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Non sputare in cielo che in faccia ti torna
Non sputare in cielo che in faccia ti torna
Non sputare in cielo che in faccia ti torna
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Non sputare in cielo che in faccia ti torna

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Gianni, Teresa e Ciro sono tre fratelli della famiglia Cozzolino. Zio Benny è lo zio che li ha presi con sé dopo la morte del fratello, loro padre. Vivono in una baracca alla periferia di Napoli (Chiaiano), vicino a una discarica.
Sono molto poveri. Vivono di espedienti. Organizzano piccole truffe. Un giorno Teresa ha un’idea per arricchirsi. Gianni attua il piano. Dicono di aver trovato l’oro nel terreno sotto la discarica. Si travestono da geologi e professori per far credere che l’oro c’è per davvero. Convincono anche un uomo molto ricco che dà loro un cospicuo anticipo. Scappano alle Hawaii e acquistano una villa dove vanno a vivere come nababbi. Investono tutti i loro soldi in una società telematica che permette loro di evadere il fisco. Ma saranno truffati da questa società e costretti a ritornare a Napoli. Gianni scriverà un libro delle loro disavventure. Andrà a ruba e diventeranno ricchissimi, ma stavolta in maniera onesta, sviluppando la loro creatività.
LanguageItaliano
Publisherlfapublisher
Release dateMar 23, 2020
ISBN9788835391654
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    Non sputare in cielo che in faccia ti torna - Jayan Walter

    Jayan Walter

    NON SPUTARE IN CIELO

    CHE IN FACCIA TI TORNA

    Le avventure tragicomiche della famiglia Cozzolino

    Non sputare in cielo che in faccia ti torna

    Un libro di Jayan Walter

    Isbn 978-88-3343-232-8

    Prima edizione marzo 2020

    Autore del dipinto di copertina Ciro D’Alessio

    Questa è un’Opera di fantasia.

    Ogni riferimento a persone, cose o fatti è

    puramente casuale.

    LFA Publisher

    Lello Lucignano Editore

    Via A. Diaz, 17 -80023-

    Caivano -Napoli, Italy

    Partita Iva 06298711216

    www.lfaeditorenapoli.it --- info@lfaeditorenapoli.it

    Distribuzione cartacea Libro Co. Italia -Firenze -

    Capitolo 1 - Vivere di espedienti

    La musica era travolgente, il ritmo delle tammorre (strumenti a percussione, simili a tamburelli ma più grandi) colpiva al cuore, le mani scorrevano sulla fisarmonica producendo melodie incantevoli, i musicisti suonavano in perfetta amalgama con i ballerini, i cui corpi si flettevano sinuosi e si intrecciavano in abbracci d’amore sensuale. I due danzatori si muovevano come figure complementari in un amplesso figurato. Si avvicinavano sempre di più, si sfioravano senza mai toccarsi. Uomo e donna: i due poli dell’universo, come il bianco e il nero, la luce e il buio.

    Gli spettatori guardavano ammaliati le forme della danza e ascoltavano con stupore quella musica così intensa da far vibrare l’anima. Alcuni, attratti dalla musica come il ferro dalla calamita, si univano alla danza. Erano due coppie molto brave che danzarono un po’ di lato rispetto ai ballerini professionisti.

    C’era molta partecipazione, entusiasmo e allegria.

    La piazza di San Domenico Maggiore di Napoli era gremita di gente venuta a guardare uno spettacolo così bello.

    La considero la piazza più bella di Napoli, nel centro storico, in zona pedonale. Quasi ogni sera i giovani si esibiscono in attività folcloristiche. È anche il luogo di raduno di intellettuali e hippies. È bella di sera, quando le luci illuminano la chiesa, con la torre merlettata e davanti l’obelisco eretto dai napoletani per essere scampati alla peste.

    D’un tratto sbucò dalla folla una vecchia con la schiena curva a 90°, una sciarpa tra testa e collo, un’altra sulle spalle e abiti logori e stracciati indosso, sembrava l’ariete con cui in tempi medievali si sfondava il portone del castello. Tutti si girarono a guardarla, ne sentirono il fetido odore, molti si allontanarono. Lei puntò diritto verso un uomo del pubblico che aveva appena preso una moneta da un euro dal portafogli per darla ai musicisti in segno di apprezzamento, non per fare elemosina. Gli urtò la mano con un piattino, lo guardò come un cane in attesa di cibo dal padrone. Lui si commosse, si impietosì - anche perché non ce la faceva più a sopportare la puzza che da lei emanava -, prese l’euro e lo diede a lei, poi continuò a seguire lo spettacolo. La vecchia ringraziò e scomparve nella folla da cui era apparsa, diluendosi in quel mare di umanità.

    I ballerini continuavano nella loro danza sensuale, attorcigliavano i loro corpi, a ogni giro si accostavano sempre più, ma mai arrivavano a congiungersi. Mimavano l’atto sessuale, un atto che non giungeva al pieno compimento se non in un piano ideale, che apparteneva ad un regno superiore a quello in cui viviamo. Non era un atto volgare ma l’espressione piena dei sensi quando esplodono in tutta la loro bellezza e voluttà.

    Una donna seguiva con grande interesse i ballerini, i musicisti e i cantanti. Si lasciò andare al ritmo che le scosse le membra più profonde fino a farla eccitare. Avrebbe voluto unirsi a loro nella ‘tammurriata’ (danza del sud, che ha origini nella ‘taranta’ pugliese), ma non sapeva ballare. Così, per ringraziarli, prese due monete dalla borsa. Stava per metterle nella custodia del violino quando giunse un uomo giovane ma deforme, con le braccia e le gambe contorte, si muoveva sulle grucce, faceva impressione vederlo. La donna si impietosì per quell’essere dal corpo storpio, pensò che i musicisti avrebbero potuto guadagnare molto di più per la loro bravura ma quell’uomo no di certo, non avendo nessuno spettacolo da offrire se non le sue membra deturpate, e che mai avrebbe potuto trovare lavoro in quelle condizioni. Si chiese com’è che Dio permettesse l’esistenza di esseri del genere. Non riusciva proprio a capire. Non aveva mai capito il perché delle ingiustizie del mondo, in particolare ciò che avviene alla nascita, senza che noi ne abbiamo avuto alcuna colpa. Le due monete, invece di darle ai musicisti, le diede al pover’uomo. Lui ringraziò e se ne andò contento.

    Continuava la danza, continuava nelle giravolte, negli intrecci, come un serpente che si avvolge attorno agli spettatori e li fa gemere e colmare di passione. A molti venne la pelle d’oca.

    Una coppia seguiva con attenzione. La donna prese subito alcuni euro dalla borsa - in genere è sempre la donna ad impietosirsi o a commuoversi, l’uomo deve conservare la maschera di ferro del suo essere macho, che non si fa coinvolgere da niente e da nessuno - e anche stavolta stava per metterli nella custodia del violino. Dalla folla sbucò a velocità una carrozzella, con su un vecchio, con un grande scialle sulle gambe e un altro sulla testa, indossava occhiali scuri da cieco. Lo spingeva un giovane grassottello, perennemente sudato. Il vecchio cieco porse il cappello alla donna in attesa dell’elemosina. Anche stavolta lei si impietosì e diede le monete al vecchio invece che ai musicisti.

    Il cieco alzò di poco gli occhiali - per un attimo smise di esser cieco! - vide quanti euro gli aveva dato, fu contento, erano ben tre euro, abbassò gli occhiali e felice la ringraziò.

    L’uomo del gruppo dei musicisti, che stava fermo in piedi mostrando i cd con le loro musiche per venderli al pubblico, si accorse del raggiro. Gli venne un’idea geniale. Si portò dall’altro lato della strada, guardò in alto verso il sesto piano del palazzo e gridò: C’è un incendio nel palazzo! Scappate, presto!

    La vecchia con la schiena arcuata a 90° si raddrizzò immediatamente, come per miracolo, l’uomo deforme buttò via le stampelle e stese gli arti ritornando alla normalità, il vecchio cieco si tolse gli occhiali scuri per vedere, e si fece spingere veloce dal suo accompagnatore. Tutti e quattro scapparono via dall’incendio abbandonando persino i soldi raccolti.

    Non c’era nessun incendio!

    Loro scappavano da un pericolo inesistente, inventato.

    Il musicista raccolse le monete dai piattini e dal cappello e le mise nella custodia del violino: quello era denaro destinato a loro!

    Salve! Sono Gianni Cozzolino, l’uomo che fingeva di essere storpio per prendersi l’elemosina destinata ai musicisti.

    Purtroppo quella volta finì male, tornammo a casa e perdemmo tutti i soldi, e anche le grucce, che non erano costate nulla perché le avevamo rubate, ma che pur sempre ci sarebbero costate la ‘fatica’ di andarle a rubare di nuovo a qualche malcapitato.

    Ah! Dimenticavo gli occhiali da cieco, quelli sì che li avevamo pagati: ben due euro!

    Non fa nulla, ci saremo ripresi con qualche altra piccola truffa!

    A proposito, vi presento gli altri componenti della famiglia Cozzolino.

    Mia sorella Teresa, giovane e bella, se non fosse per quel naso orripilante e lungo che le pendeva come la proboscide di un elefante, era proprio brutto il naso, qualcuno avrebbe dovuto tagliarglielo, avrebbe dovuto farsi fare un’operazione di plastica facciale, allora sì che sarebbe diventata una bella donna… ma non avevamo il becco di un quattrino, eravamo dei mendicanti, poveri e disonesti. Oltre al naso, il suo volto era cosparso di verruche, sembrava proprio quello di una strega! Lei si era travestita da vecchia - una parte facile da interpretare, essendo così brutta - e riusciva a inclinare la schiena a 90°: proprio una grande contorsionista! Cosa si fa per qualche euro!

    Poi c’era Ciro, il più giovane e ‘scemo’ della famiglia. Non è che Teresa fosse dotata di una grande intelligenza, ma riusciva almeno a intuire le cose… sì, aveva un grande intuito, un dono naturale, diciamo, mentre Ciro era come se avesse ‘il cervello spento’, perennemente ‘in letargo’. Forse era dovuto all’estrema pigrizia di cui era dotato… se si può parlare di dote! Era come un bambino, ma di quelli proprio ottusi, direi quasi mongoloide!

    Infine c’era zio Benny, era su una sedia a rotelle a causa di una brutta malattia che ebbe da piccolo e che lo paralizzò dalla vita in giù. Anche se dirà a tutti che la paralisi era solo dalle cosce in giù, non riuscendo ad ammettere in pubblico che ormai la sua attività sessuale era finita dall’età infantile… per cui, di fatto, non era mai iniziata.

    Anche su di lui avevo compiuto profonde riflessioni per cercare di comprendere perché fosse diventato deforme…

    Che colpa aveva per essere così? Perché Dio aveva permesso ciò?

    Erano domande a cui non riuscivo proprio a dare risposte.

    Lui era per noi il saggio, il consigliere della famiglia. Spesso se ne usciva fuori con frasi molto profonde, direi filosofiche, come se stesse emettendo sentenze… e toccava a noi cercare di capire cosa volesse dire.

    A volte erano utili consigli, altre erano proprio senza senso, messe lì giusto per fare bella figura, in modo che noi lo potessimo considerare ‘il grande ermetico’, la ‘sfinge’, le cui parole sono indecifrabili dalla gente comune. E noi eravamo proprio ‘gente comune’… tranne me, forse…

    Voi potreste chiedervi perché truffiamo, rubiamo… perché abbiamo scelto di vivere da malfattori.

    In realtà non abbiamo mai avuto la possibilità di scegliere se vivere una vita da persone oneste o no!

    Dovete sapere che i nostri genitori morirono in un incidente automobilistico quando eravamo ancora piccoli… io li ricordo, Ciro e Teresa no.

    Quanto era dolce mia madre…

    E mio padre… lui sì che era una persona onesta, un grande lavoratore… ma visse poco, morì a 39 anni… purtroppo.

    Com’era bello il mondo dell’infanzia, quando c’era sempre qualcuno che si prendeva cura di te… e principalmente quando non ti dovevi preoccupare di procurarti il denaro per vivere!

    Mannaggia la miseria!

    Sarebbe stato bello nascere ricco, servito e riverito, con una bella casa lussuosa e senza il bisogno di dover lavorare, di faticare. Allora sì che la vita sarebbe stata degna di essere vissuta!

    E certamente non avremmo avuto bisogno di essere disonesti!

    Dopo la morte dei nostri genitori si prese cura di noi zio Paolo, fratello di zio Benny, che percepiva un buono stipendio - buono per modo di dire: era di un milione e trecentomila lire, ma allora ci bastavano -. Poi mio zio andò in pensione, e l’entrata familiare diminuì.

    Infine morì… e noi non sapevamo proprio cosa fare.

    Zio Benny non aveva l’età - vi ricordate la canzone di Gigliola Cinquetti? Non c’entra proprio nulla! - per ricevere la pensione… e le pensioni non si ereditano!

    La vedemmo proprio brutta, rischiavamo di finire in mezzo alla strada, diventare dei barboni, tutti sporchi a vagare in cerca di un po’ di elemosina...

    È vero: una casa l’avevamo… anche se era una baracca, ci bastava per vivere. Era una catapecchia in cui vivevamo da tempo, vicino alla discarica di Chiaiano, alla periferia di Napoli.

    A questo punto urge una spiegazione.

    Come mai nostro zio Paolo, che aveva uno stipendio, era costretto a vivere in una baracca, dove noi saremmo subentrati?

    Perché si giocò la casa, comprata con un mutuo e con grandi sacrifici, in una partita di carte, a poker…

    Era sicuro di vincere, aveva un poker di donne… poi, quando scoprirono le carte, l’avversario mostrò una scala reale! Ahi, le donne!

    Che pianti ci facemmo, quanta rabbia contro nostro zio! Da allora fummo costretti a trasferirci in quella baracca: un grande salone, per modo di dire, che doveva bastare per tutti e che di notte si trasformava in un dormitorio, un bagno, un ‘morsillo’ (per indicare qualcosa di molto piccolo… cioè un piccolo morso… come quando vorresti mangiare una bella fetta di torta, grande e saporita… e invece ti fanno avere solo un assaggio, puoi dare un piccolo morso… mordi e fuggi) di cucina e un piccolo ripostiglio - talmente pieno che non si riusciva ad aprire la porta -. L’avevamo ricevuta in eredità dal nonno ma non c’eravamo mai andati… fino a quel triste giorno!

    Ma non si vive solo di casa! Come avremmo fatto a vestirci, a mangiare, a pagare la luce e tutte quelle cose necessarie alla sopravvivenza?

    Fu proprio Teresa ad avere l’idea, le si accese nella testa come una lampadina: Eureka! Disse che avremmo potuto portare zio Benny all’ufficio INPS a ritirare la pensione al posto di zio Paolo: gli assomigliava come una goccia d’acqua, era solo un po’ più giovane, ma sarebbe bastato truccarlo un po’ e certamente non lo avrebbero riconosciuto… anche perché nessuno all’INPS conosceva zio Benny, non essendo ancora un frequentatore di quei locali.

    Davvero un’ottima idea!

    Subito la mettemmo in pratica e… al contrario delle nostre paure… funzionò!

    Qualcuno avrebbe potuto obiettare che non era un’azione giusta: ritirare una pensione che non ci spettava! Semmai quei soldi sarebbero potuti servire a qualcun altro… o allo Stato… che spesso è il primo ladro…

    Sento già la gente condannarci: Siete dei ladri! Non bisogna rubare per nessuna ragione. È peccato! Si va all’inferno!

    Questo è ciò che dice la Chiesa. Io non credo nella Chiesa, e in particolare non credo nell’inferno eterno. Perché per dei mali commessi in una vita - che rispetto all’eternità

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