Sport e scienze sociali: Fenomeni sportivi tra consumi, media e processi globali
By Mario Tirino and Luca Bifulco
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Sport e scienze sociali - Mario Tirino
Ringraziamenti
Introduzione Lo sport nella società contemporanea - Luca Bifulco e Mario Tirino
1.
Tra tutte le attività del tempo libero che caratterizzano la società moderna, lo sport ha sicuramente una posizione centrale, soprattutto in virtù del numero sostanzioso di praticanti – amatoriali e professionisti – o di appassionati in genere che testimoniano giorno dopo giorno la consistenza dei fenomeni sportivi nelle biografie contemporanee. La stretta connessione dello sport con fattori ad alto impatto economico, politico, culturale, la sua relazione con gli ambiti del diritto, della comunicazione o dello sviluppo tecnico lo rendono, altresì, una di quelle realtà che le scienze sociali non possono permettersi di ignorare.
Se guardiamo alle sue forme di organizzazione e strutturazione, lo sport – per come lo conosciamo – appare un evidente prodotto della società moderna. L’industrializzazione, le forme dell’economia moderna, le caratteristiche della stratificazione, l’urbanizzazione, l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa e dei media digitali, la cultura dei consumi, i processi di individualizzazione e di formazione delle identità contemporanee, la rilevanza del modello dello Stato-nazione, le caratteristiche odierne della geopolitica in un mondo globalizzato sono tutti fattori propri della società del nostro tempo che incidono sui fenomeni sportivi e che lo sport, in qualche modo, accompagna nella loro insistenza all’interno della vita quotidiana.
Lo sport è dunque una realtà dalle estese ramificazioni sociali che i vari saggi raccolti in questo volume ambiscono a presentare in maniera introduttiva, cercando, al contempo, di offrire al lettore un quadro di riferimento concettuale articolato e utile per stimolare approfondimenti e ulteriori percorsi conoscitivi. L’ambizione del testo è quella di fornire validi strumenti teorici per potenziare la consapevolezza e la competenza critico-analitica indispensabile per comprendere le composite e variabili relazioni tra la società e lo sport. Se lo sport è più di una semplice attività ricreativa è perché opera sulle modalità di strutturazione dei fatti sociali – nelle sue componenti di livello micro, meso e macro – e ne è a sua volta condizionato.
I saggi del libro, dalla prospettiva delle scienze sociali, affrontano temi in tal senso capitali, abbracciando questioni di ampio respiro come le relazioni tra la struttura sociale e l’azione quotidiana, l’organizzazione e le forme di istituzionalizzazione tipiche della società contemporanea, le configurazioni della stratificazione, i conflitti e le solidarietà sociali, le relazioni di potere, le identità, i consumi, i processi mediali, i vincoli politici, le conseguenze della globalizzazione, le trasformazioni culturali, l’incidenza del mercato e il suo nesso con lo Stato. L’obiettivo è quello di restituire una raffigurazione più ampia possibile delle diverse modalità di penetrazione dello sport nella società contemporanea e nella vita quotidiana, in un’epoca contrassegnata dall’imponente commercializzazione e spettacolarizzazione del reame sportivo, specie di quello professionistico.
2.
Tenendo bene in mente soprattutto la dimensione di mercato, ormai preponderante nel panorama sportivo mondiale, il volume prende avvio presentando l’esperienza e la realtà quotidiana di atleti – professionisti o dilettanti – e della più vasta e generale categoria di appassionati. Il nucleo tematico portante di questa prima parte intende, in modo più o meno esplicito, porsi criticamente nei confronti dell’idea secondo cui lo sport vada automaticamente oltre le differenze e le disuguaglianze, superando agilmente gli ostacoli legati alla distribuzione disuguale di opportunità, di risorse materiali, di potere o di prestigio. È, invece, plausibile sostenere che l’appartenenza sociale incida sulla possibilità di praticare sport – o anche di assistere agli eventi sportivi – e di ottenere risultati soddisfacenti o esperienze gratificanti. Per questo i primi capitoli del libro, dopo una presentazione delle forme di definizione della pratica sportiva, affrontano il rapporto tra lo sport e la classe sociale, il genere, l’immigrazione e la disabilità, con un occhio di riguardo verso fenomeni e requisiti capaci di strutturare tipologie di esclusione o anche di inclusione sociale.
La seconda sezione del testo, che raccoglie un numero corposo di saggi, esamina differenti ambiti in cui la configurazione dello sport come parte integrante della società dei consumi e dei media è particolarmente evidente. Il legame tra lo sport moderno e la logica di mercato o l’impresa economica è, infatti, agevolmente riconoscibile e chiama in causa molteplici categorie della riflessione delle scienze sociali, dalle dinamiche identitarie alla stratificazione o al potere, per esempio. In quanto attività del tempo libero di forte rilievo per quantità smisurate di persone, lo sport partecipa in modo energico all’articolazione delle identità contemporanee e alla loro frequente traduzione in termini di consumo: atleti e sportivi si misurano con le offerte del mercato, anche nelle forme atletiche più recenti come i lifestyle sport; gli impianti e le infrastrutture adibite alla pratica e allo spettacolo sportivo si collocano come fattori strategici nell’economia cittadina; il turismo – un ambito che per sua natura associa il viaggio alla dimensione commerciale – ha ormai incorporato nel suo ventaglio di offerte diverse occasioni di spostamento connesse con la pratica e gli eventi sportivi; la passione del tifoso ha sempre più un valore economico, che lo rende identificabile, nei mercati, soprattutto come spettatore e consumatore; l’atleta assume oggi, in modo sempre più insistente, le fattezze del brand da sfruttare commercialmente. In questa connotazione contemporanea dello sport un ruolo cruciale è rivestito dai media. I conglomerati mediali investono cospicue somme di denaro per trasmettere eventi sportivi e prodotti di intrattenimento o informazione attinenti, garantendo al mondo dello sport e agli sponsor visibilità e attirando l’attenzione dello spettatore-consumatore con il suo forte spessore economico. Inoltre, la pervasiva diffusione delle tecnologie digitali di ultima generazione offre opportunità inedite di interazione e consumo.
L’ultima parte del testo affronta, con uno sguardo socio-storico ben evidente, la dimensione politica dello sport. Essa guarda alla connessione dell’ambito sportivo con tutti quei processi decisionali o amministrativi, di gestione dell’autorità e del controllo, di coordinamento organizzativo e di discussione pubblica che incidono sulla vita collettiva nella sua dimensione materiale, identitaria e anche conflittuale. Lo sport attira stabilmente l’attenzione del mondo politico, sia a livello nazionale che internazionale, diventando parte integrante della vita pubblica e delle dinamiche dello Stato-nazione moderno, ma acquisendo un ruolo di primo piano anche all’interno delle relazioni internazionali. Non a caso, come certifica il saggio conclusivo del libro, esso è entrato di diritto tra gli ambiti prevalenti di regolamentazione e discussione delle istituzioni europee.
La centralità dello sport nella società contemporanea abbraccia tutti i livelli dell’interazione sociale (culturale, economico, politico, mediale). Per questa ragione con sempre maggiore frequenza gli scienziati sociali si dedicano allo studio dei fenomeni sportivi da una molteplicità di prospettive. Il tentativo che, attraverso questi saggi, si è cercato di portare avanti è di fornire un’introduzione alle numerose questioni che i fenomeni sportivi sollevano per le scienze sociali, ben sapendo che la mole del lavoro svolto (e da svolgere) è tale da renderne impossibile anche una semplice sintesi. Tuttavia, ci auguriamo che questo testo possa fornire a studenti e semplici appassionati una prima piattaforma di riflessione, da cui potersi orientare in vista di un quadro generale e per eventuali studi e approfondimenti.
Parte prima. Sport, diseguaglianze e inclusione
Capitolo 1. La pratica sportiva e fisico-motoria - Francesco Pirone
1. Il significato sociale delle attività sportive e fisico-motorie
Il termine sport
nel linguaggio comune rimanda a significati semplici da intuire, ma non altrettanto facilmente determinabili con precisione, infatti è frequente ascoltare o partecipare a conversazioni nelle quali un’affermazione generica, del tipo faccio sport
, deve essere poi seguita da alcune specificazioni che riguardano, per esempio, quale sport viene praticato, con quale assiduità, da professionista o meno, in autonomia o con un gruppo sportivo e così via. Allo stesso modo anche il termine sportivo
è sufficiente a denotare soltanto genericamente una persona, dovendo poi specificare se si sta parlando di un atleta oppure di un individuo con un caratteristico stile di vita o, ancora, di uno spettatore appassionato di un certo sport. Questa polisemia rappresenta uno dei primi problemi rilevanti dell’interpretazione sociologica del fenomeno sportivo, vale a dire la questione della definizione scientifica.
Entrambi i termini – sport
e sportivo
–, pur rimandando a una realtà agevolmente riconoscibile di pratiche e istituzioni sociali della vita quotidiana, definiscono nel lessico sociologico un campo semantico e di connotazione empirica molto ampio e dai contorni sfumati che risente della molteplicità dei significati socio-culturali prodotti dalle trasformazioni storiche dello sport e dalla sua variabilità nelle diverse forme di civilizzazione (Dietschy, Pivato 2019). Per comprendere la pratica sportiva e fisico-motoria nel mondo contemporaneo si ritiene pertanto utile adottare una concezione estensiva
di sport, intendendo il sistema di relazioni sociali alimentato dalla pratica dell’attività fisica, agonistica o meno, con diverso grado di regolamentazione e istituzionalizzazione. Si tratta di una definizione che volutamente si allontana dalla concettualizzazione moderna dello sport (Guttmann 1978) e che intende registrare i mutamenti emergenti nelle forme contemporanee di sportivizzazione delle società occidentali accanto alle forme più tipicamente moderne di sport e attività fisico-motoria: si pensi per esempio alla competizione non codificata con se stessi o con le difficoltà dell’ambiente naturale oppure alle attività che non prevedono affatto la competizione. L’opportunità di una definizione di questo tipo è anche dettata dalla sintonia con le attuali definizioni adottate per la produzione delle statistiche istituzionali sul fenomeno sportivo (per esempio Eurostat e Istat [1] ), come pure per le principali indagini demoscopiche, come quelle istituzionali di Eurobarometro promosse dalla Commissione Europea.
Queste scelte sono dettate dall’osservazione che nei Paesi occidentali – compresa l’Italia – le attività fisico-motorie e sportive, oltre a diffondersi diventando fenomeni di massa, a partire da metà anni Settanta hanno manifestato anche profondi mutamenti nella pratica (Porro 2013) non soltanto per la diversificazione delle specialità sportive, cioè per la gemmazione dalle originarie discipline istituzionalizzate di innumerevoli varianti tecniche a indirizzo competitivo, ma soprattutto per effetto di un processo di differenziazione, vale a dire per la nascita e la diffusione di nuove originali pratiche o la rivisitazione di attività tradizionali dal carattere parasportivo. Queste ultime si allontanano dal concetto moderno di sport e nel corso dell’ultimo trentennio si sono sempre più diffuse, assumendo anche una visibilità e rilevanza sociale crescente, anche grazie alle nuove dinamiche d’informazione e comunicazione legate all’adozione dei media digitali che, accanto allo sport di massa, hanno aperto sempre più spazi per pratiche sportive di nicchia.
Questi cambiamenti si inquadrano in una trasformazione più generale del rapporto tra sport e società. Nel mondo occidentale, infatti, il campo sociale dello sport è sottoposto da diversi decenni a un processo di ridefinizione di senso che ha un carattere duale e che viene sinteticamente espresso dalla formula sportivizzazione della società e desportivizzazione dello sport
: da un lato si rileva un processo di diffusione della pratica sportiva e fisico-motoria con il coinvolgimento di strati sempre più vasti della popolazione come praticanti, una tendenza che appunto possiamo indicare come sportivizzazione della società
[2] : si veda, per esempio, il caso italiano, in cui si è passati da 1,4 milioni di praticanti nel 1959 a 14,2 milioni nel 2017 (Alleva 2018). Dall’altro lato, ma contestualmente, si rileva la differenziazione delle pratiche sportive e fisico-motorie con l’emergere di una pluralità di attività e significati che si allontanano sempre più dall’idealtipo dello sport moderno di competizione regolamentata, alimentando così una pluralità di culture sportive; questa tendenza viene identificata con la formula desportivizzazione dello sport
(De Knop 1998).
È in relazione a questi cambiamenti storici riguardanti la diffusione e il significato della pratica sportiva e fisico-motoria che la definizione del fenomeno sportivo diventa teoricamente problematica per le scienze sociali. Infatti, il paradigma culturale unitario dello sport agonistico-disciplinare, affermatosi in sintonia con la parabola di ascesa e declino delle istituzioni della società moderno-industriale, ha perso la sua centralità lasciando il posto – nella società e nella stessa sociologia – a una visione pluralista, necessaria per tener conto del carattere polimorfico e polisemico dello sport contemporaneo (Heinemann, Puig 1996). Come scrive Nicola Porro (2013: 186), lo sport tende «a evadere dai fortificati recinti in cui l’aveva ristretto il modello codificato e ipercompetitivo del primo Novecento».
Nel contesto attuale, infatti, è necessario dar conto dei mutamenti socio-culturali che hanno portato al superamento della definizione più restrittiva di sport
costruita all’interno del paradigma unitario della sportivizzazione moderna. Il modello dello sport moderno agonistico-disciplinare, ispirato dall’intreccio culturale tra l’olimpismo decoubertiniano e la pedagogia sportiva inglese vittoriana, ha alimentato un sistema istituzionale centralizzato e verticistico, tipicamente rappresentato come una piramide. In questo tipo di sistemi i rapporti sociali e di potere sono verticali, sul piano materiale e dell’immaginario, e si definiscono tra il vertice che è rappresentato da un nucleo ristretto di attività, organizzazioni, operatori e atleti dalle prestazioni sportive di eccellenza e, scendendo, la base sempre più larga di atleti e organizzazioni dalle prestazioni di livello inferiore e da un più ridotto grado di riconoscimento sociale. In questo contesto istituzionale nascono e si sviluppano alcuni tra i più rilevanti fenomeni sociali dello sport di massa e dello sport come spettacolo, basati sul culto della prestazione sportiva assoluta di eccellenza (si pensi in particolare al record), quali il campionismo
, la spettacolarizzazione e poi a seguire la commercializzazione dello sport. I benefici di questi processi, tipicamente, si concentrano prevalentemente nel vertice ristretto della piramide che mantiene un rapporto vivaistico
con la larga base subalterna, cioè di selezione e formazione dei talenti, ma anche di alimentazione della passione sportiva che contribuisce a radicare socialmente le discipline sportive e a mantenere alta l’attenzione per lo spettacolo offerto dagli eventi sportivi di vertice (lo sport-spettacolo mediatizzato).
Fuori da questo sistema istituzionale e non necessariamente in alternativa, a partire dagli anni Settanta si sono diffuse nuove pratiche sportive e fisico-motorie: in particolare, ma non solo, gli sport californiani
, le avventure sportive
(Pociello 1995), lo spiritualismo delle discipline fisico-sportive orientali (Petrini 2017), lo sport per il benessere (Russo 2013). In questo processo si rileva l’emergere di una nuova cultura della corporeità in azione, segnata dal passaggio dal corpo-macchina
al corpo-espressivo
(Ferrero Camoletto 2005). Queste nuove pratiche sono svincolate da istituzioni regolatrici centralizzate, sono orientate all’autocostituzione soggettiva e alla definizione di uno specifico stile di vita. In questo ambito molto differenziato di fenomeni, con elevato grado di informalità, possiamo distinguere schematicamente due modelli di riferimento. Un primo di tipo espressivo
, connotato dal primato dell’emozione, dalla coltivazione di inclinazioni personali e dalla sperimentazione del sé, in grado di fornire un’immediata gratificazione psico-fisica diretta. Un secondo di tipo strumentale
, contraddistinto dall’uso dello sport per lo sviluppo di qualità fisiche e caratteriali, per la cura del corpo e il benessere personale, per la prevenzione sanitaria, per una diversa socialità, per ottenere una forma fisica presentabile secondo canoni estetici desiderabili a fini di autogratificazione e/o di affermazione sociale [3] .
In generale si riscontrano pratiche corporee paradossali, insieme riflessive e di esibizione: attività che esprimono umori
culturali postmaterialistici, in sintonia con tendenze culturali postmoderne nell’uso e la significazione del corpo (Russo 2004, Kumar 2000), contrassegnate contestualmente da una privatizzazione della pratica e una più forte soggettivazione, ma anche da una tendenza alla teatralizzazione di se stessi e alla seduzione (Lipovetsky 2019). Si tratta più in generale di un mutamento di paradigma valoriale di una parte dell’attuale mondo dello sport, come scrive Raffaella Ferrero Camoletto (2005: 11): «l’accento non cade più sull’etica del sacrificio (...) ma sull’estetica del talento, della creatività, dello stile». Questa tendenza culturale viene amplificata dallo sfruttamento economico dello sport nell’ambito del sistema che lega l’industria dell’intrattenimento e dello spettacolo (soprattutto mediale) all’industria dei prodotti sportivi, alla pubblicità e al marketing, come evidenziano i modelli che studiano l’interazione tra questi sistemi [4] .
Tuttavia, oltre alle pratiche motorie informali del fai da te
, di comunità e deistituzionalizzate, da una parte, e allo sport mercificato, colonizzato
dalla logica commerciale, dall’altra, il paradigma pluralista dello sport contemporaneo è alimentato anche dall’emergere dell’associazionismo sportivo del terzo settore, quello che, per esempio, in Italia è emerso dalle esperienze dello sport popolare
e dello sport sociale
. L’associazionismo sportivo con finalità di promozione sportiva e sociale ha alimentato attività che più direttamente si sono orientate alla trasformazione dei valori della pratica sportiva. Al di là delle tradizioni nazionali, i soggetti sportivi del terzo settore hanno alimentato movimenti sociali di promozione dello sport di base ( grassroots sport), ispirati dalle esperienze nordeuropee dello sport di cittadinanza e orientati da un più articolato mix di valori rispetto a quelli moderni dello sport agonistico-disciplinare. Tra questi movimenti i più noti sono, in particolare, quello dello sport per tutti
( sport for all) e quello dello sport a misura di ciascuno
( sport for everybody) che sono attivi per promuovere la pratica sportiva intesa sia come un diritto, sia come un bene relazionale
(Zamagni 2005), vale a dire un’attività il cui esercizio materiale genera reti di socialità con benefici individuali e collettivi in termini di coesione sociale. Questo insieme di movimenti sociali, pur generando spinte in direzioni differenti, ha in comune il fatto di aver messo in crisi il potere ordinativo delle istituzioni sportive moderne e agevolato l’istituzionalizzazione delle pratiche sportive emergenti. Ciò ha segnato un conflitto nel mondo sportivo intorno al processo ambivalente di democratizzazione
dello sport per una più vasta inclusione di cittadini, ma anche per la diaspora
dal sistema dello sport istituzionalizzato.
Per tener conto di queste tendenze trasformative delle istituzioni sportive è utile una diversa rappresentazione dei sistemi sportivi, rifacendosi per esempio al modello analitico della chiesa
– Church Model of Sport (Scheerder et al. 2011) – che rimpiazza quello tipicamente moderno della piramide
. Nel modello della chiesa
, infatti, coesistono e interagiscono diverse aree istituzionali: quella dello sport di competizione, che mantiene la sua originaria struttura verticistica, rappresentata dal campanile
che si sviluppa in verticale dallo sport d’élite in cima e giù scendendo lungo i diversi livelli di professionismo fino al dilettantismo; accanto a questa ci sono due aree contigue, quella dello sport competitivo amatoriale e poi quella dello sport ricreativo non istituzionalizzato che include il ventaglio plurale delle pratiche sportive emergenti. Queste due aree sono rappresentate dal corpo
della chiesa che si sviluppa in orizzontale, includendo le attività fai da te
informali e di comunità, lo sport organizzato dall’associazionismo del terzo settore e i servizi sportivi e di attività fisico-motoria di natura commerciale offerti secondo logiche di mercato.
2. Sistemi sportivi nazionali e sportivizzazione
Le tendenze fin qui descritte sulle trasformazioni della pratica sportiva si manifestano in maniera variabile a seconda dei contesti istituzionali e dei sistemi storici di regolazione dello sport, dando vita a configurazioni sociali su scala nazionale con un certo grado di coerenza interna. Queste sono definite sistemi sportivi
ed esprimono una specifica forma di sportivizzazione (Martelli, Porro 2015).
La variabilità dei sistemi sportivi nazionali può tuttavia essere ridotta e interpretata utilizzando una strumentazione analitica derivata dagli studi sul rapporto tra sport e welfare. Ciò è opportuno anche alla luce del dibattito sociale e scientifico che storicamente si trova alla base dei diversi approcci allo sport in rapporto al welfare e alle politiche sociali. Schematizzando tale dibattito emergono essenzialmente due posizioni, non antitetiche, che partono dal concettualizzare lo sport come una pratica culturale
in grado di soddisfare una domanda di senso che non si esaurisce solo ed esclusivamente nell’azione delle istituzioni sportive (De Knop 1999): la prima di queste esprime una concezione politica dello sport, andando a definire un diritto soggettivo alla pratica sportiva richiamando l’idea marshalliana della quarta generazione della cittadinanza, cioè quella dei diritti culturali (Marshall 2002); la seconda concezione, invece, si riferisce allo sport in una prospettiva strumentale utile a integrare e supportare le politiche pubbliche, in particolare lo sport viene definito come pratica funzionale all’attivazione dei cittadini al fine del raggiungimento di obiettivi di benessere, coesione e sostenibilità sociale. È in questa cornice che assume rilevanza la strumentazione analitica del modello che viene identificata con il cosiddetto triangolo del welfare
(Evers, Wintersberger 1990, Ibsen, Ottesen 2004).
Tale modello si basa, in primo luogo, sulle tre forme polanyiane (Polanyi 1983) di allocazione e regolazione delle risorse (Stato, mercato e comunità) ovvero sui tre principi di integrazione fra economia e sport (redistribuzione, scambio di mercato e reciprocità) che definiscono i tre angoli del triangolo
teorico entro cui si sviluppa l’analisi della regolazione dello sport. Questa strumentazione analitica viene incrociata con altre tre dimensioni istituzionali, ognuna a carattere dicotomico, che caratterizzano nelle diverse configurazioni sociali dello sport le modalità di organizzazione prevalente della pratica sportiva, vale a dire: (a) pubblico versus privato, (b) for profit versus non profit, (c) relazioni sociali primarie versus relazioni sociali complesse. L’intreccio di queste dimensioni scompone il triangolo del welfare
in quattro aree che identificano quattro tipi di configurazione sociale per lo sport. Ognuna di queste configurazioni esprime una sua specifica logica di funzionamento, degli attori sociali prevalenti, degli autonomi modelli organizzativi e specifici significati sociali, fornendo così i caratteri ideali con cui confrontare e classificare i sistemi sportivi nazionali nella loro configurazione storica concreta.
Una prima configurazione è quella dello sport come settore eminentemente pubblico, non profit e dove operano organizzazioni complesse; gli attori sono istituzioni pubbliche – oltre alle istituzioni olimpiche e le federazioni sportive, vanno considerate quelle militari, scolastiche, universitarie e socio-sanitarie – che agiscono con finalità definite all’interno di strategie politiche, articolate secondo specifici livelli di governance pubblica.
Una seconda configurazione è quella economico-commerciale in cui la pratica sportiva è regolata dalla logica di mercato e animata da privati operatori economici con lo scopo di generare profitto: si tratta, in pratica, del variegato arcipelago che va dalle comuni palestre e centri fitness, passando per le scuole sportive, fino alle società per azioni dei club professionistici che, nel loro insieme, concorrono al processo di mercificazione dello sport ( commodification) e alla creazione di un’industria o filiera economica.
Una terza configurazione è quella dell’attività informale, privata, comunitaria e non profit che riguarda la pratica sportiva fai da te
, non istituzionalizzata, dal carattere molecolare, sia come esperienza individuale, sia come pratica comunitaria; si tratta dello sport disciplinare amatoriale dei gruppi amicali, parentali o di vicinato, ricreativo e orientato alla socialità; ma riguarda anche comunità di persone appassionate e competenti (si pensi per esempio all’autorganizzazione per fare escursionismo, trekking, jogging, ciclismo e simili).
Una quarta configurazione è quella dello sport privato, organizzato e non profit che comprende l’area dell’associazionismo strutturato e del volontariato, quali per esempio le associazioni di sport per tutti
, quelle amatoriali-dilettantistiche, quelle di servizio a soci-utenti marginali; lo scopo di questi operatori è la promozione attraverso lo sport di valori sociali altri oltre quelli dell’agonismo competitivo, come nei casi più diffusi di specifica declinazione per l’inclusione di gruppi svantaggiati (disabili, anziani, migranti, minoranze, detenuti e altri gruppi target delle politiche sociali).
Al di là delle specifiche configurazioni elencate, nei sistemi sportivi concreti esiste una dinamica complessa di interdipendenza tra sport organizzato dalle istituzioni pubbliche, dalle organizzazioni del terzo settore, dai soggetti di mercato e dalle comunità. La regolazione dei rapporti tra questi quattro ambiti definisce specifici modelli istituzionali di organizzazione della pratica sportiva. Con riferimento ai sistemi sportivi europei, per esempio, Martelli e Porro (2015) suggeriscono una classificazione dei sistemi sportivi nazionali sulla base dei principi di regolazione adottati e sulle prestazioni in termini di quota di cittadini che si mobilitano nella pratica sportiva e fisico-motoria. In questo modo individuano cinque gruppi di Paesi che rimandano ad altrettanti modelli di regolazione. I primi due gruppi riguardano i Paesi a elevata sportivizzazione: da una parte, (1) i Paesi scandinavi che esprimono i livelli più elevati del tasso di attività fisica, oltre l’80% della popolazione [5] ; questi sono caratterizzati dalla centralità degli attori pubblici nel sistema di regolazione (entro cui sono coordinate l’azione degli attori di mercato e del terzo settore) e da una netta distinzione di competenze tra le istituzioni olimpiche, dedicate allo sport agonistico-disciplinare, e le istituzioni dedicate alla promozione dello sport di base con una specifica presenza di agenzie per lo Sport per tutti
(sociale, ricreativo, d’inclusione, per il benessere, ecc.). Dall’altra parte (2) i Paesi liberali, come il Regno Unito, che esprimono anch’essi livelli elevati di pratica sportiva, intorno al 70 per cento della popolazione; in questo modello il sistema di regolazione vede il pubblico svolgere una funzione limitata d’indirizzo, senza impiegare specifiche istituzioni, e lasciando ampio spazio nella regolazione del sistema sportivo all’azione di attori di mercato e alle reti del terzo settore, dalle imprese sociali alle associazioni e al volontariato. Il terzo gruppo (3) riguarda i Paesi a media sportivizzazione, in cui i tassi di attività si aggirano intorno alla metà della popolazione e riguardano i Paesi continentali, come per esempio la Francia, la Germania e il Belgio; in questi Paesi è significativa la presenza del pubblico nella regolazione del sistema sportivo che si manifesta con un’articolata presenza di istituzioni pubbliche e politiche di settore che si sviluppano dal livello centrale a quello territoriale; gli attori di mercato del terzo settore sono fortemente coordinati entro le politiche pubbliche e il rapporto tra le istituzioni olimpiche e le altre organizzazioni per lo sport di base è variabile nel tempo e differenziato sul territorio. Gli altri due gruppi riguardano i Paesi a bassa sportivizzazione, con tassi di attività che riguardano quote ridotte, inferiori a un terzo della popolazione; da una parte, (4) si tratta dei Paesi dell’Europa mediterranea (per esempio Italia, Grecia e Portogallo, con eccezione della Spagna), in cui la presenza pubblica nella regolazione del sistema sportivo è ampiamente delegata alle istituzioni olimpiche con una subalternità degli enti orientati allo sport di base, con una forte sussidiarietà territoriale nella regolazione dei rapporti con il mercato e il terzo settore organizzato. Dall’altra parte, (5) si collocano i Paesi dell’Europa dell’Est dell’ex blocco socialista che ereditano un sistema istituzionale tipico dello sport di Stato
, contrassegnato cioè da una tradizione di governo centralistica, delegato alle istituzioni olimpiche con una netta centralità dello sport di alta prestazione a scapito della promozione dello sport di base.
3. Disuguaglianze sociali nella pratica sportiva e fisico-motoria
La forte differenziazione interna al mondo della pratica sportiva e fisico-motoria, fin qui delineata per gli aspetti istituzionali, riguarda anche i caratteri individuali e soggettivi dei praticanti, intrecciandosi con le principali dimensioni di disuguaglianza sociale.
Tali differenze attraversano tutto il mondo dello sport, ma assumono maggiore rilevanza nella prospettiva estensiva che abbiamo fin qui adottato, guardando cioè oltre il movimento degli sportivi in senso stretto, vale a dire coloro che praticano uno sport entro una cornice istituzionale, come sono per esempio le federazioni sportive. Tale prospettiva di osservazione è motivata, per un verso, da ragioni quantitative, in quanto nel contesto attuale il numero degli sportivi affiliati a federazioni e discipline sportive riconosciute istituzionalmente (indifferentemente professionisti e dilettanti) risulta molto più limitato rispetto a quello delle persone che dichiarano di praticare uno sport o un’attività fisico-motoria autodefinita come attività sportiva
[6] . Per un altro verso, tale scelta è sostenuta da ragioni qualitative, in quanto le modalità e i significati della pratica sportiva oltre il campo ristretto dello sport agonistico-disciplinare si manifestano con una maggiore articolazione rispetto alle già differenziate culture sportive delle singole discipline che tuttavia producono un certo livello minimo di omogeneità al proprio interno. Questo approccio al campo dello sport appare più fruttuoso per l’analisi dell’intreccio tra la pratica sportiva e la produzione/riproduzione delle disuguaglianze sociali che si realizza lungo processi sociali cruciali, quali per esempio la socializzazione, l’integrazione dei gruppi sul piano materiale e simbolico, il consumo di beni e servizi e le dinamiche di distinzione sociale (Bourdieu 1980, Pociello 1995b).
La ricerca sulla pratica sportiva (Duret 2008) in primo luogo ha tradizionalmente evidenziato un certo tipo di variabilità del livello di attivazione in funzione dell’età. La pratica sportiva, infatti, non si distribuisce nella stessa misura sull’intero ciclo di vita individuale e, analogamente, non coinvolge con la stessa intensità tutti i gruppi d’età. Agisce, infatti, un effetto età
in quanto è nelle età infantili e giovanili che si pratica maggiormente lo sport e le attività fisico-motorie e, di conseguenza, sono i relativi gruppi d’età ad essere i più attivi [7] . Si tratta di un dato strutturale che è in rapporto a diversi fattori socio-culturali: la maggiore pratica sportiva dei più giovani è legata in particolare alla condizione di libertà associata all’inattività sul mercato del lavoro, all’inclusione dell’educazione fisica e della pratica sportiva nei sistemi scolastici, al carattere ludico, ricreativo e relazionale associato alla pratica sportiva e fisico-motoria coerente con i ruoli, le rappresentazioni culturali e le attività specifiche per le età infantili e giovanili, nonché la minore incidenza di inabilità fisiche in queste fasce d’età. Nello sviluppo del ciclo di vita, con l’avanzare dell’età d’altra parte si registrano tipicamente due transizioni che risultano determinanti per l’abbandono della pratica sportiva e fisico-motoria: il passaggio all’età adulta con i vincoli materiali, sociali e culturali dei ruoli produttivi e riproduttivi e, in seguito, la transizione all’età anziana con il sopraggiungere di limitazioni connesse all’invecchiamento sia per la degradazione psico-fisica, sia per l’assottigliamento della rete di relazione (desocializzazione). Mentre il primo passaggio diventa sempre più rilevante nelle società post-fordiste, come conseguenza della flessibilizzazione sia delle attività professionali, sia delle forme familiari che precarizzano gli equilibri tra tempi di vita e di lavoro, il passaggio alla vecchiaia invece va assumendo nelle coorti più recenti un significato inverso di liberazione e di autodeterminazione espressiva. Infatti, gli anziani di tali coorti in migliori condizioni psico-fisiche e materiali beneficiano di un contesto culturale che incentiva la (ri)attivazione in pratiche sportive e fisico-motorie specificamente dedicate alla terza età con vari significati che in generale rientrano