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Guariti per amare: L’abuso narcisistico e il suo superamento raccontati dalle vittime
Guariti per amare: L’abuso narcisistico e il suo superamento raccontati dalle vittime
Guariti per amare: L’abuso narcisistico e il suo superamento raccontati dalle vittime
Ebook438 pages6 hours

Guariti per amare: L’abuso narcisistico e il suo superamento raccontati dalle vittime

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About this ebook

Il libro raccoglie testimonianze di narcisismo patologico in diversi ambiti relazionali (coppia, famiglia, lavoro, scuola, amicizia), senza trascurare dettagli crudi e talvolta scabrosi, perché i lettori apprendano con chiarezza l’orrore intrinseco a qualunque relazione di abuso, che distrugge quotidianamente la vita di molte persone. Scopo dell’indagine è, innanzi tutto, trarne un beneficio personale, superare l’esperienza e guarire dall’abuso subito. Secondariamente, sensibilizzare l’opinione pubblica su questo grave disturbo, ancora poco conosciuto ma così tanto diffuso, che affligge la nostra società, elencando con chiarezza le varie fasi dell’approccio narcisistico, per riconoscerne il modus agendi prima ancora di esserne danneggiati, e per riuscire a fuggire dalle relazioni tossiche, qualunque sia il tipo di legame che unisce vittima e carnefice. Il libro si propone anche di suscitare un dibattito serio e impegnato con terapeuti, forze dell’ordine e legislatori, perché entrambi i sessi siano tutelati dalla violenza narcisistica con una normativa adeguata, frutto di un’adeguata informazione.
LanguageItaliano
Release dateApr 9, 2020
ISBN9788863655476
Guariti per amare: L’abuso narcisistico e il suo superamento raccontati dalle vittime

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    Guariti per amare - Shara Pirrotti

    1

    IL PROGETTO

    Questo libro ha come argomento il narcisismo patologico, delineato attraverso i racconti e le testimonianze di coloro che hanno subito uno o più abusi fisici e/o psicologici nel corso della loro vita da narcisisti loro partner, parenti o conoscenti.

    Protagonista, tuttavia, non è l’abuso narcisistico in sé, ma la guarigione dall’abuso, attraverso un lungo e doloroso cammino, lastricato di consapevolezza, umiltà e assunzione di responsabilità.

    Il libro racconta storie commoventi, tristi, a volte raccapriccianti, di violenza sub specie amoris. Le vicende sono riportate con dovizia di particolari, talvolta anche scabrosi, perché i lettori apprendano con chiarezza e fuori di dubbio quanto orrore vi sia in una relazione di abuso, quanta violenza spacciata per amore abbia distrutto e distrugga ogni giorno la vita di molte persone.

    Ma il libro parla anche di forza e determinazione, di amicizia e solidarietà, di concretezza e solidità, di fiducia e coraggio, di gioia e progettualità, di duro lavoro sulle proprie ferite; parla dell’accoglienza amorevole della propria fragilità e del proprio bisogno di aiuto.

    Se, come abbiamo fatto noi, si ha il coraggio di guardare in faccia i propri traumi, di risalire fino alla sorgente delle proprie lacrime, di varcare l’antro delle proprie paure, senza smettere di tremare, ma anche senza indietreggiare, fuggire o giudicare, il traguardo non può che essere la guarigione, la salute, la felicità. E ovviamente l’amore.

    Amare, amore, amabile: sono parole molto difficili per coloro che hanno subito un abuso narcisistico, perché l’hanno patito proprio dalle persone cui avevano spalancato le braccia, aperto i cancelli del cuore, annullato i confini. L’altro ha risposto saccheggiando tutto, come un’orda barbarica interessata solo ad ammassare il bottino, senza comprendere che quella resa compassionevole, quel generoso concedersi senza riserve, quell’accoglienza priva di condizioni non erano segni di debolezza, ma doni preziosi che ognuno di noi è in grado di porgere quando vuole amare. La violenza di tali atteggiamenti ci ha addolorato, ci ha fatto talvolta anche ammalare, ci ha quasi ucciso. Ma l’incapacità di apprezzarli non ha sminuito il pregio e la rarità dei nostri doni. Essi sono rimasti intatti e meravigliosi, come noi del resto.

    È stato come quando, da bambini, saltavamo dentro le pozzanghere e ci imbrattavamo i vestiti nuovi di fango: se ci guardavamo allo specchio, ci vedevamo sporchi, maleodoranti, imperfetti, colpevoli, irriconoscibili. Ma bastava fare una doccia calda e la nostra pelle tornava bianca e pura come prima, il nostro volto familiare come nessun altro.

    Per questo ci siamo impegnati a capire e a salvarci, per questo siamo guariti: per tornare ad amare. Non possiamo fare diversamente. Siamo empatici, teneri e umani, sensibili ai bisogni degli altri.

    Noi empatici siamo simpatici.

    Noi empatici siamo sensibili.

    Noi empatici siamo allergici alla cattiveria e alla falsità.

    E siamo belli e perfetti per questo.

    Conosco un arzillo ballerino settantenne che si è fidanzato da pochi mesi con una deliziosa signora. Lui non era mai stato amato in precedenza, ma aveva sperimentato l’abuso da parte di familiari e della prima moglie. Adesso non sta nella pelle e racconta a chiunque del suo nuovo amore dicendo: «Non sai come mi tratta! Come un re!». Gli sembra incredibile poter essere al centro delle cure e dell’affetto di un’altra persona. Noi empatici siamo pieni di attenzione e dolcezza per chi ci sta a cuore, cerchiamo di sorprenderlo e renderlo felice in ogni modo.

    In un mondo d’indifferenza, noi facciamo la differenza.

    Talvolta però dimentichiamo che l’amore è una forza e non una debolezza e che la prima cura va riservata a noi stessi. Questa dimenticanza ci è costata cara molte volte. Dopo tanto dolore, però, abbiamo ancora voglia di tornare ad amare.

    Stavolta lo faremo ricordando in ogni istante che il nostro valore non può essere calpestato, manipolato, o deriso da nessuno al mondo.

    Perché siamo così forti adesso, che la solitudine ci spaventa molto meno della mancanza di rispetto.

    Abbiamo capito che chi si arrabbia con te, lo fa perché ha un problema, non perché hai un problema tu.

    Abbiamo scoperto che la persona giusta è quella che non ti fa sentire sbagliato.

    Abbiamo imparato che chi ti ama non ti fa del male. MAI.

    Siamo guariti per amare di nuovo.

    Anzi, non abbiamo mai smesso di farlo.

    2

    PREMESSE E FINALITÀ

    Ma chi oggi guarda ancora le stelle? Gli uomini che vivono nel presente sono attratti da certi pezzi di vetro, grandi e piccoli, dove si muovono le loro parole e le loro ombre. Come il protagonista di un’antica favola: Narciso, si sono innamorati di se stessi e trascorrono le loro vite in quel modo.

    (Sebastiano Vassalli, Terre selvagge)

    IL PRETESTO

    Circa un anno fa, mentre ero a cena con amici, una bambina di 11 anni mi raccontò di essere vittima di bullismo a scuola. Le sue compagne non volevano uscire con lei, i professori disprezzavano i suoi sforzi e non aveva nessuno con cui parlare. La guardai stupefatta. Era dolce, bella, sensibile, intelligente, perfetta! Perché mai qualcuno avrebbe dovuto farle del male? Ma non fu tanto la mancata risposta a questa domanda a non farmi dormire quella notte, quanto la strana espressione che la bimba aveva mentre mi confidava il suo dramma. Che cosa stava provando? Ci pensai a lungo e alla fine trovai la risposta: era VERGOGNA. Lei si vergognava di essere bullizzata, se ne vergognava come se fosse una sua colpa, come se ne fosse responsabile. Si vergognava come anch’io mi vergognavo dei miei abusi e li tenevo nascosti. Quella notte, per la prima volta, la vergogna della vittima mi sembrò assurda.

    Compresi che, se una persona abusata prova vergogna e nasconde quello che gli altri le fanno, STA SBAGLIANDO.

    Non è lei a doversi vergognare, ma quelli che la abusano.

    Si fece prepotentemente strada in me il pensiero che la soluzione all’abuso potesse essere affrontare la vergogna e, invece di nascondersi, parlare.

    Lo riferii al mio psicoterapeuta nel corso di una seduta particolarmente dolorosa per me. Tra le lacrime e i singhiozzi dissi che volevo mettere tutto quel dolore a disposizione degli altri, farne qualcosa di utile per me e per quanti si trovavano nella mia stessa condizione di abuso. Lo psicoterapeuta si prese cura delicatamente della mia pena, come faceva sempre e, quando mi fui del tutto tranquillizzata, ritornò sull’argomento e mi chiese come avrei voluto procedere per trasformare la mia esperienza in un servizio reso alla comunità. Risposi che volevo creare una chat dove le persone vittime di narcisisti maligni avrebbero potuto confrontarsi e sostenersi. Chi avesse aderito alla chat, avrebbe potuto raccontarmi in privato la sua storia, che io avrei trascritto fedelmente per costruire un libro, contenente non definizioni o teorie, ma esperienze di vita: un libro incentrato non tanto sul dolore, quanto sul suo superamento, sulla voglia di ricominciare a vivere che avrebbe accomunato tutti i partecipanti. Infatti avevo già trovato il titolo ideale: Guariti per amare.

    Lo psicoterapeuta disse che era un progetto bellissimo e che lo avrebbe appoggiato in ogni modo.

    Il mattino dopo misi un annuncio su alcuni siti di autoaiuto per vittime di abusi narcisistici, proponendo di creare una chat e scrivere un libro sulla nostra esperienza.

    Coloro che hanno coraggiosamente risposto al mio invito e mi hanno reso le loro testimonianze oggi sono miei fratelli e sorelle. Provengono da ogni ceto sociale e culturale, da ogni parte d’Italia e da alcuni paesi europei: si chiamano Marco, Fulvia, Emiliano, Antonella1, Antonella2, Alessia, Daniele, Floriana Gloria, Elisa, Debora, Cristina, Linda, Milena, Piero, Rosita, Marta, Massimiliano, Giovanbattista e Giuseppe. Sono bellissimi e meravigliosi. A tutti loro rinnovo il mio ringraziamento più sentito. Mi hanno fatto sentire avvolta da un amore incondizionato e prezioso, membro di una nuova famiglia.

    Qualcuno di loro ha preferito menzionare solo qualche episodio particolarmente doloroso della sua relazione di abuso; oppure ha ripercorso solo le fasi iniziali, senza approfondire le esperienze più devastanti; qualcun altro ha fornito dettagli esaustivi della sua storia dall’inizio alla fine; oppure ha riferito più di una vicenda occorsogli. Ciascuno ha comunque raccontato la propria drammatica esperienza con intelligenza, lucidità e generosa sincerità, per rendere questo volume più completo e utile possibile, salvaguardando la privacy mediante pseudonimi.

    Parlare con tutti loro è stata un’esperienza coinvolgente, emozionante, autentica, che ha creato tra noi un legame indissolubile e speciale. Più di una volta, durante il loro racconto, molti si sono bloccati, perché il pianto disperato impediva loro di proseguire. Altre volte sono stata io a interrompere la conversazione per un momento, perché il dolore e lo sdegno suscitati dalla storia che stavo ascoltando erano devastanti anche per me.

    Ma sia io sia loro abbiamo tratto grande giovamento dalla conoscenza e comunicazione reciproca, che ci ha arricchiti immensamente come esseri umani e ha contribuito a farci guarire.

    FINALITÀ

    Scopo di questa operazione è innanzi tutto trarne un beneficio personale, guarire completamente e superare l’esperienza di abuso che ci ha travolto. Parlare del proprio dolore, infatti, ripercorrendo con la mente gli episodi salienti, ha aiutato ciascuno di noi a vedere la relazione tossica per quella che era, senza più alibi o giustificazioni, e a prenderne definitivamente le distanze.

    Secondariamente, sensibilizzare l’opinione pubblica su questo grave disturbo, ancora poco conosciuto, ma così tanto diffuso, che affligge la nostra società e che distrugge le vittime, minando la loro stabilità emotiva, colpendo a morte le loro debolezze, sottraendo loro le forze e la voglia di vivere, pur, talvolta, in assenza di ferite inferte fisicamente. Vogliamo spiegare a tutti che il rapporto con un narcisista esula dalle normali relazioni e che quando finisce lascia una lacerazione intima, profonda e devastante, perché l’esposizione prolungata alla violenza psicologica segna tracce indelebili nella carne, nel cuore e nella psiche. Vogliamo farlo per essere compresi maggiormente da chi ci vive accanto e spesso non capisce come ci sentiamo; ma vogliamo soprattutto testimoniare, a quanti si trovano attualmente in una situazione di abuso, che non sono soli, che hanno la possibilità di uscirne e stare bene, come abbiamo fatto noi.

    Vogliamo anche spiegare le varie fasi dell’approccio narcisistico per mettere in guardia chiunque da questo flagello sociale, riconoscendo il suo modus agendi prima ancora di esserne danneggiati, allo scopo di fuggire da relazioni tossiche come quelle che racconteremo e mettersi in salvo. Cercheremo di fornire con le nostre storie, quindi, l’identikit più particolareggiato possibile del narcisista patologico, perché sia identificato e isolato. Infine, ultimum sed non postremum, vogliamo suscitare un dibattito serio e impegnato con forze dell’ordine e legislatori, affinché si perseguano penalmente coloro che si macchiano di violenza psicologica, al pari di stupratori e serial killer. D’altronde, anche i narcisisti agiscono in modo seriale: come vampiri energetici, succhiano le risorse sentimentali, economiche, morali e mentali delle loro vittime e, dopo averle spolpate, le gettano via, con bieco calcolo e senza alcuna pietà, per rivolgersi alla prossima vittima. Chiediamo leggi che tutelino le vittime di abuso narcisistico e condannino con pene esemplari i narcisisti. Alcuni di loro, probabilmente, sono anche gli autori di quegli omicidi definiti, con un terribile neologismo dei nostri giorni, femminicidi. Ma l’abuso narcisistico non è un abuso di genere, non consente di schierare da un lato donne innocenti e dall’altra uomini colpevoli. Riguarda uomini e donne, perché ci sono persone ferite e persone crudeli di entrambi i sessi, ed entrambi i sessi vanno tutelati e protetti dalla violenza narcisistica con una legislazione adeguata, frutto di un’adeguata informazione. Questo libro si propone, attraverso l’esperienza diretta e la testimonianza di chi ha subito nella propria vita uno o più abusi, di informare l’opinione pubblica, nel modo più esaustivo possibile, sulla fisionomia del narcisista e sulla mostruosa violenza che perpetra ai danni di altri esseri umani, colpevoli soltanto di aver creduto alle sue menzogne e di averlo amato.

    Ho una specializzazione in storia medievale e affronterò il tema da un punto di vista storico. Vale a dire: in nessun punto del libro lascerò che il rancore possa contaminare e prevaricare il lavoro di ricostruzione e informazione che mi sono proposta. Non m’interessa la vendetta contro chi mi ha fatto del male, ma la conoscenza della verità. Ho detto più volte, comunque, nel corso di conferenze o convegni, che la verità totale non esiste e che nessuno storico può perseguirla. Non può, perché le fonti tramandate sono, per forza di cose, parziali, e perché persino lo storico più acribico include nello studio la propria soggettività, frutto di educazione, cultura, credenze e condizionamenti ricevuti. Conscia di questi limiti, so bene che non potrò raccontare tutto sul problema dell’abuso narcisistico; ciononostante m’impegnerò in ogni modo a vagliare le testimonianze raccolte, per ricostruire una realtà il più possibile aderente ai fatti, nel rispetto di quella verosimiglianza aristotelica, che guida i miei passi fin dal principio della mia attività di studiosa.

    Guariti per amare è impreziosito dalla prefazione di Mauro Scardovelli, che ancora una volta ringrazio dal profondo del cuore, e dai pennelli di due adolescenti talentuose: Martina Decimo, autrice della copertina, ed Elisa Sorbo, che ha curato le illustrazioni interne. Emiliano Luciano e Alessandro Spampinato, inoltre, hanno fornito il video di presentazione. Daniele Pozzato è il nostro fotografo ufficiale. Roberto Sarti ha letto il testo per primo e mi ha incoraggiato a pubblicarlo.

    Grazie a tutti. Namastè.

    3

    LA VITTIMA

    IL DIPENDENTE AFFETTIVO

    Sebastian vuole essere apprezzato, o meglio amato, per quello che è veramente. Però non crede di dover cambiare per essere degno di ricevere affetto e, anzi, vuole cambiare il mondo, il genere umano, per trasformarlo in qualcosa che lo ami.

    Simon – sussurrò, e poi: – Mi… mi riconosci? sai chi sono? […] Cercò di nascondere la delusione che aveva sentito echeggiarle nel profondo del cuore per non essere stata riconosciuta. – Non c’è problema se non ti ricordi di me. c’è tempo. Simon abbassò gli occhi su di lei. C’era incertezza e speranza nella sua espressione, e uno sguardo lievemente stordito, come se si fosse appena svegliato da un sogno e non fosse del tutto sicuro di dove fosse. Poi sorrise. – Non ricordo tutto. Non ancora. Ma ricordo te. – Le prese la mano destra, toccò l’anello d’oro infilato all’indice, percepì il calore del metallo del Popolo fatato. – Clary. Tu sei Clary. Sei la mia migliore amica.

    (Cassandra Clare, Shadowhunters)

    Per chi ha vissuto relazioni e conflittualità sane, è incomprensibile il comportamento di quanti rimangono intrappolati per molto tempo in una relazione tossica con un partner abusante, violento o manipolatore. Non è facile spiegare loro che il vissuto dei primi anni infantili determina quell’atteggiamento vittimistico e fatalista, per il quale uomini e donne, molto spesso capaci e brillanti, cadono totalmente in balia di esseri perversi che li annientano quasi completamente, senza la forza di ribellarsi per un tempo più o meno lungo, a volte per anni, a volte per tutta la vita, a volte con esiti drammatici.

    È importante quindi, prima di ricostruire la fisionomia del narcisista maligno, ripercorrere i tratti distintivi della vittima, le sue connotazioni sintomatiche, il suo modo di pensare, al fine di rendere la testimonianza dell’esperienza di abuso più compiuta possibile. Mi preme specificare fin da subito che esiste una sorta di collusione tra vittima e carnefice, tra il modo di concepire le relazioni dell’uno e dell’altro, dal cui sincretismo funesto si genera la relazione tossica. Chiamiamo tossica la relazione in cui non si alimentano il rispetto dei confini, la stima e la fiducia reciproca, dove non si gioca una gara di felicità in cui ci si spende con generoso entusiasmo e delicata cura per l’altro.

    In una relazione tossica, al posto dell’empatia vige la prevaricazione e la violenza; al posto della dedizione amorevole, la sopraffazione e l’assoggettamento, fino alle estreme conseguenze: la distruzione totale del partner e del rapporto. La sua mente patologica induce la vittima per un certo tempo a considerare questi comportamenti normali, sopportabili, espressioni di amore a modo suo, salvo poi sentirsi ogni giorno più triste e stanca, quasi rabbiosa con se stessa perché si ha tutto e non si è ancora felici, anzi ci si sente stranamente a disagio. Il disagio sordo, che fa da sottofondo costante all’intera giornata, dal risveglio in poi, è il primo sintomo allarmante e inequivocabile, da monitorare con attenzione, della possibilità di essere vittime di un abuso psicologico. La vittima infatti, paradossalmente, non si rende subito conto di essere invischiata in una relazione tossica, ma frappone tra sé e la relazione una tale gamma di emozioni diverse, che le fanno perdere il senso della realtà e la gettano in un gorgo di disperazione e vergogna.

    Perché una persona abusata è, prima di tutto, piena di vergogna.

    Sia che si tratti di abuso sessuale, psicologico, bullistico o di mobbing, la persona che lo subisce avverte, mista allo stupore doloroso per l’esperienza surreale che sta vivendo, una profonda vergogna, come se quel comportamento lesivo della propria dignità fosse colpa sua. E infatti si nasconde, finge con amici e parenti che tutto vada bene e che la sua relazione con una o più persone (compagni, colleghi, partner) proceda a gonfie vele. E intanto si vergogna: di come l’altro la faccia sentire, dell’umiliazione che prova, della sua incapacità di reagire, del suo timore di essere abbandonata se lo facesse; si vergogna della rabbia che prova; si vergogna del suo sogno idilliaco che si sta infrangendo senza una valida motivazione; si vergogna di quello che non capisce ma che ha sicuramente fatto per meritare di essere trattata così male; si vergogna di non capire in cosa consista esattamente questo dolore che sente, perché molto spesso non ha una connotazione di violenza fisica; si vergogna che questo niente la faccia sentire triste, la depauperi di tutte le sue forze ed entusiasmi, la faccia deprimere, la faccia ammalare, le tolga la voglia di vivere. La persona abusata si vergogna e tace per molto tempo, mesi, anni, decenni, a volte per un’intera vita, convincendosi sempre di più che ci sia qualcosa di irrimediabilmente sbagliato in lei: qualcosa che induce quelle persone, per le quali nutre un disperato e immenso amore incondizionato, a non ricambiarla.

    Una persona abusata è stanca. Prima di arrendersi all’evidenza di non essere amata, infatti, s’impegna con tutta se stessa per migliorare, per essere ancora più generosa, ancora più comprensiva, ancora più indulgente; s’impegna per lavorare di più, per riposare di meno, per impiegare tutte le sue energie fisiche e mentali per risolvere i problemi della persona che ama e che le sta facendo del male, nella speranza che possa desistere, che possa vedere e apprezzare i suoi sforzi, che possa finalmente amarla.

    Una persona abusata è sola. E non tanto perché sia fisicamente isolata, quanto perché vive in un mondo ovattato, in cui solo il suo dolore può entrare, mentre tutto il resto del mondo rimane fuori, incapace di capire, incapace di aiutarla, incapace di salvarla dal suo inferno. Perché la persona abusata vive in un vero inferno, che non ha requie nemmeno al sopravvenire della notte. Anzi è la notte, il momento del riposo, la parte peggiore della giornata perché, smessi i panni professionali o familiari, si ritrova a fare i conti con il suo cuore sanguinante. Raramente riesce ad addormentarsi subito e, se ci riesce, si sveglia talvolta di soprassalto nel cuore della notte, assalita da un’angoscia senza fine e da un vuoto grande quanto il senso di colpa, che la lasciano spossata e terrorizzata a misurarsi con i conti che non tornano e con l’alba che tarda ad arrivare. Una persona abusata è sola perché tutti gli altri, tutti quelli che non hanno mai subito abusi, non sanno consolarla, non possono comprendere che il suo dolore è inconsolabile, è indimenticabile, è immenso. Non capiscono che non si tratta di una storia qualunque, di un litigio come tanti tra amici, parenti o tra amanti. L’abuso è una ferita terribile che non si rimargina mai, anche dopo anni che l’abusatore è uscito per sempre dalla propria vita. Basta una parola, una situazione, un colore di capelli, una frase detta con noncuranza, per scatenare quell’antico ed eterno dolore, per rimanere ancora una volta senza fiato, avvoltolati nel dolore lancinante, nella vergogna viscerale e nel timore spasmodico che l’abuso possa ripetersi da un momento all’altro.

    Una persona abusata è vulnerabile, perché è più sensibile della norma, più empatica e in connessione con gli altri esseri viventi. Una persona abusata è l’esempio pratico di come ognuno di noi sia parte di un tutto unitario (il «tutto è uno» dei filosofi, degli illuminati e degli scienziati), perché sente con il cuore, coglie i sentimenti altrui, i bisogni, le parole non dette. Quindi si emoziona più degli altri, gioisce di più, soffre di più, anche per una piantina che sta morendo, anche per un estraneo che ti guarda con occhi addolorati all’angolo della strada. Anche, e soprattutto, per il proprio cuore che cade a pezzi inesorabilmente, senza che si possa far nulla per rimetterlo insieme e riportarlo indietro, al tempo dei sogni e dei sorrisi.

    Una persona abusata è insicura, non crede nei suoi mezzi, non si rende conto del suo valore. E soprattutto considera normale che il suo amore non la protegga, non la rispetti, non la coccoli, non la difenda, non la sostenga, non la consoli, non la corteggi, non la adori, non la apprezzi, non le sia grato. Considera normale essere disprezzata, umiliata, triangolata, criticata, sminuita, abbandonata a se stessa e ai suoi problemi, violata a partire dalle sue fragilità e dai suoi bisogni.

    Una persona abusata è materna a ogni costo. Conosce ogni desiderio di colui/colei che ama e cerca di soddisfarlo con tutti i mezzi ha disposizione, e se non li ha, li inventa per lui/lei, fa prestiti e rinunce, annullandosi per renderlo/a felice. A differenza del narcisista, che è abile nell’arte della manipolazione retorica, la persona abusata parla poco, ma fa tanto per l’oggetto del suo amore. È una mamma amorevole che vizia il suo piccolo perché non abbia mai freddo e fame: il freddo e la fame che lei conosce bene, perché lui/lei la lascia invece infreddolita e affamata. Ma, essendo materna, la persona abusata cerca sempre di giustificarlo/a e di capire, fiduciosa che un giorno sarà in grado di riconoscerle tutti gli sforzi che sta facendo per lui/lei e finalmente coprirla di amore, finalmente ricambiarla. Vede nell’altro quel bambino indifeso e abusato che per lei, mamma dall’inizio, mamma per sopravvivenza, è un richiamo di sirena. Lei conosce bene quel dolore e vuole ripararlo, vuole consolarlo. Ogni volta infatti il partner la riaggancia mostrandogli quel bambino piccolo che vive dentro di lui e lei abbocca. La sua voglia di accudirlo è irresistibile e supera ogni mancanza di rispetto, ogni tradimento, ogni comportamento lesivo della sua fiducia. Lei lo perdona, non tollera di abbandonare quel bambino piccolo e indifeso, perché sa che morirebbe. Non si accorge che il bambino ferito è dentro di lei e lei non se ne sta occupando.

    Una persona abusata è affamata. Di una fame insaziabile, che bisogna soddisfare in ogni modo perché, se non lo facesse, potrebbe andare incontro a morte certa. Per saziare questa fame, la persona abusata ingurgita di tutto: tradimenti, menzogne, violenze, ingiustizie e volgarità di ogni tipo. Come il bulimico mangia cibi ancora surgelati e disgustosamente freddi, la persona abusata ingurgita azioni senz’anima e senza vita, nell’illusione di poter ricevere, prima o poi, le sue briciole di considerazione, che la faranno sentire viva ancora per un altro istante. Eppure la soluzione per tutta quella fame, sia per il bulimico sia per l’abusato, è semplice, prevedibile, ovvia: smettere subito di mangiare, tenersi la fame e la paura della morte, ma non mangiare più quei cibi orribili. Scoprirebbe con stupore, dopo poco tempo, che la propria sopravvivenza non corre pericoli, che la fame bulimica è passata, e soprattutto che era il cibo tossico a danneggiare e a condurre vicino alla morte, non il privarsene.

    Una persona abusata è una brava bambina e un bravo bambino suo malgrado. Qualcuno tanto tempo fa ha detto che se lei o lui non fossero stati bravi bambini nessuno li avrebbe amati. Glielo ha detto una persona importante, forse la mamma o il papà. Loro gli hanno creduto senza tentennamenti e per tutta la vita hanno cercato di essere quel bravo bambino e quella brava bambina. Hanno talvolta sepolto i propri sogni, i propri desideri, i propri dettagli del carattere, le sfaccettature della propria personalità, per dedicarsi al difficile compito di essere quello che gli altri volevano che fossero: un bravo bambino, una brava bambina, il migliore e la migliore di tutti i bambini del mondo. Se lo avessero fatto, avrebbero finalmente ottenuto quell’amore vitale che tanto gli è mancato per tutta la vita, l’amore incondizionato, che è il culmine dei loro desideri. Ma purtroppo, per quanti sforzi facciano, questo benedetto amore non arriva mai, e per questo motivo loro continuano a essere bravi bambini per il resto del mondo, parenti, vicini di casa, conoscenti, estranei, mentre la frustrazione di non essere amati continua a tormentarli, non li abbandona mai. Sono molto spesso gli altri invece, quelli con cui si sono sempre comportati da bravi bambini, a voltare loro le spalle e ad abbandonarli.

    Una persona abusata è resiliente oltre ogni ragionevole limite, è un pugile suonato, un buon incassatore. Non reagisce e non si ribella per tanto, tanto tempo, perché «io ce la posso fare». Probabilmente sopravvaluta le sue forze, si crede incrollabile, e spera che la sua invincibilità le regali un giorno la tanta sospirata gratitudine. Ogni colpo assestato dal prossimo, così vicino a lei e intimo da chiamarlo amore, è accolto con pazienza, perseguendo in modo ostinato il proposito di rialzarsi ogni volta, perché ogni volta che si sopporta e si incassa l’obiettivo di essere finalmente amati si potrebbe avvicinare di più.

    Una persona abusata è straordinariamente comprensiva, comprensiva oltre il comprensibile. E mentre la gente intorno comincia a chiedersi come faccia a sopportare tanto, la persona abusata continua a esprimere compassione, si immedesima, giustifica, spiega le angherie e la cattiveria contro di sé con l’infanzia difficile della persona che ama, con i suoi problemi al lavoro, con incomprensioni generiche subite da lui/lei, e ammanta di evangelica pietà la propria incapacità di vedere che quello che sta accadendo è manipolazione, pura violenza e sopraffazione ai suoi danni. Ed è intollerabile.

    Una persona abusata è immersa in un sogno ingenuo e meraviglioso, dove cavalieri su bianchi destrieri o dame dal capo cinto di fiori le vanno incontro per salvarla e amarla per sempre, perché finalmente hanno scoperto quanto sia preziosa e speciale, e non chiedono nient’altro alla vita che di poterla rendere felice in eterno. Vive in una favola tragica, fatta di fraintendimenti, mezze verità, pentimenti e ritorni, seguiti da abbandoni e rocambolesche avventure nell’abisso e nel degrado. Una danza macabra, i cui passi sono gestiti dall’avvilimento, dal vittimismo, dall’addossarsi reciproco della colpa del disastro. E quando la realtà rende ormai evidente l’illusione, pure un istante prima della definitiva disillusione, una persona abusata tenta ancora di far rinsavire il mostro, di sciogliere l’iceberg, di scalfire l’indifferenza e la noia, per concretare una volta per tutte quel sogno fatato, quell’amore perfetto e ideale, cui resta aggrappata suo malgrado.

    Una persona abusata è manipolatrice, ingenuamente manipolatrice, ma innegabilmente manipolatrice. Il suo funambolismo sopra situazioni insostenibili, la sua sopportazione e la sua comprensione sono gli strumenti con cui cerca di irretire chi le passa accanto. Manipola le persone che ama perché ha bisogno di nutrimento, ha bisogno di consenso, ha bisogno di affetto, ha bisogno di appoggio, e soprattutto ha bisogno di continuare a illudersi, ha bisogno che nessuno le dica la verità.

    Una persona abusata crede alle parole. Non ha tempo per verificare se siano vere, si aggrappa a ogni complimento, a ogni promessa di felicità, a ogni proclama di dedizione, a ogni giuramento di fedeltà. Per questo rimane intrappolata così facilmente, per questo è così semplice prendersi gioco di lei: perché lei beve ogni parola e nella sua fantasia già realizza le facili promesse dell’abusatore in quel per sempre che non arriverà mai.

    Una persona abusata è un arcano meraviglioso, un universo palpitante e ricco, che annaspa in cerca di un punto fermo a cui aggrapparsi, di una mano amorevole che abbia voglia di tenerla stretta. E se trova momentaneamente quella mano, quell’appiglio, lo ricambia con una dedizione senza pari. Perché una persona abusata ha talmente tanto amore da dare agli altri, che potrebbe da sola colmare tutti i bisogni di tutti gli uomini e donne del mondo. E vuole farlo. A eccezione di una sola: se stessa.

    Una persona abusata è malata. La sua malattia si chiama codipendenza, o dipendenza affettiva. La dipendenza affettiva è una dipendenza a tutti gli effetti, come quelle da droga, alcool, gioco, sesso, ecc. Trascurare la componente patologica dei propri modi di agire e pensare può esserle fatale, come lo è in qualunque altra dipendenza. Poiché è malata, una persona abusata ha bisogno di aiuto urgente per conoscere e ritrovare se stessa, per accudire una volta per tutte, con il suo spiccato maternage, la sua parte bambina violata o ignorata e darle finalmente attenzione, affetto e nutrimento. Si è talmente immersa nel vissuto altrui per servirlo al meglio e renderlo meraviglioso, da aver smarrito, forse da sempre, la propria identità di essere umano, con gusti, passioni e desideri suoi propri. La sua abnegazione, offerta al primo venuto che le dimostri attenzione, non le ha mai consentito di conoscersi, di scoprire chi sia lei e che cosa voglia, se il suo essere venuta sulla terra abbia l’unico scopo di sacrificarsi per gli altri, oppure se esista una recondita felicità in serbo per lei. E non importa se sia l’ultima serva o la sovrana del mondo, una persona abusata è incapace di rendersi felice da sola, perché è incapace di dire quei no, di tracciare quei confini, che la porrebbero al riparo dalla traiettoria dei venti, che invece la squassano e la tormentano tutto il tempo. E diventare una buona volta adulta, responsabile della propria felicità.

    Perciò questa delicata, immatura, inerme creatura ha bisogno di cure da parte di qualcuno che finalmente non approfitti della sua fragilità e sappia condurla gradatamente a riappropriarsi di se stessa, chiunque lei sia.

    Una persona abusata ha bisogno di un terapeuta in gamba.

    Sono stata codipendente e ho subito abusi narcisistici dalle persone che ho amato di più, con evidenti eccezioni (per fortuna!): i miei figli, il mio nipotino, mia sorella, i miei allievi, gli amici sinceri e i veri maestri. Tutti loro sono nella mia vita perché non dimentichi mai quanto io sia preziosa e amabile e meriti amore incondizionato.

    Ho sempre creduto che essendo la migliore di tutti, la più studiosa, la più brillante, la più attenta, la più sensazionale, la più buona, la più infaticabile, la più paziente, la più bella, qualcuno prima o poi mi avrebbe amato. Ma dopo tanto, tanto impegno, ferita e travolta dalle mie stesse scelte, giunsi un giorno allo stremo delle forze, senza più speranze, né progetti, né gioia. Vagavo come inebetita nella mia vita e non riuscivo a dare una risposta credibile al mio immenso PERCHÉ?, che continuavo a ripetere sempre più spesso: perché, se avevo fatto tutto per bene, se avevo sopportato oltre ogni limite, se ero stata brava nel mio lavoro e perfetta in ogni azione, se avevo amato dimenticando me stessa, perché nessuno ancora mi ricambiava? E mentre la morte prendeva sempre più corpo dentro le mie cellule, io continuavo a correre da un capo all’altro per rendere felice qualcuno, per essere al servizio di tutti, girando a vuoto come un’ape impazzita a cui hanno distrutto l’alveare.

    A un certo punto ammisi a me stessa che nella mia relazione sentimentale ci fosse una disfunzione distruttiva e realizzai che fosse dovuta a una patologia grave, non a una mia mancanza di cura e dedizione, come avevo creduto fino a quel momento. Allora decisi, per prima cosa, di cercare una cura per colui che mi faceva del male in modo insopportabile: se lo avessi guarito, allora mi avrebbe trattato meglio e io non avrei più sofferto. Vagai da medico a medico: psichiatra, psicologo, naturopata, agopuntore, medico olistico, esperto di medicina cinese. Nessuno fu in grado di curarlo in modo definitivo. Ero depressa, disperata e sempre più sfiduciata. Finché compresi, grazie al consiglio di un’amica, Valeria, che ero io principalmente ad aver bisogno d’aiuto e solo se avessi curato me stessa avrei avuto la possibilità di sentirmi finalmente bene.

    Accettai di entrare in terapia e ritornai alla vita.

    Mi rendo conto oggi che, se non avessi acconsentito ad affidarmi a un terapeuta, o se, intrapreso il cammino della psicoterapia, fossi fuggita non appena le mie ferite sono venute allo scoperto, non sarei potuta sopravvivere ancora a lungo, per l’immenso carico di dolore e di abuso che mi portavo dietro. Credo nella relazione terapeutica, al di là della tecnica utilizzata, se si fonda su un rapporto concreto di amorevole, mutuo rispetto, com’è stata la mia. Con professionalità, esperienza, senso etico, tatto, sensibilità, fiducia, accoglienza e franchezza, il terapeuta ha creato per me un ambiente nel quale mi sono sentita sicura e finalmente giusta, appropriata, degna di essere ascoltata e amata. E quando si ha

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