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Gocce d’acqua
Gocce d’acqua
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Gocce d’acqua

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Quando l’ingegner Guglielmo Dini esce per una rilassante passeggiata per i sentieri delle colline del suo paese di origine, non sa che, suo malgrado, sarà travolto da una assurda e vertiginosa avventura nel tempo. Ad accoglierlo saranno prima un futuro opprimente e incomprensibile e poi un passato confuso, sotto una nuova misteriosa identità: vestirà infatti i panni dello sceriffo di Waterville, villaggio della leggendaria frontiera del vecchio e selvaggio West americano.
Ma cosa è successo? Chi è veramente il protagonista delle peripezie che si susseguono tra la polvere del deserto? In effetti non tutto, sembra essere esattamente come ci si potrebbe aspettare… Perché infatti le danze della pioggia sono concerti rock? Perché i pistoleri parlano proprio come nei film di Sergio Leone e i contrabbandieri trafficano in camicie firmate? E, ancora, perché echeggiano ovunque le note di Lucio Battisti o di Fabrizio De André?
In queste sorprendenti pagine, Giuseppe Bianchi ci proietta in un mondo onirico e imprevedibile, al cospetto di personaggi dai tratti surreali, e all’interno di situazioni inafferrabili. Episodi dalla scanzonata impronta comica si alterneranno a riflessioni dai toni più intimistici e malinconici, tra storia, ironia e allucinazione.
Attraverso il filtro della narrazione, viene trasmesso un messaggio pregnante, legato non tanto a una fantasia letteraria e creativa ma a una realtà più attuale e incombente: la necessità improrogabile del rispetto di uno dei doni più preziosi della natura, l’acqua.
LanguageItaliano
Release dateApr 1, 2020
ISBN9788832926590
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    Gocce d’acqua - Giuseppe Bianchi

    Introduzione

    Nei paesi sviluppati, per far fronte alla relazione tra governo della domanda e sviluppo dell’offerta, bisogna trovare al più presto un giusto equilibrio tra utilizzo di nuove fonti e misure di risparmio dei consumi, sostenendo un approccio integrato dal ciclo dell’acqua, con investimenti mirati alla conservazione, al trattamento e al recupero delle acque reflue, alla riduzione della salinità e alla raccolta delle acque piovane.

    I popoli antichi, così come quelli che tuttora vivono più vicini alle forze della natura, sapevano che distruggere l’acqua equivaleva a distruggere se stessi. Soltanto le moderne culture, spinte dalla logica del profitto e convinte della propria supremazia sulla natura, non attribuiscono la dovuta importanza. Lo sviluppo delle tecnologie con cui l’uomo è riuscito a ottenere dalla natura ciò di cui una società complessa e avanzata necessitava, non ha creato però un mondo sicuro dal punto di vista delle risorse idriche.

    Senza un repentino cambio di rotta, il problema della scarsità dell’acqua si troverà presto ad avere dei connotati facilmente prevedibili. L’oro blu assumerà nel panorama geopolitico mondiale quel ruolo che ora ha il petrolio, e le future guerre, di cui già ora si profilano i fronti, saranno per l’amministrazione e la gestione dell’acqua.

    Già adesso nel mondo esistono scompensi clamorosi: un miliardo di persone oggi soffre la sete. Non si parla di esseri umani che hanno difficoltà igieniche, no: un miliardo di persone, che se le mettiamo in fila una accanto all’altra si va oltre la luna, sono costrette a patire la sete.

    Giuseppe Bianchi

    Prefazione

    Gita di un giorno di un personaggio fuori dal tempo.

    Tutto inizia e tutto termina alla Buca delle Fate, Parco Archeologico Naturalistico di Massarosa (Lu), in un ciclo onirico che consente un viaggio, appunto, fuori dal tempo e dallo spazio.

    Magica è l’entrata in questa caverna familiare. Da sempre visitata ma mai esplorata con decisione anche dal protagonista del romanzo. L’ingegnere Dini sprofonda in una città, Waterville, che del Far West ha la voce dei film di Sergio Leone e come colonna sonora le canzoni d’autore italiane che fanno da contrappunto dialogante alla ricerca spasmodica che accompagna il protagonista verso il ritrovamento della propria identità.

    Brandelli di canzone riemergono da una memoria che si rifiuta di ricordare e che costringe il protagonista ad affidarsi alla narrazione di un femminile che cerca di farlo ritrovare per poi svanire anch’essa come i ricordi che non si collegano a una vera reminiscenza.

    Giuseppe Bianchi in questo romanzo sperimenta attraverso il suo personaggio un viaggio di ricerca di un elemento essenziale di se stesso, essenziale come l’acqua. La ricerca dell’acqua diviene pertanto metafora e filo rosso che consente al lettore e al protagonista di ritrovarsi interi oltre lo spaesamento in cui sono catapultati.

    Una lettura avvincente che val la pena di fare seduti in silenzio nella radura della Buca delle Fate.

    Enrica Giannelli

    1

    Quel giorno, l’ingegnere Guglielmo Dini aveva deciso di farsi una bella passeggiata nella natura. Si trovava nella campagna dove era nato e cresciuto, e dove conservava ancora una casetta ai margini del bosco, frutto dell’eredità di uno zio paterno, emigrato e in seguito deceduto negli Stati Uniti.

    Fin da bambino Guglielmo era sempre stato un po’ lunatico, un po’ istrione, con una fantasia a volte esplosiva, ma mai distruttiva. Apparteneva sì al suo tempo, ma in fondo avrebbe potuto vivere nel secolo passato, magari in mezzo alla rivoluzione industriale, quando la società era rapidamente passata da un modello agricolo a un impianto industriale, e la genialità aveva potuto cominciare a sbizzarrirsi nella tecnica.

    Guglielmo, da bambino, si sentiva mortificato a dover reprimere tutta la sua creatività piegandosi ai metodi rigidi di un insegnamento grigio, chiuso e obsoleto, che affogavano sul nascere ogni anelito di fantasia e di facondia inventiva. Alcuni compagni di classe, quelli con una dote intellettiva più spiccata, riuscivano delle volte a seguirlo nei suoi voli creativi e sognanti, ma poi il terrore di uscire dalla normalità li riportava a dei comportamenti più consueti e più scontati.

    A seguire c’era stato il liceo, l’impatto con la città, il passaggio dagli aratri dei campi agli aerei del cielo, con addosso un cappotto sformato ereditato da chissà chi, le pedule di pelle che erano state già di suo fratello, e una dignità che quotidianamente si rafforzava: ogni giorno la fiducia in se stesso era cresciuta e lo aveva fatto sentire capace di realizzare qualcosa di buono.

    Guglielmo si era ritrovato a lavorare nel nord Italia, dove si era avventurato in un percorso fatto tutto di acqua: acqua piovana, acqua sorgiva, acqua di fiume, acqua di ruscello, insomma tutte le varianti dell’elemento acqua.

    Non sapeva ancora fino a dove sarebbe potuto arrivare. Ma ci credeva davvero, allora come adesso, nel desiderio di elevarsi da un substrato di materia terrena tradizionale che non rappresentava un valore, ma che piuttosto simboleggiava una staticità insopportabile.

    Se i motivi di lavoro e la volontà di riscatto avevano portato Guglielmo assai lontano dai luoghi natii, tornare lì in visita per qualche tempo era per lui un piacere, e gli dava sempre un’emozione molto dolce.

    La zona godeva di un clima ragionevole: estati ventilate dalle brezze di mare e inverni in cui la temperatura molto raramente scendeva sotto lo zero. Dieci minuti di bicicletta separavano la sua casetta dal mare, mentre la montagna, con le sue piste da sci, era a meno di un’ora di macchina.

    Guglielmo si soffermava a osservare la campagna circostante, mentre camminava verso la zona che quel giorno aveva scelto per una estemporanea visita. Si era diretto infatti verso la Buca delle Fate, un complesso di grotte preistoriche dimenticate, che nei tempi della sua fanciullezza erano state meta di coraggiose escursioni con i suoi coetanei. Qualcuno poi, recentemente, aveva rinvenuto nella zona dei residui di utensili millenari, e il sito era diventato zona archeologica.

    Non aveva con sé una torcia, ma decise di entrare nella grotta più grande, quella che i bambini di un tempo chiamavano del Colonnino, per via della presenza di una stalattite assai ingombrante che aveva quasi precluso l’accesso alla parte più interna del budello di roccia.

    Guglielmo si fermò poco dopo l’entrata per vedere se ci nasceva ancora il pungitopo, una piantina selvatica dalle bacche rosse molto decorative, che lui da ragazzino veniva a raccogliere per regalarla alla maestra. Vide che un po’ di quelle piccole piante c’erano ancora, e questo lo riempì di piacere nostalgico. Ma accadde che mentre cercava di prenderne una, sentì nelle narici un odore acre, come di canfora mischiata a della cannabis.

    Improvvisamente ebbe un violento capogiro, annaspò, cercò un appiglio per non cadere, cercò di chiamare…

    Il buio attorno a lui era totale. Guglielmo sentì che era steso su qualcosa di duro e spigoloso, come uno scoglio, o comunque una grossa pietra. Tentò di rialzarsi dalla posizione nella quale si trovava, ma non ci riuscì perché non c’era spazio in altezza. Per fortuna si era tirato su con molta cautela, evitando così di sbattere la testa. Guglielmo realizzò di trovarsi dentro uno dei tunnel della grotta. Oltre a non vedere niente, sentiva anche che gli occhi erano annebbiati. Cominciò quindi a muoversi a tentoni, strisciando sulle rocce, ma verso quale direzione non lo sapeva proprio.

    Dopo poco si lasciò andare, sentendosi esausto. Il freddo stava cominciando a farsi sentire, ma decise di attendere, pensando che prima o poi un po’ di luce sarebbe venuta fuori. Si addormentò, forse per un’ora o forse per un giorno intero.

    Lo svegliarono dei rumori lontani. C’era del chiarore ora, e che disegnava i contorni del cunicolo angusto in cui si trovava. Vincendo i dolori che l’immobilità in quell’ambiente tanto umido gli aveva causato, prese a muoversi verso il punto da cui gli sembrava di vedere arrivare la luce. Alla fine riuscì a uscire dalla grotta, e si soffermò a guardare il paesaggio circostante.

    Si trovava in mezzo a una foresta di piante altissime che emanavano un profumo dolce, buono. Il terreno sembrava essere stato curato da un giardiniere: era liscio, uniforme, pulito. Non c’era bisogno di sentieri, e il suolo, sebbene ondulato, pareva ovunque perfettamente agibile. Non era certo il classico bosco pieno di rovi e piante cadute che lui era abituato a vedere.

    Forse era andato a finire in un parco!

    Cercò di dirigersi nella direzione da cui aveva sentito provenire i rumori che lo avevano svegliato, e che forse potevano anche essere state delle voci, che però lui non era stato in grado di capire.

    Il suo passo era incerto, dondolante.

    Il piccolo cane che comparve davanti a lui lo fece sobbalzare: non se l’aspettava, e ci volle qualche istante prima che il suo cuore riprendesse un battito regolare.

    Spino! Vieni Spino, sono qua! Era una voce di donna che continuava a chiamare Spino, che sicuramente era il nome di quel cane. La voce si avvicinò, insieme a una ragazza vestita con una tuta fluorescente simile a quella degli operai sulle strade, e in testa un berretto arancione che mostrava una luce lampeggiante di rosso e di giallo.

    Sei l’ecologo? chiese la ragazza a Guglielmo. Ciao, io sono Tuccia, lavoro al laboratorio analisi vicino alla strada. Ma cosa ci fai nell’Animal Park di prima mattina, e soprattutto senza un animale da far passeggiare? Non lo sai che fra poco vengono gli addetti alla manutenzione dell’area e bisogna lasciare libera la zona?

    L’uomo restò come inebetito, non comprendeva bene quello che la donna diceva con un accento strano e una parlata velocissima. Non appena ebbe modo di parlare, balbettando sistematicamente, ancora stordito dalle recenti disavventure, riuscì ad articolare le parole più ovvie.

    Ma dove sono? Dove devo andare? Domattina devo rientrare al lavoro!

    La donna lo guardò da capo a piedi e con notevole enfasi gli rispose: Ma tu non ce l’hai la omnicard?

    Lui, stupito da questa domanda, affermò: Certo che ho una carta di credito, la tengo nel portafoglio.

    La ragazza dette cenno di impazienza. Cominciava a innervosirsi. Gli mostrò un ciondolo che aveva al collo, una specie di radiolina piena di pulsantini e di led multicolore.

    Questa è la omnicard, tutti devono averne una, ti fornisce qualsiasi informazione riguardo a te e al mondo circostante. Tu perché non ce l’hai? Non lo sai che è obbligatorio portarla?

    Guglielmo annaspò: Ma io…

    Nella mente dell’ingegnere si ammassavano turbinii di pensieri e di sensazioni. Pensò di stare per perdercisi, quando la ragazza gli venne in qualche modo in aiuto.

    "Senti, fidati di me, anche perché comunque non hai alternative. Seguimi,

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