Medievalicron Libro II: Storia di Galeotto e Maria
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Medievalicron Libro II - Simone E. Agnetti
VIII
Medievalicron
libro secondo
storia di Galeotto e Maria
Ogni storia vive il suo tempo.
I
Dell'epilogo di Maddalena
In Italia sembrava che non potesse passare una generazione senza che le azioni degli uomini generassero conflitti. Nonni, figli e nipoti avevano, ognuno, almeno una battaglia nel cuore e da quei cuori feriti gocciava lo stillicidio della nuova violenza. I racconti delle guerre erano un tesoro oscuro custodito nell'anima delle generazioni, un archivio di male che i più anziani mostravano ai più giovani. Poteva esservi pace in quella terra sdraiata nel mare e aggrappata alla deforme spina dorsale dei monti Appennini? In una delle valli di questa penisola, dove i boschi rivestivano i colli come il lembo piegato di un abito cala morbido verso il fianco, viveva la gente di cui narriamo la storia. Quella che popolava queste terre era gente di montagna, con negli occhi l'orizzonte del mare e nei polmoni l'aria odorosa della selva. Su questa terra, sacra da secoli alla Luna, molti pedoni erano caduti in battaglia e i cavalieri e gli alfieri avevano percorso la valle del fiume Magra demolendo torri e conquistando posizioni. Ora a muoversi nei confini dello scacchiere erano le regine e i re. Quello che i Malaspina erano riusciti a fare per riconquistare i loro possedimenti tornava sul tavolo a disposizione dei giocatori.
***
Quella notte la luna, grande, quasi piena, era sorta dietro le alte creste delle Alpi Apuane, aveva bagnato di luce la notte popolata di insetti, di piccoli roditori e di uccelli notturni, per tornare dietro le montagne al mattino sbiadita dalla luce del giorno. Maddalena Malaspina, vedova del marchese di Villafranca, figlia dei signori di Lusuolo, era rimasta a vivere con i due fratelli di suo marito Gabriele nella rocca di famiglia. Erano passati dieci anni dalla malattia e morte dello sposo a Virgoletta. La mattina trascorse veloce, il popolo del castello del Malnido era occupato nei vari impegni di cucina, pulizia, vestizione, segreteria e svago, ogni rango e ogni uomo e donna aveva i propri compiti prestabiliti. Il tepore dell'aria di quel giorni di primavera del 1447 stava svegliando i corpi e le menti degli uomini dalle fredde abitudini dell'inverno. I cespugli intricati di biancospino che circondavano la proprietà mettevano le prime gemme. Maddalena si trovava seduta a tavola con il cognato Tommaso nel salone grande. Gli altri membri della famiglia erano già andati via dalla tavola, loro due si erano attardati a finire il pasto. Una mosca entrò da una finestra malmessa ronzando forte nell'aria, era la prima di quell'anno, si posò tra le briciole in un angolo della lunga tavola. Maddalena la guardava saltellare tra gli avanzi e corse con la mente al frettoloso accordo matrimoniale del primogenito Giovanni Spinetta, ancora bambino nel 1435. Gabriele, il marito, era allo sbando, la famiglia sconfitta dai genovesi ed esiliata, i fratelli Malaspina non facevano altro che litigare e il patrimonio si era assottigliato, urgeva una soluzione. Per non chiedere prestiti di denari e peggiorare la loro situazione affrettarono un'unione tra parenti, la dote della sposa poteva aiutarli a sostenere il casato. Così il piccolo Giovanni Spinetta, suo primogenito, fu fidanzato alla più prossima delle sue cugine, Teodorina, figlia di Azzone, marchese di Mulazzo, un borgo non lontano da Villafranca e da Virgoletta sulla via verso il Nord. Teodorina non era una bambina, era una ragazzina forte e intelligente, più matura del suo giovane promesso sposo. La marchesina ascoltava e capiva i discorsi degli adulti, ragionava con le donne della corte sugli obiettivi politici della famiglia, diceva la sua, e ben sapeva che prima di ogni altra cosa nella vita veniva la sopravvivenza del casato. Il padre Azzone l'aveva fatta istruire con i fratelli da precettori milanesi e la fanciulla si era fatta apprezzare da questi maestri per le sue molte doti e per la sua intelligenza, tanto che, anche nella lontana corte ducale ambrosiana si parlava di lei. Per un poco i due promessi sposi bambini vissero ognuno nel proprio palazzo con le rispettive famiglie, vedendosi solo per occasioni formali. Da sposati, nel Malnido, ai due ragazzini pensava Maddalena che li lasciava giocare e li abituava all'idea di essere marito e moglie. La marchesa cresceva anche il piccolo Fioramonte II, fratellino di Giovanni Spinetta. Gli sposini abitavano al piano nobile del Malnido, non lontano dal salone in cui Maddalena, ora, attorcigliava i suoi ricordi sul tavolo da pranzo. L'annoiato e pensoso silenzio dei nobili fu interrotto da suo cognato Tommaso, il quale, prese il tovagliolo e a modo di frusta sferrò un sonoro colpo alla tavola per colpire la mosca. Volarono in aria briciole e avanzi di cibo e una coppa di vino traballò. Dopo il trambusto l'insetto volava in aria intonso. -Presa!- gridò Tommaso -no, vola ancora- rispose Maddalena stringendo una risata tra i denti. L'uomo si girò verso la donna e, senza motivo apparente, pensò di rispondere a quel riso aprendo il discorso ad una questione. Volle informarla di quanto avesse dovuto sborsare la famiglia per far seppellire Gabriele nella cripta di San Niccolò al tempo in cui governavano i genovesi. Lei lo guardò con faccia stupita e trasecolò. Tommaso le era stato molto vicino in quegli anni e l'argomento non era mai uscito prima. Ignorando lo sguardo accigliato di lei l'uomo le riferì fatti e costi di quella disgraziata sepoltura di dieci anni prima, quanto denaro dovettero dare al luogotenente genovese perché li facesse passare indenni e quanto agli altri ufficiali perché tacessero la cosa. Si vantò che l'idea fosse sua e non del fratello Fioramonte. Maddalena ascoltò infastidita, attese che il salone si svuotasse del tutto dai servitori, infine, disse rivolta a Tommaso con un tono serio -meraviglia, una gran cifra! Così, poi, avete riavuto il Malnido ove siamo ora. Sei anche tu un grande governante Tommaso-, lui si gongolò dell'apprezzamento della cognata senza coglierne il sarcasmo. Maddalena tornò col pensiero al passato e chiese -perché lo ha fatto? Perché Gabriele ha ordinato la morte di quel genovese?-, Tommaso sfiorò la mano di lei e rispose -cosa ti devo dire, da fante t'avrei risposto ch'era per la gloria dei Malaspina, per la famiglia, per il nostro nome; oggi ti dico, senza timore di errare, per lui medesimo, perché era giovane e voleva farsi grande e, forse, l'avrei fatto anch'io, per la famiglia e per fare cose grandi agli occhi degli uomini-. Lei lo guardò, si alzò dalla sedia, si accostò a lui col fianco, si chinò, prese il viso del cognato e lo pose sul suo petto, lo strinse e così rimasero soli nella luce del pomeriggio. La mosca batteva su un tondo di vetro della finestra cercando, disperata, una via verso la luce.
Di quello che successe a Maddalena e alla sua famiglia narreremo più avanti. I tempi stavano per cambiare, dal mare di Genova saliva un vento nuovo, diverso, asciutto e freddo come fosse un vento di terra, rivolto dritto verso la valle del fiume Magra.
II
Di come Galeotto giunse nella valle del fiume Magra
Un bambino, un fanciullo cresciuto in un piccolo borgo, tra casa, campagna, chiesa e palazzo, riterrà quel mondo come suo. Se quel fanciullo saprà leggerne bene i confini, saprà mettere in azione il desiderio di valicarli, un desiderio che ha nome di ambizione. L'ambizione è come il germoglio di un albero, se seminato in un vaso questo cresce, tocca con le radici i bordi del contenitore e li si arresta, smettendo di allargarsi, tenterà di forzare la terracotta, ma senza poter fare nulla per portarsi oltre quello che è il limite del suo mondo. Ma quando un fanciullo ha come confine l'intero mondo, quando quello che vede come orizzonte ha un altro orizzonte dietro e poi un altro e poi un altro ancora, quel germoglio vorrà espandere le sue radici sull'intero terreno disponibile, su tutta la pianura, sulle colline e sulle montagne e abbeverarsi con tutta l'acqua disponibile e vorrà scansare strade, muri, case e gli altri alberi per farsi posto. Così l'ambizione di chi ha confini ampi è più vasta di chi ha piccoli confini. L'ambizione sconfinata porta ad azioni sconfinate. Così vi era a quel tempo chi curava e rimediava alla grandezza delle proprie ambizioni chiudendosi in convento, in un piccolo borgo o divenendo pellegrino e povero nel mondo e chi, all'opposto, non si dava alcun confine, alimentando la propria ambizione e trovando accoliti e servitori a sostenerla, e spazi immensi in palazzi, ville, parchi, città e nazioni per accogliere l'uomo, la sua ambizione smisurata e proiettarla verso tutti gli orizzonti possibili. Alle volte la storia costruisce agli uomini delle strade che sembrano voler portare esattamente ad un determinato punto, forse sono gli uomini stessi a fabbricarsi quelle strade e a percorrerle fino in fondo. Carriera, fortuna, sfortuna, morte, malattie, battaglie, tradimenti, epidemie, amori; se un uomo campasse a sufficienza potrebbe, nella sua vita, vedere molte cose. Vedere la salita al potere di uomini capaci e i disastri prodotti da uomini sciocchi, vedere la fortuna gonfiare le vele della nave della vita per anni e poi vedere le vele strapparsi senza rimedio in un minuto e la nave affondare con tutto il suo carico, vedere uomini forti morire di malattia, uomini invincibili morire di spada, intere popolazioni marcire piagate dalle malattie, uomini deboli dare testimonianza luminosa di loro per secoli, vedere tradimenti, complotti e vedere la giustizia fatta coi forconi e con il sangue, vedere il più bel fiore del giardino di una nobile casata radicarsi in una terra aspra, diversa da quella nativa, e far foglie e petali colorati fatti della stessa bellezza di quella originaria, e fare semi ugualmente, con robustezza, vedere due sconosciuti prendere confidenza, con il tempo, e diventare inseparabili, come se l'amore di primo acchito, di cui son piene le storie, fosse solo un inganno dell'occhio, una svista, un trabocchetto. Tutto questo e molto altro può vedere un uomo se campa, può scriverlo e tramandarlo ai figli come ammonimento, può tenerlo per sé e far ricca la propria anima, e tenere quella ricchezza come un tesoro da liberare solo quando il cuore sarà fermo a terra e la mente aperta verso il cielo.
***
A Genova Galeotto Campo Fregoso stava meditando da anni di ritirarsi dalla vita di condottiero militare, la sua posizione politica appariva a lui chiara, era uno dei tanti uomini d'armi appartenenti alla folta e litigiosa schiera della nobile famiglia dei dogi di Genova. Il padre Giovanni era morto nel 1442 senza aver fatto carriera in politica e lui e il fratello Giannetto non erano entrati nei vertici