Interludio Cento di questi anni
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Interludio Cento di questi anni - Pietro Ferrari
sequel
Pietro Ferrari
Interludio Cento di questi anni sequel
TITOLO | Interludio- Cento di questi anni sequel
AUTORE | Pietro Ferrari
ISBN | 978-88-31665-94-0
Prima edizione digitale: 2020
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Ben altri individui avrebbero meritato di essere qui raccontati, ma anch’essi stavolta e comunque, maschere insignificanti avrebbero indossato sul volto.
Ci sono momenti che si legano ad una più intensa velocità, come ferraglie sottili catturate da una grande calamita, momenti che spingono da sentieri impervi ad ariose radure. Momenti come fotogrammi, che trovano un senso appena visti nel fluire della loro direzione, come trasportati da un direttore d’orchestra che sa agitare quella calamita a mo’ di vessillo. Il tempo sembra calare un sipario quando gli attori fanno l’inchino, ma il pubblico non è sempre consapevole alla prima di un’opera di quale sarà la prossima scena, quali note musicali la condurranno e come saranno, se monotone e catatoniche come l’eco di uno stillicidio in una grotta o se scalpitanti come gli zoccoli di cavalli selvaggi tra le immense steppe. Qualcuno immagina di vivere dunque da protagonista l’achmé di una climax crescente, mentre forse nello sfolgorìo delle arcane coreografie è soltanto un qualunque spettatore di un intermezzo. Il figurante di un interludio.
***
Giovanni se ne stava acquattato nel suo bugigattolo polveroso, tra chincaglierie d'antan, umidi opuscoli di viaggiatori cinquecenteschi, utensili arcaici trafugati da radure pedemontane o scovati sotto i funghi, statuette abbandonate da antiquari squattrinati e vasellame d' occasione reperito nelle aste degli oggetti smarriti. Tra gli scaffali della sua improbabile gipsoteca vi era anche qualche pezzo d'autore vinto a carte contro gentiluomini dissoluti, signorotti degenerati che usavano come pegni per i loro vizi, i gioielli di famiglia.
Si intravedeva l’ombra di un passante che si dirigeva verso l’ingresso del suo bugigattolo, sembrava alto e zoppicava un po’ fino a quando non aprì la porta.
- Si accomodi pure, venga e non faccia caso al disordine.
- Buongiorno, sono un turista tedesco che alloggia qui vicino; mi occupo di numismatica e vorrei dare un’occhiata al negozio.
- Ci mancherebbe, prego, le mostro i pezzi che abbiamo, è tutta roba del periodo angioino ed aragonese. Abbiamo anche dei maravedis di Carlo V con cui il sovrano pagò Antonio Pigafetta al seguito dell’esploratore Magellano.
Lothar Ziege con le sue ferie arretrate da recuperare, intanto aveva già visitato Venezia, Firenze e adesso a Napoli cercava proprio monete dell’antico regno, pressoché introvabili altrove.
Lothar già aveva avuto modo di visitare la penisola italica. Una maschera fugace lo aveva rapito tra i vicoli nebbiosi di Venezia, una maschera che lasciava trasparire sul collo un vistoso tatuaggio. Ogni tanto gli tornava in mente, come se quella visione fosse collegata ad uno strano omicidio avvenuto a Burano di cui aveva letto l’indomani del Martedì Grasso sul giornale. Forse libere associazioni mentali, disconnesse suggestioni, del tutto arbitrarie, ma Lothar ogni tanto ci ripensava.
Una gondola piena di vetro soffiato che copre il cadavere di un americano. Questa in sintesi è l’immagine che sveglia dall’umida notte la città lagunare. L’uomo era un turista americano, un ingegnere elettronico esperto in sistemi crittografici. Gli inquirenti sono impegnati nella ricerca di testimoni e indizi.
Questi i resoconti meccanici che ricordava, ma ben altro lo aveva colpito.
Quelle maschere, così solenni e inquietanti, mute e altissime, tutte composte eccetto una…mah, sarà che quando ti trovi in un posto così incredibile come Venezia non ti aspetti di essere gettato sugli spalti di una sceneggiatura, una sceneggiatura che finisce nella cronaca nera locale. Acqua passata.
Durante l’itinerario in Italia, Lothar aveva già incontrato la delegazione di compatrioti, giunta per seguire gli aspetti organizzativi e logistici nell’interesse degli atleti tedeschi che sarebbero giunti a Roma per le Olimpiadi. Un attimo impastato di tristezza e nostalgia lo assalì, appena sopraggiunse in lui il pensiero di quelle Olimpiadi che mai riuscì a raggiungere, e che tra l’altro mai furono celebrate nel 1940. Quel maledetto incidente che lo rese zoppo per sempre, la storia con Eva che evaporò dalle loro vite e le tante storie che ebbe successivamente, più mature e soddisfacenti, ma forse meno intense. Sì, perché l’ingrediente magico che colora i cieli è la giovinezza interiore.
Ogni tanto era pensieroso. Pensieroso così, in qualche modo vagante ma questo non gli impediva affatto di prendersela un po’ comoda e di distrarsi con qualcosa di più effimero o anche magari di più serio ma del resto, almeno sin dai tempi di J. W. Goethe, ai tedeschi era sempre piaciuto molto girare, cogitabondi, per le città d’Italia.
- Resto a Napoli due giorni, dove posso prendere un buon caffè?
- Da tutte le parti dottò, ma aspettate che mo ve lo preparo qua, così me lo riprendo pure io. Tengo la moka sempre pronta.
Nel frattempo dopo aver visto Giovanni gesticolare, entrarono nel negozio due suoi amici con un vassoio di babbà, erano Michele e Alberto, gli amichetti del cortile, quelli della finale mondiale di Parigi, quelli della piccola banda di fanciulli scavezzacollo che imperversavano nel quartiere tra il 1935 e l’inizio della Guerra Civile Europea.
- Salve, gradite pure questa specialità col caffè, se volete farvi una gita in barca fino a Procida siamo a vostra disposizione, pure se volete pesce fresco cotto e mangiato.
- Vi ringrazio, magari ne parliamo più tardi se passate sotto l’albergo, mi trovo in Via Franco Galantini.
- Ah l’albergo è quello nuovo, sappiamo dov’è e conosciamo pure la storia del soldato a cui hanno intitolato la strada. Mio zio mi racconta spesso di lui, era un suo amico Franco Galantini, caduto a Dunquerke.
- Anche io ho avuto un carissimo amico, Karl Voeller, caduto in quella battaglia. Magari si saranno pure conosciuti.
A Giovanni era capitato di ripulire qualche turista giocando a carte, ma stavolta una forma di particolare rispetto gli impedì di invitare Lothar ad una giocata.
Si salutarono cortesemente.
Lothar chiuse la porta della sua stanza, quasi come se avesse gettato di fuori tutto il resto del mondo mentre girandosi, si recava verso la finestra per aprire le ante. Ora non aveva nessuno attorno a sé e sapeva che neanche gli addetti alle pulizie lo avrebbero disturbato coi loro salamelecchi e le loro affettate disponibilità. Ne ebbe gelido conforto, quasi un fastidio. Quella bolgia vociante di vita, confusione e teatralità gli riscaldava il cuore pure se, o magari proprio perché, così dissonante rispetto al suo grigio e compassato aplomb. La verità come spesso accade è però un’altra. Talvolta la solitudine si fa sentire quando meno te l’aspetti.
Quello scienziato pazzo che conobbe da giovane, tra le sue sfrenate corse e i suoi studi economici, ogni tanto gli tornava in mente. Quello che progettava razzi spaziali. Sì, perché la noia che ti assale la vinci se riesci ad avere degli obbiettivi. Cosa avrebbe fatto di ritorno in Germania? Il suo ambiente lavorativo dopo tanti anni gli dava nausea, come può darla un tenue acquerello guardato troppo intensamente o troppo a lungo. Soffiava un vento strano in Germania, come un contraccolpo a cotanta potenza scatenatasi in quei formidabili anni. Un vento corrosivo di inquiete ambizioni che agitavano troppi novelli baroni. Un vento di corruzione.
Riaprì la porta ed uscì d’impeto dalla stanza. Aveva bisogno di tornare nella bolgia.
Tornò al negozio di Giovanni che stava per chiudere, gli chiese di chiamare pure i suoi amici, comprò stavolta qualche oggetto ed invitò lui e gli amici pescatori a cena.
- Dottò, prima che ve ne andate vi facciamo vedere i Quartieri Spagnoli e Capodimonte ma poi, ce lo dovete promettere dottò, dovete passare a Pompei e ad Amalfi.
- Ci avevo pensato.
- Con una bella signorina però dottò, sarebbe meglio.
Lothar torna in Germania, consumato dai ritmi ordinari, tra lettere e oneri lavorativi scriveva il suo interminabile saggio sulla moneta, intrattenendo scambi epistolari con amici americani per una traduzione in lingua inglese. Dell’Italia conservava ancora dopo anni un ricordo di fascino solare e di mistero.
Glenda lo salutava sempre con un tono galante che dissimulava la sua passione, a tratti contenuta dal ruolo subalterno di segretaria; uno stereotipo quello del fascino gerarchico dal quale la leggiadra fanciulla sapeva uscire, raggirandolo grazie ad una voce suadente. Lui dal tono spartano, sempre serioso e distaccato lasciando le emozioni fuori dai luoghi di lavoro, portava ancora addosso suo malgrado quell’atmosfera napoletana, che poi è una variante di quella latina, greca, araba e mediterranea. Aveva voglia di cambiare il ritmo della sua vita e quella ragazza così giovane e chiaramente invaghita di lui, rischiava di rappresentare un detonatore micidiale o un treno da prendere al volo.
Ci pensava.
- Dottor Ziege salgo in direzione e le porto i fascicoli della fusione societaria, quella sotto inchiesta.
- Glenda grazie per la tua puntualità. Faccio una piccola pausa nel frattempo.
- Dottore sono confusa, mai mi aveva dato del tu.
Una civetteria da gatta morta un po’ troppo affettata che spiazzò per un attimo Lothar, distogliendolo dal suo già timido approccio.
- Ha ragione Glenda, mi scusi ma ero sovrappensiero.
No, idiota che fai? Rimetti le distanze? Così la mortifichi.
Lei che già sognava di chiamarlo semplicemente Lothar, venne a perdere l’entusiasmo come gelata, visibilmente in difficoltà mentre lui imbarazzato la guardava inebetito.
- No, ma mi ha fatto piacere… cioè no, non si preoccupi dottore. Vado e torno.
Non era il caso.