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Il sogno di una notte
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Il sogno di una notte

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Storico - romanzo (224 pagine) - Doveva essere un viaggio semplice: il giovane Guillaume voleva solo tornare dalla sua famiglia, dopo un anno trascorso in Terrasanta come crociato. Invece il percorso si bagna di sangue e di violenza, e sarà costretto a impugnare nuovamente la spada per difendere la giustizia.


Il giovane cavaliere Guillaume appartiene a una importante casata nobiliare francese. È imbevuto dei valori cavallereschi e sente fortemente il senso di appartenenza alla classe dominante.

È stato assente dalla Francia per oltre un anno: ha partecipato alla quinta crociata, ha combattuto con onore insieme al fraterno amico Girart, suo scudiero, e ora è ansioso di tornare alla castellania del padre.

Il tragitto non è lungo, sei giorni di cammino, e per compierlo si unisce a una carovana di mercanti diretti alla città di Troyes, dove si svolgerà una fiera di grande richiamo.

Il viaggio avrebbe dovuto essere una passeggiata, secondo il pensiero di Guillaume. Si trasforma invece in un percorso di iniziazione, che modifica radicalmente il suo modo di vedere la vita. È un viaggio fra violenze e sopraffazioni, superstizioni e sincera religiosità, in un mondo fantastico dove fate e folletti sono la realtà e le leggende si trasformano in miti.

Con l’aiuto di un frate mendicante, inviato dal Vescovo per indagare su sospetti di eresie che riguardano un intero villaggio, trova la strada per compiere le proprie scelte.

Scopre la pietà verso l’umanità più umile e un nuovo rispetto nei confronti di persone da sempre considerate inferiori, pronte a sacrificarsi generosamente per gli stessi valori di giustizia e lealtà. Combatte per la giustizia contro un cavaliere rinnegato che terrorizza borghi e taglieggia intere contrade. Segue la propria coscienza per aiutare gli abitanti del villaggio, sottoposto alle indagini del frate inquisitore. E soprattutto combatte per proteggere Bianca, la giovane figlia di un usuraio assassinato in una sommossa.

Sarà proprio Bianca, alla fine, a porlo di fronte alla scelta più difficile.


Fulvio Mario Azzolini è nato a Torino nel 1954. Si è laureato in legge nel 1978 e nello stesso anno ha superato il concorso di Funzionario di Pubblica Sicurezza. È andato in pensione per raggiunti limiti di età nel 2015, con la qualifica di Primo Dirigente della Polizia di Stato.

Appassionato lettore, amante soprattutto dei classici della letteratura russa e francese, ha iniziato a scrivere per il bisogno di comunicare le proprie emozioni. Scrive per se stesso e per gli altri, nella speranza di incontrare lettori con cui condividere pensieri e sensazioni.

Ama la storia e la vita della strada. Cerca di trasmettere nei propri scritti la realtà della vita, delle emozioni e dei sentimenti, nella convinzione che non siano i fatti in sé a essere importanti, ma la percezione delle persone che li vivono. Ogni situazione passa attraverso il filtro del proprio vissuto, e offre infinite diverse sfaccettature.

Oltre la lettura e la scrittura, ama la moto, che gli permette di esplorare posti lontani in libertà, e lo sport intenso, che vive come una sfida con sestesso.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateApr 7, 2020
ISBN9788825411867
Il sogno di una notte

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    Il sogno di una notte - Fulvio Azzolini

    9788825411645

    Capitolo 1

    1

    Il porto in piena attività, chiassoso e laborioso, ingenerava un’immediata sensazione di grande vitalità, di ricchezza e di energia. Navi mercantili panciute e dalle alte murate, galee grosse per il commercio e galee sottili per la guerra, dallo scafo filante, barche da trasporto di ogni misura erano ormeggiate nell’ampio specchio d’acqua, e una selva di alberi con le vele latine ammainate si levava verso il cielo.

    Una interminabile flottiglia di chiatte si staccava dai moli, in una spola ininterrotta per il trasbordo del carico dalle stive sino ai magazzini e ai fondachi, che occupavano un intero lato della grande darsena.

    Il piazzale brulicava di persone operose come le api di un alveare. Facchini a torso nudo, grondanti di sudore, si spostavano piegati sotto i pesi disposti in sapiente equilibrio sulle spalle, mentre mercanti, ispettori e guardiani si affaccendavano attorno alle merci accatastate in modo ordinato, per le verifiche e i controlli.

    Gli equipaggi delle navi affollavano i ponti. Miravano solo ad accelerare le operazioni per poter finalmente sbarcare dopo mesi di navigazione e infilarsi nella prima bettola, a spendere una parte della paga. E magari, dopo, un buon bordello che facesse dimenticare la solitudine delle settimane passate fra mare e cielo.

    Urla, voci, imprecazioni in tutte le lingue attraversavano l’aria, impregnata di buon sapore salmastro che pungeva le narici.

    Odori di casa, famigliari come l’accento armonioso della lingua francese che prevaleva su tutti.

    Guillaume de Grandlac appoggiò le mani sulla murata della grande nave tonda e respirò a fondo. Pelle e polmoni ringraziarono per la rigenerante frescura, così piacevole dopo il caldo bruciante patito durante il viaggio.

    Era finita, finalmente. Non avrebbe più passato intere giornate a osservare la distesa infinita del mare, reso accecante dal riverbero del sole.

    Si passò le mani fra i capelli biondi, lunghi sino alle spalle. L’espressione dura del viso si addolcì, nel riconoscere i mille dettagli insignificanti che rendevano tangibile la consapevolezza di essere ritornato nella sua terra.

    Fu questione di un attimo, poi gli occhi azzurri, segnati dalla fatica e della violenza, ripresero la consueta arroganza.

    Sembrava più vecchio dei suoi ventitré anni. Il sangue versato, i pericoli e la ferocia delle battaglie sostenute contro i Mori avevano preteso il loro pegno.

    – Che cosa hai intenzione di fare, per primo?

    Il compagno che aveva parlato doveva avere un paio d’anni più di lui. Il suo atteggiamento rivelava una sincera amicizia ma il tono usato, rispettoso e prudente, suggeriva una posizione di inferiorità.

    Anche il suo abbigliamento, pur di buona fattura, mostrava meno ricercatezza rispetto a quello di Guillaume. Tela e lino scuri contrapposti a stoffe pregiate dai colori vivaci, decorate con ricami ed eleganti pois bianchi.

    – Sbarcare appena possibile assieme a te, cercare una locanda dove mangiare buon cibo e riposarci su un letto solido.

    – Solo questo?

    Il compagno lo conosceva bene e il giovane si mise a ridere.

    – Farci consigliare bene e passare la serata nel miglior bordello della città.

    Il compagno assentì soddisfatto.

    – È un programma allettante. Dovremmo però preoccuparci di trovare il modo di ritornare il prima possibile al castello di tuo padre. Ti aspetta, e sai che ha grandi progetti per te.

    Guillaume assunse un’espressione contrariata.

    – Lo so, Girart. Mio padre si è messo in testa di farmi sposare la vedova del signor de Monbrun, ma non provo un grande entusiasmo di accasarmi. Almeno, non adesso.

    – Io invece ti invidio. La tua dama è una bella donna, forte e decisa, che tu saprai domare. Ha un buon feudo, con terre fertili e villaggi popolosi. Ha due grandi mulini che servono tutta la contrada e macine che trasformano il grano in denaro sonante, un bel canale navigabile e un castello ben munito. Che cosa vuoi di più?

    – Per adesso, una bella biondina non troppo schizzinosa, da dividere con te fino a quando ci reggeranno i lombi.

    Girart assentì nuovamente, sempre più soddisfatto.

    – Hai ragione. Ogni cosa a suo tempo.

    Si interruppero alla vista del comandante della nave, che era al contempo anche uno dei proprietari e un mercante.

    Si era messo in disparte poco distante, in attesa paziente di essere interpellato. Era un uomo maturo, non molto alto, robusto, dallo sguardo onesto e intelligente. Indossava una semplice tunica nera di buona stoffa, lunga sino ai piedi. L’unico vezzo era costituito da una cintura dorata, dalla quale pendevano mazzi di chiavi e la scarsella per il denaro.

    – Mastro Jerome, aspettavo proprio te. Devo organizzare il viaggio di ritorno al feudo di mio padre. Mi occorrono un carro e dei cavalli per trasportare i nostri beni.

    – Vi consiglio di andare alla locanda di mastro Ranouille. È la migliore della città, è tranquilla ed è frequentata dai mercanti più importanti. Troverete quello che cercate.

    – Senza essere spellati vivi, mastro Jerome – intervenne Girart, severo.

    Il comandante scosse la testa con fare rassicurante, soddisfatto per quanto stava per dire.

    – Saranno loro a pagare voi, signori. A Troyes a giorni inizia una delle più importanti fiere dell’intera Francia. I mercanti organizzano grandi carovane per andarvi. Devono attraversare terre pericolose, infestate da briganti e malfattori. Avere una scorta come la vostra per loro sarà come la manna dal Cielo.

    – Come è stato per te, mastro Jerome – commentò Guillaume, ironico.

    – Sulla mia nave c’è posto per tutti, signore. È sempre un buon investimento cedere un po’ di spazio in cambio di protezione – rispose il capitano, altrettanto ironico. – Ho buone armi nella stiva, ma i miei marinai combattono meglio se ben guidati.

    – Seguirò il tuo consiglio, mastro – tagliò corto Guillaume. – Ora io e il mio scudiero sbarchiamo per andare in questa locanda. Lascio sulla nave i quattro sergenti, a guardia dei nostri beni. Sono il frutto di un anno di guerra in Terrasanta. Il Signore stesso ha voluto premiare la nostra devozione e nessuno deve avvicinarsi.

    Il comandante sorrise.

    – Ho la stiva piena di cotone e allume di Siria, botti di olio e di vino di Cipro, spezie, grano e sale. Le sue preoccupazioni sono anche le mie, signore.

    Guillaume guardò la darsena davanti ai suoi occhi. Era ancora presto ma aveva voglia di lasciare la nave e sentire la terra solida sotto i suoi piedi.

    Si voltò e fissò per alcuni istanti il mare alle sue spalle. Centinaia di miglia d’acqua lo separavano ormai dalla Terrasanta, dagli amici che avevano combattuto con lui, dalle dame di Oltremare che aveva corteggiato, dalla sabbia dei deserti e dalle battaglie con le orde di infedeli.

    Gli comparvero davanti agli occhi i volti dei cavalieri che erano rimasti a combattere e di quelli che non sarebbero più tornati, sepolti nella terra consacrata.

    Un senso di orgoglio gli riempì il cuore. Quella lontana avventura rappresentava la realizzazione dei più alti valori cavallereschi, che gli erano stati insegnati fin da quando era bambino e che lo avevano guidato durante la sua lunga formazione per diventare cavaliere.

    Per oltre un anno aveva affrontato pericoli e sfidato la morte, era quasi impazzito di sete sotto il cocente sole del deserto, rinchiuso nella pesante cotta di maglia di ferro. Aveva combattuto allo stremo in nome della fede, in difesa dei pellegrini e per restituire alla cristianità la terra di Nostro Signore. Avrebbe sempre portato con sé i ricordi di quei sacrifici che avevano dato un significato alla sua vita.

    – Ormai è finita, Guillaume.

    La voce di Girart lo riscosse. Anche lui guardava malinconico l’orizzonte che li separava dalla gloria e dall’avventura, irraggiungibili come se appartenessero a un mondo trascorso.

    – Il nostro dovere lo abbiamo compiuto, mio signore – aggiunse lo scudiero, – e saremmo rimasti ancora se la smania di potere del Pelagio non avesse prevalso sul valore.

    – Hai ragione, Girart, dimentichiamo la tristezza.

    Gli diede una pacca sulla spalla.

    – Ora sbarchiamo. Non vorrei che la biondina di cui parlavamo si stanchi di aspettarci.

    Si incamminarono sul ponte, legati fra loro come due vecchi compagnoni.

    – Io però preferirei una brunetta – commentò Girart.

    – Biondina o brunetta, se là sotto è bella calda come dico io non farò il difficile.

    2

    Non fu difficile trovare la locanda.

    Si infilarono nella strada principale che si dipartiva dal porto, affollata di persone di ogni genere che si fecero rispettosamente da parte al loro passaggio.

    Guillaume si immerse con piacere nella confusione di rumori e odori.

    Camminarono accanto a bancarelle che vendevano cibo a buon mercato, circondate dai marinai e dagli stranieri di passaggio che non potevano permettersi il lusso di una taverna. Mendicanti e storpi protendevano la mano nella speranza di una moneta, mercanti, mediatori e commercianti riuniti in capannelli contrattavano il prezzo delle merci, ancora stivate sulle navi appena arrivate o ammucchiate davanti ai magazzini.

    Le botteghe artigiane erano in piena attività, e il battere del pesante martello di un fabbro si ripercuoteva nella via.

    Guillaume e Girart seguirono le indicazioni di un passante. Deviarono in una via più ristretta, meno affollata, che si apriva fra due linee irregolari di abitazioni dignitose.

    Dalle finestre di una casa ben tenuta due donne ancora giovani, belle ma con il viso segnato da un trucco pesante e dagli stravizi, sorrisero invitanti. Portavano al collo scialletti gialli, segno distintivo che le ordinanze cittadine imponevano alle prostitute, per classificarle e distinguerle senza ombra di dubbio dalle donne oneste.

    Guillaume fu quasi tentato. Il viaggio in nave era stato lungo, il desiderio si era accumulato e le due donne davano l’impressione di conoscere bene il mestiere.

    Rimandò. Aveva problemi più urgenti da risolvere. La sera, dopo una buona cena, forse sarebbe andato proprio da loro.

    Le salutò e proseguì diritto, accompagnato dallo sguardo deluso delle due donne.

    A pochi metri un’insegna di metallo sporgeva dalla facciata di una lunga costruzione a due piani, con il tetto di ardesia. Sullo sfondo rosso dell’insegna, sbiadito dall’aria marina e dalle intemperie, risaltava il disegno di una nave sotto un cielo ricoperto di stelle.

    – Questo è l’albergo – disse Guillaume. – Mastro Jerome lo ha descritto bene.

    Varcarono la soglia e si trovarono in un’ampia sala, occupata da un paio di lunghi tavolacci. Vi erano seduti una mezza dozzina di avventori modestamente vestiti, intenti a mangiare.

    L’ambiente era curato e pulito. Il pavimento di legno era spazzato di fresco, i muri lindi erano ravvivati da reti da pesca e da arazzi che rappresentavano scene di mare. La stoffa era dozzinale e i disegni approssimativi, ma contribuivano a creare un’atmosfera accogliente.

    I clienti alzarono il viso e osservarono incuriositi i nuovi arrivati, attirati dall’abbigliamento ricercato e dalle corte daghe che pendevano dalle cinture. L’atteggiamento dei due, altero e deciso, li identificava al solo apparire come persone di lignaggio, abituate a comandare.

    L’oste, un uomo robusto di una quarantina d’anni, era impegnato a controllare la qualità di alcuni sacchi pieni di farina scura. Alzò gli occhi al rumore della porta che si apriva, squadrò i due nuovi arrivati e comprese di avere di fronte dei possibili ottimi clienti.

    Si ripulì le mani su un grande grembiule scuro lungo sino ai polpacci, poi si diresse solerte verso di loro, con un sorriso ossequioso disegnato sul volto furbo.

    Si inchinò servizievole.

    – Benvenuti, signori – salutò, con un tono ancora più servizievole. – È un grande onore per me accogliere nel mio albergo persone della vostra classe.

    – Devi ringraziare mastro Jerome – lo interruppe Girart. – Lui ci ha detto che questo è il migliore albergo della città.

    – Non solo della città, signore – ribatté mastro Ranouille, con il sorriso che ora pareva scolpito. – Il mio è il miglior albergo della contrada e dei borghi vicini. Chi prova la mia cucina e il mio vino ritorna sempre. Se volete dormire ho camere con buoni letti, tranquille e comode, e grandi tinozze per un bagno rinfrescante.

    – Ascoltaci, oste – lo interruppe Girart. – Il mio signore deve ritornare ai suoi possedimenti e deve trovare il modo di organizzare il viaggio. Hanno detto che in questo periodo il tuo albergo è frequentato dai commercianti diretti alla fiera di Troyes. Noi dobbiamo percorrere la stessa strada.

    – Troverete quello che cercate, signori – confermò tronfio l’oste. – Da me abitano solo i grandi mercanti, gli altri non potrebbero permetterselo.

    Li guardò con un sorriso ancora più significativo, per far comprendere che le qualità decantate del suo albergo avevano il loro prezzo.

    – Se volete, vi posso organizzare un incontro per questa sera stessa. Tre di loro hanno ordinato una cena, e davanti a buoni piatti e bicchieri pieni di vino si concludono i migliori affari.

    Guillaume diede un’occhiata alla sala, ai tavolacci e ai pochi avventori ancora seduti.

    – Non ho l’abitudine di mangiare insieme a carrettieri ubriaconi che ascoltano quanto ho da dire – esclamò sprezzante.

    L’oste assunse un’aria offesa.

    – Io conosco le buone maniere, signore. Le persone per bene pranzano nelle loro camere o in salottini riservati. Questa sala è per i loro servitori.

    – Va bene allora, oste – concluse Guillaume. – Organizza la cena per questa sera e preparaci una stanza. Resteremo da te sino al giorno della partenza.

    Una cameriera entrò in quel momento nella sala. Reggeva un vassoio di legno fra le mani, contenente una brocca di coccio piena di vino e diversi boccali.

    Era giovane e bella, decorosa nonostante la sua evidente povertà. Indossava una tunica grigia di cotone semplice, stretta in vita da una cintura di corda che accentuava le curve armoniose dei fianchi ampi.

    La ragazza si intimidì alla vista dei nuovi arrivati, così diversi dai soliti mercanti. Proseguì silenziosa verso i tavolacci e abbassò il capo, vergognosa, quando passò davanti a loro. Fu un movimento discreto, ma non abbastanza da riuscire a nascondere i vivaci occhi scuri che addolcivano il bel viso regolare, incorniciato da folti capelli neri raccolti in una morbida treccia.

    Guillaume la seguì con lo sguardo mentre si avvicinava ai tavoli. Aveva un bel corpo dalle linee piene, che si delineavano accattivanti sotto la tunica.

    Mastro Ranouille si accorse del suo sguardo.

    Avvicinò il volto, con aria maliziosa.

    – Venite da un lungo viaggio, signori? – chiese a voce bassa.

    – Troppo lungo, oste – rispose Guillaume.

    Non riusciva a staccare gli occhi dalla figura della ragazza, e il tono di voce dell’uomo aveva già detto tutto.

    – Se lo gradite, questa notte posso mandare la giovane Jeannette nella vostra camera. È un bocconcino di appena vent’anni che apprezza la generosità dei clienti.

    Aveva parlato a voce ancora più bassa, con gli occhi lucidi per la cupidigia.

    Una parte di quella generosità sarebbe finita nelle sue tasche.

    – Vi chiedo solo di non farne parola – si raccomandò. – Rischio una grossa multa nell’organizzare questi innocenti incontri nel mio albergo, ma so che voi siete persone discrete che tratteranno bene la piccola Jeannette.

    Girart batté la mano sulla scarsella gonfia.

    – La tua cameriera non se ne pentirà, mastro Ranouille. Questa notte riserva la ragazza a noi, e sarai ricompensato bene anche tu.

    L’oste abbassò il capo, compiaciuto del nuovo affare stipulato.

    – Al vostro servizio, nobili cavalieri. Per ogni vostro desiderio sono a disposizione.

    Capitolo 2

    1

    Guillaume era infastidito. Non gli piaceva avere a che fare con i mercanti, soprattutto quando, come in quel caso, doveva contrattare con loro e mettersi quasi al medesimo livello. I mercanti erano falsi e avidi, interessati solo a ottenere il massimo profitto con la minima spesa, senza lavorare e senza sporcarsi le mani in modo onesto.

    Il mondo si era sempre retto sui religiosi, che salvavano le anime con le loro preghiere, sui cavalieri, che combattevano per proteggere i deboli, e sui contadini, che aravano la terra per sfamare tutti.

    Tre ordini. Come la Santa Trinità. I mercanti non rientravano in questo semplice ordine divino. Non producevano nulla e si arricchivano con l’inganno. Compravano la merce a un prezzo e la rivendevano a un prezzo più alto. Sanguisughe, che Gesù stesso aveva cacciato dal tempio.

    – Non ti angustiare, Guillaume – lo incoraggiò Girart. – Ci possono essere utili ed è giusto approfittarne.

    – Dedicano la vita al guadagno. In Terrasanta erano più interessati a mantenere i commerci con i Mori che a combatterli.

    – Ora faranno quello che tu deciderai. Siamo noi a servirci di loro, non l’incontrario.

    L’ira si sbollì. Girart aveva inquadrato la situazione nella giusta prospettiva.

    – Hai ragione. Approfittiamo della buona cena che pagheranno loro, poi penseremo a Jeannette.

    Seguì mastro Ranouille verso una saletta appartata, dove tre persone sostavano davanti la porta. Tre uomini di mezza età, non superiore ai quarant’anni, con i capelli lunghi alle orecchie e ben rasati.

    L’oste non aveva esagerato. Si trattava di grandi mercanti.

    La stoffa raffinata delle corte tuniche che arrivavano sino al polpaccio, le brache attillate e i calzari di cuoio robusto ma morbido, rivelavano all’istante un benessere non comune.

    I colori tenui degli abiti manifestavano la volontà di mantenere una certa discrezione. Solo uno di loro indossava una cintura più vistosa, di un rosso acceso che spiccava sull’azzurrino della veste, alla quale era appesa una scarsella di pelle pregiata bella rigonfia.

    Guillaume lo guardò negli occhi e si innervosì nuovamente. Vi lesse la pacata sicurezza indotta da una posizione economica solida e in espansione.

    Sono più ricchi di molti cavalieri, pensò stizzito.

    Forse anche più di suo padre, che pure aveva un buon feudo dal quale ricavava consistenti guadagni, fra tasse, corvée e affitti. Lui però era dovuto partire per la Terrasanta. Per la gloria e per la Fede, sicuramente, ma anche con la speranza di ritornare con un buon bottino. Il denaro non bastava mai.

    – Il più importante dei tre è mastro Martell, quello con la cintura rossa – gli bisbigliò l’oste.

    Subito dopo li raggiunsero e mastro Ranouille si prostrò quasi a terra durante le presentazioni.

    I tre si mostrarono rispettosi senza però cadere in un atteggiamento servile, e Guillaume si ricredette su quanto aveva pensato. I mercanti avevano capito di trovarsi in una posizione di uguaglianza. Loro avevano bisogno di una spada e lui non poteva fare a meno del loro aiuto.

    – Vi siamo grati dell’onore che ci mostrate, signore, nel dividere la nostra cena – disse mastro Martell.

    – Penso che divideremo molto di più, se troveremo un accordo favorevole per entrambi.

    – Io vi lascio, signori – si accomiatò l’oste. – La cena è già pronta e non dovrete fare altro che chiamarmi per ogni vostra esigenza.

    Si allontanò camminando all’indietro, in segno di ossequio, e Guillaume, su invito di mastro Martell, entrò nella sala insieme a Girart.

    L’oste non aveva mentito nemmeno riguardo alla propria cucina.

    Un profumo appetitoso lo accolse, invitante.

    La bocca si riempì di saliva.

    Era affamato, l’aria marina gli aveva stimolato lo stomaco e da tempo non gustava più un pranzo decente. Nel lungo viaggio di ritorno sulla nave si era dovuto accontentare di pasti frugali. Carne salata, piselli secchi, rape, acqua stantia e vino mediocre. Alcune volte non aveva rifiutato un piatto di pesce appena pescato, cibo da marinai, pur di sentire sulla lingua il sapore di carne fresca.

    Fissò la tavola che prometteva una gloriosa fine dei patimenti.

    Sul centro spiccavano vassoi con carni arrostite, pollame, capponi, capretto e cacciagione, già suddivise in piccoli pezzi. Accanto erano posti grandi piatti colmi di verdure e frutta fresca, per addolcire il forte sapore della selvaggina.

    Jeannette, la cameriera, era intenta a versare una fumante zuppa di verdure nelle tazze sistemate davanti a ogni sedia.

    Arrossì alla vista di Guillaume e Girart. Probabilmente mastro Ranouille le aveva già parlato dell’impegno notturno.

    Guillaume la guardò e si eccitò nell’immaginarla nuda. Motivo in più per sbrigare in fretta la pratica con i mercanti.

    Si sedette alla tavola imbandita. La cena era ricca e succulenta, notò con una presuntuosa soddisfazione, ma sottolineava anche l’abisso che separava i nobili dai mercanti, nient’altro che villani arricchiti.

    I banchetti nei castelli erano maestosi, organizzati per stupire gli ospiti e saziare ogni senso. Piatti prelibati, vini speziati a fiumi, suonatori e menestrelli, saltimbanchi e buffoni, e gli avanzi sarebbero stati sufficienti a organizzare una nuova libagione.

    Quella cena era invece calcolata e contenuta, di buona cucina ricercata ma non eccessiva, attenta a non provocare sprechi con una superflua abbondanza.

    I nobili si godevano la vita e mostravano con orgoglio la propria munificenza, a costo di indebitarsi. I mercanti miravano solo ad accumulare denaro e non spendevano nulla di più di quanto fosse necessario.

    Iniziò a servirsi, sovrappensiero, poi la voce di mastro Martell lo riportò al presente.

    – Ho saputo che venite dalla Terrasanta. Vi fa onore

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