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Rinascita ad Harlem
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Rinascita ad Harlem

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“Un omicidio commesso in seno all’alta borghesia nera, un esaltante racconto di un’epoca ormai terminata… un ricco, vibrante ritratto di quel tempo leggendario in cui il battito del cuore di Harlem rappresentava il ritmo dell’America di colore”

- THE BOSTON GLOBE

Siamo nel 1926. Anni fa, David McKay, un promettente avvocato proveniente da una delle famiglie più in vista di Harlem, è scomparso dalla circolazione, durante una missione sotto copertura nel profondo Sud degli Stati Uniti. Ora, è tornato a New York, richiamato dalla notizia del suicidio della sorella. Quanto più a fondo va nell'indagare la morte di Lilian, tanto più il suo oscuro segreto rischia di venire rivelato, un segreto che potrebbe annientarlo. Riuscirà a sopravvivera abbastanza a lungo da scoprire l'amara verità sulla morte della sorella?

LanguageItaliano
Release dateApr 12, 2020
ISBN9781071539989
Rinascita ad Harlem

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    Rinascita ad Harlem - Persia Walker

    1

    Il Ritorno Del Figliol Prodigo

    Il fratello maggiore di Lilian era rimasto lontano da casa per molti anni, ma era cambiato poco, perlomeno nell’aspetto. Aveva 35 anni. Le sue tempie avevano già un tocco di argenteo, ma per il resto la sua chioma era ancora nera e folta. Alto e snello, aveva un volto ovale, dalla carnagione olivastra e dal profilo affilato e deciso. Aveva conservato gli splendidi occhi neri che un tempo avevano vinto la resistenza di molte donne. Il tempo ne aveva solo amplificato l’espressività. La maturità li aveva resi più profondi e l’esperienza più tristi. Era consapevole del loro effetto sulle donne, ma era più propenso alla solitudine e, anche se la compagnia femminile non gli dispiaceva, temeva sempre che, prima o poi, una donna gli avrebbe chiesto più di quanto fosse in grado di dare. O peggio, temeva che una volta dato tutto quello che poteva dare, l’avrebbe poi abbandonato, delusa.

    Di bell’aspetto e dai modi eleganti, David McKay era noto per il vestiario curato, modesto e di ottimo gusto. Pur in assenza di buchi, brandelli, lembi penzolanti o bottoni mancanti, i suoi vestiti emanavano tuttavia un’aria impalpabile di stanchezza. Ma anche così, risultava essere un uomo molto attraente, che spiccava in mezzo a qualsiasi folla. Quel giorno, il suo cappotto nero era abbottonato strettamente contro la gelida aria di inizio primavera. Indossava il cappello in modo da coprire gli occhi e stendervi un’ombra, senza però nascondere il lampo di tristezza che li attraversava.

    Come sua sorella, David preferiva rimanere lontano dalle luci della ribalta. Ma la sua aura di calma distintività faceva sì che venisse notato anche dall’osservatore più distratto. Ciò era ancora più evidente in quel freddo giovedì di marzo, a causa del silenzioso dolore nei suoi occhi. Il cupo cielo del crepuscolo rendeva il suo pallore ancora più evidente. Il dolore aveva dipinto con un tocco di grigiastro la sua carnagione. La tensione aveva tracciato dei solchi sul suo bel volto. Era smagrito a causa dello shock, del lutto, della mancanza di sonno. Sua sorella era morta e sepolta da circa tre settimane, ma lo aveva scoperto solo il giorno prima.

    Aveva rimosso la maggior parte delle ultime 24 ore. L’ultima cosa che ricordava era quel telegramma che lo aveva richiamato a casa, ricevuto mentre pranzava nel suo ufficio, a Philadelphia. Aveva una memoria eccellente. Per quanto utile potesse essergli stata in passato, a volte assorbiva dettagli che avrebbe preferito poter rimuovere. Le parole del telegramma, per esempio, sarebbero rimaste incise nella sua memoria fino al giorno della sua morte. Avevano sconvolto il suo mondo. Quando aveva lasciato l’ufficio del suo studio legale ed era arrivato a casa per fare i bagagli, si sentiva confuso e disorientato come un uomo che si era trovato a camminare a testa in giù.

    Lilian era parte di lui. Era quasi impossibile accettare che se ne fosse andata. Si era dibattuto tra torpore e angoscia. La sua mente, così come il suo cuore, avevano lottato, respingendo l’idea della sua morte. Avvertiva la sua presenza nell’aria intorno a lui, un calore gentile che portava con sé un tocco del delicato profumo in polvere che era solita usare. Aveva persino creduto di vedere il suo volto in mezzo a una folla.

    Non aveva mai pensato che Lilian potesse morire. Non la vedeva da quattro anni, ma, a volte, riusciva a immaginarla mentre scriveva poesie, seduta alla sua scrivania, o leggere il giornale nel salotto, davanti al caminetto. Quelle immagini lo facevano sentire al sicuro. Le evocava nei momenti di maggiore incertezza. Lilian era solida, fidata, senza grilli per la testa, non cambiava mai. Poteva essere d’accordo o meno con le sue scelte di vita, ma c’era sempre stata per lui.

    Non era solo la notizia della sua morte che lo aveva sconvolto; anche il modo in cui era morta lo spiazzava. Il telegramma diceva che si era suicidata. Quando la vita di Lilian era diventata così insopportabile da farle considerare la morte come l’unica soluzione? E perché?

    Gli aveva spedito una lettera ogni primo giorno del mese per circa due anni, a partire dal gennaio del 1923. Le sue lettere non trasmettevano alcuna insoddisfazione per la sua vita. Erano sempre affettuose e vivaci, piene di innocui ma arguti pettegolezzi o novità sulla sua carriera di scrittrice. Le sue lettere erano arrivate con puntuale regolarità fino a un anno prima, marzo 1925, per poi terminare all’improvviso.

    Si era detto che avrebbe dovuto preoccuparsi per l’interruzione della corrispondenza. Forse avrebbe dovuto approfondire. L’ultimo suo messaggio lo implorava di tornare a casa. Non aveva risposto.

    Ora desiderava di poter avere avuto un’ultima possibilità di abbracciarla e dirle quanto fosse orgoglioso di lei, di confessare e spiegare l’inspiegabile. Ma ora non ne aveva più la possibilità, non avrebbe più potuto farlo… mai più. E questo lo raggelava.

    Lottando per prepararsi ad affrontare l’irreparabile, tentò inutilmente di far conciliare l’enorme contraddizione tra la sua drammatica morte e il suo amore per la riservatezza. Lilian era una donna orgogliosa, gentile, apprezzata per la sua solida disciplina, i gusti raffinati e il carattere equilibrato. Se qualcuno avesse mai scritto un libro su di lei, il titolo sarebbe stato sicuramente "Orgogliosa del suo posto al mondo." Era una persona riservata, cresciuta con una coscienza profondamente radicata dei suoi doveri nei confronti della famiglia, della sua classe e della sua razza… esattamente in quest’ordine. Rigorosa conformista, si sforzava affinché il suo nome fosse sinonimo di appropriatezza, raffinatezza e di modi squisiti. Salvaguardava scrupolosamente la sua privacy ed evitava in ogni modo di entrare in contatto con chiunque tenesse un comportamento inappropriato. Era orribile l’ironia per cui un momento della vita privato come lo era la morte fosse quello che l’aveva resa oggetto di scandalo su tutti i giornali di pettegolezzi.

    Aveva completamente perso il senso del tempo durante il suo viaggio in treno da Philadelphia. La paura lo aveva dilatato, rendendolo eterno. Ma, al tempo stesso, lo aveva accorciato, facendolo arrivare a destinazione fin troppo rapidamente. Aveva messo le mani su una copia del New York Times, ma né le ultime notizie sui casi di corruzione del partito democratico a Tammany Hall, né il circo mediatico intorno al caso di Sacco e Vanzetti riuscirono a distrarlo. La sua mente, sconvolta, lottava per non pensare all’appuntamento ormai sempre più vicino con la sua personale realtà. La vaga, protettiva speranza che si fosse trattato solo di un terribile errore si fece strada nella sua testa, accompagnandolo per l’intero viaggio. Ma questa falsa convinzione lo abbandonò non appena il treno si fermò a Manhattan.

    Questo accadeva meno di un’ora prima. Ora era in piedi di fronte ai gradini dell’ingresso della casa dei suoi genitori, situata nell’elegante via di Strivers’ Row ad Harlem, profondamente disorientato e con la sua unica valigia al fianco. A quanto pareva, l’unica persona presente ad accoglierlo era la cameriera di famiglia: la vista del suo caro e familiare viso lo rallegrò.

    Il volto appassito di Annie Williams si illuminò, quando lo vide. Le mani le salirono alle guance e i suoi occhi scuri si ingrandirono per lo stupore.

    Signorino David, siete voi? Siete proprio voi?

    David annuì impercettibilmente e sorrise appena. Percepiva lo stupore di lei trasformarsi in gioia, alleviando momentaneamente il suo dolore, e sentì il peso che aveva sul cuore farsi più leggero. Dio, quanto gli era mancata! Lei era sempre stata lì, da che aveva memoria. Lasciò che i suoi occhi indugiassero su di lei.

    Aveva la pelle del colore dello zenzero, la sua spezia preferita. Era una donna magra, filiforme, dalla forza sorprendente per una persona della sua taglia. Aveva quasi sessant’anni. Normalmente, sembrava più giovane rispetto alla sua età, ma il dolore per la morte di Lilian l’aveva fiaccata. I suoi occhi erano infossati e circondati da un alone grigio scuro.

    Dove siete stato finora, signorino David? Ci siete mancato un sacco. Avremmo avuto bisogno di voi, proprio!

    Impegni per il Movimento rispose, distogliendo lo sguardo.

    Quando non siete tornato è stato terribile! Pensavamo che eravate morto, andato! Nessuno sembrava sapere nulla! Quei tipi del Movimento hanno pure offerto ricompense. Ma hanno scritto solo tante fesserie, niente di importante. E la signorina Lilian diceva di sapere dove eravate. Non le do la colpa per non averci detto nulla, aveva sicuro le sue ragioni… ma…

    Riuscì a sorridere e si costrinse a guardarla.

    Le ho chiesto di essere discreta.

    Bè, non posso dire nulla, ma dei cuori potevano sentirsi più leggeri, a sapere che stavate bene.

    Lo fece entrare. Fino a quel momento, si era chiesto se sarebbe stato in grado di rimettere piede in quella casa, ma con Annie ad accoglierlo non era difficile.

    Mi sto comportando come un bambino, pensò.

    E, come un bambino, lasciò che lei lo aiutasse a togliersi il cappotto. Lo spazzolò con le mani e lo appese nell’anticamera dell’ingresso.

    Stavo sistemando le cose della signorina Lilian, dopo il funerale, e ho trovato il vostro indirizzo. Se lo sapevo prima dove eravate, forse potevate fare la differenza. Ma forse anche no. So solo che sono contenta che siete qui. Sono contenta che siete tornato, proprio!

    Gli occhi di lei lo guardarono con devozione. Erano passati anni da che aveva visto per l’ultima volta tanto amore nei suoi confronti sul volto di un’altra persona. Si buttò tra le sue braccia e si strinsero, finalmente, senza sapere chi stesse confortando chi.

    A suo modo, Annie aveva cresciuto lui e le due gemelle, Lilian e Gem. Li aveva visti vivere i primi amori e i primi dolori, aveva festeggiato con loro quando avevano ottenuto riconoscimenti scolastici e insieme a loro si era rattristata quando avevano fallito. Si poteva dire che fosse fiera dei figli dei McKay come avrebbe potuto esserlo dei suoi. Mentre lo abbracciava, le sue mani piatte, a forma di vanga, gli batterono affettuosamente sulla schiena.

    Come se fossi un bambino, pensò. La sto lasciando consolarmi come un bambino. Tutti questi anni lontano da casa e ora che sono tornato…

    Coraggio, signorino David, ci preparo qualcosa da mangiare!

    Annuì e la seguì, mentre lei lo accompagnava lungo il corridoio. Si muoveva con una lentezza irriconoscibile, come se gli anni fossero dei mattoni sulle sue spalle. La spalla sinistra di Annie era di un po’ più alta rispetto quella destra e si ergeva al di sopra della curvatura della schiena. Non lo aveva mai notato prima. Camminava con una leggera zoppia. Non la ricordava così fragile, così stanca.

    Cos’altro era cambiato? Allungò un orecchio. Non sapeva cosa si aspettasse di udire, ma sapeva cosa stava sentendo.

    Silenzio, vuoto. Nessun segno di vita, di amore, risate. Solo un silenzio roboante che riempie ogni angolo e anfratto. Un vuoto silenzio che fa echeggiare tutti i pensieri, ogni battito del cuore.

    Diede un’occhiata a quanto lo circondava: i quadri alle pareti, i tavolini decorati con motivi floreali all’ingresso. I suoi occhi sapevano cosa aspettarsi, ma nulla di quanto vedeva riusciva a toccargli il cuore. Si sentiva distaccato, distante e quello che provava lo rassicurava.

    Era come se si trovasse in un luogo che aveva sempre solo sognato.

    Ma poi il suo sguardo cadde sulla nera, lucida porta a sinistra della libreria. Quella era la porta che aveva fatto la guardia al cuore della casa. Quella era la porta che aveva infestato i suoi sogni d’infanzia e anche ora…

    Trattenne il respiro e sollevò le spalle. Contò i suoi passi e mantenne lo sguardo fisso davanti a sé. Ci stava mettendo un’eternità, a raggiungere quella porta. Ogni passo rimbombava, accompagnando il battito del suo cuore. L’atrio sembrava contorcersi ed espandersi. Poi, oltrepassata la porta, il corridoio riacquisì la sua vera forma. Riprese fiato.

    Entrarono in cucina. Era calda e confortevole, familiare con il suo ricco mix di profumi.

    Aveva le giunture indolenzite a causa del lungo viaggio in treno. Si accomodò su una sedia e lasciò correre gli occhi stanchi attraverso la stanza immacolata: sull’orologio alla parete, sul fornello a gas, sul lavandino di ceramica e il frigo. Il suo respiro rallentò.

    Quanti pasti sono stati preparati qui…

    La cucina era il regno di Annie. L’aveva fatta sua, trasformandola in molto più di un posto dedicato al solo nutrimento del corpo. La cucina di Annie era una sorgente di calore, un luogo destinato a conversazioni fatte col cuore in mano. Era il posto in cui crollare e piangere o scoppiare a ridere, in cui poter essere liberi per un istante da ciò che poteva essere appropriato o meno in una prestigiosa famiglia nera. Mai prima d’ora si era sentito così consapevole del ruolo che la cucina di Annie aveva avuto nella sua vita. Mai prima d’ora aveva invidiato così tanto il bambino che era stato.

    Annie si muoveva attraverso la cucina, canticchiando sommessamente tra sé e sé. La guardò mentre faceva bollire l’acqua e scaldava qualcosa. Non venne detto altro, mentre il contenuto di un pentolino sobbolliva.

    In breve tempo, gli mise davanti una tazza di caffè nero e una scodella piena di una densa zuppa di verdure. Annie andò verso la dispensa e prese del pane e del burro. David mangiò in silenzio. Per un po’, si sentì solo il tintinnio del cucchiaio contro le pareti della scodella.

    Annie si versò una tazza di caffè e si sedette al tavolo, di fronte a lui. Percepì gli occhi di lei soffermarsi su di lui, con affetto. Immaginò cosa Annie fosse convinta di vedere: un brav’uomo di natura gentile e affettuosa, un uomo che perseguiva ideali coraggiosi. Poteva immaginarla mentre parlava con le amiche, mentre lo descriveva, prima che se ne andasse.

    Sempre così ben vestito, coi suoi completi inglesi alla moda. Mai un capello fuori posto, le camicie sempre perfettamente stirate, i pantaloni perfettamente piegati. Il bel David McKay, lo chiamavano le ragazzette. Quelle pupette andavano pazze per il mio David e per i suoi capelli morbidi. Ma mica aveva tempo per loro. Era impegnato a studiare. Voleva fare l’avvocato e questo poi ha fatto. Dopo che è tornato dalla guerra, è andato all’università, a Howard, e s’è fatto una bella educazione. Poi ha trovato lavoro col Movimento. L’hanno spedito a sud. Un lavoro pericoloso, nei posti più rischiosi. Questo nel ’22. Sicuro, c’era un sacco di roba per tenere occupato un avvocato nero. E ancora c’è. Purtroppo, ancora c’è.

    Pensò a una cittadina della Georgia e il suo senso di benessere svanì. Si sentì rabbrividire. Dopo essersi unito al Movimento, era praticamente sparito. Aveva tenuti segreti i suoi recapiti a tutti, tranne che a Lilian.

    Ma Annie? Aveva letto le sue lettere? No, era improbabile. Era curiosa, ma sapeva rispettare gli affari altrui. In più, era stato attento a mantenere neutre le sue lettere.

    Dopo aver finito la sua zuppa, appoggiò con cura il cucchiaio e il tovagliolo a lato della scodella. La stanza era stata invasa da un silenzio pesante, sospeso. La sua testa era piena di domande. Così tante domande... Affollavano la sua mente come genitori sconvolti attorniavano la scena di un incidente, alla ricerca dell’impossibile, dell’irraggiungibile… una soluzione, una risposta, una spiegazione alla domanda che tutti i sopravvissuti si trovavano ad affrontare: perché?

    Cos’è successo? chiese. Cosa l’ha spinta a fare una cosa del genere?

    Annie avvolse le mani intorno alla sua tazza di caffè. Era vecchia e sbeccata. Si rese conto all’improvviso che era quella che le aveva regalato a Natale quando aveva dieci anni. Aveva speso tutta la sua prima paghetta, per quella tazza.

    Non so se vi posso dare una risposta, signorino David. Ho visto accadere molto in questa casa e ci ho fatto qualche pensiero, ma sono solo le idee di una vecchia.

    Non ricordava che Annie avesse mai mentito o avesse nascosto qualcosa, quando si trattava di dire la verità.

    Annie, sono io. Qualsiasi cosa tu voglia dire, in qualunque modo tu lo voglia dire, vai pure avanti.

    Lei distolse lo sguardo e guardò fuori dalla finestra, dove una coppia passò, spingendo una carrozzina. Il marito disse qualcosa alla moglie, che emise una risata acuta.

    La cucina era silenziosa, così silenziosa che David poteva sentire il suo respiro. Aspettò. Sapeva essere paziente. In qualità di avvocato, aveva imparato ad essere paziente. Lo sguardo di Annie tornò a incrociare il suo.

    Lo vuoi davvero sapere? sembravano dire i suoi occhi. , risposero quelli di David. Lo voglio sapere.

    Ho bisogno di sapere, disse David.

    Le mani raggrinzite di lei tremarono. Bè… Tante cose sono successe dopo che siete andato via, signorino David. Terribilmente tante. Le sue parole lo colpirono dolorosamente.

    Vai avanti, sussurrò, la voce improvvisamente incerta, soffocata, forzata.

    Non so da dove cominciare. È difficile, con tutto quello che ho visto e sentito. le cedette la voce. La signorina Gem è tornata per un po’…

    "Gem è qui?"

    No, è ripartita. Non è rimasta a lungo. Abbastanza da cercare di creare guai. Un’espressione di disapprovazione le passò sul volto, rapidamente. Comunque, è partita dopo qualche mese. Non s’è sentito più nulla, fino a che la signorina Lilian non è morta.

    Lo sa?

    Credo di sì. Le ho mandato un telegramma. Non m’ha mai risposto. Mai ripresentata. Non so che cosa farci, nessuno sa che fare, con lei.

    David aveva le sue opinioni in merito, ma rimase in silenzio.

    Vai avanti.

    Bè, la signorina Rachel - sapete, era sparita per un po’- è ricomparsa. Il cuore di David ebbe un piccolo fremito. Mantenne un’espressione impassibile. E poi… per la signorina Lilian… si interruppe.

    Sì?

    S’è ammalata. In testa. E manco un dottore sapeva come aiutarla, Annie intrecciò le dita. Ma corro troppo. Il più grosso cambiamento, quello da cui voglio cominciare, è che la signorina Lilian s’era fidanzata e sposata.

    Le palpebre di David si sollevarono involontariamente, poi si richiusero come tapparelle abbassate con foga su una finestra. Sposata. Rabbrividì e si stupì della sua reazione. Sicuramente, la notizia del matrimonio di sua sorella avrebbe dovuto venire accolta con felicità.

    Avrebbe dovuto anche venire condivisa, tanto per cominciare.

    Perché non me lo ha mai detto? Non ha mai scritto una parola sull’argomento, nemmeno accennato. Tutte quelle lettere piene di finta apertura. Mi ha mentito, non dicendomelo.

    All’improvviso, si sentì furioso. Subito dopo, se ne vergognò. Come poteva essere arrabbiato con una morta?

    Mi chiedevo se ve lo aveva scritto o detto, disse Annie Penso di no, non lo ha detto a nessuno.

    Vuoi dire che lo ha tenuto nascosto?

    "Il mese prossimo sono due anni esatti. Se l’è baciato a marzo e sposato ad aprile. Si sono conosciuti in un mese. L’ha incontrato alla cena di gala di quelli dei diritti civili del Black Arrow, al Club Civic. Avete sentito della cena, no?"

    … La cena aveva suscitato un bel po’ di chiacchiere. Se ne era scritto ampiamente, nella stampa nera. La cena aveva presentato la crema degli intellettuali di Harlem agli editori bianchi più influenti. Si era tenuto al Club Civic, perché il ristorante della Fifth Avenue era l’unico club di classe di New York che accettasse qualunque avventore, indipendentemente dal genere e dal colore. Era il posto perfetto per far incontrare intellettuali neri e bianchi liberali eminenti. In quanto scrittrice e editrice per il Black Arrow, Lilian avrebbe dovuto inevitabilmente essere presente.

    Si allentò il colletto. Che tipo di uomo poteva aver finalmente conquistato il cuore di Lilian? Si era fatta rapidamente delle amiche e aveva mantenuto i contatti con loro con facilità, ma aveva sempre tenuto gli uomini a fredda distanza.

    Dunque, chi è stato il fortunato?

    Si chiama Sweet, il signor Jameson Sweet. È via per affari, sarà qui domenica. Magari lo conoscete, anche lui lavora per il Movimento.

    Una luce brillò nei profondi occhi di David. Rimorso, ansietà e paura roboarono nel suo petto come treni impazziti. Sapeva di essersi assunto un rischio, tornando, ma il pericolo era più prossimo di quanto avesse immaginato. Sentiva che Annie lo stava osservando, con occhi colmi di intuizione e intelligenza, e si sforzò di rimanere calmo. Doveva stare attento: lei sapeva essere gentile come una colomba, ma astuta come una volpe.

    Signorino David, ho preparato la vostra stanza, proprio per voi, diceva, gentilmente. Ci ho dato una bella ripulita, quando ho saputo che arrivavate.

    No, è meglio se prendo una stanza in hotel.

    Ma è la vostra casa.

    Non più, avrebbe voluto dire.

    Meglio che me ne vada, ora. Non posso restare a lungo…

    "Oh, ma dovete rimanere!"

    La guardò. No, Annie. Ho degli impegni a Philadelphia, impegni di lavoro…

    "Avete degli impegni anche qui. Impegni di famiglia."

    Annie…

    La signorina Lilian se ne è andata e la signorina Gem ha attraversato l’oceano. Io sono solo una povera vecchia e non ci ho voce in capitolo. Rimanete voi solo per sistemare le cose.

    David socchiuse gli occhi.

    Sistemare le cose?

    Annie misurò le parole: Signorino David, voi ed io sappiamo… sappiamo che le cose non sono mai come sembrano… Lo guardò, come se il suo sguardo potesse spiegare tutto. Non ci riuscì.

    Sì… ebbene?

    Lo sguardo di lei si fece impaziente.

    Signorino David, gliela faccio semplice più che posso. Più di una volpe è entrata nel pollaio, mentre eravate via.

    Intendi dire che il marito di Lilian…

    Voglio dire che s’è sistemato bene in casa, bene proprio…

    Che tipo di uomo è?

    Duro, testardo. E non gli piace condividere, batté un pugno sul palmo della mano aperta. Sapevate che la signorina Lilian non voleva che si lasciava la casa a qualcuno fuori dalla famiglia, giusto?

    Aveva ragione. Quella bellissima casa era stata l’orgoglio di suo padre, il glorioso coronamento di una vita. Un imponente edificio in stile italiano del secolo scorso, lungo il viale alberato in 139th Street, vantava dodici stanze, finestre intelaiate e balconi di ferro ornati. Situata in Strivers’ Row, con la sua aria di raffinata esclusività la casa era un monumento al genio immobiliare di Augustus McKay. Era un consolidato simbolo del prestigio che la famiglia McKay godeva all’interno dell’élite di Harlem, oltre che un faro per l’invidia e l’odio altrui.

    Signorino David, non potete accettare di dare via la casa di vostro padre, così, Annie schioccò le dita. Non potete proprio.

    La guardò, fermamente, a lungo. Le intenzioni di lei erano buone, ma non poteva sapere. Come poteva? Aveva rinunciato al suo diritto di rivendicare la casa come casa sua. Non era nella posizione morale per accampare diritti sulla casa dove era nato. Dubitava di poterlo mai fare. I piccoli muscoli ai lati della sua mascella cominciarono a sussultare. Aveva solo un’altra domanda.

    Le ha fatto del male?

    Le cose… come ho detto… non sono sempre quello che sembrano.

    Considerò la faccenda. Rimarrò qui fino a che non avrò parlato con Sweet. Forse riusciremo a raggiungere un accordo. Annie si chinò verso di lui, gli occhi infuocati: Signorino David, è tempo che vi prendete il vostro posto. Qui. Dovete prendere una decisione e dovete farlo ora. Poi sarà troppo tardi.

    Lo accompagnò sulle scale, canticchiando uno spiritual tra sé e sé. Si muoveva lentamente, ma David era ancora più lento. La sua valigetta sembrava diventare sempre più pesante a ogni passo.

    Una parte di lui era sollevata. Aveva atteso questo rientro da molto tempo. La notte precedente, aveva sognato che, nel rientrare a casa, sarebbe caduto in una trappola, che la sua famiglia, Strivers’ Row, Harlem – tutti insieme – lo avrebbero divorato, fatto a pezzi. Aveva visto ombre beffarde, sorrisi di supponenza e dita puntate. Agitandosi e girandosi, si era avvolto nelle lenzuola, strappandole per liberarsi. Quando finalmente si era svegliato di soprassalto, era confuso e disorientato, zuppo di sudore freddo. Aveva fissato il buio senza emozioni, con il cuore che gli rimbombava nelle orecchie. Sapeva che non avrebbe potuto fuggire per sempre, che un giorno sarebbe stato richiamato a casa. In un modo o nell’altro.

    È bello riavervi a casa, signorino David, disse Annie, spalancando la porta di camera sua e facendolo entrare. Ci ho dato una bella rinfrescata.

    Si offrì di disfargli i bagagli, ma lui scosse la testa. La guardò, teso, mentre si lanciava a sprimacciare cuscini che erano già stati sprimacciati e a lisciare una coperta che era già stata stirata. Poi gli scivolò accanto con un sorriso affettuoso e se ne andò, chiudendo la porta dietro di sé e lasciandolo solo, con tutti i suoi fantasmi.

    Capì quello che le persone intendevano quando dicevano che il tempo rimaneva sospeso. La stanza sembrava esattamente come lui l’aveva lasciata. Anche il paio in più di calzini blu che aveva tirato fuori e poi dimenticato sull’armadio era rimasto lì. Lasciò la sua valigia vicino alla porta, attraversò la stanza e spalancò l’anta dell’armadio. Anche quello era rimasto come lo aveva lasciato: vuoto, tranne che per un completo nero e l’uniforme dell’esercito. Accarezzò i risvolti del pastrano e mise un dito in uno dei polsini.

    Erano passati sette lunghi anni dalla guerra. Da quando gli Hell Fighters avevano marciato nella Fifth Avenue. Da quando la città aveva dato una cena in loro onore.

    Cristo, eravamo così orgogliosi allora, così fieri. E così pieni di speranza. Se penso a tutti i nostri sogni…

    Volti di uomini che aveva conosciuto gli passarono davanti agli occhi. Joshua Lewis, Ritchie Conway, Bobby Raymond… Aveva perso di vista tutti loro. Gli era piaciuto pensare che fosse andato tutto per il meglio per loro, ma da quello che aveva potuto vedere dopo il 1919, ne dubitava. Una settimana dopo essere tornato, il suo migliore amico, Daniel Jefferson, era morto con l’uniforme addosso, ed era stato un gruppo di americani, non di tedeschi, ad ucciderlo. Danny aveva avuto l’ardire di dire a una donna bianca, in Alabama, che era un uomo che aveva combattuto per il suo Paese e che meritava di meglio che essere chiamato negretto. Tempo un’ora, era stato ucciso.

    La guerra laggiù era niente, a paragone di quella che c’è qui.

    David passò le dita sulla sua medaglia. Aveva ricevuta la Croix de Guerre francese per aver affrontato e fermato da solo una squadra d’assalto tedesca.

    Le croci sono per gli eroi, pensò, per gli eroi… e lasciò cadere la mano dalla medaglia, come se all’improvviso si fosse scottato.

    I suoi occhi passarono alla giacca nera. Giugno 1921. Suo padre: un vecchio tenuto su da una pila di cuscini che stava morendo di tubercolosi; un uomo con una presa d’acciaio e la volontà di ferro.

    Devi portare a termine gli studi ad Howard. Devi diventare qualcuno. Fai la differenza e combatti per una giusta causa. E proteggi sempre, sempre, le tue sorelle.

    Poi c’era stato il funerale di suo padre, alla chiesa episcopale di Saint Philip. Come si conveniva a un uomo della statura sociale e finanziaria di Augustus McKay, il funerale era stato ricco, dignitoso. Un’impressionante carovana di costose automobili aveva accompagnato la sua bara al cimitero. Dopodiché, c’era stato un piccolo raduno a casa, per le persone che contavano.

    Dopo che gli ultimi ospiti se ne erano andati, David e Lilian si erano accomodati sul divano, l’uno vicino all’altra, dividendosi una teiera, lieti di avere un po’ di quiete. Gem si era lanciata nella stanza, allegra anche in abiti funebri. Vide il fratello e la sorella seduti insieme e si ingelosì all’istante: Complotti, sempre complotti. Qualcosa di intrigante, spero.

    David le aveva lanciato un’occhiata che l’aveva zittita all’istante. In realtà, la colse totalmente di sorpresa. Era stato colpito duramente dalla morte del padre e lo dava a vedere. Lui e Augustus non erano mai andati d’accordo. Che David lo ammettesse o meno, c’erano state diverse volte in cui si era augurato che morisse. Ma ora che il vecchio se n’era andato, ne sentiva la mancanza. Gem, invece, era stata veloce ad accantonare il lutto, posto che lo avesse mai vissuto. La sua mente era concentrata su una cosa soltanto: il denaro. Aveva suggerito a David e Lilian di comprare da lei la sua parte di casa. Era sicura che avrebbero accettato, come avevano poi effettivamente fatto. Era stata la prima e ultima volta in cui avevano deciso insieme qualcosa così rapidamente. Gem aveva preso il loro denaro ed era sparita in pochi giorni. David e Lilian supposero che se ne fosse andata all’ovest, dato che Gem aveva spesso parlato di Los Angeles, ma non ne erano sicuri. In realtà, non importava poi loro molto.

    Il giorno in cui abbiamo sepolto papà è stato l’ultimo in cui siamo stati tutti nella stessa stanza. Non che lo avessimo deciso in anticipo. O che ci aspettassimo che le cose andassero così.

    Lui e Lilian erano tornati presso le rispettive università: lui a Howard, Washington D.C., a studiare legge; Lilian studiava letteratura francese a Cornwell. Era poi entrata nella Phi Beta Kappa ¹. Che quello sciovinista di loro padre volesse ammetterlo o meno, Lilian era il cervello della famiglia. Gem avrebbe avuto il potenziale per diventare una poetessa dotata e formidabile, anche se molto radicale, ma aveva sprecato il suo talento. Dopo due anni passati a danzare, sprecando semestre dopo semestre, aveva interrotto gli studi presso l’università della California del Sud. Ma se Gem ha deluso le aspettative di nostro padre, così ho fatto anche io.

    All’interno della sua stanza, quella sera di marzo, provò una familiare ondata di vergogna. Certo, aveva mantenuto la promessa fatta ad Augustus, alla lettera, però, non spiritualmente, come avrebbe voluto il suo vecchio. Negli ultimi quattro anni si era allontanato sempre di più dalla casa del padre. Sarebbe riuscito a ritrovare la strada? Doveva, se voleva fare luce sulla morte di Lilian e acquisire nuovamente il controllo sulla casa paterna.

    David chiuse l’anta dell’armadio. Si diresse verso la finestra, separò le tende e lanciò un’occhiata all’esterno. La strada sembrava deserta, eccezion fatta per un uomo che portava a spasso il suo doberman. David rimase in piedi, pensando intensamente per qualche secondo. Poi lasciò ricadere le tende, andò verso la porta e uscì. Solo pochi passi a destra e lungo il corridoio, ed ecco che si trovava davanti alla camera da letto dei suoi genitori. Mise la mano sulla maniglia, ma esitò. Era lì che era successo. Ne temeva la visione. Eppure, sentiva il bisogno di entrare. Forse entrare in quella stanza lo avrebbe aiutato ad accettare la sua morte… il suo suicidio. Abbassò la maniglia molto lentamente ed entrò con cautela nella stanza.

    L’odore pungente di vernice fresca uscì dalla porta aperta, colpendo le sue narici. Trattenendo il respiro, si fermò sulla soglia. Non sapeva cosa aspettarsi, cosa avrebbe provato… certamente non la strana sensazione che lo pervase. Si sentiva come se fosse entrano nella ricostruzione della stanza di Lilian in un museo. Quel luogo calmo e silenzioso non poteva essere reale. Mancava di realtà, del senso di familiarità che era proprio della camera di Lilian. Non poteva trattarsi di un luogo reale. Ma lo è, si disse.

    Nella fredda luce di quella sera di marzo, la stanza appariva cupa. I pettini, le spazzole e lo specchietto di Lilian erano appoggiati su un tavolino da toeletta. Le spille per capelli erano allineate ordinatamente su un vassoio portaoggetti. Graziose bottigliette di profumo di Lalique erano ordinate su un lato del tavolo. Il copriletto era ovviamente nuovo, così come le tende. Sul comodino di fianco al letto era appoggiata una Bibbia, chiusa con nastri rossi, gialli e blu. Foto dei loro genitori e di lei insieme a Gem e David erano state disposte ad arte sopra la cassettiera posta di fronte al suo letto. Un sorriso triste aleggiò sulle sue labbra. Cera persino la foto di un cucciolo randagio che Lilian aveva adottato da bambina.

    Fece scorrere nuovamente gli occhi sulla cassettiera e si accigliò. C’era qualcosa che non tornava. Inizialmente, non riuscì a capire di cosa si trattasse. Poi, se ne rese conto. Tutte quelle foto di Lilian e della sua famiglia, ma nemmeno una di suo marito… Perché? Perché, se lo amava e il loro era un matrimonio felice, non c’era nemmeno una foto di lui tra le altre nella stanza?

    Mr. Jameson s’è trasferito dopo che è successo, disse una voce dietro di lui. Si girò di scatto: era Annie.

    Ha preso una stanza da un’altra parte.

    David annuì. Poteva capirlo. Lui non avrebbe certamente voluto continuare a dormire nel letto dove sua moglie era morta dissanguata. Fece qualche passo, all’interno della stanza. Annie lo seguì, si fermarono entrambi ai piedi del letto a baldacchino.

    È qui che è successo?

    Lei annuì: Mr. Jameson ha fatto portare un materasso nuovo. Rabbrividì e si afferrò le spalle con le mani. Il suo sguardo andò ai piedi del davanzale della finestra

    A volte… a volte chiedo al Signore perché ho dovuto trovarla proprio io. Ma credo che è stato meglio che sono stata io, non qualcun altro che non l’amava. Ci sono stata quando è nata. Era giusto che l’ho trovata io, quando se ne è andata.

    Chinandosi, David passò un dito sul copriletto nuovo. Di color avorio pallido… a Lilian sarebbe piaciuto. Si girò verso Annie.

    Parlamene, dimmi com’era quando l’hai trovata.

    Annie esitò, poi disse: Ha sofferto una brutta morte, signorino David, brutta proprio. Dicono di non toccare mai niente in questi casi, quindi ho lasciato il coltello che ha usato sul letto, dove era, ma ci ho chiuso gli occhi. E l’ho coperta con un lenzuolo. Poi ho chiamato la polizia. Mi sono seduta nella stanza per farci compagnia un’ultima volta, mentre aspettavamo. Ho pensato a tutti gli anni passati e tutte le cose che la signorina Lilian ha fatto per me. Mai mi potevo immaginare che moriva così. Era una così buona e cara bambina, così dolce… Era una signorina, una vera signorina, proprio. Lo sguardo di David corse nuovamente alle foto sulla cassettiera: Già, lo era…

    La polizia ci ha messo il suo bel comodo a venire. Per loro, era solo un’altra donna nera morta. Non sapevano niente di quanto era meravigliosa la signorina Lilian. E nemmeno ci importava. Io, non ho avuto problemi ad aspettare. Non mi piaceva vederla così, ma sapevo che era l’ultima volta che la vedevo.

    Il funerale, come è stato?

    Oh, sorrise Annie, è stato molto bello da vedere. E sono venute proprio tante persone. Hanno dovuto chiudere le porte di Saint Philip, per mantenere la calma. Ma bisognava aspettarsi questo. Visto quanto la vostra famiglia è conosciuta, bisognava aspettarsi tanta gente.

    Mi chiedo… mi chiedo quante, di queste persone, ci tenessero veramente a lei.

    Annie fu molto premurosa. Sapete come possono essere le persone, signorino David. Sapete come è la gente. Tanti che non c’erano per lei quando stava male e tanti che neanche la conoscevano… be’, tutti sono dovuti venire a vedere quella dolce bambina quando è morta.

    2

    Pensando Ad Harlem

    David si fermò sui gradini, si abbassò ulteriormente il cappello sugli occhi e chiuse più strettamente il cappotto. Avrebbe fatto una passeggiata, per sgranchirsi le gambe. Per vedere come era cambiata Harlem. E dimenticare quello che Annie gli aveva detto. Sono successe tante cose, da quando siete andato via.

    Rabbrividì e si sforzò di pensare ad altro. Il suo sguardo vagò da un lato all’altro della strada, registrando mentalmente le familiari case del vicinato. Dopo un minuto, sollevò il colletto del cappotto, scese i gradini dell’ingresso e si incamminò verso la Seventh Avenue.

    Essere di nuovo lì gli procurava una strana sensazione. Nel complesso, provava un senso di irrealtà; di nuovo quella sensazione che il tempo si fosse fermato. Gli alberi sembravano un po’ più grandi, ma nulla era cambiato nel quartiere. Era ancora tutto placido e immacolato. Qualsiasi fosse la stagione o il tempo, le case curate e ben tenute di Strivers’ Row avevano un aspetto regale e agiato, così come avrebbero dovuto essere. Dopo tutto, erano state progettate per le persone abbienti. Che quelle case andassero poi a finire nelle mani di proprietari neri era una probabilità che il costruttore originale, David H. King Junior, non aveva previsto.

    Quando nel 1891 King aveva commissionato al miglior architetto di New York, Stanford White, di progettare le case del lato nord della 139ª strada, aveva in mente abitazioni per benestanti famiglie bianche. E all’inizio era proprio di questo che si era trattato, di case per milionari bianchi, Randolph Hearst in testa. Ma una crisi colpì nel 1904 il ricco mercato immobiliare di Harlem, aprendo le porte ad acquirenti neri. Nel 1920, alcuni dei neri più in vista di New York, tra cui il Rev. Dott. Adam Clayton Powell Senior, James C. Thomas, Charles W. Anderson, si erano trasferiti ad Harlem.

    Già nel 1914 anche le famiglie nere di sostanze più modeste potevano permettersi un’abitazione ad Harlem. Nel 1917, gli agenti bianchi avevano cominciato a pregare per avere degli acquirenti che non fossero neri, pubblicizzando quanto fossero economiche le abitazioni. E dal 1920, anche abitazioni superbe come le ville a misura di re erano iniziate a passare nelle mani di professionisti afroamericani. Mentre le famiglie nere arrivavano, quelle bianche se ne andavano. Le villette di quella che sarebbe poi stata conosciuta come Strivers’ Row si vendevano come il pane.

    Dodici stanze, una vera reggia, a 9000 dollari, aveva annunciato Augustus, parlando del suo acquisto. 9000 dollari, ma ne è valsa la pena.

    Quella dei McKay era stata la sesta famiglia ad arrivare. Charles H. Roberts, dentista, e il dottor Louis T. Wright, il primo dottore nero dell’ospedale di Harlem e, successivamente, primario di chirurgia nello stesso ospedale, erano presto diventati vicini dei McKay. Poi c’era stato Vertner W. Tandy, riconosciuto come il primo architetto nero ad aver ricevuto la licenza nello Stato di New York, e Lt. Samuel J. Battle, il primo ufficiale di polizia nero di Manhattan. Successivamente, Strivers’ Row sarebbe diventata il domicilio d’eccellenza di star della scena teatrale: il compositore Eubie Blake e i direttori d’orchestra Fletcher Henderson e Noble Sissle.

    Corti interne, giardini e fontane, collegate da vicoletti, attraversavano l’intero quartiere. Le case sul lato nord della 139ª Strada, compresa quella dei McKay, erano in stile neorinascimentale, costruite con sottili mattoni di laterizio rossiccio. Le case color crema pallido sul lato sud della strada erano invece in stile neo-georgiano. Erano caratterizzate tutte dall’utilizzo modesto ma sapiente di dettagli classici. Tutte erano lontane dalla strada, per enfatizzarne la privacy. E tutte avevano entrate posteriori per mantenere la sgradevole vista delle faccende domestiche nel luogo a cui apparteneva: lontano dagli occhi, appunto.

    Gli abitanti di Strivers’ Row erano un gruppetto felice. Aspiravano all’eccellenza; da qui il nome della strada ¹². Mantenevano i loro alberi perfettamente curati e i loro cespugli ben potati. I cancelli d’ingresso e le balaustre venivano dipinti, le finestre lavate e le maniglie e i pomelli d’ottone delle porte lucidati.

    Nel tempo, la strada era diventata un’oasi di pace e benessere circondata da un deserto di pericolo, disperazione e degrado. Quando David girò l’angolo tra la 139ª strada e la Seventh Avenue, si ritrovò proiettato in un mondo di povertà, immondizie putride

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