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Questo scritto è dedicato alla esperienza vissuta in tempi recenti subito dopo quella del romanzo “La Torre” di cui ne eredita alcuni personaggi che hanno condiviso con me un periodo di studi e ricerche che pongo sulla sottile linea di confine tra realtà e fantascienza. Queste esperienze mi hanno lasciato segni indelebili che mi rimarranno nel tempo con momenti di coinvolgimento in situazioni dove ho avuto l’occasione di mettere a confronto e alla prova le mie conoscenze, esperienza e passione per ciò che rappresentano le onde elettromagnetiche, alla base dell’universo e di tutto quello che ci circonda, e che ci permettono di vivere, conoscere e molto di più. L’attenzione che sempre più insistentemente il mondo della ricerca tradizionale e parallela cerca di avere dal comune mortale, inizia ad avere il suo risultato, ed oggi iniziamo a vedere la storia dell’umanità e delle sue civiltà sotto una luce diversa ipotizzando un passato che potrebbe essere riscritto e non proprio buio, collegato ad un futuro colmo di sorprese inimmaginabili che riscopriremo un passo alla volta.
LanguageItaliano
Release dateMar 31, 2020
ISBN9788855129565
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    Il codice - Fabrizio Michele Galeotti

    Fabrizio Michele Galeotti

    Il codice

    Copyright© 2020 Edizioni del Faro

    Gruppo Editoriale Tangram Srl

    Via dei Casai, 6 – 38123 Trento

    www.edizionidelfaro.it

    info@edizionidelfaro.it

    Prima edizione digitale: aprile 2020

    ISBN 978-88-6537-710-9 (Print)

    ISBN 978-88-5512-956-5 (ePub)

    ISBN 978-88-5512-957-2 (mobi)

    In copertina: antenna a parabola motorizzata del diametro di quattro metri dell’autore dedicata alla ricerca radioastronomica.

    Ogni riferimento a persone, fatti e azioni contenute in questo romanzo vogliono essere del tutto casuali e completamente immaginarie. Eventuali concomitanze riconducibili a fatti, nomi e personaggi della realtà sono coincidenze del tutto involontarie e casuali di cui l’autore non si assume alcuna responsabilità.

    http://www.edizionidelfaro.it/

    https://www.facebook.com/edizionidelfaro

    https://twitter.com/EdizionidelFaro

    http://www.linkedin.com/company/edizioni-del-faro

    Il libro

    Questo scritto è dedicato alla esperienza vissuta in tempi recenti subito dopo quella del romanzo La Torre di cui ne eredita alcuni personaggi che hanno condiviso con me un periodo di studi e ricerche che pongo sulla sottile linea di confine tra realtà e fantascienza. Queste esperienze mi hanno lasciato segni indelebili che mi rimarranno nel tempo con momenti di coinvolgimento in situazioni dove ho avuto l’occasione di mettere a confronto e alla prova le mie conoscenze, esperienza e passione per ciò che rappresentano le onde elettromagnetiche, alla base dell’universo e di tutto quello che ci circonda, e che ci permettono di vivere, conoscere e molto di più. L’attenzione che sempre più insistentemente il mondo della ricerca tradizionale e parallela cerca di avere dal comune mortale, inizia ad avere il suo risultato, ed oggi iniziamo a vedere la storia dell’umanità e delle sue civiltà sotto una luce diversa ipotizzando un passato che potrebbe essere riscritto e non proprio buio, collegato ad un futuro colmo di sorprese inimmaginabili che riscopriremo un passo alla volta.

    L’autore

    Fabrizio Michele Galeotti è nato nel 1951 a Carrara dei Marmi (MS). Oggi vive a Domegliara di Sant’Ambrogio Valpolicella (VR) dove, dal 1986, dirige un’infrastruttura di importanza strategica del comparto energetico nazionale alla quale ha partecipato alla progettazione e realizzazione. È alla sua prima esperienza editoriale, maturata per la volontà di pubblicare una storia radicatasi nel tempo nella sua mente. Altre esperienze parallele sono la scrittura di dispense e manuali per la formazione degli addetti ai processi industriali del settore energetico. Le sue passioni di sempre sono la storia del territorio coinvolto nel secondo conflitto mondiale, le radiotrasmissioni in onde corte, la radioastronomia e ricerca spaziale. Fa parte della grande famiglia dei radioamatori con il nominativo di IK3SCE.

    Questo romanzo è dedicato a me stesso perché descrive ciò che io mi sento di essere fin da quando nel 1960 scoprii lo spazio seguendo alla televisione di allora le prime imprese della corsa alla sua conquista.

    Cercavo nei cieli stellati d’Abruzzo, con il naso all’insù del ragazzino rapito dagli eventi, il passaggio di quei puntini luminosi che rappresentavano nel firmamento le navicelle dei primi astronauti. Poi la grande passione per la tecnica si allargò alle telecomunicazioni via etere, cosa che mi è valsa grandi soddisfazioni con l’ascolto, con mezzi radioelettrici di fortuna, delle conversazioni di quei pionieri che vagavano tra le stelle descrivendo quello che vedevano con i loro occhi spalancati dallo stupore.

    L’incontro con un personaggio speciale, l’architetto, mi ha poi dato la possibilità di miscelare tutte queste passioni portandomi verso la ricerca nel dominio dei campi elettromagnetici.

    Quanto scritto è ciò che mi sarebbe piaciuto scoprire con lui.

    A mia moglie Martina,

    donna di grande pazienza,

    proprio come si evince dal romanzo,

    e ai miei due cari figli, Francesca ed Enrico,

    sempre presenti con il loro supporto.

    Il codice

    L’inizio

    Noia!

    Una domenica d’autunno grigia e nebbiosa, come ero solito, mi ero rifugiato nella mia base operativa, in realtà ormai ex base operativa, costituita dalla imponente e attrezzatissima postazione radio tempo addietro orgoglio mio e di chi la frequentava. Solitamente colleghi appassionati di ricerca nel campo meteorologico, sismologico e spaziale, nonché di collegamenti planetari, in contatto con altre centinaia di persone sparse per il globo con le quali scambiavamo esperienze e dati. Tempi passati quelli, quando l’esultanza era cosa consueta e quotidiana per i risultati che ottenevo e condividevo!

    Ora un impalpabile grigiore era calato su tutte quelle apparecchiature raccolte in mensole ordinate, che mi circondavano come un bozzolo quasi a proteggermi dall’esterno e nel contempo ricordarmi che erano lì pronte a brillare di nuovo con tutte le loro lucine multicolori e il canto dei motori elettrici delle ventole degli stadi di potenza degli apparati che per me erano come una musica eccitante.

    Di tutto quel ben di Dio, quando mi rifugiavo in questo mondo, il mio mondo, oramai ero solito accendere solamente un paio di radio per ascoltare il traffico radioamatoriale e qualche broadcasting che trasmetteva programmi commerciali da qualche località esotica e nulla più.

    Anche questa era una di quelle domeniche di noia e me ne stavo con il mento appoggiato al palmo della mano fissando il solo monitor acceso di uno dei computer presenti verificando la posta elettronica in arrivo, ma niente di nuovo, solo pubblicità di tutti i tipi.

    Era proprio una situazione di crisi, e scuotendo il capo e sospirando non potevo che tornare alla grande esperienza vissuta da me e dalla mia famiglia tempo addietro, quando la torre della casa aveva avuto un ruolo principale assieme al protagonista Mario. Al ricordo di quel nome un sorriso si profilò sulle mie labbra, ma tutto era concluso e lontano nel tempo, mentre io ora mi trovavo in questo museo e non riuscivo a scrollarmi di dosso questa apatia che imputavo alla mia anzianità.

    Già, quella arriva per tutti, e nel mentre la mente è sempre attiva, il corpo, ovvero la macchina umana, come la definivo, non segue più la mente, e con il passare degli anni si dissocia rallentando i riflessi: passa la voglia di intraprendere nuove iniziative e tu te ne stai lì, come in questo pomeriggio dove si vorrebbe fare tutto ma non si ha più la forza di farlo come un tempo.

    I soliti rumori casalinghi provenivano da sotto, uno spiattellare di stoviglie che Martina stava lavando a mano e riponendo. Eravamo solo noi due, i figli erano a spasso con gli amici lasciandoci con il nostro passato, anche il micio di casa accusava questa atmosfera ed era corso a trovarmi balzando sulla tastiera del computer come d’abitudine, quasi gustando il pronto rimprovero e l’invito ad andarsene dopo aver fatto il solito danno premendo a caso i tasti della tastiera.

    «Via micio, vai giù dal mio tavolo di lavoro e lasciami ai miei pensieri!»

    Come sempre il micio mi guardò con aria interrogativa, chissà cosa capiva, o forse è più probabile che non capisse nulla.

    Sarebbe stato bello inventare un traduttore uomo-gatto per parlarci, e subito la mia fantasia iniziò a galoppare nell’universo dell’elettronica pensando a quale chip utilizzare per interfacciare il suo suono vocale con il mio e viceversa, almeno si sarebbe potuto passare qualche ora a scambiarci punti di vista ed esperienze come avviene per il famoso personaggio del gatto con gli stivali, chissà…

    Lasciai cadere questa fantasticheria, anche perché via radio un collega ligure annunciava il termine delle trasmissioni per l’arrivo di fenomeni temporaleschi, quindi un pericolo per l’operatore a causa delle antenne esposte che potevano diventare potenziali acchiappa-fulmini, scaricando l’energia nella stazione radio con danni enormi e con rischio della sua stessa vita.

    L’etere divenne silenzioso, nessuno più dialogava e anche la ricezione dell’emittente cubana broadcasting divenne lacerata da scariche insopportabili. Mi decisi a guardare fuori dalla finestra: la nebbia era scomparsa lasciando il posto a uno splendido sole, anche se il monitor collegato alla stazione meteorologica indicava che la pressione barometrica stava precipitando e il vento di sud-ovest annunciava anche per questa zona l’arrivo del brutto tempo.

    Pigramente accesi il computer collegato al satellite meteorologico per ricevere in diretta dallo spazio le ultime immagini che venivano trasmesse dall’agenzia spaziale europea a chi come me aveva fatto domanda per ottenere la licenza di stazione a terra, ed effettivamente una massa temporalesca incombeva sul golfo di Genova, in migrazione per queste parti, ma non sarebbe giunta prima della nottata o della mattinata, quindi sprofondai di nuovo nell’apatica noia.

    Bisognava a tutti i costi riprendere l’attività del tempo passato, quando ero una persona importante e stimata nella ricerca e nell’autocostruzione di soluzioni e novità elettroniche – talvolta anche all’avanguardia – che poi avevano originato piccoli brevetti. La mia innata passione per la radio e le sue applicazioni era sempre stata una cosa viscerale, anche se poco accettata dalla mia famiglia in quanto considerata una perdita di tempo, precludendomi così occasioni, in gioventù, che forse avrebbero potuto stravolgere la mia vita e quella della mia famiglia.

    Fare elettronica era insomma per me cosa naturale, che non abbisognava di molti insegnamenti, e ciò mi aveva portato a intuizioni tecniche importanti che ancora oggi venivano sfruttate in vari campi, anche se devo ammettere che non avevano portato ad altrettanta fortuna economica.

    Ma questa è una realtà comune per noi scienziati mi dissi per darmi una giustificazione, peccando senz’ombra di dubbio di molta superbia!

    Presi a dare un’occhiata ai file archiviati per rammentarmi dei vari progetti e percorsi compiuti per arrivare al risultato finale, stupendomi di quanto lavoro e che livello di ricerca avevo fatto in quei tempi di gloria dove tutto appariva alla portata e raggiungibile.

    Per questo motivo ero riuscito a circondarmi con estremi sacrifici di apparecchiature che per un hobbista erano ingiustificate, come più di una volta un caro amico titolare di un’azienda di telecomunicazioni mi aveva detto: «Che ci fai con tutto questo? Dove vuoi arrivare?»

    La risposta che davo era sempre la medesima, ovvero che tutto ciò mi serviva per le ricerche che mi prefiggevo di fare nel campo delle applicazioni elettromagnetiche, qualsiasi esse fossero, per trovare alcune risposte anche se a livello di hobby, ma che era anche risaputo che tanti ritrovati tecnologici che avevano stravolto il nostro modo di vivere erano partiti da semplici scantinati, soffitte o garage di casa, quindi nulla di nuovo se un personaggio come il sottoscritto era attrezzato a quella maniera!

    Ma quel tempo era trascorso e pian piano eccoci arrivati a questo pomeriggio uggioso senza speranze. Che fare? Mi guardai attorno per cercare qualche iniziativa che potesse preludere a un nuovo progetto, ma dopo una serie di tentativi tutto si sgonfiò come un vecchio pallone bucato e tornai a malincuore a sorreggermi il mento con il palmo della mano nel mentre con l’altra vagavo sulla tastiera nell’agenda dei contatti di posta elettronica, tutti indirizzi che non avrebbero potuto aiutarmi perché non più attivi o perché cambiati.

    L’architetto! Ma che fine aveva fatto?

    L’architetto, come familiarmente lo chiamavo dopo averlo conosciuto tramite un amico comune, Franco, aveva contribuito a dare un grande impulso alla mia attività. Sua era stata l’iniziativa della ricerca di Mario con il sistema del cosiddetto fenomeno delle voci elettroniche o Evp, Electronic Voice Phenomena, conosciuto anche col nome di psicofonia o metafonia o transcomunicazione strumentale, un presunto fenomeno paranormale che riguarda la manifestazione di voci ed eventualmente anche di immagini di origine apparentemente non umana in registrazioni, ricezioni o amplificazioni tramite strumentazione elettronica.

    La tipologia più conosciuta di questo presunto fenomeno è rappresentata dalla registrazione anomala di voci di solito poco chiare su un nastro magnetico o supporti digitali, oppure dalla loro ricezione tramite una radio, un televisore o persino un computer o un telefono.

    Secondo taluni questo fenomeno permetterebbe di entrare in contatto con una dimensione diversa dal piano fisico, creando un contatto con entità intelligenti di origine ignota che interagirebbero attivamente alle domande che vengono poste.

    Il risultato nel nostro caso fu eccezionale e ancora oggi lo si poteva ascoltare su vari nastri registrati, che storia!

    Non ci eravamo più sentiti da tempo, e dopo l’epoca di Mario ci eravamo frequentati ancora per un po’ per definire alcune sue intuizioni sulla gestione dell’inquinamento elettromagnetico prodotto da telefonini, elettrodotti ed elettrodomestici, quindi si era allontanato. Mitici erano stati i nostri incontri agli albori delle sue intuizioni, intuizioni che io provavo a tradurre in elementi elettronici, e la cosa quasi sempre mi riusciva con grande mio divertimento, come affrontassi delle vere e proprie sfide. In parole povere lui sognava e io traducevo i suoi sogni in apparecchiature. Fu una bella esperienza, poi immancabilmente subentrano gli affari e i giochi terminano per lasciare posto ai quattrini, anche se la sua figura non era quella dell’imprenditore bramoso di guadagni, bensì appariva semmai come un elfo con il suo sempre presente spirito allegro e capigliatura bianca candida.

    Presi il telefono e composi il numero del suo cellulare, almeno un saluto potevamo scambiarcelo… Squillava, attesi a lungo finché non passò in modalità segreteria, quindi chiusi, sapendo che, come spesso accade, sarei stato poi richiamato rimanendo memorizzato il mio numero e nome. Me ne tornai ai miei pensieri guardando e ascoltando le apparecchiature in attività e attendendo quella chiamata che tardava ad arrivare.

    Il maltempo stava giungendo anche da noi e guardando le immagini provenienti dal satellite geostazionario in orbita terrestre scossi il capo osservando gli ammassi nuvolosi che evidenziavano una fascia temporalesca a un paio di centinaia di chilometri sulla Pianura Padana in avvicinamento.

    Meglio chiudere le attività – mi dissi – e scollegare le antenne, in gergo tirare giù i coltelli, intendendo come tali quelli che agli albori dell’elettricità servivano a sezionare le linee portatrici della corrente elettrica.

    Appena in tempo, già un primo bagliore sinistro di un fulmine illuminò l’imminente serata. Come ero solito, istintivamente iniziai a contare fino a udire il tuono per valutare la distanza da dove era caduto utilizzando le diverse velocità di propagazione nell’atmosfera della luce e del suono, quindi una quarantina di chilometri. Spensi le luci della consolle e scesi in sala da pranzo dove Martina stava leggendo un libro come sempre faceva nei momento liberi.

    «Ho chiamato l’architetto – le dissi – ma non mi ha risposto, probabilmente si sta riposando con la famiglia.»

    Poi iniziai a ridere fra me e Martina mi incalzò.

    «hai sempre quel pensiero verso di lui?»

    «Sì, non me lo toglie nessuno dalla mente che sia come in quel film di fantascienza dove si vedeva una camera disadorna e buia con al centro un telefono che quando squillava faceva materializzare una persona richiamandola da una dimensione parallela.»

    «Povero architetto! – disse Martina –. Perché lo dipingi con queste tonalità fosche e inquietanti?»

    «Perché lo vedo e lo sento così!»

    «Ricordati Martina quello che avevamo sentito e provato quando ci frequentavamo per le nostre ricerche, tu ci hai parlato meno di me, chiedendogli solo cose relative alla religione, io ho avuto più possibilità di valutarlo e, credimi, mi sono proprio convinto che sia un personaggio che compare quando serve o quando lo chiami, per poi ritornare nella sua dimensione.»

    Come al solito Martina si alterò nel sentirmi dire queste cose e mi rimproverò accusandomi come sempre di ateismo puro e di disconoscere le persone sante e buone, come era l’architetto, prendendole in giro.

    «No, io non prendo in giro nessuno, anzi mi piace pensarlo così perché mi dà quel senso di mistico che a me piace tantissimo.»

    Il rombo del tuono interruppe il dialogo e ci dedicammo a vedere fuori cosa stesse accadendo, la tempesta era arrivata e stava piovendo a dirotto con bagliori per tutto l’arco del cielo, seguiti da tuoni assordanti.

    Controllai il mio cellulare, ma non c’era stata nessuna chiamata da parte dell’architetto, chissà cosa stava facendo o meglio in che dimensione si trovasse!

    L’architetto

    Durante la settimana successiva provai più volte a chiamarlo sia sul cellulare sia sul telefono fisso dello studio di architettura, ma invano, e la cosa cominciava a preoccuparmi non poco. Quel silenzio non era da lui, provai anche a inoltrargli delle mail ma niente, tutto taceva e tacque fino al sabato pomeriggio successivo quando suonarono al videocitofono del cancello. Era lui, ricomparso o meglio tornato dai suoi viaggi in altre dimensioni, così dissi ad alta voce e Martina mi rimproverò subito.

    «Eccoti di nuovo con il tuo sarcasmo verso quell’uomo!»

    Fermò la sua autovettura e discese splendente come al solito nel suo sorriso, salutandoci cordialmente con un: «Mi avete cercato?»

    «Ma no, che ci fai da queste parti?»

    E mentre Martina mi dava delle gomitate ai fianchi per mitigare il mio approccio, lui che ormai mi conosceva bene esordì con una giustificazione del tutto in linea con il suo personaggio, annunciandoci che per un problema tecnico la sua astronave si era guastata, quindi aveva dovuto accontentarsi di una volgare e obsoleta automobile funzionante con un distillato di altrettanto volgare liquido che gli umani chiamavano petrolio!

    Le sonore e schiette risate che seguirono risuonarono a lungo per il giardino, quindi ci accomodammo in casa contenti che fosse venuto a trovarci facendoci quell’improvvisata piacevole.

    Da subito iniziammo a scambiarci informazioni e mentre attendevamo il tradizionale caffè mi mise al corrente delle sue peripezie con l’azienda che aveva fondato con alcuni soci per commercializzare quei brevetti che avevo contribuito anch’io a mettere a punto grazie alle mie apparecchiature, azienda che lo assorbiva pienamente ed era per questo che non lo avevo trovato. Alla fine aveva deciso però di farci quell’improvvisata perché aveva bisogno di consigli obiettivi e non interessati che solo noi potevamo dargli su nuove intuizioni sempre nel campo mio prediletto.

    L’architetto era una realtà del tutto particolare, conosciuto per caso tramite un comune amico imprenditore in occasione di un incontro presso la sua fabbrica dove mi fu mostrato cosa stesse producendo, ovvero un gadget elaboratissimo per eliminare la nocività dei campi elettromagnetici prodotti al cervello umano dall’uso intensivo del cellulare o dall’esposizione prolungata in prossimità di elettrodotti, impianti di irradiazione di onde radio di telecomunicazioni o anche in ambito casalingo dagli stessi elettrodomestici di uso comune.

    La cosa mi entusiasmò e lui si entusiasmò ancora di più quando, spiegandomi come funzionava, gli descrissi le leggi fisiche che venivano utilizzate, proferendo poi la frase che rimase famosa: «Tu traduci nel reale quello che io intuisco, la nostra sarà una lunga e proficua collaborazione!»

    In questo campo collaborammo a lungo con frequenti indagini presso la mia stazione radio, ormai trasformata in un vero e attrezzato laboratorio dove si poteva mettere a punto la novità mediante misurazioni dei campi elettromagnetici nocivi e riscontro degli effetti. La conseguente relazione tecnica che accompagnò questa esperienza fu da me preparata basandomi sulla fisica e sull’esperienza nel campo dei fenomeni elettromagnetici e venne recepita in maniera positiva nell’ambito scientifico dando in tal modo uno slancio al brevetto dell’architetto.

    Praticamente il ritrovato agiva allorquando due o più interferenze presenti nell’atmosfera, oppure semplicemente loro multipli elettromagnetici generati da un qualsiasi apparato elettrico o di telecomunicazione, si sommano – caso in realtà frequente – creando in tal modo un notevole inquinamento nocivo per coloro che lo subiscono. Con il passare del tempo infatti ciò può dare origine a disturbi di ogni genere, non ultimo l’insorgere di patologie tumorali.

    Quindi l’obiettivo e la funzione del convertitore d’onda – era questa la definizione del ritrovato – erano quelli di contrapporre a questi segnali nocivi un’energia opposta per diminuire tale effetto nell’ambiente circostante riportandolo a una soglia tollerabile dalle forme di vita che ne erano, loro malgrado e il più delle volte inconsapevolmente, investite.

    Va rammentato che la nocività di questi inquinamenti prodotti dai segnali, meglio dire campi elettromagnetici generati, è direttamente proporzionale al tempo di esposizione e alla loro frequenza.

    Avevamo constatato dalle misure fatte con gli strumenti del mio laboratorio che, a parità di potenza di emissione, più alta era la frequenza, minore era il tempo necessario per veder manifestarsi i classici danni di polarizzazione e impilamento delle cellule del sangue umano esposte, con le conseguenti distonie.

    Il convertitore d’onda era un sistema innovativo che si comportava come un vero e proprio condizionatore del campo di onde elettromagnetiche emesse. L’effetto risultante era la drastica riduzione dell’energia nociva che veniva ampiamente smorzata dalla presenza di quella convertita, e la carta vincente fu la possibilità di dimostrare tutto ciò con una classica strumentazione di laboratorio costituita da oscillografo e generatore d’onda.

    L’esperienza evidenziava come due segnali sinusoidali generati da una frequenza, qualora fossero in fase tra loro, dessero come risultante una somma delle due energie, mentre se sfasati di 180° tra loro, come può essere verificato attraverso un qualsiasi testo di fisica, diano come risultante una forte attenuazione: il convertitore d’onda agiva in questo modo.

    Il convertitore d’onda era quindi costituito da un sistema avente le funzioni di unità di ricezione dell’energia elettromagnetica tramite un anello dorato, che in questo caso rappresentava il nucleo del sistema e sede di energia propria; provvedeva quindi alla generazione dell’energia occorrente a contrapporsi all’inquinamento del campo elettromagnetico nocivo utilizzando un semplice magnete permanente di alto potenziale.

    Ricordavo con piacere quel periodo esaltante e conservo ancora una serie di prototipi e anche di prodotti finiti che poi furono commercializzati.

    Ma non era tutto, l’architetto era anche sensibile e riusciva a percepire qualsiasi variazione che possiamo registrare nel campo ambientale, praticamente un sensitivo, e ciò mi aveva colpito non poco: assieme potevamo veramente tentare di fare qualcosa di buono.

    Quando iniziava a parlare di quello che faceva c’era solo da ascoltarlo a bocca aperta, cercando di stargli dietro perché si era sempre tra la realtà e la fantascienza. Spesso poi, quando dopo gli incontri finivamo la serata al tavolo della pizzeria del caro amico Fabiano, e dopo un boccale di buona birra si iniziava a dialogare a un livello di volume più concitato, dovevo richiamarlo o zittirlo perché quanto raccontava creava silenzio nei tavoli vicini in quanto tutti si mettevano all’ascolto di cosa diceva pensando di trovarsi in compagnia o di uno scienziato o di un pazzo, e ciò mi creava non poco imbarazzo.

    «Dunque, architetto, a parte tutte le peripezie con i tuoi soci, qual buon vento ti porta qua senza preavviso e dopo che ti ho cercato invano per giorni?»

    Rispose che aveva intrapreso uno studio e realizzato uno strumento per l’utilizzo dell’energia oscura che proveniva dallo spazio profondo che era la piattaforma di base di tutto l’universo e della vita che vi dimora.

    «Ah! – esclamai mantenendomi calmo – una cosuccia che ti mancava nella lista delle tue realizzazioni, e come mai non hai ancora iniziato a svilupparla nella tua società?»

    «Perché non ci credono, perché

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