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Dolce vizio: La Trilogia di Silicon Beach, #2
Dolce vizio: La Trilogia di Silicon Beach, #2
Dolce vizio: La Trilogia di Silicon Beach, #2
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Dolce vizio: La Trilogia di Silicon Beach, #2

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About this ebook

Becca Markham ha passato gli ultimo sei anni a cercare di accontentare tutti. Adesso è arrivato il suo turno. Scarica il fidanzato traditore, lascia il suo lavoro altamente stressante di ingegnere informatico e decide di trasformare in un’impresa di successo il suo amore per la preparazione di dolci.

Leo Kogan ha passato anni a cercare di sfuggire alla vita di stenti che lo aspettava prima in Russia, poi negli Stati Uniti. Chirurgo di successo, gli manca solo una cosa per realizzare del tutto il suo sogno Americano: la donna perfetta. Ma effettuare il balzo da semplici amici ad amanti è molto più complicato di quanto sembri.

Nonostante la forte attrazione l’uno per l’altro, Becca e Leo non vedono le cose nello stesso modo, soprattutto quando si tratta di amore e denaro. Lei cerca sesso senza legami, lui vuole una donna per la vita. Lei mette in gioco il suo futuro in una nuova azienda a rischio, mentre lui è ossessionato dalla sicurezza finanziaria.

L’amore può unire due caratteri così forti… oppure le loro differenze riusciranno a dividerli?_________________

Dolce vizio è il secondo libro della Trilogia di Silicon Beach. Ogni libro della serie può essere letto da solo, ma hanno in commune i seguenti punti:

Ambientazione - Bassa California. Nel caso specifico, la zona costiera che comprende Santa Monica, Venice e Playa Vista, casa di più di 500 startup tecnologiche. Pubblicizzata come la nuova "Silicon Valley," questa regione a ovest di Los Angeles è stata soprannominata "Silicon Beach."
Personaggi – La serie segue le vite interconnesse di due famiglie: i Lazarev e i Kogan. Nell’ordine, i libri raccontano le storie di Anna Lazarev (Oltre la torre d’avorio, Libro 1), del suo amico  d’infanzia Leo Kogan (Dolce vizio, Libro 2), e dei loro fratelli minori: Klara, la sorella di Anna, e Vlad, il fratello di Leo (Una questione di fiducia, Libro 3).
Umorismo – problemi della vita di tutti i giorni, lieto fine e molte risate lungo il cammino.

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateJul 28, 2020
ISBN9781071540206
Dolce vizio: La Trilogia di Silicon Beach, #2
Author

Jill Blake

Jill Blake loves chocolate, leisurely walks where she doesn't break a sweat, and books with a guaranteed happy ending. A native of Philadelphia, Jill now lives in southern California with her husband and three children. During the day, she works as a physician in a busy medical practice. At night, she pens steamy romances.

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    Dolce vizio - Jill Blake

    CAPITOLO UNO

    ––––––––

    Anche dall’altra parte della stanza, separati da una folla rumorosa, Leo riusciva a individuarla. Aveva passato gli ultimi quattro anni a studiare il profilo di Becca, memorizzandone ogni lineamento: occhi grigio-azzurri circondati da rughette di espressione e una lunga fila di ciglia, capelli acconciati in boccoli che le scendevano morbidi lungo le spalle in diverse sfumature di castano. Aveva il fisico da atleta, braccia toniche, gambe lunghissime e seni che erano perfetti per le sue mani.

    Anche se non aveva mai avuto la possibilità di toccarli.

    Da quando si erano conosciuti, poco dopo che Leo si era trasferito a Los Angeles per far parte del gruppo di studio della facoltà di ortopedia, Becca stava già con qualcuno, qualcuno che per pura coincidenza era un collega di Leo. Un uomo che non la meritava al punto che Leo sperava che Becca se ne accorgesse e cacciasse quel bastardo.

    Ma l’amore era cieco.

    Quindi Leo si era sempre tenuto in disparte, a guardarla, aspettando che Becca tornasse in sé e che si accorgesse di chi si trovava davanti. L’unica cosa che gli impediva di forzarle la mano era che nessuno ricordava mai che ambasciator non porta pena. E inoltre Becca era leale, non stupida, prima o poi avrebbe scoperto la verità. A quel punto Leo si sarebbe fatto avanti, pronto a consolarla.

    «E poi cosa?» gli aveva chiesto la sua amica Anna un paio di anni prima. Avrebbe dovuto saperlo che non doveva confidarsi con lei, considerando che era amica di Becca. «Sarete per sempre felici e contenti?»

    «Perché no?» Ignorò quell’insulto alla sua intelligenza e buttò giù il suo quarto o quinto bicchierino di vodka. Aveva perso il conto già da un po’ e non ricordava più cosa stessero festeggiando. Invece di concentrarsi sull’ultimo traguardo ottenuto da Anna, una cattedra offerta dal dipartimento di matematica dell’università, Leo aveva lasciato vagare la sua mente e aveva dimenticato di essere discreto. Dannazione, c’era un motivo per il quale beveva di rado. Pur essendo alto un metro e ottanta e pesando più di ottanta chili, la sua resistenza all’alcol era praticamente inesistente.

    Anna spostò la bottiglia di Grey Goose dall’altra parte del tavolo. «Le relazioni di ripiego non funzionano mai».

    «Come fai a saperlo?» le rispose. «Hai mai provato?»

    «No» disse. «Ma non ho bisogno di sbattere la testa contro il muro per sapere che farà male».

    Il giorno dopo Anna gli presentò un’altra amica, una professoressa di complemento con la quale era uscito per un po’. Si erano lasciati per lo stesso motivo per il quale finiva la maggior parte delle sue relazioni: il sesso e l’amicizia non bastavano, ma erano le sole cose che lui poteva offrire. Almeno a qualcuna che non fosse Becca.

    Leo sospirò e bevve un altro sorso di tè freddo. Il calore e il rumore cominciavano a dargli fastidio, c’erano troppe persone concentrate in uno spazio troppo piccolo. Chiunque si fosse occupato delle prenotazioni dell’evento di quel giorno, doveva aver sottovalutato l’affluenza di gente, probabilmente pensando che in pochi si sarebbero presentati in un fine settimana di vacanza.

    Ma quattro Luglio o meno, il cibo e l’alcol attiravano sempre le persone, soprattutto i dottori appena laureati che stavano per cominciare il loro primo anno di apprendistato. E il personale non aveva bisogno di essere incoraggiato per far festa a spese del dipartimento.

    Solo la facoltà clinica aveva avuto bisogno di essere spronata a partecipare. La settimana prima, la cattedra di ortopedia aveva mandato un promemoria per ricordare a tutti la festa annuale di benvenuti al praticantato. Un’altra e-mail esortava i dottori a portare chiunque volessero, cosa che era permessa molto di rado in un’epoca di taglio dei costi e continui controlli da parte del governo.

    Quindi eccolo lì, a fare il suo dovere come un bravo Komsomolets. Forse il comunismo era morto in alcune zone del mondo, ma i suoi dogmi di volontariato imposto erano ben vivi e in forma nel dipartimento di ortopedia.

    La porta della terrazza si aprì, lasciando entrare un’ondata di calore. Leo guardò oltre la propria spalla e s’irrigidì. «Ciao, John».

    L’uomo che stava entrando si fermò mentre sistemava l’orlo della camicia dentro i pantaloni. «Oh» disse sollevando lo sguardo. «Ehi».

    La porta si aprì di nuovo. Una bionda con le radici scure e le tette esagerate che conosceva si fece largo dietro John. Invece della solita uniforme da infermiera con il cartellino, indossava un tubino nero che lasciava ben poco all’immaginazione.

    La donna fece scorrere un’unghia dipinta di rosa fluorescente sul braccio di John. «Ci vediamo dopo?»

    Lo sguardo di John scattò verso di lei. «Certo». Si allontanò ed esaminò la stanza. «A dopo».

    Leo era quasi dispiaciuto per lei: perché le donne impazzivano per degli uomini che le trattavano così male? C’era da dire che quella donna in particolare non era del tutto senza colpe. Lavorava nel dipartimento abbastanza a lungo da sapere che John aveva una fidanzata che abitava con lui.

    Il sorriso della ragazza s’incrinò quando notò Leo accanto a lei. «Dottor Kogan. Salve. Scusi, io devo... ehm... mi scusi...»

    Si allontanò rapidamente.

    «Odio quelle appiccicose» disse John. «Una scopata e pensano che tu debba loro qualcosa».

    Leo s’irrigidì: che cosa ci vedeva Becca in quel troglodita?

    John si sistemò il colletto. «Non ne farai una questione di stato, giusto?»

    «Di quale parte parli?» borbottò Leo. «Il fatto che tradisci Becca? Oppure le molestie sessuali al personale?»

    «Di che cosa stai parlando?» John riportò lo sguardo su Leo. «È stata consenziente».

    Non aveva negato il tradimento. Odioso figlio di puttana. «Uno di questi giorni» disse Leo «ci faranno causa per colpa tua».

    John scacciò via quel commento. «Non fare la femminuccia, Kogan. Mi ha praticamente supplicato. E se dovesse affermare qualche altra cosa, a chi pensi che crederanno in amministrazione? A me o a una puttanella che non ha nemmeno finito il liceo e risponde al telefono per pagarsi da vivere?»

    Leo fece una smorfia. Non sentiva delle simili stronzate misogine da quando andava al college. «Se ti piace così tanto stare con le altre» disse «a che ti serve una fidanzata?»

    John fece spallucce. «Rebecca ha bisogno di poca manutenzione. Non ha molta immaginazione a letto, ma compensa in altri modi. Cucina da dio, si occupa della casa e suo padre è ricco sfondato. E questo, amico mio, compensa molte altre cose».

    Leo strinse il pugno. Ci volle uno sforzo tremendo per impedirsi di dare un pugno sul naso a quell’uomo. Ma la violenza non era la soluzione. Forse Leo se ne sarebbe dimenticato un giorno, ma non quel giorno, non con la stanza piena di colleghi ad assistere e Becca...

    Guardò attraverso la stanza, cercandola nell’ultimo posto dove l’aveva vista. Stava insieme alle mogli di alcuni ortopedici, annuendo e sorridendo nell’ascoltare qualcosa che aveva detto una di loro. E poi sollevò lo sguardo dritto verso di lui e per un attimo Leo si sentì come se il rumore, il calore e la folla si fossero allontanati.

    «Pensi che sia rimasto qualcosa da mangiare?» disse John, riportandolo alla realtà.

    Leo fece un respiro profondo. «Sì» disse indicando il tavolo del rinfresco con un cenno del capo. «Le cibarie sono da quella parte».

    CAPITOLO DUE

    Becca mescolò tre cucchiaiate di marmellata di lamponi senza semi in una ciotola di meringa. La lavorò lentamente, spaccando a metà l’impasto, per poi riportare la spatola verso il lato della ciotola. Immersione, planata, un quarto di giro; quei movimenti erano fluidi e aggraziati come quelli di una ballerina.

    Sentiva la tensione calmarsi a ogni colpo. Il respiro e i battiti rallentarono. L’ansia della vita di tutti i giorni, di dover mantenere il passo a rotta di collo per evitare di restare indietro si sciolse come per magia.

    Adorava cucinare, adorava il rituale del misurare farina e zucchero, aggiungere un pizzico di sale e di lievito, di impastare a mano. Adorava trasformare una manciata di ingredienti comuni in qualcosa che dava piacere a ogni morso. Ma soprattutto adorava l’effetto sedativo e quasi meditativo di trovarsi in cucina, circondata dai dolci profumi della sua infanzia.

    In sottofondo le voci di Pavarotti e Freni s’intrecciavano nell’ouverture de La Bohème. Becca canticchiò mentre mescolava la meringa fino a renderla un impasto omogeneo e poi lo dispose a forma di rosette su un foglio di carta forno.

    Il telefono squillò mentre stava frullando insieme crema e cioccolato per il ripieno della ganache.

    «Ottimo lavoro» le disse il suo capo quando Becca rispose. «Ma adesso il cliente vuole una funzionalità aggiuntiva. Spero che non avessi programmi per il fine settimana».

    «Starai scherzando». Si poggiò al bancone. «Sono stata sveglia tutta la notte a scrivere il codice per l’ultima modifica che volevano».

    «Lavorare dalle nove alle cinque del pomeriggio non ti dà diritti di opzione. Ti mando per e-mail quello che vogliono. Fammelo avere per lunedì». E chiuse la chiamata.

    Fantastico. Poteva smettere di sperare di aver finalmente finito quel progetto. Ci aveva già passato più ore di quanto avesse fatto con qualunque altro progetto al quale avesse lavorato. Tenendo conto che aveva cominciato a lavorare per quella ditta appena finito il college più di dieci anni prima, e che non era la prima volta che lavorava da sedici a diciotto ore al giorno, questo la diceva lunga.

    Si ritrovò a chiedersi ancora una volta se i vantaggi del suo lavoro compensassero le sue richieste. Certo, poteva lavorare da casa e sì, la sua paga le garantiva più confort e indipendenza di quanto potessero permettersi i suoi colleghi. Ma se non aveva mai il tempo di godersi quelle cose, valeva la pena di lavorare senza sosta e subire lo stress delle scadenze?

    Non vedeva l’ora di passare un tranquillo fine settimana con John; tra i suoi orari di lavoro e quelli di Becca, si vedevano di rado in quei giorni, nonostante abitassero insieme e dormissero nello stesso letto. Doveva essere un’opportunità per riconnettersi, solo loro due. Nessuna mascherata di facciata agli eventi sociali di lavoro, nessuna maratona di lavoro al computer per rispettare una stupida scadenza.

    Dannazione.

    Il timer del forno trillò.

    Forse le modifiche che il cliente desiderava erano abbastanza veloci e facili da eseguire. Forse bastava scrivere un po’ al computer, aggiungere una riga o due al codice...

    Sognare era lecito.

    Sospirò e afferrò un guanto da forno.

    ~

    Sei ore dopo, Becca era poggiata alla spalliera della sua sedia, con gli occhi troppo stanchi per concentrarsi sullo schermo del computer. La sua ultima tazza di caffè era poggiata accanto alla tastiera, praticamente intonsa. Tese una mano verso la tazza, poi cambiò idea quando il suo stomaco si rifiutò di accettare altra caffeina.

    Quello di cui aveva davvero bisogno era una bella dormita. Però se fosse andata a dormire questo significava che avrebbe passato la notte in bianco un’altra volta e la mattina dopo sarebbe stata troppo stanca per essere produttiva. Le sarebbe servito almeno un altro giorno di programmazione davanti a sé. E questo sempre se non fossero sbucati degli errori di programmazione da risolvere.

    Si alzò e si stirò. Forse una doccia calda e un viaggio veloce all’ospedale l’avrebbe tirata su. Riuscire a ritagliarsi qualche minuto tra i vari casi di John non avrebbe compensato il fine settimana che avevano perso, ma era meglio che niente. Le meringhe sarebbero state il suo biglietto d’ingresso: un contenitore per il personale e un altro per le infermiere del reparto Risveglio post-anestesia.

    All’ospedale, Becca prese un cartellino per i visitatori dal bancone della sicurezza e salì al piano di sopra. Una delle infermiere di ortopedia era nella stanza di riposo quando Becca entrò. La donna sembrò sorpresa di vederla.

    Becca sollevò la busta con il cibo come se fosse un talismano. «Li ho preparati oggi. Nuova ricetta».

    Bastò quello a fare la magia. Un’infermiera di Medicina Chirurgica si avvicinò subito a loro, seguita da una delle impiegate del piano.

    «Posso controllare di nuovo» disse l’impiegata dopo aver divorato la sua seconda meringa. «Ma sono abbastanza sicura che il dottor Hunter non era di turno in sala operatoria oggi».

    Becca si accigliò. «Eppure avrei giurato che...»

    L’infermiera in camice scosse la testa. «Mi dispiace, tesoro, non l’ho visto neanch’io».

    «Forse è in clinica» suggerì l’altra infermiera.

    Non era nemmeno lì.

    La donna che l’aveva informata doveva essere nuova, aveva un nome e un viso che Becca non riconosceva.

    «Patty è qui?» chiese Becca, sperando che la solita receptionist della clinica avrebbe saputo dove si trovasse John. Ma a quanto sembrava John non era l’unico che non si trovava.

    «No, signora» disse la sostituta. «Patty si è presa una giornata libera. Vuole lasciare un messaggio oppure posso aiutarla io?»

    Becca batté le palpebre. Alle sue spalle qualcuno tossì e sentì un flusso di conversazione in spagnolo misto al rumore dell’acquario in un angolo.

    «Signora» la chiamò la donna al bancone. «Se va a sedersi, vedo se il dottor Kogan riesce a trovarle uno spazio libero. È l’unico disponibile oggi pomeriggio».

    «Oh. No... va tutto bene». Becca si allontanò dal bancone e guardò la stanza d’attesa affollata. E adesso?

    Il rumore del telefono che suonava la strappò ai suoi pensieri. Ma certo. Cercò il suo iPhone e cominciò a scrivere.

    Dove sei?

    Passò un minuto. Poi due. Forse c’era stato un incidente. Ma anche se così fosse stato, non si sarebbe allarmato nessuno se John non si fosse presentato al lavoro?

    Il senso di disagio che l’aveva attanagliata tutto

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