Più 1 o meno 1?
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Un esempio è la recente ipotesi di privare dell’elettorato attivo gli anziani, in dispregio o ignorando (!) elementari fondamenti di democrazia, di suffragio universale e di rispetto della persona, dall’Illuminismo in qua. Incuriosisce sapere quale potrebbe essere la valutazione diagnostica da parte dello psichiatra o del geriatra che auspicabilmente dovrebbero avere in carico queste persone, anch’esse non più giovani, che hanno espresso questa ipotesi.
Ermanno Valentino Ripamonti. Pedagogista e Psicologo (Albo Professionale della Lombardia n. 2602) − Diplomato in Magistero in Scienze Religiose − Consulente in Sessuologia − già Magistrato Onorario del Tribunale per i Minorenni di Milano − Iscritto all’Albo dei Consulenti Tecnici del Tribunale di Milano − Accreditato in Psicologia Scolastica dall’O.P. di Lombardia. Già Docente a contratto di Psicologia dello Sviluppo, Pedagogia Generale e Pedagogia Speciale nei Corsi di Laurea Triennali in Terapia della Neuropsicomotricità in Età Evolutiva e in Educazione Professionale − Facoltà di Medicina e Chirurgia − Università degli Studi di Milano. Dirigente Scolastico dal 1974. Già Docente di Psicologia o di Pedagogia in Master di 2° livello − Università Cattolica di Milano e Università Statale di Torino e in corsi di formazione di educatori professionali e volontari − Fondatore e coordinatore del Centro Psicopedagogico Interdisciplinare “Portaperta”, Milano. Già Presidente del Comitato Centrale dell’Agesci (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani), già componente del Comitato Europeo dell’Organizzazione Mondiale del Movimento Scout; già Presidente dell’AS.PE.I. (Associazione Pedagogica Italiana − Sezione di Milano); già componente del Comitato di Continuità dell’Assemblea delle Organizzazioni Cattoliche Internazionali. Già consulente di Enti Locali e associazioni assistenziali.
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Più 1 o meno 1? - Ermanno Valentino Ripamonti
Ermanno Valentino Ripamonti
Più 1 o meno 1?
EDIFICARE
UNIVERSI
© 2019 Europa Edizioni s.r.l. | Roma
www.europaedizioni.it
I edizione elettronica novembre 2019
ISBN 978-88-5508-769-8
Distributore per le librerie Messaggerie Libri
PRESENTAZIONE
Ho tra le mani un quaderno a righe regalatomi qualche anno fa, a Natale, da mio nipote Gabriel, che allora aveva cinque anni, come suo dono personale di quel giorno. Avvolti in un pacchetto, da lui confezionato − con buone, apprezzabili intenzioni ma dal risultato non elegantissimo − con una carta natalizia, vi erano il quaderno, due matite e un paio di forbici decorate, da bambino, da lui usati per un tempo abbastanza lungo con le conseguenze immaginabili per il loro aspetto, ma con un significato affettivo molto importante perché mi donava qualche cosa della sua vita quotidiana, che era veramente suo.
In questo quaderno ho scritto appunti, idee, che mi venivano di volta in volta pensando al progetto di questo libro contenente miei stati d’animo, mie riflessioni.
Usavo uno strumento – il quaderno – regalatomi con affetto e conoscendo la mia propensione a scrivere, da un piccolo, intelligente e bellissimo bambino, che come tutti i bambini viveva e vive la quotidianità, come molte persone adulte, non più bambine, senza riflettere sul divenire della quotidianità e senza chiedersi: oggi è un giorno che si aggiunge alla mia vita, o è un giorno in meno della mia vita? + 1 o – 1? (Più uno o meno uno?)
La mancanza di questa riflessione in un bambino o in un ragazzo è comprensibile e giustificabile, preso com’è a desiderare e fantasticare di divenire grande
nel senso di adulto. In un adulto forse non altrettanto.
In un adulto non solo per ragioni solo anagrafiche.
Ho un chiaro ricordo di uno dei miei figli allora quindicenne, che in un pomeriggio domenicale, rigorosamente sdraiato in terra in soggiorno, perché solo così si poteva guardare la televisione, ad un mio invito a pensare al presente e al futuro con i piedi per terra, a liberarsi dal metaforico colletto di nuvole da cui spuntava la sua testa, mi rispose: − Papà, lasciami sognare!
Lo stesso invito, qualche anno dopo, lo rivolse il Card. Martini ai politici lombardi in occasione dell’annuale discorso alla città durante la annuale messa della vigilia di S. Ambrogio nella Basilica omonima.
Era la difesa di un diritto che il Card. Martini chiedeva ai politici di restituire ai cittadini per vivere la quotidianità con i suoi limiti anche temporali, ma con speranza.
Milano, novembre 2019 E.V.R.
Post scriptum: ringrazio i miei amici Annamaria, per l’aiuto nella composizione informatica del testo, e Ruggero Milone, per l’ideazione e la realizzazione della parte grafica.
NOTA
I fatti e i luoghi qui narrati sono solo in parte di pura elaborazione fantastica o, se si preferisce, come abitualmente si dice, di invenzione dell’autore. Analogamente si è fatto per gran parte dei nomi di persone.
PRIMA PARTE (SEMIAUTOBIOGRAFICA)
1 – L’ACQUA DEL GRANDE FIUME
L’acqua del grande fiume scorreva maestosa e lenta nel tardo pomeriggio prossimo al tramonto.
Faceva caldo, ma non in modo opprimente, e si sentiva il frinire insistente delle cicale. Non era un caldo particolarmente umido.
Già qualche moscerino e forse qualche zanzara ronzavano attorno incominciando il corteggiamento nel tentativo di potersi approvvigionare grazie a qualche umano involontariamente generoso.
Il vecchio uomo sedeva, da solo, sulla riva del grande fiume, grande per coloro che vi abitavano nelle vicinanze e non certo in assoluto secondo le statistiche geografiche. Ma tutto è solitamente rimesso alla soggettività individuale delle conoscenze e delle sensazioni.
Egli guardava l’acqua che i tardivi riflessi del sole rendevano bionda, ma non la vedeva.
Era immerso nei suoi pensieri, in ascolto, a tratti senza sentirli, nei rumori, negli odori, nelle sensazioni che gli si offrivano dal mondo attorno a lui, come la vista dell’acqua del fiume.
Non li vedeva e non li sentiva perché era profondamente immerso nei suoi pensieri, profondamente immerso in se stesso.
Viveva un momento di vuoto in se stesso. Ma, nonostante l’uso corrente delle parole, non era un vuoto privo di contenuti: vi erano almeno degli interrogativi e poteva esserci anche preghiera.
Una preghiera non fatta di orazioni, secondo una specifica religione, non perché l’uomo non avesse una religione, ma perché non stava pregando ripetendo con la voce e con la mente delle orazioni specifiche che, notoriamente non sempre – a voler essere buoni – sono accompagnate da intenzioni di reali devozioni e da un pensiero.
L’interrogativo − che era il suo sentimento, il suo sentire di quel momento − era: − Chi sono? Dove vado? Per quando e quanto andrò, dopo essere stato?
Interrogativi che gli uomini pensanti, a volte con inquietudine e a volte quasi invidiando chi non pensa abbastanza e quindi non soffre, si pongono da innumerevoli secoli.
Non volevano essere riflessioni funeree, tristi, pessimiste. E questa non era excusatio non petita, una scusa non richiesta.
Volevano essere il sollevamento del sipario sullo spettacolo della vita, un mistero perennemente in divenire. Un mistero che riguarda tutti gli uomini, tutti gli esseri viventi ed esistenti, anche quegli uomini che pensano nel loro intimo di non esserne toccati, di essere eterni…
Tante o più di una domanda, ma con un filo rosso che le legava tutte insieme, formandone una sola. Universale e presente nelle persone che si fermano a pensare a se stesse e al mondo, ed esistente dal tempo in cui il mondo esiste.
Si domandava il vecchio uomo: − Rispetto alla mia storia personale, di ogni persona, oggi è un giorno in più nella storia di questa vita che sto vivendo o è un giorno in meno che mi resta da vivere: + 1 o – 1? (Più uno