Dall'Eros all'Amore: Viaggio alle Sorgenti della Felicità
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La sua prerogativa è dare e dimenticare, in quanto l'atto di dare è già il suo appagamento.
Ogni autentica tradizione spirituale asserisce che l'essere umano è progettato per la felicità e l'amore e indubbiamente la sua espressione più alta.
Delle Innumerevoli forme d'amore, la più elevata è quella spirituale, concentrata sul Sè supremo, di cui l'eros ne è solo un riflesso esteriore. Questo sublime livello d'amore, sebbene costituisca funzione e bisogno imprescindibile di tutti gli esseri, non è un sentimento ordinario, ma un'ambiziosa meta cui andare attraverso un viaggio interiore e conquistare con la scoperta della nostra natura immortale.
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Dall'Eros all'Amore - Marco Ferrini
La natura dell’essere e la percezione della realtà
Per approfondire il tema dell’amore è fondamentale considerare anche quello relativo alla percezione di sé, degli altri e del mondo. Infatti, il sentimento puro dell’amore non può essere sperimentato in presenza di una visione limitata e superficiale della realtà.
Nella dimensione umana il vero amore è un po’ come l’Araba Fenice: mitologico, raro e spesso apparentemente irraggiungibile. Le persone hanno in genere più esperienza della mera eccitazione dei sensi, ma scoprono poi, con delusione e sofferenza, che l’eccitazione non è qualcosa che nutre veramente, anzi, spesso depaupera corpo e mente di energie preziose.
L’amore autentico è sperimentato da chi vive nella consapevolezza della natura profonda dell’essere e della realtà; ciò permette di sperimentare una gioia duratura, profonda, indipendente da condizioni esterne. Nella tradizione Bhakti-vedantica tale stato è definito ananda, beatitudine, e indica la sublime e completamente appagante felicità spirituale.
La tradizione Bhakti-vedantica è una millenaria Scuola psicologica, filosofica e spirituale basata su fondamentali testi classici della cultura antico indiana quali il Vedanta, le Upanishad, la Bhagavad-gita, gli Yogasutra, i Purana, ecc. Essa offre contenuti e metodi che curano l’essere trattandolo nella sua globalità, in tutti i suoi piani antropologici: fisico, psicologicoenergetico e spirituale, favorendo concretamente ed efficacemente lo sviluppo e l’integrazione armonica della personalità, l’armonizzazione degli elementi inconsci con l’io ed il sé, sviluppando un rapporto integrato, proficuo e completamente appagante tra sentimento e pensiero, intuizione e ragione, profonde istanze inconsce e razionalità operativa; fino all’esperienza concreta e totalizzante della visualizzazione di piani superiori di realtà (coscienza di sé).
Il Vedanta, opera che nella tradizione classica indiana rappresenta una delle più rilevanti dal punto di vista filosofico e teologico, esordisce con la seguente affermazione: Athato Brahma jijnasa: "Adesso interroghiamoci sul Brahman¹". Il termine jijnasa si può tradurre con ‘investigazione’ e viene qui utilizzato per esortare ad esplorare la dimensione e la natura del Brahman, la realtà spirituale, l’essenza di tutto ciò che esiste.
Nella lingua sanscrita la parola realtà
origina dalla stessa radice verbale sulla quale si costruisce il termine verità
. Sat è il participio presente del verbo essere
, si traduce letteralmente con essente
e più estesamente con realtà
. Questa stessa radice verbale dà vita al termine satyam, che indica la verità basilare e fondamentale applicabile alle vicende di tutti i giorni, la veridicità che si contrappone alla menzogna. Se non si realizza e non si applica questo livello di verità, non si può pensare di giungere alla comprensione di quelli superiori relativi al piano universale e divino.
Con il sostantivo ritam s’intende la verità sul piano cosmico, ovvero l’ordine universale che governa tutta la creazione e la vita di ogni essere. Ma il livello più alto di realtà e verità viene espresso con il termine tattva, che attiene al piano spirituale. Si tratta della realtà più elevata, della verità prima, origine di tutto ciò che esiste, di tutto ciò che è vero in essenza, in termini metafisici.
Nella cosmogonia Vedico-puranica² questi tre livelli di verità e di realtà corrispondono a tre principali piani di esistenza o dimensioni coscienziali: terrestre, celeste e spirituale, che ovviamente si contraddistinguono perché caratterizzati da differenti gradi di consapevolezza. In sanscrito tali piani di esistenza sono definiti: adhibhautika, adhidaivika e adhyatmika³.
Sono molte le scienze che oggi possono concorrere alla comprensione della realtà, ma l’uomo occidentale, se da una parte è divenuto molto esperto nello studio dell’oggettivizzato mondo fenomenico, ha invece trascurato pesantemente l’osservazione profonda e attenta del soggetto, quindi di sé stesso.
Le discipline occidentali dedite allo studio della personalità si occupano soprattutto di approfondire natura e funzioni della struttura psichica ma, secondo la prospettiva Bhakti-vedantica, la mente è comunque esterna alla natura profonda dell’essere. Chi dunque si occupa del soggetto, di colui che dall’interno osserva il mondo? La scienza ufficiale stenta a riconoscere anche solo teoricamente l’esistenza di un’identità separata dalla sua struttura psicofisica, ma i testi della tradizione Bhakti-vedantica e Yoga⁴, fonti autorevoli di conoscenza fisica e metafisica, descrivono due universi, due categorie di energie: quella materiale (includendo in questa categoria anche l’energia psichica) e quella spirituale, dunque sostanza ed essenza, oggetto e soggetto, Terra e Cielo.
La filosofia Samkhya⁵, che è alla base di tutto il pensiero classico indiano, individua e descrive due fondamentali princìpi che sono la materia o prakriti e lo spirito o purusha. Entrambi sono di origine divina, per quanto nella loro manifestazione le differenze diventino così grandi e palesi da apparire incolmabili. Sia materia che spirito derivano dall’Essere supremo, Parabrahman⁶, il quale possiede innumerevoli energie o shakti, che possono essere raggruppate in due grandi categorie: antaranga-shakti e bahiranga-shakti, ovvero energia interiore ed energia esteriore. La prima costituisce la natura dell’essere, del sé spirituale, immutabile e trascendente, la seconda è soggetta a continuo mutamento e dà vita alla manifestazione cosmica: psiche ed energia-materia.
Nella sua condizione di incarnato l’essere umano è costituito di entrambe le energie di materia e spirito e può apparire perciò un paradosso, con insopprimibili aneliti interiori e spirituali che collidono e competono con bisogni fisici altrettanto impellenti.
La differenza esistente tra il sé e il mezzo psicofisico con il quale il sé agisce nel mondo dovrebbe diventare una consapevolezza profonda e costante; viceversa l’individuo rischia di identificarsi con quel che in realtà non rappresenta la sua identità profonda e radica così una serie di false concezioni e percezioni distorte, commettendo numerosi errori e andando incontro alla sofferenza causata da una progressiva alienazione da se stesso.
Sbilanciandosi troppo verso l’esterno si produce un black-out interiore. Quando il mondo esteriore appare così importante, così definito e concreto da sembrare addirittura completo, il soggetto arriva a smarrire la consapevolezza di sé, della sua originaria natura spirituale, e diventa incapace di comprendere e gestire il patrimonio interiore che lo caratterizza e di investire in maniera corretta ed equilibrata le sue energie.
L’arte della vita consiste nel mantenere in perfetto equilibrio le differenti componenti e funzioni della personalità, le istanze interiori spirituali e quelle psicofisiche, in modo che non si contrastino ma siano di reciproca utilità. Gli oggetti e gli strumenti di cui disponiamo nel mondo, primo tra tutti il corpo umano, dovrebbero essere tenuti con grande cura, così da consentire un viaggio esistenziale rapido e in ascesa. Vanno contestualizzati correttamente, comprendendo a cosa servono, altrimenti si rischia di utilizzarli in maniera impropria, non propedeutica al bene e alla nostra evoluzione.
La tradizione Bhakti-vedantica insegna ad acquisire più coscienza del principio spirituale unificatore della personalità, il purusha o l’atman, senza la cui consapevolezza finiamo per valorizzare l’involucro a scapito dell’essenza. Quel che si richiede non è una fuga in uno spiritualismo astratto, bensì un recupero di quella dimensione trascendente che in Occidente è stata sempre più trascurata, quando non addirittura negata.
Vediamo dunque nello specifico quali sono le caratteristiche della materia (prakriti) e dello spirito (purusha).
Nella Bhagavad-gita⁷ (VII.4) e in altri testi della tradizione vedica vengono descritte le principali componenti della prakriti identificate in otto elementi fondamentali: terra (bhumih), acqua (apah), fuoco (analah), aria (vayuh), etere (kham), mente (manas), intelligenza (buddhi) e senso dell’io storicizzato (ahamkara). Gli ultimi tre elementi costituiscono la struttura psichica dell’essere incarnato.
Alla base degli otto elementi sopra elencati vi sono tre energie archetipe (guna) che pervadono la materia in ciascun elemento: tamoguna, rajoguna e sattvaguna.
Tamas è tenebre, inerzia, letargia. E’ una forza strutturante dell’universo psicofisico che ha la sua utilità; ad esempio è grazie ad essa che possiamo dormire e recuperare energie. Tuttavia deve essere gestita affinché non diventi una caratteristica dominante della personalità. Rajas comporta dinamismo e attività intensa. Sattva induce equilibrio, visione, risveglio, illuminazione. Queste qualità caratterizzano la struttura psichica della persona evoluta, divenendo il suo naturale modus vivendi e manifestandosi nelle motivazioni e modalità con cui agisce e si rapporta con gli altri.
Come abbiamo già spiegato, la materia appartiene a bahiranga-shakti, l’energia esterna dell’Essere cosmico e, come tale, è sempre in trasformazione poiché soggetta al paradigma spazio-tempo-causalità, caratteristico del mondo fenomenico.
Il sé è invece una scintilla di pura coscienza costituito di antaranga-shakti, energia divina situata al di fuori del tempo e dello spazio. Tuttavia, nello stato di essere incarnato, il sé si trova a muoversi nel paradigma spazio-temporale, avvolto da un manto di prakriti ed identificato con essa.
Le caratteristiche ontologiche del purusha sono definite con i termini sanscriti sat, cit e ananda.
Sat significa esistenza, eternità e anche realtà. L’essere è eterno, immutabile, immortale perché, come spiega anche Parmenide, ciò che è non può non essere
. Nella Bhagavad-gita II. 20 è detto:
Per l’essere non vi è né la nascita né la morte. La sua esistenza non ha avuto inizio nel passato, non ha inizio nel presente e non avrà inizio nel futuro. Esso è non nato, eterno, sempre esistente e primordiale. Non muore quando il corpo muore.
Cit significa consapevolezza, coscienza, conoscenza. Ananda è la beatitudine sperimentabile soltanto in presenza di ispirazione e illuminazione spirituale. Questo stato di profonda felicità interiore non ha niente a che vedere con ciò che comunemente viene chiamato piacere e che si riduce quasi sempre ad una semplice eccitazione sensoriale.
Le caratteristiche sopra elencate contraddistinguono la natura dell’essere spirituale; seppur si tratti di sue qualità inalienabili, esse risultano inaccessibili quando il soggetto, identificandosi con la materia, cade in una condizione di smarrimento, confusione e oscuramento della consapevolezza di sé. Sat, cit e ananda rimangono comunque il patrimonio dell’essere: non sono mai definitivamente perse ma soltanto temporaneamente