Il canto, maestro di equilibrio: Avvicinarsi al canto con la sapienza del corpo
By Lia Serafini
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Il canto, maestro di equilibrio - Lia Serafini
Lia Serafini
Il canto, maestro di equilibrio
Avvicinarsi al canto con la sapienza del corpo
Copyright© 2020 Edizioni del Faro
Gruppo Editoriale Tangram Srl
Via dei Casai, 6 – 38123 Trento
www.edizionidelfaro.it
info@edizionidelfaro.it
Prima edizione digitale: aprile 2020
ISBN 978-88-5512-001-2 (Print)
ISBN 978-88-5512-928-2 (ePub)
ISBN 978-88-5512-929-9 (mobi)
In copertina: Flying birds, Umiko – Shutterstock
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Il libro
Fra tanti manuali che illustrano e definiscono il gesto compiuto del canto, questa riflessione si concentra piuttosto sulle condizioni che lo precedono, lo coordinano e lo contengono. L’equilibrio della voce, infatti, è il risultato di un’azione complessa che mira a bilanciare l’espressione musicale con la sensibilità percettiva, la libertà del respiro, la semplicità della postura e la ricchezza della personalità artistica. Ecco allora tracciati in queste pagine dei percorsi chiari che mirano a ispirare il cantante nella sua evoluzione, anche quando, nonostante l’impegno e le migliori intenzioni, non trova la strada per andare oltre l’apparenza del limite
.
L’autrice
Nata a Vicenza, dove attualmente risiede, Lia Serafini ha compiuto studi classici ed è diplomata in pianoforte. Soprano dalla voce agile ed espressiva, nella sua lunga carriera internazionale è stata diretta dai più grandi artisti che hanno improntato di sé la rinascita e la valorizzazione della musica antica. Insegna Canto rinascimentale e barocco al Conservatorio F. A. Bonporti
di Trento. I suoi versi, nitidi ed eleganti, sono dotati di originale musicalità; la ricerca interiore si abbandona, fiduciosa, al ritmo armonico della natura.
È stata segnalata in alcuni premi di poesia: Concorso internazionale M. Yourcenar 2013 con la poesia Musica
, Memorial Vallavanti Rondoni 2014 con la poesia Come una rosa
, Concorso J. Prevert 2014 con la silloge Cinque movimenti
, Concorso I segreti dell’animo
2014, con la silloge Risonanze
.
Benedetto il giorno
in cui ho cominciato a insegnare.
La grazia ha preso possesso di me
e ora invece di una voce
ne ho mille.
Il canto, maestro di equilibrio
Avvicinarsi al canto con la sapienza del corpo
Prefazione
¹
Non è necessaria la voce limpida e accordata. Il cuore leggero però sì. E nemmeno un pubblico è obbligatorio. Però a qualcuno ci si rivolge.
È un traboccare di noi. Come una creazione. Non poter trattenere quel che siamo. Regalarsi alla vita che ci avvolge.
Canta il corpo, dice l’amica soprano², tutto il corpo. Se non c’è armonia di sé non c’è bel canto. Né se manca l’amore di sé.
E gli altri? Si canta quando non si odia, non si è arrabbiati, non si tiene il broncio, non si prova rancore. Almeno un po’ di benevolenza è richiesta. Quel che basta.
Ogni organo fa la sua parte, dice l’amica. Non tutti gli organi hanno un nome musicale: laringe, diaframma, bronchi, viscere anche. Non importa. Tutti fan corolla alla voce che si disperde senza far conti, segreto della vita nascosta del corpo che diventa quasi spirito, avviso di quel che sarà.
E anche la volontà c’entra, è sicuro. Non si canta sopra il pianto straniero del mondo, oppure a sovrastare la pena di un silenzio che va prima esaudito.
Bisogna volere una storia nuova, per poter cantare. E lavorare con mani e piedi e intelligenza e volontà a questa storia. Per questo, ed è bellissimo, chi lavora può cantare.
Mariapia Veladiano
Premessa
Ho perduto il filo intatto del mio respiro quando ero molto piccola.
Ho ricordi essenziali di panico e luci fredde quando rifiutavo di calmarmi nelle braccia di chiunque e piangevo così forte da bloccarmi in apnea fino a diventare cianotica.
Con lo scorrere del tempo e l’eternarsi dei drammi familiari sono diventata sempre più silenziosa, introversa, insonne: una giovane vecchia con la schiena curva e la testa dolorante.
Mentre accadeva tutto questo, altri binari mi portavano lontano, senza incontrarsi mai. I successi scolastici, lo studio del pianoforte: tutto stava in equilibrio nella mia testa. Ma se durante la notte non venivano a trovarmi i sogni, non sapevo bene chi ero e cosa sentivo profondamente.
Un giorno un amico mi ha invitata a cantare in un coro. È stato così che ho sperimentato per la prima volta il potere unificante della voce.
La vibrazione mi ha scovata, stanata, folgorata.
Ho avuto la chiara intuizione che se fossi riuscita a esprimermi dentro a quel suono avrei trovato un punto di equilibrio.
Questo è il motivo per cui ho cominciato a studiare canto, un motivo incomprensibile per tutti gli insegnanti del tempo, che cercavano soltanto facili talenti.
Ho faticato per farmi accettare come allieva da ogni insegnante che ho avuto. Non posso certo lamentarmi per questo: la mia voce era obiettivamente problematica.
Eppure in qualche momento, da piccola, avevo ballato e cantato con grande volontà ed energia, nonostante tutto. Dov’erano finite le potenzialità di quella bambina?
Se avessi dato retta agli implacabili giudizi della mia prima maestra non avrei neppure iniziato, ma il mio desiderio non aveva ambizione di successo, era colmo soltanto di rispetto e di speranza per la vita.
Tuttavia le particolari condizioni di svantaggio in cui mi trovavo non mi consentivano di provare senza conseguenze le diverse tecniche
che mi venivano proposte. Di fatto, invece di migliorare peggioravo, condizione che condividevo con molti compagni di viaggio.
Ho scoperto presto che non esisteva una scuola di canto unica, riconosciuta come tale. Era implicito in quello stile di insegnamento il disinteresse per ogni forma di gradualità e di cura di sé, che lasciava come unica alternativa l’amara impressione di dover saltare un burrone a occhi chiusi.
Solo oggi mi rendo conto che in Italia ci troviamo molto in ritardo nella comprensione del significato autentico della didattica, che è chiarezza oltre che trasmissione. Tendiamo piuttosto ad acclamare l’immenso talento di chi, avendo per natura una voce meravigliosa, può permettersi di non saperla spiegare e perfino di maltrattarla, provocando reazioni estasiate da parte degli ammiratori.
Niente di male, se non fosse che genio e sregolatezza non sono un patrimonio condivisibile.
Per quanto mi riguarda è stata proprio la superficialità delle indicazioni che ho sperimentato su di me, spacciati per verità universali, a fare della mia esperienza un patrimonio prezioso.
Ho dovuto però liberare la mente, smontare, provare, mettere in discussione la logica del fare
a tutti i costi, scommettere su un’idea di coordinazione e sensibilità percettiva.
Ho sopportato con pazienza anche consigli del tipo: Segui l’istinto! Ascolta il tuo cuore!
, perché quando a mancarti è proprio una guida interiorizzata, discorsi simili non fanno che alimentare una muta e dolorosa percezione di impotenza.
È stato difficile anche orientarsi nelle letture, ma alla fine ho trovato rispondenza fra la scommessa fondata sulla ricerca dell’equilibrio e un’idea storica di vocalità che esiste veramente, anche se oscurata da voci discordanti che se ne contendono l’interpretazione. Sto parlando naturalmente del Belcanto, infinita sorgente di bellezza che si esprime sempre in termini di armonia, natura, connessione, facilità.
A distanza di tanti anni, infine, non solo sto bene, ma ho superato ogni mia aspettativa e godo di un’insolita longevità vocale che mi permette di viaggiare, di trasmettere le mie conoscenze con la gioia che può provare solo chi ha maturato frutti inattesi.
Ho imparato molto anche dalla diversità e unicità dei miei allievi, vegliata dall’essenza universale della coordinazione.
Non sempre la comunicazione è facile. A volte gli studenti si lasciano sfuggire distrattamente consigli preziosi, che forse non sono ancora in grado di riconoscere.
Ricordo le parole del grande Arthur Rubinstein, pianista straordinario, che alla domanda: Maestro, ma lei ha mai rivelato agli allievi i suoi segreti?
rispose con un sorriso bonario: Certo, ma non se ne sono accorti
.
Alla fine penso che per cantare bene e a lungo ci vogliano soprattutto una pratica costante, direzioni sagge per orientarsi e la confidenza con una sensibilità percettiva che metta in moto sinergie complesse con la massima semplicità, sfrondando il gesto da inutili sprechi energetici.
Una volta sgombrato il campo dalle molte verità apparenti che circolano, non è poi così difficile.
Quello che invece va attentamente considerato è se siamo nelle condizioni di lasciar agire in noi