far altro che ritornare in salotto per mettersi in pace con le proprie riflessioni. Non c’era tregua per il suo cuore!

    Dalla finestra che dava sul percorso del misterioso bosco Serenò egli osservò Vital e Zuamba che s’allontanavano in tutta fretta con il favore della sera che scendeva tersa.

    La meretrice Cremilda che non aveva nulla da perdere, a volto scoperto prese il suo ronzino e si diresse verso il bordello più vicino. Nini occultata sotto il mantello, obbligò il suo stallone pezzato a conquistare la scorciatoia verso la fortezza del Barone Laercio Juarez, II Consigliere nel Palazzo dei Dodici, suo futuro suocero e ospitante.

    In quel bosco si celavano tanti segreti.

    Un bagno con l’acqua stupidamente calda riportò Vespro al mondo dei mortali. Si sentiva indebolita, ma un po’ meno funebre anche se la sua vita continuava tiepida.

    Nello specchio ella scrutò attentamente la cicatrice che aveva sulla coscia sinistra, marchio del suo primo padrone che fu anche, suo padre. Un cerchio fatto col fuoco le aveva segnato la carne con le iniziali di quel genitore mai compreso e per sempre disprezzato. Era con quelle prime lettere ch’egli faceva distinguere il suo bestiame e gli schiavi; e fu con gli stessi monogrammi che marchiò la sua anima: A.N.F.

    Quelle lettere formavano il suo segreto!

    Vespro esaminava quel segno distintivo e capì che il suo passato non sarebbe stato mai lontano - almeno non abbastanza - da permetterle di cominciare effettivamente a vivere. Nello specchio c’era tuttavia riflesso un corpo ancora giovane, una figura fresca e solida, un fisico tenuto in vita, mentre lo spirito da tempo aveva conosciuto la morte interiore. In fondo ci sono tante forme di morti ed ella ebbe modo di conoscerle tutte. La morte fisica, quella della carne che si contraeva nel dolore sotto la soggezione della frusta del capataz. La morte spirituale, quando uomini diventavano carnefici di altri uomini senza Dio nei loro cuori. La morte intellettuale tale che, chi la subiva veniva imprigionato nell’ignoranza e nella chiusura verso il mondo esterno. Ma quale di queste morti era quella che Vespro sentiva urlare dentro il proprio petto? La sua morte era diversa da tutte le altre!

    Ella aveva freddo nel cuore e l’anima sola! La sua morte era la mancanza d’amore! Non s’era mai innamorata di nessuno! Ecco perché le avventure galanti tingevano la sua vita in quel modo tanto sregolato. L’unica creatura che s’avvicinava al suo cuore oltre a Moris come fratello, era la giovanissima Antonia per la quale provava un sincero affetto che non era amore.

    Vespro si vestì senza perdere altro tempo e insieme a Moris, suo benevolo accompagnatore, affrontò la brezza fresca che baciava i loro visi affaticati. Era un’affascinante serata di festa e il clima di baldoria sollecitava a una passeggiata spensierata fino alle vie movimentate di Tauà dove si realizzava il già accennato ballo.

    Il cielo era sereno, la luce della gran luna piena e delle piccole stelle li tagliavano il sentiero boschivo, il crepuscolo che ancora non era totale profumava a fiori e tanta gioia alimentava la loro galoppata. Si diressero senza fretta al luogo designato, contemplavano la frescura della loro giovinezza e si lasciavano trasportare da discorsi leggeri mentre gli zoccoli dei loro cavalli spostavano senza fatica la terra nera di quel bosco.

    La poco garbata Vespro continuava a parlare, a rivolgersi con esuberanza. Era accesa dalla consueta fierezza, permissiva con la ragione ed effimera nell’esultanza che le faceva denudare tutta la sua insolenza. Moris l’ascoltava senza fiato, assorbito dai suoi gesti impulsivi e intorpidito nella stagione di contentezza che sfiorava l’innocenza mai avuta. Egli si escogitava sedotto dalla sua parlantina istintiva, vincolato al suo spirito libero ed era sconsigliabile restare in quello stato ingannevole. La mancanza di consapevolezza la rendeva ancora più amata, vagheggiata con tanta violenza al punto da rubargli la ragione. La sua vita abitava dentro quella donna, il suo destino era vivere nel suo nome e nessun’altra del gentil sesso avrebbe potuto azzittire il pandemonio che l’amata scatenava dentro d’egli con tanta maneggevolezza.

    Sì, l’amava e sapeva di essere ricambiato in qualche modo!

    Il loro era un affetto che non mostrava mai cedimento. C’era una complicità giocosa fatta d’equità e conoscenza reciproca che permetteva a entrambi di correre quando l’altro aveva bisogno. Di volta in volta, c’era tenerezza, passione, aiuto o conforto, a seconda di quello che richiedeva il momento.

    Ed egli, il sofferente musicista, proseguiva a custodirla!

    E mentre tutti i suoi desideri erano per lei, Vespro viveva lontana dalle sue braccia persa in un sentiero ch’egli conosceva fin troppo bene. Quanto amore e pazienza richiedeva lei senza presentire, per non trovarsi mai sola. Egli restava lì, fedele e onnipresente per non farla mai scivolare nel totale disorientamento. Lasciarla sarebbe stato dolersi perché senza Vespro nulla possedeva; concetto o perdono. Molte volte la tentazione di confessarle il suo amore s’era avvicinata così tanto quasi a sorprenderlo, ma poi il dubbio di perderla lo fermava e pretendeva che tutto rimanesse com’era! Il fato l’aveva condotta nella sua vita ed egli non voleva ribellarsi al suo intento.

    La voce s’ammutolì mentre i pensieri corsero con prestanza.


    ‘Dio, che donna inafferrabile, di quelle che vogliono tutto in fretta e non attendono che sia il destino a provvedere: ella fa accadere le cose! Questo sentimento è una dannazione dalla quale non posso sottrarmi. Indomabile Vespro, troverò la mia morte in questo sentimento inconfessabile che mi pugnala il petto. Tutto darei pur di essere il sangue che vi scorre in vena, pellegrinando nell’intimo delle vostre viscere, discernendo i battiti del vostro vivere, amandovi ora e per tutto il mio sempre!’


    «Non mi state ascoltando? Cosa farfugliate, brigante?» reclamò lei togliendolo dai suoi tormentati pensieri. Ella contestava la sua disattenzione. Sorpreso nelle riflessioni che riguardavano proprio l’amata, Moris si mostrò impacciato.

    «Ero vergognosamente distratto.» confessò egli con l’usuale sorriso d’imbarazzo appartenente di ch’era stato colto sul fatto e privato di qualsiasi giustificazione.

    Egli s’aggiustò il mantello e cercò di non guardarla negli occhi temendo che potesse leggere i suoi pensieri vivamente sinceri. Il viso di solito pallido prese la rosea sfumatura del turbamento. Soltanto un’insensata poteva ignorare lo sguardo innamorato e le gesta fedeli, eppure Vespro, indocile e indistinta, cadde in tale colpa mentre l’amore del giovane uomo si consumava fra le sue inconsapevoli mani!

    «Per mille diavoletti ballerini! E quale pensiero, se è lecito sapere, vi reca vergogna?»

    «Permettetemi di nascondervi almeno un segreto dal momento che avete notizia di ogni angolo che posseggo nell’anima.»

    «Allora di un segreto si tratta! E per caso questo segreto possiede un nome femmineo?»

    «Non sarei in me se confermassi i vostri sospetti.» sorrise egli, imbarazzato.

    «Non vi capisco! Conosco un’amabile fanciulla che vi fa la corte e darebbe qualsiasi cosa pur di essere amata da Voi, eppure continuate a ignorarla!»

    «Credo che Voi con le fanciulle avete più fortuna di me! Siete una stramba affascinatrice, amica mia. Io in questo sono diverso da Voi. Sapete che mi discosto dagli affari di cuore!» accennò egli scendendo dal cavallo per camminare un po’. Erano già alle porte di Tauà e distavano poco dal luogo di destinazione. Avvertendo che Moris cercava di sfuggire alla conversazione, Vespro smontò anche lei dal cavallo e lo seguì incuriosita. Ella intuì ch’egli nascondeva qualcosa ed era convinta di poter obbligarlo a dirle tutto.

    «Io non sono fortunata con le fanciulle. Il mio pregio è che conosco l’anima femminile, sono una donna anch’io e so cosa vogliono fra le lenzuola mentre certi uomini peccano di vanità quando credono che basta aver un membro virile per possedere una donna. Di certo non è questo il vostro problema. Ascoltate! Proprio ieri Odineia è venuta a cercarmi al Circolo e mi parlò con franchezza. Promisi che avrei messo una buona parola per lei con Voi!»

    «Avete deciso di torturarmi? Avverto l’affetto d’Odineia ormai da anni, ma non provo amor per lei e non posso corrispondere a ciò che sfugge al mio intendere.»

    «Perché continuate a stare da solo mentre Odineia muore d’amore per Voi?»

    «Non l’amo!»

    Vespro era sinceramente motivata verso la sedicenne Odineia e se tesseva così vivamente le lodi della fanciulla era perché si preoccupava per il cuore solitario dell’amico. Non bramava ch’egli si sentisse vuoto quanto lei. Anche se desiderava ardentemente; Moris non riuscì a dileguarsi dalla compromettente conversazione.

    Odineia Valle, la dolce e delicata figlia di uno dei calzolai di Zumbì era entrata miracolosamente nelle grazie di Vespro dopo averla salvata in un violento incidente. Due anni prima in un tardo pomeriggio di temporale, con le strade fangose e sdrucciolanti, la carrozza dove viaggiavano Vespro e Moris si ribaltò a causa di un’esplosione. Dietro l’attentato c’era la mano del governo schiavista. Odineia che si trovava nelle vicinanze insieme al padre alla ricerca del suo cane, Duque, scappato a causa dei tuoni, prestò soccorso ai poeti ricevendo in cambio la loro gratitudine.

    Arrivarono i ricordi di quel nefasto pomeriggio…


    Mentre Vespro giaceva priva di coscienza, Moris al suo fianco la citava con fatica, chiamandola senza darsi pace. Aprendo gli occhi egli la scorse distesa in un lettino accanto al suo e fissò con disperazione il sangue che copriva il viso dell’amica.

    «Vespro! Vespro!» pregò egli, bisbigliando. Cercò di raggiungerla perché lei non sembrava più in vita. Egli provò a sfiorarla, ma non riuscì per certificarsi che stesse bene perché all’improvviso; una mano toccò fuggevolmente la sua allontanandola da Vespro. Moris si voltò all’istante, spaventato. Il volto della giovanissima Odineia s’illuminò appena egli posò su di essa il suo sguardo afflitto. Era affascinata!

    «Dovete riposare ora!» insisté la giovane allontanando ancora una volta la mano con la quale Moris cercava di toccare l’amata di sempre.

    «Chi siete? Cosa volete?» domandò lo scrittore musicista, cercando nella cinta il suo fedele lefauchaux, ma gli era stato tolto il revolver.

    «Mi chiamo Odineia Valle, signor Lanciotti. Qui siete al sicuro. Leggo i vostri romanzi sapete e…» disse Odineia onorata di trovarselo dinanzi a sé, ma Moris interruppe i suoi encomi. Egli pensava soltanto alle condizioni della sua Vespro.

    «Ella come sta? Sapete dirmi cosa sia successo?» interrogò egli con il respiro ansimante.

    «Io e mio padre eravamo al bosco Leopoldinense quando vi abbiamo trovati. La carrozza s’era ribaltata a causa della deflagrazione e mio padre dovette abbattere i vostri cavalli feriti. Qui siete al sicuro, parola mia. Gli altri Cavalieri sono stati avvertiti e già sono stati qui innumerevoli volte. Ora stanno preparando il vostro trasferimento alla casa di Di Falconer nel bosco Serenò. Siete già stati visitati dal dottor Marco Alves e la Marchesa Antonia Vital si trova di là e attende il vostro trasferimento.» raccontò Odineia tutto d’un fiato.

    Era molto emozionata.

    «Vespro come sta? È viva?» ridomandò egli con insistenza.

    «Sta bene. Anche Di Falconer è stata visitata dal dottor Alves. Ora pulirò il suo volto e vedrete che sta bene. È viva!»

    «Dovete svegliarla. Dovete svegliarla, vi dico! Vi prego! Debbo sincerarmi ch’ella stia bene, la mia esistenza dipende da ciò!» dichiarò lui energicamente, ormai privo di pazienza e con il cuore in gola.


    Moris si svegliò dai lontani ricordi.

    «Cosa cercate di nascondermi? Siete innamorato per caso?» insistette Vespro, incuriosita di conoscere ciò ch’egli era riluttante a dirle.

    «Ascoltate bene ciò che sto per dirvi. Non dovete darvi pena per trovarmi un’innamorata. Il mio cuore ambisce di restare poetico e l’amore è tutto fuorché poesia. Non intendo permettere che la passione mi tolga la capacità di riflettere. Avete perso la ragione? Non potrei mai smaniare l’inganno e la dolenza che s’occultano dietro questo nemico di nome amore.» affermò Moris mantenendo lo sguardo distante.

    «E questa, poi! Di quale inganno e dolenza parlate?»

    «Siete proprio convinta a non darmi tregua? Temo smisuratamente l’amore!»

    «Temete l’amore? Che sciocchezza è questa?»

    All’istante Moris fermò la loro camminata, prese le redini d’entrambi i cavalli e ancorando lo sguardo su Vespro, pregò a Dio di sostenerlo. Sì, egli abbisognava di una portentosa risolutezza perché il suo cuore reclamava per una confessione, ma gli mancava la forza essenziale per rivelare ciò che provava nei suoi riguardi, dall’infanzia. Lui strinse le mani attorno alle delicate braccia di Vespro posseduto dal desiderio di rivelazione.

    «Io vi amo, mia pestifera Vespro. Questo è l’unico sentimento a me permesso e siete l’unica donna che voglio accanto a me! Non indosso altre esigenze!» confessò lui cercando n’ella il sollievo per la sua anima angosciata. Ambiva di trascinarla nel suo mondo fatto di rinunce, ma lei restò imprigionata nel solito egoismo cieco e inopportuno.

    «Anch’io vi amo e non voglio più vedervi solo!» sibilò lei gettando le braccia attorno al suo collo fragrante, stringendolo a sé e sfiorando il suo petto trasalente. Ella lo amava, ma come si poteva voler bene a un fratello che bisognava proteggere e non come doveva essere fra amanti. I suoi gesti parlavano di un sentimento immenso, ma onestamente diverso da quello che animava i sensi di Lanciotti. Sentirla così vicina e allo stesso tempo lontana lo rendeva persino più innamorato.

    Egli baciò il suo collo e riemerse col profumo di mare che colse dal suo corpo.

    Amore, parola consumata, vincolante, origine d’ogni cosa, che sapeva far del male, ma che sanava tutte le ferite. Ed era Vespro a dar spirito e forza a tale parola, l’unica donna al mondo capace di svegliare i suoi sensi, a disporre del suo istinto d’uomo, padrona inconsapevole dei punti rigogliosi del suo pensiero.

    «Vi amerò per tutto il mio sempre!» confidò lui conscio del suo affetto.

    «Tale sentimento è ricambiato mille volte da me e lo sapete!»

    «Il mio è però mille volte il vostro ‘mille’! Siete padrona di me!»

    «Voi siete la tregua tra i miei momenti di quiete e quelli di tormento. Vi amo senza mai conoscere la fatica, individuando l’universo che porto in me perché siete la mia continuazione. Cosa farei se non possedessi la vostra sobria e amata presenza?»

    «Restiamo per sempre qui, così, e sarò felice fino alla fine dei miei giorni.»

    «E il ballo? Anche se questa notte arriverà alla fine, altri tramonti e altrettante albe faranno da testimone al nostro bene! Non potrei nemmeno respirare senza di Voi!»

    «Diverrò un bandito e ruberò il sole pur di stendere in eterno questa notte perché so

    che odiate la luce del giorno!» bisbigliò Moris sorridendo mentre la fissava negli occhi. Quanto amore spingeva il giovane verso di lei.

    No! Vespro non capì di quale ardore faceva riferimento il valoroso Moris ed egli stroncato nella sua intenzione, trovò riparo nel silenzio. Era inutile parlare ancora, certi sentimenti erano destinati ormai da tempo a restare nell’oscurità perché ella intimidiva i suoi impulsi. Vespro, eccentricamente somigliante ad egli e malgrado ciò così inaspettatamente disuguale. Moris sorrise di quei pensieri e si strinse ancora di più a Vespro. Bastava catturarla fra le sue braccia, anche soltanto per un istante ed egli era già beatamente appagato perché la sentiva sua!

    «Non vi darò mai ragione per ciò che riguarda l’amore! Preferirei il dolore di perderlo che il grigiore di non averlo mai conosciuto! Non vedete quanto sono infelice perché mai lo conobbi?» domandò lei mormorando.

    Restarono lì abbracciati con la luna piena che illuminava le loro menti ubertose, egli con un affetto inconfessabile nel cuore ed ella, con una intima sofferenza nel petto per la mancanza d’amore.

    «Non capite, dunque, ciò che mi assilla! Non conoscete la cattiveria di questo ignobile nemico di nome ‘amore’. Favorita dalla sorte siete Voi che non conoscete il suo volto caino.»

    «Non sapete Voi che anche i nemici finiscono per amarmi?»

    Ripartirono in silenzio.

    Fu particolare il mutismo che avvolse i verseggiatori e i loro corpi non smisero di fiatar in quel momento così flemmatico. Spesso si trovavano in luoghi affollati e rumorosi, adatti a sbornia e gioia, spensieratezza ed esaltazione. Quando si scoprivano da soli, lontani dagli sguardi invadenti con le loro anime che si sfioravano in silenzio; allora non sentivano l’esigenza di usar parole per intuirsi.

    Il loro affetto faceva da tramite tra i pensieri.


    Arrivarono alla tenuta del Conte Fernandas dopo brevi minuti. Entrarono nel sontuoso salone illuminato come una giornata di sole, dopo aver dato agli schiavi destinati a quel compito, i loro mantelli, guanti e cappelli.

    Quadri di valore inestimabili prestavano grazie alle pareti color salmone, le pesanti tende facevano coppia coi divani centenari e tante candele illuminavano le teste presenti. Seduta alla fine del salone, Deborah Fernandas e sua cugina Carola, la festeggiata, si facevano circondare da amici, pretendenti e giovanissime gentildonne. Nell’aria giovanile c’era l’ingannevole spensieratezza che rendeva tutto un po’ superficiale e indiscutibilmente ammaliante.

    Di Falconer e Lanciotti furono introdotti nel salone e annunciati. Tutti si voltarono per guardarli attentamente. Bisbigliavano sulla loro presenza lì, poco gradita per alcuni, offensiva per altri, ma in ogni modo avvincente per tutti.

    Gli altri Cavalieri si diressero verso di loro. Erano tutti infervorati dal vino e irrefrenabili nell’eterna allegria. L’alcol aveva acceso il loro intelletto.

    «Finalmente! Vi davamo già per dispersi!» disse Denison avvicinandosi. Vespro accese un sigaro e s’approssimò alla finestra da dove adocchiò altri invitati che come lei arrivavano con elegante ritardo. Il giardino era addobbato con torce che ravvivavano lo stretto percorso abbellito con pietre portoghesi dove giungevano le sfarzose carrozze e un via vai creava vita in tale luogo di solito silenzioso.

    Ecco dunque chi fossero i Cavalieri del Mantello Nero, membri del Circolo e mani smodate che davano vita a ‘Le Sentinelle’, il settimanale ribelle, abolizionista, dove non esistevano privilegiati e venivano trattati tutti alla stessa stregua sia l’ideatrice, sia l’ultimo arrivato:

    Vespro Di Falconer, romanziera e musicante di violino. Nacque in una fazenda a Rio de Janeiro e venne al mondo schiava nel 1802, un sabato, il diciotto ottobre. Fondò il discusso e odiato Circolo dei Cavalieri del Mantello Nero a dispetto di chi cercò di fermarla, invano. Eresse ‘Le Sentinelle’, la spada ch’ella ghermiva per ferire nobili e schiavisti.

    Moris Lanciotti, detto ‘il parmigiano’, nacque il diciotto settembre 1802, a Parma, Italia. Allevato a Rio, egli comprò Vespro quando entrambi avevano nove anni e le donò la libertà. Separati per quattro anni, nel 1815 si rincontrarono e non si separarono più. La maturazione come musicista arrivò con gli innumerevoli viaggi e l’incessante vagabondare. Moris era un provocante italiano dalla genialità imperscrutabile, burbera, ma indiscutibile. Scrittore eccellente, musicista senza regole, amante del buon vino, agile con la penna e svelto con il revolver. Ma prima di tutto era un romantico forestiere che insidiava con disubbidienza e galanteria.

    Marco Alves nacque a Zumbì, Santa Cruz, Rio de Janeiro, il ventotto luglio 1809. Dottore affermato, scrittore malinconico, era un giovanotto dei grandi occhi da cerbiatto e parlantina raffinata. Molto coraggioso, agguerrito e fedele alle incursioni notturne in cerca d’opportune informazioni e denunce per colorire di delucidazioni ‘Le Sentinelle’. Da sempre lui s’impegnava nella difesa dei deboli. Medico competente, prestava i suoi favori agli schiavi liberati senza ricevere compenso. Marco sfidò la società trattenendo rapporti con i poeti fino a divenire egli stesso un Cavaliere.

    Lolo Eloah nacque a Milano, Italia, l’undici settembre 1805. Di madre spagnola e padre italiano, crebbe senza i genitori e approdò a Santa Cruz nel 1827. Era una fantasiosa prosatrice che animava con la sua bellezza combattiva i salotti esclusivi di tutto il Brasil. Era la promessa sposa del Cavaliere Piero Costanzo.

    Piero Costanzo nacque ad Alessandria, Italia, il sedici maggio 1803. Era un avvocato il più silenzioso e riflessivo dei membri del Circolo. Seduceva per il fisico aitante, parlantina soave ed espressivi occhi miele che dimostravano la sua serenità interiore. Introverso e pieno d’ingegno, era legato sentimentalmente alla guardinga Eloah. Fra tutti i Cavalieri del Mantello Nero era il più assennato, meno conciliante con l’ira e nei momenti di tormento sapeva cosa dire o fare conducendo tutti alla calma.

    Denison Ferreira nacque a Manaus il quattordici febbraio 1803. Era uno schiavo finché nel 1821 all’età di quattordici anni venne comprato dalla ventenne Vespro guadagnandosi la libertà e donando in cambio la sua totale lealtà a essa. Lui possedeva tristi occhi neri, pelle mulatta, labbra pronunciate e corti capelli riccioluti. Il naso era piccolo e all’insù, il corpo eccessivamente magro e godeva di un’amabilità disarmante. Era fra tutti i Cavalieri, il buontempone e gentile d’animo. Egli sapeva calmare gli animi quando accesi, era di persuasiva parlantina, pacifista e pensiero animalista. Si cimentava nei balli, ma non nelle conquiste amorose per la troppa timidezza ed era maestro nel violino. La bellezza romantica dell’ex schiavo non passava inosservata. Nessuno nel Circolo possedeva la sua mansuetudine.

    Daniele Brito nacque a Belém do Parà, il venti settembre 1804. Da schiavo venne comprato da Marco Alves nel febbraio del 1818, aggregandosi quasi subito ai verseggiatori. D’origine indigena, dimostrava senza sensibilità tutto il suo odio verso l’Impero accrescendo d’intensità la già cattiva reputazione dei Cavalieri. Fra tutti gli scrittori era il più irruente e la sua ira era seconda soltanto a quella di Vespro che trovò in lui un degno sostenitore. Uomo discutibile per l’arroganza che padroneggiava, restava un bellissimo nativo dal corpo prestante e l’ironica risata. Era un eccellente ballerino, gran bevitore e premuroso nell’eleganza. Intollerante, irragionevole, si lasciava spesso implicare in assurde discussioni a causa del suo carattere tempestoso. Sarcastico e brillante, fruiva di una rabbiosa calligrafia e uno stile di scrittura che offendeva senza moderazione. Era acutissimo e debosciato, ma giusto verso tutti. Moro, dai lunghi capelli castani e lisci che arrivavano ai suoi fianchi; egli incarnava orgogliosamente i suoi natali.

    Questi erano i magnifici, disprezzati e allo stesso tempo mitizzati Cavalieri del Mantello Nero, sette menti incandescenti in una scomoda diversità. Erano tutti scrittori, alcuni anche musicisti, brasiliani dal cuore straniero, ma che in ogni modo restavano coesi dinanzi alla giustizia.

    E si ritrovavano nel Circolo per attuarsi senza ripensamenti nello stupore altrui. Loro glorificavano la ribellione. Alternavano momenti di coerenza e altri di stoltezza, ma cos’è il buon senso se non il filo sottile che fragilmente separa la ragione dalla follia?

    Non c’era salvezza per anime così perse!

    Nel frattempo, l’anfitrione Guilherme Fernandas, Conte di Tauà e III Consigliere nel Palazzo dei Dodici dell’Associazione del Consiglio dei Produttori di Caffè, prese Moris sottobraccio e lo accompagnò fino al piano. Tutti s’azzittirono.

    Il Conte sussurrò al suo orecchio una richiesta non da poco.

    «Suonate in onore di mia nipote; altrimenti come potrei giustificare la vostra presenza?»

    «Basta far sapere a tutti, come temo che lo sappiano già, che vostra figlia mi ha preteso qui!»

    «Non divulgherò mai tale cosa!»

    «Come vi dissi prima, credo lo sappiano già.»

    «Tenete per Voi queste osservazioni. Ah, Lanciotti? Dovete attenervi alle mie raccomandazioni: suonate ciò che troverete negli spartiti!»

    «Non mi conoscete abbastanza, Conte, io suono soltanto i miei componimenti. I miei e di nessun altro!» rispose Moris togliendosi dalla giacca i suoi spartiti. Lui si sedé dinanzi al piano e scagliò uno sguardo di dileggio verso il Conte che ricambiò ciò. Non era segreto per nessuno che Deborah, l’unica figlia del nobile amava perdutamente il poeta italiano. Il Conte Consigliere, che in definitiva non negava mai nulla alla figliola, non celava però il suo odio personale verso lo scrittore straniero che lo mise in ridicolo nel saggio ‘A Lama’ (La Melma), facendo riferimento alle preferenze sessuali del nobile, habitué di luoghi poco raccomandabili nella compagnia di giovani uomini spregiudicati. Egli frequentava i bordelli a Cocotà dove gravitavano cortigiane, ex schiavi e avvenenti giovanotti in cerca di qualcuno

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