Psicologia del Ciclo della Vita: Testimonianze oltre nascita e morte
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Prima o poi, nel corso della nostra esistenza, ci troviamo di fronte alla crisi della effettiva presa di coscienza della realtà della malattia incurabile e della morte.
A quel punto le nostre aspettative di vita mutano di colpo e il soggetto si trova - il più delle volte tragicamente solo - ad affrontare il dolore fisico e morale che ciò comporta.
Il fenomeno morte viene abitualmente vissuto come fine di tutto, dissoluzione, scomparsa, con tonalità che vanno dal rassegnato al drammatico, fino al tragico. Eppure la morte non esiste come entità, ma solo come concetto. Essa è in verità un’astrazione. Solo la vita è reale, eterna e immutabile.
Attraverso un percorso di consapevolezza profonda, la persona prossima a questa tappa della vita potrà affrontarla percependo che la propria identità è diversa da quella del corpo e scoprendo di fronte a sé una nuova fase della propria eterna esistenza, tutta da progettare costruttivamente.
Le esperienze di nascita, malattia, sofferenza umana e morte possono essere meglio affrontate ed elaborate attraverso insegnamenti che aiutano a conoscere più genuinamente e profondamente se stessi, aprirsi alla compassione e all'amore, migliorando la propria capacità di gestire l'emotività ed imparando a prendersi realmente cura di se stessi e degli altri, prestando ascolto alle istanze più profonde dell'anima.
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Psicologia del Ciclo della Vita - Marco Ferrini
Premessa
Questo testo non è pensato e valido solo per chi opera nel settore assistenziale o sanitario, ma per ogni individuo che deve affrontare l’esperienza della vita e della morte.
Accoglienza, assistenza e accompagnamento sono tre termini chiave nell’accompagnamento psicologico ai malati terminali e ai loro familiari.
Accogliere significa incontrare l’altro, aprire non solo le braccia, ma anche il cuore e la mente. Assistere vuol dire intervenire con delicatezza, entrando in empatia, prestando ascolto alle modalità e ai bisogni dell’altro. Accompagnare significa mettersi a fianco della persona, senza precederla, quasi ponendosi dietro di lei con umiltà e amore, stimolandola a proseguire. Accompagnare è sospingere dolcemente, far giungere a destinazione con calore e bontà, con empatia, con compassione e misericordia.
Non ci occuperemo in questo libro di persone che possono essere recuperate ad uno stato di salute fisica, ma tratteremo la psicologia dell’assistenza al malato nella sua fase terminale, assumendo la prospettiva della psicologia Bhakti-vedanta¹, che anche per l’Occidente è sicuramente utile e preziosa. L’approccio è di tipo olistico, senza frammentazioni tra medicina, psicologia e spiritualità.
Svolgo studi di psicologia da oltre trent’anni; ho conseguito specializzazioni e approfondito varie Scuole di pensiero, riservando particolare attenzione alla civiltà classica indiana che ha elaborato un’avanzata Scienza della salute (Ayurveda) e un’importante Scuola psicologica (Upanishad, Vedanta, Bhagavadgita, Yogasutra e Purana), con tutta probabilità la prima nella storia del genere umano.
Tale civiltà, da molti considerata quella delle origini, si fonda sui Veda, i testi più antichi che l’umanità conosca, universalmente apprezzati e da molti riconosciuti come fonte autorevole di conoscenza fisica e metafisica, in cui le scienze della materia e dello spirito si unificano. Questa plurimillenaria conoscenza è stata conservata, trasmessa e rinnovata nel tempo grazie all’opera esegetica delle varie Scuole tradizionali e oggi è tenuta in notevole considerazione anche in Occidente, con significativo e crescente interesse accademico e scientifico. Essa esprime un pensiero maturo, caratterizzato da acquisizioni avanzate nei vari campi del sapere (medicina, filosofia, psicologia, sociologia, astronomia, matematica, ecc.), con conoscenze e terapie di sorprendente attualità che incontrano ed integrano le più recenti scoperte della scienza.
La tradizione Bhakti-Vedantica offre contenuti e metodi che curano l’essere trattandolo nella sua globalità, in tutti i suoi piani antropologici: fisico, psicologico e spirituale, favorendo concretamente ed efficacemente lo sviluppo e l’integrazione armonica della personalità, l’armonizzazione degli elementi inconsci con l’io ed il sé, sviluppando un rapporto integrato, proficuo e completamente appagante tra sentimento e pensiero, intuizione e ragione, profonde istanze inconsce e razionalità operativa; fino all’esperienza concreta e totalizzante della visualizzazione di piani superiori di realtà (coscienza di sé).
Dunque affronteremo il tema della malattia terminale prendendo in considerazione non soltanto lo strumento fisico, ovvero il corpo, ma soprattutto quello psicologico, che può manifestarsi attraverso blocchi emotivi, complessi di colpa e stati depressivi che spesso affliggono chi è vicino ad un passo così cruciale. Ci occuperemo anche dell’aspetto spirituale, ma non concependolo in maniera astratta, senza capacità di contestualizzazione nella realtà immanente dell’uomo. Tratteremo quindi la persona nella sua interezza, in una prospettiva ampia e globale, inclusi i riti della preparazione fisica e spirituale alla transizione e le necessità psicologiche del malato per prepararsi al viaggio
dell’anima dopo la morte.
I fenomeni della nascita e della morte nella visione di alcuni grandi del pensiero occidentale antico e moderno:
… La cosiddetta nascita è solo il rivestirsi di una cosa vecchia in nuova forma e abito… L’anima è sempre la stessa, solo la forma è perduta
.
Ovidio
La dottrina della metempsicosi non è, soprattutto, né assurda né inutile... Non è più sorprendente essere nati più volte che una sola; tutto in natura è risurrezione
.
Voltaire (1694-1778)
Non la carne è reale ma l’anima. La carne è cenere. L’anima è fiamma
.
Victor Hugo (1802-1885)
Le opere della vita precedente danno un orientamento alla vita attuale
.
I sogni della nostra esistenza presente sono l’ambiente in cui elaboriamo le impressioni, i pensieri e i sentimenti di una vita precedente…
Lew Tolstoj (1828-1910)
E calcolando la vostra vita, siete il residuo di molte morti …
Walt Whitman (New York 1819-1892)
Riesco facilmente a immaginare di essere già vissuto durante i secoli che furono e di essermi imbattuto in domande a cui non sono stato in grado di rispondere. Ho dovuto quindi rinascere per non essere stato in grado di portare a termine il compito che mi era stato assegnato
.
C.G.Jung (1875-1961)
"Simile all’acqua
è l’anima dell’uomo:
scende dal cielo,
al ciel risale,
poi nuovamente è legge
che alla terra ritorni
in perpetua vicenda."
Johann Wolfgang Goethe
Elizabeth Kubler-Ross, laureata in medicina e specializzata in psichiatria, narra nei suoi libri le sue esperienze a contatto con i malati terminali nelle corsie degli ospedali. La morte, come emerge da alcune sue pagine intense e commoventi, non è che un passaggio sublime e dolcissimo, che ciascuno di noi può vivere come tale, lasciandosi alle spalle i rimpianti per la vita terrena, la paura del distacco dalle persone amate e le incognite per ciò che ci attende nell’Aldilà.
Brian Weiss, psichiatra americano, è famoso per aver raccontato le sorprendenti storie delle vite passate dei suoi malati, ricostruite praticando la terapia di regressione. Utilizza tecniche di psicoterapia spirituale con le quali favorisce la guarigione a livello fisico, emozionale e spirituale.
Raymond A. Moody jr., filosofo, medico e psichiatra americano, ha studiato Filosofia all’Università della Virginia, dove si è laureato nel 1969. Dopo aver insegnato per tre anni Etica, Logica e Filosofia all’Università del North Carolina, ha intrapreso gli studi di Medicina laureandosi al Medical College della Georgia. Il suo testo del 1975, La Vita dopo la Vita
, ha fatto scuola in merito. Prima di lui solo Elisabeth Kubler Ross aveva trattato simili questioni in maniera così rigorosa, attenendosi il più possibile alla semplice esperienza.
Nella tradizione Bhakti-Vedantica ogni scienza viene intesa come una disciplina strettamente collegata a tutte le altre in un progetto organico di rieducazione e terapia. In questo contesto è favorita quella visione d’insieme dell’uomo e del mondo necessaria per una vita equilibrata e profondamente consapevole.
La nostra non sarà una formulazione descrittiva astratta, indipendente da chi la esprime e da chi la può eventualmente utilizzare ma anzi, prima di tutto vuole essere un suggerimento concreto di vita, che darà il massimo beneficio se il destinatario lo riceve con la prospettiva di ampliare la propria consapevolezza attraverso l’apprendimento teorico e pratico.
Sulla base della psicologia Bhakti-Vedantica, con continui paralleli e rimandi alla psicologia occidentale, il nostro scopo è quello di fornire strumenti di consapevolezza che possano aiutare nella pratica quotidiana a meglio curare, assistere e accompagnare il malato terminale, non solo per il bene di quest’ultimo, ma anche per il nostro stesso bene, perché paradossalmente sono lezioni straordinariamente arricchenti anche quelle che hanno come soggetto la morte. Nel nostro caso, il successo è una morte in stato di benessere psicologico.
Come è vero quel principio secondo cui anche il docente, se insegna seriamente, con competenza e con amore, impara e si arricchisce quanto lo studente che ha di fronte, è altrettanto vero che chi assiste e accompagna una persona che sta morendo ha l’occasione di vivere un’esperienza straordinaria di crescita. Non si può infatti capire né progettare la vita, se non si è compresa la morte.
¹ La psicologia Bhaktivedantica, che non fa uso di tecniche psicoterapeutiche, ma pratica insegnamenti ed esercizi volti allo sviluppo di una visione spirituale dell’uomo e del cosmo, non si limita alla risoluzione di disagi psicologici ma è finalizzata ad una elevazione della consapevolezza, affinché chi la applica possa riscoprire la propria originaria natura al di là delle convinzioni indotte, delle identità acquisite e dei falsi modelli comportamentali che limitano le potenzialità e le aspirazioni più nobili dell’essere.)
Il problema dell’identità
"Non la carne è reale ma l’anima.
La carne è cenere. L’anima è fiamma."
Victor Hugo
Quella dell’identità è una questione tuttora aperta, che ha stimolato sin dall’antichità le menti più fervide. Filosofi e psicologi si sono sempre posti il problema collegato al fenomeno morte, senza essere in grado, peraltro, di svelarne l’arcano.
Perché le persone hanno tanta paura della morte? Proprio perché hanno un problema serio d’identità: non sanno chi veramente sono; credono di essere un’entità storicamente definita, solo che questa immedesimazione con la storicità, con la posizione sociale, deriva da false concezioni di sé, da una distorsione del senso dell’io. E’ sostanzialmente conseguenza di un’identificazione acritica con un ego falso e distorto, a causa del quale il soggetto si percepisce diverso da quello che in realtà è: qualcuno o qualcosa collegato alla società attraverso rapporti di status, ruoli, funzioni e quant’altro. Nella nostra epoca c’è un bisogno impellente di integrazione culturale, anche perché ormai l’indiano, il pakistano, l’afghano, il cinese, l’africano vivono tra noi, magari hanno il negozio nella strada a fianco e quindi l’incontro e lo scambio con gente di altre culture fa parte del quotidiano.
Gli attuali ambiti di ricerca, la medicina in particolare, dispongono di strumenti raffinatissimi, di potenti computer, di know how versatili, di mezzi d’intervento assai efficaci però, rispetto a questo sviluppo, sul versante della scienza positiva si conosce ancora ben poco in relazione al soggetto, all’individuo in quanto persona.
Sebbene la morte sia l’unica certezza dell’esistenza, perché non se ne vuole parlare, né sentirne parlare? Perché se ne ha terrore? La cultura occidentale moderna, nonostante le prodigiose conquiste tecnologiche, non fornisce una reale comprensione del fenomeno morte, né di ciò che avviene durante e dopo il trapasso.
Antichi saggi indiani, rishi, guru, coloro che hanno tramandato il sapere vedico, hanno studiato i meccanismi che inducono comportamenti errati, collegati alla percezione distorta di sofferenza e morte. Tramite i loro insegnamenti sappiamo come riconoscerli mentre si attivano, sappiamo persino come e in quali circostanze aspettarceli e anche come bloccarli, in noi e negli altri. Riteniamo un dovere, perché fa parte della nostra sensibilità e della nostra responsabilità, umana e professionale, trasmettere questo sapere a medici, psicologi, infermieri, parenti, amici del malato terminale o chiunque altro, in quanto l’evento morte riguarda proprio tutti, nessuno escluso.
Il fenomeno morte: un fatto ineliminabile dalle nostre vite
Di solito chi pensa alla morte immagina la fine di tutto, dissoluzione, scomparsa, con tonalità che vanno dal rassegnato al tragico.
Non avrebbe più senso cercare significati che, attenuandone la drammaticità, rivelassero il risvolto positivo di questo fenomeno, magari addirittura annullando la brutalità del suo impatto?
La psicologia indovedica insegna che ciò è non solo possibile, ma inevitabile conseguenza di una più completa comprensione dell’essere umano e dei suoi molteplici piani antropologici.
La possibilità di comprendere appartiene totalmente
solo a chi è in sé libero di scegliere. I condizionamenti, anche culturali, non aiutano.
Il nostro intento è quello di trasmettere i fondamenti della psicologia Bhakti-Vedantica e Ayurveda a