Sangue del padre
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Fantasy - romanzo breve (75 pagine) - "Hai paura quanto me di quello che hai visto, e preferisci non sapere cosa è calato su queste isole. Non ti giudicherò per questo. Ma molti trovano il proprio destino proprio mentre cercano di sfuggirgli. Tu hai scelto di far passare la tempesta. Io vado a vedere di che son fatti i tuoni."
Tra le isole frastagliate del golfo di Frelia, covo di pirati e avventurieri, una nuova forza è sorta a sconvolgere i già tesi equilibri politici. Ma non si tratta della guerra tra la teocrazia dello Zosima e il dominato di Caradia, determinato a riconquistare i territori perduti; qualcosa di più insidioso e incontrollabile ha iniziato a strisciare tra le locande e le caserme degli arcipelaghi, qualcosa che viaggia nelle chiglie di navi corsare, imbottigliato in fialette adornate di simboli esotici. Nell’addensarsi di un destino incerto e inquietante, Itrias, leggenda del golfo di Frelia, figlio rinnegato di un generale caradiano, si appresta ad abbandonare tutto ciò che ha conquistato in mare – gli amici, la ciurma, la fama – alla ricerca di un altro futuro. Perché il domani, per sempre ingombro di armi, sangue e dolore, possa resistere alle forze tremende che plasmano le carni e le menti degli esseri umani.
Francesco Corigliano (Vibo Valentia, 1990) è docente di italiano, storia e geografia nella scuola media.
Nel 2013 si è laureato in Filologia Moderna con una tesi dedicata ai racconti del terrore, mentre nel 2019 ha conseguito un Dottorato di Ricerca con un lavoro sulla letteratura weird. Ha pubblicato diversi articoli di critica letteraria dedicati al fantastico, in raccolte e riviste specializzate.
Nel 2015 con il racconto Ex machina (Hypnos 5, 2015; Strane Visioni, 2016) si è classificato al primo posto al Premio Hypnos, concorso in cui negli anni successivi è stato più volte finalista.
Nel 2018 è stato vincitore della XIV edizione del concorso NASF, dedicato ai racconti di fantascienza e finalista nella XXIV edizione del Trofeo RiLL.
Nel 2019 esce per Kipple nella collana K_Noir la sua prima antologia personale Malasacra, a cura di Danilo Arrigoni.
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Book preview
Sangue del padre - Francesco Corigliano
Arrigoni.
Prefazione dell'autore
Sangue del padre è la prima storia del ciclo di Caradia ad essere pubblicata. Come il lettore scoprirà, è una vicenda di carattere avventuroso, narrata tra isole, navi pirata e pianure assolate, in un’ambientazione che ricalca l’antichità classica alla quale fanno riferimento, in realtà, molti altri miei racconti.
Ispirato dalle vicende storiche dell’antico Impero Romano, il ciclo di Caradia prende le mosse dalla fondazione della città coprendo i diversi secoli di battaglie, scoperte e vicissitudini – naturali e non – che conducono infine alla sua caduta. L’atmosfera generale vuole evitare i topoi del fantasy medievaleggiante di stampo tradizionale: di conseguenza non troverete armature di piastre, castelli e spadoni magici, ma piuttosto calighe, accampamenti e giavellotti. Volendo cedere alla tendenza classificatoria, probabilmente le influenze letterarie maggiori sono quelle dello sword and sorcery delle origini e del cosiddetto fantasy mediterraneo, sebbene non manchino riferimenti alla weird fiction vera e propria. Gli archi narrativi sono costruiti con un’alternanza di racconti e di sezioni pseudo-cronachistiche, blandamente ispirate a storici antichi (perlopiù Polibio). Cerco di variare lo stile in base alle situazioni, usando toni realistici, senza disdegnare, come si vedrà, né l’inquietante né il comico.
In Sangue del padre la narrazione si colloca nel periodo del Dominato, una fase della millenaria storia di Caradia caratterizzata da un maggiore potere centralizzato e dall’allontanamento dalle forme politiche repubblicane del primo periodo. Dopo alcune guerre e le conseguenti perdite di influenza territoriale, Caradia tenta una riconquista delle regioni sfuggite al controllo, entrando nuovamente in conflitto con l’impero teocratico del Cancello Bianco. Itrias, figlio esiliato di un generale caradiano, nonché pirata di lungo corso, gioca un ruolo sotterraneo in questa guerra tra grandi potenze, investigando su un elemento ignoto e inquietante che si va insinuando tra le isole dell’arcipelago di Frelia. Proprio qui si dipana il senso del racconto: in una narrazione verosimile, atta a ricostruire in maniera credibile un’ambientazione fittizia – filtrata, com’è ovvio, attraverso il nostro sguardo di occidentali contemporanei – sono inseriti elementi destabilizzanti, attinenti al fantastico e al soprannaturale, siano essi la magia, l’alchimia o qualcosa di infinitamente peggiore. Spero che vi sia piacevole perdervi in questa navigazione in un mondo altro, e nei suoi ulteriori squarci sull’oltre.
I
– Facciamo così. Io lo tengo fermo, tu gli tagli due dita.
Itrias fissa Cortega in silenzio.
– Dici che è meglio tre? – incalza quello, spazientito.
Due donne attraversano il vicolo, camminando svelte. Indossano le vesti leggere e colorate di Dorai, lampi fulgidi nel crepuscolo che inonda la strada. Itrias le guarda passare davanti all’entrata del taverna, i lineamenti rischiarati per un istante dalle lucerne posate in terra, accanto alla porta.
– Vada per tre – mormora. Guarda di nuovo Cortega. – Ma poi lasciamolo stare. Meglio non farsi altri nemici anche qui.
Cortega annuisce. Si volta, ingombra l’uscio con le sue spalle larghe e ossute, si infila dentro la taverna. Itrias gli va dietro.
Il locale è un brusio pulsante, un concerto di voci, di terracotta poggiata sui tavoli, di tintinnii di monete e coltelli. I dialetti delle isole dell’arcipelago di Frelia si mescolano al caradiano, poggiandosi qua e là a zeppe linguistiche prese in prestito dagli idiomi duri e affilati del dominio dello Zosima.
Ai banchi, pescatori, rematori di liburna, un paio di guardie in lorica squamata, ma chiaramente fuori servizio, un mercante abbastanza sicuro di sé da non temere rapimenti o ricatti – tutti impegnati nel chiacchiericcio preciso e ozioso della taverna, accompagnato dai bicchieri di coccio scheggiato ricolmi di vinaccio annacquato.
Cortega guarda appena gli avventori, tira dritto verso il fondo della sala. Ha già individuato il tavolo appartato di Lufero, mal illuminato da due lucerne mezzo spente. Itrias lo segue, ignorando gli sguardi di sottecchi che in un attimo gli sono addosso.
– Di nuovo loro – mormora qualcuno, riconoscendo la snella figura del Caradiano, e quella più alta e ossuta del suo compare. Un vecchio guercio li fissa con l’unica pupilla buona; un omaccione tarchiato, con una cicatrice che gli allunga il sorriso fino alle orecchie, sputa per terra non appena Itrias gli passa accanto indifferente e leggero come un gatto. Una delle guardie lo indica appena con un cenno della testa, mentre l’altra fa finta di non averlo visto. – Il figlio di Laigon – borbotta il taverniere, e scuote il capo, continuando a rabboccare l’olio di una lampada di creta.
Lufero è distratto, perso dentro il calice di vino. Si accorge di Cortega solo quando quello gli si siede accanto, pesante, facendo schioccare le suole delle calighe contro il pavimento di pietra. – Caro amico – strilla, e gli getta un braccio sulle spalle. Lufero sbianca, fa per alzarsi, ma dall’altro capo del tavolo s’è già seduto Itrias; lo guarda, guarda Cortega, ingoia un boccone amaro di frustrazione e di paura. Si ancora saldamente allo sgabello.
– Ben trovati, amici – balbetta con un fil di voce. Il brusio nella taverna è ripreso, il vino è più interessante dell’arrivo in sala di due luridi pirati.
– Ben trovato a te – risponde Itrias, sorridendo. Poggia il dorso delle mani sul tavolo, stendendo bene le dita. Cortega allaccia più forte il braccio attorno al collo di Lufero, e con un piagnucolio l’uomo allunga a sua volta le mani, stringendo quelle di Itrias nel saluto di Caradia. Cortega allenta un po’, e quello torna a ritirarsi come un mollusco.
Cortega si avvicina, sorride, gli ridacchia quasi dentro l’orecchio. – Sono molto contento di vederti, Lufero, amico mio. Come vanno gli affari qui a Dorai?
Lui freme leggermente, quasi volesse scivolare via dalla morsa ossuta che lo stringe. – Lo sapete come vanno gli affari, mi avete visto ieri al porto – biascica.
– Non i tuoi affari – risponde Itrias. S’allunga sul tavolo, prende il bicchiere di Lufero, beve un sorso. – Gli altri affari.
L’uomo si fa ancora più pallido. Guarda Itrias, le lucerne, la porta spalancata, libera, ma lontana.
– Non so nulla di altri affari – dice – so quello che sapete voi. Sono passate tre, no, quattro navi dirette verso nord. Mercenari, pirati. Vanno a offrire le armi a Caradia, si dice che il generale Laigon stia marciando verso Nuria.
– Questo, in effetti, lo sappiamo anche noi – sorride Itrias. Uno sguardo, e Cortega afferra una mano di Lufero. Con un gesto fulmineo gliela torce, spingendola poi sotto il tavolo. Itrias si piega un poco, prende qualcosa dal cinturone.
– No, no – farfuglia Lufero, tentando di divincolarsi. Cortega lo tiene stretto, bloccandolo. – Per favore – mormora ancora.
– Tutti sostenitori di Caradia? Proprio tutti? – continua Itrias, sorridendo. Sa già la risposta, sa che nell’arcipelago di Frelia sono pochi quelli che credono davvero nella causa del Dominato dell’Albero, e ancora meno quelli che sono fedeli allo Zosima. È solo una questione di convenienza, di tasse, di libertà religiosa. Caradia impone tributi più alti, ma non costringe i cittadini ad adorare il dio di pietra dell’est.
– Oh, ti prego, Itrias – ribatte Lufero di scatto – nessuno sopporta lo Zosima e, oh, oh dei – e si scompone in un grido affilato, metallico quasi